Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Willow Whisper    14/01/2010    2 recensioni
Postato capitolo 14-parte seconda (POV SAM-ABRAHAM) del libro III
[LIBRO PRIMO- terminato]
(POV Sammy+ UN SOLO CAPITOLO POV Laura)
[LIBRO SECONDO- terminato]
(POV Sammy+ POV Laura + UN SOLO CAPITOLO POV Seth)
[LIBRO TERZO- iniziato]
*Second life- when you are a Cold*
(POV Sammy, Laura, Seth, Gabriel, Nessie & sorprese)
"Stare in mezzo a loro non mi piaceva.
Era orribile essere circondata dai nemici, dal pericolo.
Eppure ero lì, pronta a sacrificarmi per difendere chi amavo.
Mi ero chiesta tante volte se la mia seconda vita
sarebbe stata migliore della prima,
ma la risposta non c’era mai stata,
o almeno, fino a quel momento...
No. Non era affatto come speravo."
Genere: Dark, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Serie "Dream"'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
capitolo 53 Capitolo 12

Laura
Avevo sempre reputato i vampiri esseri piuttosto intelligenti, dopo tutto un'eternità per sviluppare il proprio intelletto doveva pur dar frutto a qualcosa.
Sì, li avevo sempre considerati per lo meno furbi. Già. Peccato che non avevo considerato il fattore Y, cromosoma Y. Fissai annoiata il vampiro davanti a me, che sedeva affianco a Demetri. Era da più di un'ora che bisticciava con una ragazza, vampira, al mio fianco.
Aveva i capelli corti, castani e scompigliati, una testa troppo piccola per il corpo muscoloso che possedeva, e la carnagione diafana, quasi invisibile. Alzai lo sguardo e notai che gli occhi, inizialmente di un rosso acceso, si stavano via via affievolendo verso un cupo nero.
Lei, al contrario, aveva una carnagione olivastra e i lineamenti orientali, un piccolo e grazioso nasino schiacciato e due enormi occhi, profondi e penetranti, i capelli alla maschietta le ricadevano sugli occhi e spesso se li portava dietro, scocciata.
Un'ora, e quell'idiota di Jhoel ancora non ammetteva di essere tale. Sarita, al contrario, e a buona ragione, ammetteva che era la mutazione genetica di un mulo. Io mi chiedevo come Aro avesse potuto prenderlo al posto di Felix; nelle lettere mi aveva accennato al cambiamento ma non pensavo che avrebbe accettato un tale scemo nelle sue file.
Erano venuti a prendermi a casa, sì: una casa piena in una riserva piena di licantropi, tanto per farsi sentire di più. Sarita ci aveva raggiunto mentre eravamo in viaggio, mentre Demetri era già dentro il furgone che era diventato la mia attuale “prigione”. Quindi, la colpa di tale idiozia, quella di lasciare quante più tracce possibili, era solo ed unicamente di Jhoel, da quanto avevo capito Demetri gli aveva consigliato di rapirmi mentre facevo la spesa o, comunque, fuori da La Push; lui, troppo ebete e avventato, aveva preferito non aspettare e prendermi subito.
Perciò, già da quando entrai dentro il retro del furgoncino avvertii le occhiate di fuoco che il vampiro biondo gli aveva lanciato, che qualcosa non andava. Quando poi rientrò anche Sarita, in un breve istante in cui ci eravamo fermati, la mia teoria aveva avuto la sua conferma. Una cosa che però notai era l'espressione di lei, differente da quella degli altri Volturi che avevo incontrato, quasi innocente. Scombussolata. Sì, proprio così.
Chiudendo la porta dietro di sé si era seduta pensierosa, mentre Demetri storceva il naso: c'era un qualche odore che lo infastidiva; dopo un secondo le sibilò qualcosa stizzita velocemente, per poi tornare a squadrare Jhoel.
Abitando con vampiri e licantropi avevo imparato che, se esisteva qualcosa di veramente importante, questa era l'attenzione ai particolari: avevo scoperto che ogni piccolo gesto del viso rifletteva una precisa sensazione, un preciso odore; in particolare con un segugio come Demetri. Io rimasi silenziosa al mio posto, cercando di farmi notare il meno possibile. Fissai il suo naso, in quel momento, arricciarsi, gli occhi socchiudersi infastiditi e la bocca serrarsi, come a trattenere un ringhio.
Era arrabbiato, ma una rabbia diversa di quella di Sarita, qualcosa di più bestiale, animale. Inorridii, riconoscendo quel viso: Sarita aveva incontrato uno del branco, trasportando qui l'odore. Sbiancai, impaurita. Un'improvvisa ansia mi assalì, terrore allo stato puro, paura che quel qualcuno del branco potesse essere uno dei miei figli, Embry, Jake, un mio amico. Provai a mantenere un respiro e un battito regolare, non volevo che capissero il mio stato d'animo.
Mi girai di scatto verso Sarita: se avesse ucciso o anche solo ferito uno di loro i vestiti sarebbero dovuti essere sporchi di sangue, stracciati, rovinati. Su di lei sarebbe dovuto rimanere un qualche segno della colluttazione, invece, studiando centimetro per centimetro il maglione e i pantaloni che portava non notai nessun indizio che potesse riportarmi ad una conclusione negativa.
Forse aveva incontrato qualcuno e aveva preferito scappare. Non pensavo che Aro sarebbe arrivato a tanto, non avevo mai voluto credere che potesse essere così deciso a farlo, a rischiare così tanto. Quando le acque si acquietarono e Sarita smise di battibeccare con Jhoel, guardai intensamente Demetri, che mi stava fissando a sua volta.
-Sei invecchiata- commentò, sogghignando.
-E tu sei sempre lo stesso; non sembra passato un giorno da quando mi minacciavi di morte- ironizzai cinicamente, mentre lui scoppiava a ridere.
Oltre ad essere stupidi avevano anche uno scarso senso dell'umorismo.
-Aro alla fine si è deciso a portarti via- la voce era sensuale, adatta ad un predatore.
-Mi ha rapito, è diverso-
-Devi anche considerare il tipo- ghignò, spostando leggermente lo sguardo, io cercai di rimanere calma, tentando di convincermi che i miei figli e mio marito stavano bene, assolutamente bene.
-Avete perfino pensato di prendere l'aereo a Vancouver- mormorai, fissando le mie ciabatte.
Dannazione, neanche il tempo di cambiarmi. La sua attenzione si spostò anch'essa sui miei piedi, sghignazzando.
-Dovremo procurarti un paio di scarpe … - sogghignò, lo sguardo rosso e furbo -e sì- ci fu un attimo di silenzio, nel quale mi scrutò incuriosito.
-Ci siamo fermati e l'autista ha parlato in francese, abbiamo superato il confine, no?- mugugnai la spiegazione della mia tesi e lui sembrò tranquillizzarsi.
-Capisco perché il Capo ti voglia con sé- ridacchiò. Non credevo che in una minaccia ci potesse essere tanta ironia. Da quel momento in poi calò il silenzio. Rabbrividii, sentendomi all'improvviso maledettamente fragile, umana.
Forse avevo giocato con il fuoco, provando a instaurare un'amicizia con Aro; probabilmente avevo passato troppo tempo ad ondeggiare su un precipizio attaccata ad un semplice filo; di sicuro mi ero cacciata in un guaio enorme e al di sopra delle mie capacità risolutive.
Il problema, però, era un altro: la mia coscienza.
Pur rivangando e scavando dentro di essa non riuscivo a trovare un solo motivo, abbastanza valido, che riuscisse a confermarmi che stavo agendo male, che, in verità, all'ultima lettera, avrei dovuto semplicemente dire di no, tagliando così ogni possibile disguido. Eppure non ci riuscivo. Non riuscivo a convincermi di stare sbagliando. E questo, questo mi terrorizzava.

Arrivammo a Volterra ancora avvolti nel silenzio, i lineamenti graziosi ed orientali di Sarita si erano tesi e ancora guardava con fastidio Jhoel.
Demetri era al mio fianco, mentre percorrevamo le strade della piccola cittadina medievale.
Fu un attimo e mi ritrovai ragazza, tra gli odori di cucina che provenivano dalle strade, le persone che parlavano nella mia lingua, la strana e assurda sensazione di asciutto, nessuna pozzanghera nella strada, tirava un vento leggero che stava poco alla volta spazzando via le nubi, scoprendo la luna piena, che brillava nel cielo. Avvertii l'impazienza dei vampiri che avevano accelerato il passo, costringendomi quasi a corrergli dietro.
Ci fermammo precisamente davanti ad una porticina di legno, che sembrava il retro di una bottega, nonostante si affacciasse su un enorme muro, quasi del tutto privo di finestre.
Demetri bussò velocemente, guardandosi intorno con sospetto, quando la porta si aprì non vidi nessuno dietro di essa, ma uno strano odore mi investì, una fragranza che respirai a pieni polmoni: fiori.
La luce fioca ci diede il benvenuto, passo dopo passo ci inoltrammo nel Palazzo dei Priori, e la luce si fece più decisa, non rilegandosi più a delle semplici lampade a basso consumo ma a dei veri e propri lampadari che si sporgevano dal soffitto di pietra.
Per terra si rincorrevano, come in una strana giostra, animali fantastici, intarsiati in un lungo, e giurai infinito, tappeto.
Ogni cosa, in quel posto, trasudava lusso e ricchezza. Non avrei mai creduto possibile ritrovarmi là, a Volterra, nel covo dei vampiri più potenti della storia. Il tappeto si concludeva con un enorme e ruggente leone, che teneva nelle fauci un albero, guardai con più attenzione e notai che era una quercia, rabbrividii.
-Lo sai cosa rappresenta la quercia?- cantilenò Demetri, poggiando le mani sulle maniglie di una colossale porta di legno scuro.
-L'uomo, non è vero? Vis, roboris... la forza umana- sussurrai tra me e me, assorta.
-Esatto- ghignò e, con un gesto teatrale, la spalancò. Rimasi ferma, immobile, quasi soffocata dalla grandezza della sala.
Non era la sala di cui avevo letto da giovane, manteneva toni troppo caldi per rilegarsi ad un ruolo di esecuzione, al contrario, gli arazzi alle pareti ed un camino acceso, che mi fece capire ancora di più quanto adorassero fingere di essere umani, infondeva nell'aria una strana atmosfera di tranquillità.
Tranquillità concessa a chi non rischiava di divenire la cena, logico.
Jhoel si dileguò veloce, salutando con il capo Caius, seduto accanto a Athenodora su una poltrona, accorgendosi di me, questo, si volse all'indietro, come quando un bambino, andato ad aprire alla porta, si accorge di non poter essere utile e si gira verso il genitore, per chiamarlo. Marcus non c'era, ed erano pochi i vampiri ancora rimasti lì.
Seguii lo sguardo dell'uomo dai capelli bianchi e lo intercettai mentre fissava intensamente Aro.
Accorgendomi di come erano vestiti tutti, eleganti, perfetti, non potei che guardare il mio, di abbigliamento, e notare quanto fosse fuori luogo e imbarazzante: una tuta da ginnastica logora e un paio di scarpe nuove. Iniziai a torturarmi le mani agitata, improvvisamente conscia, più che durante tutto il viaggio, di essere fuori luogo in tutta quella faccenda.
Aro sorrise all'istante, guardandomi, percorse a grandi falcate la stanza, raggiungendomi, Sarita e Demetri si erano dileguati appena lui era giunto.
Deglutii, erano passati anni e lui era rimasto lo stesso: lo stesso uomo con il quale avevo parlato in punto di morte, lo stesso uomo che aveva mostrato debolezza a me, a me sola, come scrisse lui, a me e non alla moglie, che mi fissava con aria di insufficienza dall'altro capo della sala.
-Laura! Sei arrivata finalmente! Magnifico! Sapevo che avresti accettato!- esclamò allegro.
-Diciamo che Jhoel mi ha trascinato via- scherzai, nervosa, la voce aveva assunto uno strano tono acuto.
Lui non rispose, mi fissò e basta. Gli occhi rossi, anche se all'apparenza opachi, brillavano, studiandomi, le mani si erano spostate in avanti, verso di me, porgendosi, mentre il viso si distendeva in un'espressione di stupore e meraviglia.
-Sei diversa- sussurrò.
Per quanto lo disse piano avvertii solo le labbra muoversi lentamente, la sua solita voce melodiosa era scomparsa.
-Sono invecchiata- mormorai affranta, riportando alla mente le mille discussioni con Embry, riguardo a questo tema.
-No, non intendevo questo- sorrise gentile, allungando una mano verso di me. Mi chiesi se veramente era lui l'uomo che incuteva tanto terrore e che, con un semplice gesto, aveva fatto sgombrare la sala.
Perfino Caius, seppur riluttante si era alzato e aveva portato via la moglie, che, a sua volta, aveva lanciato uno sguardo eloquente alla cugina. Eravamo rimasti solo io ed Aro, io e quell'uomo che mi fissava intensamente.
Si guardò intorno e sorrise nuovamente, sospirando.
-E' stato pesante il viaggio?- domandò, calmo. Rimasi in silenzio, interdetta. Come … come poteva pensare a cose così futili, inutili! Io stavo in Italia, a Volterra, nel suo covo, mentre la mia famiglia poteva essere in pericolo, essersi preoccupata o... o non so cos'altro.
-Aro, non ho voglia di scherzare- sibilai tra i denti, perdendo tutta la calma che mi ero predisposta a mantenere. -Ma io non sto scherzando- rispose pacato e divertito lui -sto solo chiedendo, con serietà, se il viaggio ti è pesato, Laura- sorrise, divertito.
Lo guardai assottigliando gli occhi, stringendo un pugno; per un attimo dimenticai chi, cosa, fosse veramente e mi avventai contro di lui con tutta la rabbia che avevo in corpo.
-Sei un folle! Come ti è venuto in mente di rapirmi?- gridai, pur mantenendo la voce bassa, quei luoghi mi mettevano una tremenda soggezione. Lui fece scivolare il braccio fino alla mia mano, la distese dal pugno che avevo stretto.
-Non ti ho rapita, ti sono venuto a prendere- ribatté, poi alzò lo sguardo -hai le mani rovinate- osservò, sviando il discorso.
-Mi sono venuti a prendere staccandomi dal bucato che stavo facendo, sì, è per questo che ho le mani rovinate e solitamente il portare una persona dove NON vuole si chiama rapimento!- sbottai, ritirando la mano dalla sua, come se scottasse. Sospirò, poi sogghignò.
-Mi hai detto che per te sarebbe andato bene, lo hai scritto- mi ricordò, allegro; era un bambino, un bambino troppo cresciuto. Scuotei la testa in disappunto, mentre tentavo di mettere chiarezza nella mia testa. Avevo un vorticare irrefrenabile di idee, che si accavallavano, sovrastavano, senza darmi l'opportunità di elaborare un pensiero preciso, che potesse rendere stabile la mia lamentela. Non ne trovai. Aveva ragione. Alzai lo sguardo sconfitta, poi sospirai.
-Hai ragione, ma questo non giustifica il metodo. Volevo avvisare Embry...-
-Oh! Non lo avresti mai avvisato- mi prese in giro, gli occhi si socchiusero mentre rideva, formando due sottili linee, magnifiche, che sembravano poter appartenere ad un dio di un altro mondo, ben lontano da quello che avevo lasciato.
-Invece sì- insistei io, stizzita, sembrava che l'agitazione si fosse sciolta in rabbia e che questa si stesse riversando su di lui, che, prendendola ottimisticamente, ne rideva.
-No, hai scritto anche questo.- ribatté.
-Non mi importa cosa ho scritto! So solo che è sbagliato, capisci Aro. Sba.glia.to. Errato il lasciare la mia famiglia così, senza dire nulla! Ho dei figli, degli affetti!- ringhiai furiosa -si staranno preoccupando!-
-E di me, non ti preoccupi?- scherzò lui.
-Tu... tu sei un pazzo. Lo capisci, vero? Non sono la tua baby-sitter. Io... io non posso rimanere qui- scossi la testa agitata, presa da un nuovo tremore. Ripensai a tutti i mesi, gli anni, passati a scriverci. Agli aneddoti che lui mi raccontava, ai racconti della mia vita che gli lasciavo su quei fogli sempre maggiori, come se, con l'aumentare degli anni, aumentasse la voglia di parlargli. Mi guardò contrariato e storse la bocca.
-Allora ora posso anche dire a Marcus la verità- borbottò tra sé. In un attimo, prima di potermi rendere conto di cosa stessi facendo, scattai, poggiando le mie mani sulla sua bocca, zittendolo; gli occhi spalancati, il viso terrorizzato. La sola idea che potesse essere in pericolo mi infastidiva, il fatto poi che potesse essere colpa mia mi annientava.
Ero mossa da un qualcosa che non riuscivo a spiegarmi, ma che c'era. E ne stavo morendo soffocata.
-Vedi, allora tieni a me- sussurrò,sfiorandomi leggermente il viso, una carezza leggera che riuscì a tranquillizzarmi, pur contro la mia volontà.
-E tu, perché mi hai portato qua?- chiesi, sussurrando, lo sguardo spostato verso il basso, a fissare i pantaloni sporchi di fango.
-Volevo rivederti. Non è la stessa cosa lo scriverti- spiegò, avvertii le sue iridi fissarmi intensamente; mi voltai, sospirando. -Sei come sarebbe stata...- sussurrò, più a se stesso che ad altri.
Non dissi nulla.
Non dissi nulla finché non mi accompagnò nella mia stanza, baciandomi leggermente sulla fronte per poi sparire.
Non dissi nulla, e capii dopo che quello fu il mio vero errore.







ND II AUTRICE, Ulissae (Laura)
Sì, come al solito non mi piace .-. non so cosa farci, mi immagino capitoli grandiosi ma non mi soddisfano mail >.< Volevo chiarire un particolare: Laura e Aro si sono continuati a scrivere, confessando ciascuno se stesso all'altro. Entrambi si fidano, si conoscono e non hanno effettivi segreti. La cosa potrebbe risultare un po' OOC per Aro, lo so; però mi sono immaginata che lui, rivedendo in Laura la sorella, potesse veramente aprirsi, provando un affetto naturale verso di lei. Laura, a sua volta, ricambia questo affetto. Amor che nulla amato amar perdona, disse Dante. Ùù

ND I AUTRICE, Sammy Cullen
Awwwww -w- non potete immaginare che goduria per me leggere un capitolo scritto dalla mia colleguzza XD non stavo più nella pelle, come voi, credo ^^
Allour...Il prossimo credo sarà il mio, ma visto che ho finito i capitoli pronti, ormai vado allo sbaraglio xD (no, scherzo, la storia ce l'ho tutta in testa <3) bah...spero solo che questo vi piaccia! Commentatelo, se vi va^^ a Laura sicuramente farebbe piacere, con tutta la fatica che ha fatto per tirarlo fuori xD
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Willow Whisper