Sono
davvero tanto
contenta delle vostre recensioni, mie dolcissime amiche,
perché vedo che state partecipando
a questa storia con molto interesse e sentimento. Ve l’ho
detto e ridetto,
forse: non c’è niente che può fare
più piacere a chi scrive per diletto di
sentir parlare dei propri personaggi e dei propri intrecci.
È assai gratificante
sapere di essere riusciti a trasmettere attraverso semplici parole
emozioni e
sensazioni di un mondo immaginario, visibile solo agli occhi di chi
scrive ma
che in alcuni momenti è per lui quasi più reale
della vita vera. Per questo vi
ringrazio di cuore e, consentitemi, ringrazio in particolare Lizzie83
perché
spero tanto che, così come ha fatto lei, altre lettrici,
fino ad oggi
silenziose, trovino la voglia e il tempo di dirmi anche con una
semplice parola
che il mio lavoro è servito allo scopo di divertirle ed
intrigarle.
E veniamo alla storia. Nel prossimo capitolo vedrete questa strana
coppia fare
un piccolo passo avanti nel loro rapporto, conoscerete un nuovo
personaggio che
ci accompagnerà fino alla fine e ne saprete un po’
di più sul passato di
Barbara. Solo un avviso: preparate i fazzoletti …
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Capitolo
14
Per
fortuna Barbara Rispoli era davvero una
donna forte ed abituata alla lotta. Cercò di convincersi a
togliersi dall’animo
un sogno assurdo ed a considerare il marito come un semplice datore di
lavoro.
Incominciò a rifuggirne la compagnia anche se, a parte il
piccolo Charles e
sporadicamente Giosuè e Maria, così facendo si
condannava alla solitudine più
desolata.
Nel
frattempo il parroco le aveva comunicato
di avere una ragazza adatta ad andare a servizio da loro e che il 19 di
marzo,
festa di San Giuseppe, sarebbero
potuti
andare a conoscerla in quanto era sua ospite presso la canonica. Le
aveva
raccontato che, benché
molto giovane, la
povera Nunzia aveva già una triste storia alle spalle.
Figlia di pastori, era
restata orfana di padre all’età di quindici anni e
la madre, sola e senza chi
la proteggesse, era stata costretta a sottomettersi ad un uomo rozzo e
malvagio
che non aveva tardato a rivolgere le sue pericolose attenzioni alla
giovanetta.
Avvedutasi della situazione, la povera donna l’aveva aiutata
a scappare di casa
affidandola ad un sacerdote che a sua volta, conoscendo la
bontà di don
Giustino, l’aveva affidata a lui. A questo punto il buon
parroco aveva pensato
ai coniugi Forrest che ancora cercavano una domestica brava e fidata
perché gli
era parso che la povera, sfortunata adolescente facesse al caso loro.
Robert
non si era detto contrario e Barbara aveva sperato davvero che potesse
essere
la persona adatta così non solo avrebbero fatto del bene, ma
ci sarebbe stato
anche qualcuno a farle un po’ di
compagnia.
La
sua prima impressione fu positiva:
era una bella giovane di sedici
anni con i capelli neri raccolti in una semplice crocchia, due occhi
immensi da
cerbiatta e la bocca grande e carnosa. Se ne stava davanti a loro a
capo chino
con le mani sciupate dal gran lavoro strette in grembo e tremanti. Le
piacque
subito.
-
Ti farebbe piacere venire a lavorare da
noi, Nunzia? - le chiese con gentilezza -
Ti tratteremo bene, ci
sarà da
mangiare a sazietà ed avrai una bella stanza. Prometto che
non ti farò lavorare
troppo e quello che ci sarà da fare lo faremo insieme.
L’ingegnere poi ti
pagherà un discreto stipendio così potrai mettere
da parte un bel gruzzoletto
per la tua dote. In cambio ti chiedo solo due cose: la prima
è trattare bene il
nostro piccolo Charles, la seconda è mantenere una certa
riservatezza su quanto
accade a Villa Bianca perché non ci piace che i fatti nostri
vengano
spiattellati a destra e a manca. Credi di esserne capace?
La
giovanetta annuì, fissandola negli occhi
con tanta sincerità che la donna se ne sentì
conquistata.
-
Bene – le disse – ed allora verrai
immediatamente a stare da noi. Non è così Robert?
L’assumiamo?
-
Se sta bene a te! – gli rispose questi in
inglese, suscitando lo sguardo perplesso della ragazza.
Barbara
rise.
-
Ha detto di sì – le spiegò, poi
aggiunse
- Non farci caso, parla spesso nella sua
lingua, ma a poco a
poco comincerai a capirlo anche tu, vedrai.
In
effetti Nunzia si dimostrò davvero brava e
servizievole e poi era una persona riservata, una che non si perdeva in
chiacchiere, ma capace di nutrire sentimenti forti e sinceri. La
giovane
padrona così gentile suscitò subito il suo
affetto e se anche dovette avvedersi
altrettanto in fretta degli strani rapporti che aveva con
l’ingegnere Forrest,
se lo tenne per sé senza mai fiatarne con anima viva.
Per
Barbara la presenza di Nunzia non solo fu
un gran sollievo alla solitudine, ma anche un notevole sgravio dai
compiti più
gravosi, anche se non mancò di continuare ad occuparsi con
entusiasmo sia
di Charles che
della casa.
Dopo un po’ Villa Bianca sembrò rinascere sotto le
cure delle due donne e di
Maria e ad un certo punto la padrona di casa si mise ad insistere
talmente
tanto con il marito che questi alla fine si arrese ed
accontentò la sua
richiesta di farne ridipingere le stanze e la facciata da un gruppo di
operai
chiamati per la costruzione del nuovo ospedale.
Approfittando pure che il piccolo ora poteva essere lasciato con la
ragazza per
qualche ora, Barbara andava spesso in paese a visitare i pochi negozi o
qualche
bravo artigiano e ritornava a casa sempre piena di cose nuove.
A Robert tanta baraonda dava fastidio, ma si rassegnò di
buon grado a
sopportarla perché si rendeva conto che la moglie sembrava
più serena e contenta
da quando si stava dedicando a quelle occupazioni con tanto entusiasmo
e questo
valeva bene qualche
piccolo sacrificio.
Alla
fine di maggio, nel rigoglio della
vegetazione e della primavera, la grande casa sembrava trasformata. Tutto brillava di pulito,
alle finestre
c’erano tendine nuove mentre enormi vasi di fiori e graziosi
gingilli pescati
chissà dove erano stati collocati con gusto facendo
diventare tutti gli
ambienti più luminosi ed accoglienti.
Osservando la casa da lontano una sera che rientrava, Robert pensava che grazie
all’attività frenetica ed
instancabile di Barbara l’aria di tristezza e di abbandono
che aveva
caratterizzato Villa Bianca in quegli ultimi anni era scomparsa e
ciò,
nonostante tutta la sua tristezza, lo faceva sentire meglio. Ad un
tratto scorse la
moglie arrampicata su una scala di
legno a fissare sopra la porta d’ingresso un’enorme
bouganvillea dai fiori
rossi. Notò anche Giosuè, Maria e
Nunzia
con Charles in braccio che ne seguivano le acrobazie con lo sguardo
preoccupato.
-
Che stai facendo? – le domandò
avvicinandosi.
-
Niente, prendo un po’ d’aria qui sulla
scala – scherzò lei sporgendosi ancora di
più per cercare di fermare un ramo.
-
Scendi, è pericoloso – le intimò in
preda
all’ansia.
-
Gliel’ho detto anch’io, signore, ma non mi
sta a sentire – confermò il vecchio stalliere.
-
Per favore, scendi – le disse di nuovo e
visto che non lo stava ad ascoltare, le ordinò perentorio
alzando la voce –
Scendi subito, ubbidisci!
Barbara
non gli aveva mai sentito usare quel
tono e lo guardò meravigliata, poi, come se si fosse
convinta all’improvviso,
cominciò a scendere i pioli mentre lui si avvicinava alla
scala per sostenerla.
Era già a terra quando si allungò
ad
aggiustare un ramo basso, ma toccando la pianta, si punse con una
spina.
-
Ahi! – strillò afferrandosi la mano.
-
Fammi vedere cosa ti sei fatta -
le disse Robert prendendogliela tra le sue.
-
Non è niente, è solo un graffio –
mormorò
lei, provando suo
malgrado un brivido.
Intanto
l’uomo aveva cominciato a succhiare
la goccia di sangue che le usciva dal dito ferito guardandola con
tenerezza
mentre la ragazza se ne restava immobile, incapace di sottrarsi alla
strana
vertigine da cui si sentiva travolgere.
Restarono per un attimo così, sotto lo sguardo della
servitù un po’ stupita
perché non li aveva mai visti in una simile
intimità, poi si riscossero e si
separano.
-
Adesso però sarà meglio che tu vada a disinfettarti
– le disse Robert
sorridendole – Finirò io di sistemare questa
pianta, credo di essere un po’ più
bravo di te ad arrampicarmi sulle scale.
-
Già, ma non hai il mio senso estetico – gli
rispose lei con una smorfia ma poi preferì battere in
ritirata per non
mostrargli quanto si sentisse turbata dall’inaspettato
contatto appena avuto.
Nelle
sue numerose visite agli artigiani del
paesino dove si riforniva, si era procurata anche un bel seggiolone per
Charles
e la sera lo faceva sedere a tavola con loro. Adesso che
c’era Nunzia a servire
a tavola, non doveva alzarsi di continuo ed aveva deciso di abituare il
bambino
a mangiare da solo. In un primo momento il padre fu stupito da un
cambiamento
che comportava anche qualche piccolo disagio, ma quando Barbara gli
ribadì la
necessità di insegnare al piccino a stare a tavola, fu
perfettamente d’accordo.
In fondo la moglie aveva una cura ed un’amorevolezza verso
suo figlio che
andava al di là di ogni più rosea aspettativa e
neanche una madre naturale
avrebbe potuto trattare meglio il bambino più di quanto non
facesse lei.
Ne
ebbe un’ulteriore conferma una notte di
giugno, poco prima del secondo compleanno di Charles, quando fu
svegliato dal
sonno dai suoi strilli. In preda all’agitazione, si
lanciò dal letto ma al suo
capezzale era già corsa Barbara che lo teneva in braccio e
lo stava accarezzando,
parlandogli con dolcezza per calmarlo.
-
Che ha? – le chiese con una voce da cui
traspariva molta ansietà.
-
Ha male al pancino. Adesso andiamo
giù in cucina e gli preparo una bella
camomilla calda – disse la donna mentre asciugava le lacrime
al bimbo.
-
Vengo con te per aiutarti accendere il
fuoco – si offrì Robert.
-
Grazie, mi fa piacere perché così non
dovrò
svegliare Nunzia. Quella poverina fatica già tutto il santo
giorno ed ora starà
dormendo come un sasso.
Scesero
tutt’e tre in cucina e Robert preparò
la camomilla al bambino che intanto continuava a strillare dal dolore.
Riuscirono a fargliela bere quasi tutta, poi Barbara andò a
sedersi su una
poltrona in salotto con lui in braccio e cominciò a
massaggiargli il pancino,
blandendolo con paroline dolci. Sempre più preoccupato, il
padre accostò una
sedia e si avvicinò a loro, guardandoli con il viso
addolorato. Poiché il
bambino non si calmava, ad un certo punto scattò in piedi
dicendo:
-
Vado giù in paese a chiamare il medico!
-
Ma no, non è necessario, stai
tranquillo, tra
poco gli passerà.
-
E se invece fosse una cosa grave? Ho troppa
paura: vado a chiamare quel dottor Bernardi.
-
È soltanto una colica d’aria, anche
Giacomino mio a volte ne soffriva. Ieri si è fatto una
scorpacciata di ciliegie
e gli avranno fatto
male, ma ora starà
subito meglio. Siediti qui e stai buono. Se percepisce la tua paura, si
spaventa ancora di più.
Robert
ubbidì e si sedette di nuovo,
fidandosi di lei che continuava a massaggiare il piccino appoggiato con
il capo
sul suo seno. Era la prima volta che aveva
accennato al figlioletto perduto e l’uomo non
seppe resistette alla
curiosità.
-
Come è accaduto che il tuo bambino è…?
–
cominciò a chiederle senza però avere il coraggio
di finire la frase.
Un
sorriso malinconico le apparve sul volto e
gli rispose piano, nascondendo nella calma delle parole la pena ancora
viva.
-
Non certo per un mal di pancia, fu
un’infezione di difterite.
-
Era piccolo?
-
Aveva quattro anni. Era un bambino
bellissimo, allegro, gioioso, anche un po’ monello. Gli
piaceva correre e
cantare e parlare, non stava mai un momento fermo!
-
Deve essere stato penoso per te vederlo… -
ancora non ebbe il coraggio di finire la frase, ma accarezzò
la gambetta del
figlio perché voleva sentirne il calore vitale, annichilito
al solo
pensiero di un
simile dolore.
-
Per fortuna il Signore questo me l’ha
risparmiato – soggiunse Barbara senza smettere di carezzare
Charles anche lei –
sono stata io la prima ad ammalarmi e non avevo coscienza
quando… – la voce le
si ruppe di pianto, poi proseguì –
L’ultima volta che lo vidi si era affacciato
nella stanza dove giacevo a letto in preda a ciò che pensavo
fosse solo un
banale mal di gola. Con il faccino tutto allegro, mi chiese il permesso
di
venire a giocare con me, come facevamo sempre, ma io lo sgridai un poco
perché
aveva disubbidito alla nonna entrando nella mia stanza. Avevo una
voglia
incredibile di abbracciarlo, ma mi feci forza e gli dissi
“vai via amore, non
vedi che mamma è malata? Va’ via, altrimenti ti
ammalerai anche tu…”
Il
ricordo penoso le fece scorrere lacrime
silenziose sul volto e, smettendo per un attimo di carezzare il bambino
che
intanto si era calmato, se le asciugò prima di proseguire:
-
Dopo mi aggravai e persi conoscenza così
non seppi che sul serio anche lui si sarebbe ammalato ed il suo piccolo
fisico
non avrebbe resistito alla malattia devastante. Quando miracolosamente
guarii,
lo cercai. In un primo momento mi dissero di averlo mandato da Alfredo
per
sottrarlo al contagio, ma la tristezza sul volto di mamma e di
papà e la
desolazione della casa piombata nel buio senza che nessuno facesse
nulla per
riportarci il mio piccolo sole anche adesso che il pericolo era
passato, mi
fecero capire la verità.
Barbara
non parlò più, solo ricominciò a
carezzare il bimbo il quale, cullato dalla sua voce e poiché
il mal di pancia
gli era quasi passato, le rivolse un sorrisino dolcissimo che la donna
ricambiò.
Robert
l’aveva ascoltata in silenzio, con la
fronte corrugata per l’angoscia suscitatagli nel cuore da
quel racconto. Nel
vederli sorridersi, non riuscì a resistere ed allungando la
mano questa volta
carezzò il viso di Barbara che lo guardò stupita
con gli occhi ancora pieni di
lacrime. Ancora con la sua guancia nel palmo della mano, lui le disse
con
estrema dolcezza:
-
A volte dimentico di non essere stato
l’unico ad aver sofferto tanto! Perdonami. Spero solo che
l’amore di Charles
possa sostituire almeno un po’ quello del piccolo che hai
perduto. Lui ti
adora, non vedi?
La
donna gli afferrò la mano, stringendola forte
e gli sorrise ancora.
-
Anch’ io lo adoro e ti sono grata per
avermi dato questa possibilità: è grazie a te se
sto provando ancora la gioia
di avere un bambino da amare.