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Autore: Yumi_Kyokai    05/01/2010    9 recensioni
La mia prima fanfiction in assoluto... siate clementi per favore! Cosa succederebbe se una semplice studentessa universitaria si ritrovasse a dover aiutare niente popò di meno che un mezzo demone come Vergil che ha perso la memoria? (il mio pesonaggio preferito) questa storia si svolge nel mondo reale...(per le fan di Dante non preoccupatevi che incontrate anche lui) Riusciranno i nostri eroi a recuperare i ricordi perduti tra una gag divertente e un mistero da risolvere? lo scoprirete presto...(o tardi? O.o?) by Pupa xD
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Dante, Vergil
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo.1

 

Mi svegliai di soprassalto, avevo avuto uno strano incubo che però non ricordavo, portai una mano alla testa che mi faceva molto male, come il resto del corpo d'altronde.

All’inizio non ci feci caso ma, dopo essermi sfregato gli occhi varie volte, capii di trovarmi in un luogo assolutamente sconosciuto, ricordavo poco o niente di cosa era successo prima di addormentarmi, era un miracolo che sapessi almeno come mi chiamassi.

Mi guardai intorno, un po’ confuso: era una stanza un po’ buia ma sulla parete parallela al letto su cui ero sdraiato c’era una grossa finestra che dava su un balcone; dalla luce che entrava nella camera riuscii a capire che probabilmente era quasi arrivata sera.

L’atmosfera che si percepiva in quella stanza era straordinaria: i raggi del sole, che stavano per scomparire oltre l’orizzonte di palazzi, arrivavano fino al lampadario che pendeva dal soffitto, creando spettacolari giochi di luce.

Grazie a questi piccoli fasci luminosi che coloravano le pareti riuscii a intravedere parte dell’arredamento: il pavimento di parquet scuro era coperto, ai piedi del letto, da un morbido tappeto bianco e lì vicino notai anche due poltrone in vimini, una di fronte all’altra, coperte da numerosi cuscini.

Nella parete alla mia sinistra mi accorsi di una piccola cassettiera in noce, sopra di essa scintillavano alla luce solare alcune cornici e un vaso in vetro contenente dei fiori viola, intuii che erano quelli a dare un buon profumo alla stanza; riappoggiai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi tentando di rilassarmi e di far passare il dolore che mi martellava le ossa del cranio. Quando li riaprii ispirando il buon odore di glicine che proveniva dai fiori, rivolsi lo sguardo all’insù e mi accorsi dell’immensa fotografia appesa alle mie spalle: occupava tutta la parete e ritraeva una magnifica vista di Parigi in bianco e nero, saltava all’occhio in particolar modo la Tour Eiffel in primo piano; scostai le coperte e decisi di esplorare quella casa che iniziava già a piacermi.

 

Cercando di scendere dal letto notai sul comodino un biglietto, lo presi e lo lessi:

- Sono uscita per fare la spesa, fai pure come se fossi a casa tua. Erin -.

 

Provai a pensare se conoscevo questa donna di nome Erin ma la mia mente era ancora offuscata, probabilmente dalla lunga dormita, non sapevo nemmeno come mai fossi a casa sua...

Quando sarebbe tornata ci saremmo chiariti su cosa mi era successo.

 

Iniziai a girare per la casa, barcollavo e ogni tanto mi scappava uno starnuto, trovai il bagno e decisi di farmi una doccia calda.

L’acqua mi rilassava e sicuramente mi avrebbe aiutato, almeno un po’, a curare il terribile raffreddore che avevo; aprii la tendina della doccia in cerca di un accappatoio ma purtroppo trovai solo un grosso asciugamano blu, come quelli che si usano in spiaggia, con sopra ricamato un enorme e vistoso orsacchiotto marrone contornato da cuoricini fucsia; era piuttosto imbarazzante ma mi accontentai.

 Mentre mi osservavo nello specchio appoggiato al muro la mia pancia si mise a gorgogliare, sentivo un forte vuoto allo stomaco e dovevo subito mettere qualcosa sotto ai denti.

Mi diressi in cucina, era una stanza molto ampia e luminosa che dava sul salotto della casa, dove si trovava anche la porta d’ingresso.

Cominciai a frugare qua e la tra l’interminabile serie di cassetti e di antine, compreso il tavolo che spiccava al centro della cucina, ma non trovai assolutamente niente; a un certo punto però, voltai lo sguardo verso un angolo della stanza e quasi rimasi spaventato da quello che vidi: davanti a me si ergeva un altissimo frigorifero di ultima generazione color grigio metallizzato a due ante. Lo aprii con timore e rimasi quasi abbagliato dalla forte luce al neon che emetteva, ma purtroppo anche quello era vuoto e rischiai solo di rimanere congelato.

Osservavo alcuni strani “rifiuti organici” abbandonati in un angolino del frigo quando sentii il rumore di una serratura che scattava, e la porta d’ingresso si aprì.

 

***

 

Avevo il fiatone! Ero salita con l’ascensore, però le cinque borse che avevo in mano pesavano un quintale; almeno, d’ora in avanti, avrei avuto una bella scorta di cibo che mi sarebbe bastata per quasi un mese. Aprii la porta con non poca fatica e posai le buste gialle sul pavimento senza pensare a cosa sarebbe potuto accadere durante la mia assenza. Mi ero assolutamente scordata del mio ospite, non avrei mai pensato che si sarebbe svegliato e che avrei dovuto preparare la cena anche per lui.

Poveraccio” pensai tra me, non ero mai stata un granché capace ai fornelli.

Chiusi la porta alle mie spalle e mi preparai a ricaricare sulle braccia il peso delle borse quando notai un particolare “anomalo”: il mio frigo gigante alto più di due metri era aperto e da sotto sbucavano due piedi nudi.

Doveva proprio essere lui! Prima vidi la testa che fece capolino dall’anta del frigorifero, poi il resto del corpo, e, in un istante, divenni paonazza; nel vedere quella scena provai un improvviso moto di imbarazzo misto a divertimento: il ragazzo era avvolto nell’asciugamano blu che mi aveva regalato la nonna e aveva lo sguardo furtivo di un topo affamato, che cerca qualcosa da mangiare. Non riuscii a trattenermi e mi misi a ridere in modo fin troppo vistoso, ma rimanendo comunque tutta rossa.

- Scusami... - dissi dopo essermi asciugata le lacrime - non sono riuscita a trattenermi! - poi, con un po’ di vergogna, continuai - piacere di conoscerti mi chiamo Erin. -

Lui aspettò qualche minuto, guardandomi diffidente, ma poi rispose: - Io mi chiamo Vergil, posso sapere perché mi trovo a casa tua? -

Restai interdetta, mi sorse il dubbio che avesse, in qualche modo, perso la memoria e, in effetti, ricordai che i medici mi avevano riferito che aveva riportato delle lesioni alla testa. In poche parole gli spiegai di che cosa era successo da quando lo avevo trovato steso per terra, fino a quando lo avevano accompagnato a casa mia.

- Non mi ricordo!- continuava a ripetere forse parlando con se stesso.

Provai a fargli qualche domanda: se aveva una famiglia o qualche amico dove andare, e dove abitassero ma la sua memoria era completamente svanita.

Ora che lo osservavo da vicino mi accorsi che oltre ad avere i capelli chiarissimi, che adesso portava all’indietro, i suoi occhi erano del colore del ghiaccio e i tratti del suo viso a dir poco perfetti, “Farà il modello?” mi chiesi incuriosita; ripensai al suo nome, era poco comune e facevo fatica a pronunciarlo correttamente, sperai di non fare le mie solite gaffe in futuro. Dopo questa attenta analisi constatai che di certo non era un tipo che si poteva incontrare tutti i giorni e mi sentivo in qualche modo fortunata.

- Hai fame? - gli chiesi dopo un po’, ricordandomi che l’avevo visto mentre stava frugando nel frigo.

-Abbastanza -

Gli suggerii di vestirsi e mentre ritornava in bagno pensai, grattandomi la testa, a cosa avrei potuto preparare per cena senza farlo morire avvelenato: scavai tra i borsoni della spesa e ne estrassi delle verdure, della carne in scatola e del pane, potevano andar bene per un pasto veloce.

 

- E’ pronto!- urlai con un sorriso da ebete stampato sulla faccia mentre indossavo un grembiule da cuoca, titolo che non mi era assolutamente concesso; ci accomodammo uno di fronte all’altro e gli misi il piatto sotto al naso, guardai la sua faccia e percepii che era profondamente schifato, rivolsi lo sguardo sui nostri piatti ed effettivamente, mi resi conto che sembrava del cibo per cani, gli avevo fatto perdere l’appetito.

Lentamente prese in mano la forchetta e infilzò un pezzo di carne, ma mentre stava per assaggiare quell’oscenità scattai come una saetta, presi i due piatti assieme alle posate e li buttai violentemente nel lavandino, afferrando poi il telefono digitai un numero che ormai avevo imparato a memoria a forza di usarlo.

- Salve, vorrei ordinare una pizza gigante... -.

 

***

 

Dal primo momento in cui era entrata in casa questa ragazza, avevo subito intuito che non era del tutto normale, benché avesse buone intenzioni mi spaventava decisamente. Ero rimasto scioccato da come aveva lanciato i piatti nel lavandino, e la pizza che aveva ordinato era a dir poco immensa, infatti, non riuscimmo nemmeno a mangiarne la metà.

- Quindi non hai nessun posto dove andare? - mi chiese mentre sparecchiava.

- A quanto pare, no! -

Fece una faccia alquanto strana e poi fissandomi intensamente disse:

- Non preoccuparti, ho deciso che ti aiuterò a recuperare la memoria, e se non ti da fastidio dormire sul divano, poi rimanere ancora per un po’ da me. -

Inizialmente ripensando alla cena di quella sera ero sul punto di rifiutare ma riflettendoci meglio capì che era l’ unica persona che conoscessi in quel momento.

- Ti ringrazio e ti prometto che non mi tratterrò molto a lungo, anche se la mia memoria non sarà tornata troverò un modo per mantenermi da solo. -

Lei guardò l’orologio, si era fatto molto tardi e perciò decidemmo di andare a dormire.

 

Mi svegliai, con un po’ di torcicollo per via del poggiolo, sul mio nuovo divano/letto, quando il sole era già alto ed entrava dalla finestra del salotto colpendomi in piena faccia; la bella dormita, a mia insaputa, mi aveva aiutato a guarire dal raffreddore, anche se un rimasuglio di mal di testa mi martellava silenzioso le tempie. Guardai il piccolo orologio sul tavolino del salotto e notai il solito bigliettino lasciato dalla proprietaria di casa:

-          QUESTA MATTINA SARO’ FUORI PER VIA DELL’UNIVERSITA’

. USA PURE I SOLDI CHE TI HO LASCIATO SUL TAVOLO SE VUOI ANDARE A FARTI UN GIRO PER LA CITTA’.

 DOVREI TORNARE A CASA VERSO LE 6:30.

 Erin -

Di fianco al pezzetto di carta strappata c’erano 100$ ma sinceramente in quel momento non sapevo proprio cosa farmene, quindi, presi solo pochi spiccioli ed uscii a fare quattro passi. Quando arrivai in strada prestai particolare attenzione al nome e al numero della casa e iniziai a camminare per le strade poco trafficate, segnando bene a mente il percorso che stavo facendo; volevo fare colazione e, nella prima piazza che incontrai, cercai un bar abbastanza decente.

 

Entrai nel locale dirigendomi verso il bancone, apparentemente incustodito; ero appoggiato da un po’ di tempo al banco quando sentii una vocina che mi chiamava: - Scusiiii hei! Dico a lei! Cosa vuole da bere? –

Guardai più in basso e notai un omino che si agitava come un forsennato, saltellando di qua e di là, doveva essere per forza il barista, “o la barista?” pensai dopo aver notato che portava dei vestiti da donna e anche un filo di trucco, anche se era evidente che fosse un uomo, dato che aveva una folta barba che gli arrivava alle orecchie. Ero rimasto impietrito ma, cercando di non fargli notare il mio stupore ordinai un cappuccino e una brioche.

Era una giornata tranquilla ma ancora per poco, perché non sapevo che i miei guai erano proprio dietro l’angolo: infatti, proprio mentre stavo bevendo dalla tazzina, qualcuno mi urtò da dietro, violentemente, facendomi versare il caffè bollente sui vestiti.

Mi girai e, ancora una volta, rimasi shockato: il tipo che mi aveva urtato era la mia copia sputata, “un clone forse?”ma ormai mi ero abituato alle stramberie di quella città.

- Scusami! - disse guardando i miei vestiti, quando però rivolse lo sguardo sulla mia faccia, iniziò a fissarmi spaventato quanto me.

- Ci conosciamo?- chiesi io.

- Non mi sembra - parlava lentamente come se pensasse che fossi di un altro pianeta – ma forse siamo parenti, io mi chiamo Dante - e mi strinse la mano.

Ero curioso di conoscerlo, mi propose di andare a comprare dei vestiti nuovi nel centro commerciale in cui era appena stato, ed io lo seguì anche perché non avevo nient’altro da fare, proprio come lui.

Camminando mi raccontò che aveva perso la memoria e che una ragazza lo stava aiutando ospitandolo a casa sua; in quel momento stavo avendo una crisi esistenziale, forse era tutto frutto della mia immaginazione? Ma dopo mi dissi che era assolutamente impossibile, osservandolo meglio, Dante era diverso da me: era senz’altro un tipo estroverso, un po’ spaccone e ogni tanto mi metteva in imbarazzo; lo conoscevo da solo cinque minuti ma sembrava fosse un mio vecchio amico.

Trovai dei semplici abiti, che non davano troppo nell’occhio e che non erano nemmeno all’ ultima moda, invece lui iniziò a provarsi strani vestiti: si mise un sombrero fucsia con pailette dorate, non sapevo nemmeno dove era andato a pescarlo, un paio di boxer dotati di due grossi catarifrangenti sui lati, un mantello rosso e degli stivaloni alla texana.

Cominciò a sfilare disinvolto tra gli scaffali del negozio ma soprattutto tra la gente, io lo guardavo allibito e a bocca aperta da un angolino, cercando di non far capire agli altri che ero in sua compagnia.

 

 

 

Angolo dell’autrice:

Scusate per lo spaventoso ritardo ma oltre al problema del “blocco d’autore” è anche iniziata quell’orribile tortura comunemente chiamata “scuola”.

Voglio ringraziare chi sta leggendo la mia umile storiella e soprattutto chi ha avuto il coraggio di recensirla, mi piacerebbe molto se commentaste anche questo capitolo dicendomi cosa vi piace e non... mi interessano molto anche degli eventuali spunti su cosa far succedere ai nostri protagonisti!

Grazie mille a tutti Pupa ^.^

 

  
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