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Autore: ila74cullen    17/01/2010    7 recensioni
Dopo mille ripensamenti, ho deciso che mi butto anch'io in questa esperienza!!! E' la prima volta che scrivo quindi abbiate pietà di me!! Dopo aver letto Midnight ed una moltitudine di FF su New Moon e Breaking Dawn visti dalla parte di Edaward, ho preso il coraggio a due mani e ho riscritto Eclipse dal punto di vista del nostro amato vampiro e spero di aver interpretato bene il suo conflitto e la sua gelosia!!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve lettrici!!!

Eccomi nuovamente a voi, anche oggi un ringraziamento a tutti coloro che leggono seguono e recensiscono ... siete unici, e senza di voi tutto ciò non avrebbe valore!!

Sono stata inserita anche tra gli autori preferiti di 4 di voi!!!! Sono commossa!!!

Uno speciale ringraziamento anche a "Beta Federica" che nonostante lavoro, fiera, e scarlattina del figlio è riuscita a correggere anche questo capitolo: SEI UNICA!!! GRAZIE!!

Buona Lettura!

CAPITOLO 13

 

La portai a casa in braccio, stremata com’era non sarebbe stata in grado di aggrapparsi a me senza cadere. A metà del tragitto sentii il suo respiro rallentare, finalmente si era addormentata.

Appena arrivati in camera, mi sincerai, prima di tutto, che il sonno di Charlie fosse ancora profondo e la misi a letto. Le tolsi jeans e felpa, freddi e inumiditi dalla brina notturna, si sarebbe ammalata sicuramente … più di un brivido mi scosse, era bellissima. Feci appello a tutta la mia volontà per non stringerla a me e cominciare a baciarla ovunque. Continuare a ripetermi di stare calmo non serviva a molto ormai. Si rigirò nel letto, stava sognando, mugolava e un braccio le ciondolò fuori dal materasso, qualcosa di argentato rotolò fino al polso, tanto bastò a ridestarmi dai miei pensieri. Era il regalo di Black.

Avevo visto quando glielo aveva agganciato, ma non avevo avuto occasione di osservarlo a dovere. Mi avvicinai e lo presi tra le mani, non era niente di valore, ma non era certo quello il problema, meno valeva il regalo più lo avrebbe apprezzato, conoscendola.

Già sapevo che avrebbe indossato quel braccialetto per sempre, avrebbe potuto portare con sé qualcosa che le avrebbe ricordato lui in ogni istante. Il pensiero di vedermi sventolare in continuazione davanti agli occhi quel lupo di legno, mi faceva venir voglia di spaccare tutto. Era una certezza ormai, Jacob avrebbe fatto sempre parte della mia vita. Lui era il castigo inviatomi da nostro Signore per le nefandezze che avevo commesso in passato. Il mio inferno personale. La mia dannazione eterna. Non sarei mai potuto andare all’inferno, quindi l’inferno mi aveva raggiunto a casa. Lo strano legame che li univa mi avrebbe tormentato per l’eternità.

La questione però, in questo momento era un’altra, perché non voleva che IO le facessi un regalo? Perché ne accettava, invece, uno SUO? Rimasi ad osservare il ciondolo in silenzio. La cosa che non capivo era come mai non le stridesse questa situazione. In fondo era un’ingiustizia, era o non era la mia ragazza? Non le sembrava quanto meno ingiusto e sconveniente indossare un braccialetto regalato da un altro? Forse la mia mentalità era rimasta ai primi del ‘900, potevo risultare un tipo “all’antica”, ma non intendevo tollerare. Mi sembrava troppo impegnativo come regalo di un “Amico” volevo le mie spiegazioni. D’improvviso le parole di Emmett mi rimbombarono nel cervello «… si sta dando da fare il lupacchiotto! Attento che prima o poi non le chieda di sposarlo!» … La mia mente si scollegò, la visione di lei tra le sue braccia mi si materializzò all’istante. Ne rimasi agghiacciato.

 “NO! Non lo permetterò!” Ma come potevo fare, non avrebbe mai acconsentito di sposarmi, era una delle poche certezze che avevo al momento. Infatti l’avevo usata come scusa per posticipare il più possibile la sua trasformazione. L’esperienza dei suoi genitori l’aveva traumatizzata, diceva di voler passare l’eternità con me, ma non voleva legami ufficiali come il matrimonio … certo io l’avevo posta come condizione alla sua metamorfosi, forse non le ero sembrato molto convinto e questo le aveva fatto sottovalutare la mia richiesta … l’aveva presa per un capriccio?

BASTA! Non potevo più vivere in questa incertezza. Mi amava o no? Mi voleva sposare, sì o no? Sarei stato diretto, glielo avrei chiesto chiaramente. VOLEVO le mie risposte, ne avevo bisogno; bisogno come un bambino ha necessità di essere rassicurato da sua madre … Nella mia mente un’immagine si materializzò, aveva i contorni sfocati, era un ricordo lontano. Una donna giovane, molto bella dai capelli rossi che si prepara per uscire per una serata elegante ed un bambino che la osserva incantato, mentre indossa i gioielli, affascinato per la brillantezza degli stessi.

“I gioielli di mia madre! Non li può rifiutare!” avevo ereditato da mia madre i suoi gioielli, non ne aveva tantissimi ma quelli anche possedeva erano splendidi e da piccolo restavo incantato a guardare i riflessi che la luce creava attraversandoli. La collana con i brillanti era la mia preferita, tre ciondoli, di cui uno a forma di cuore, pendevano dal quel semplice girocollo. Gliel’aveva regalata mio padre quando ero nato. Un giorno mi sorprese ad osservarla estasiato, mi accarezzò la testa e disse che quando sarei stato grande sarebbe stata mia, per la ragazza che mi avrebbe fatto battere il cuore. Quando lasciammo Chicago, la portai con me, insieme ad altri suoi ricordi. Ero convinto che nessuna persona avrebbe mai potuto essere, per me, quello che lei era stata per mio padre, e regalai i due pendenti a forma di goccia uno ad Esme ed uno ad Alice, le uniche due donne che in qualche modo avevano reso più sopportabile e umana la mia esistenza. Quello a forma di cuore era rimasto a me … sarebbe stato di Bella. Non c’era oggetto che potesse rappresentarmi meglio. Era di valore è vero, ma non l’avevo comprato. Non avevo speso soldi. Il valore affettivo che mi legava a quell’oggetto era ben più grande del suo valore materiale. Avrei esaudito il desiderio di mia madre … e Bella avrebbe avuto con sé anche una parte di me. Il mio cuore ghiacciato. Avevo pensato già da qualche tempo a regalarglielo, ma per paura di una scenata, avevo desistito dai miei propositi. A questo punto non avrebbe potuto dire più nulla.

La sentii mugugnare, si stava agitando e si era completamente scoperta. Tornai al presente e con delicatezza la avvolsi nelle coperte. Fuori, mi sdraiai accanto a lei. Il suo sonno era tutto tranne che tranquillo, farfugliò qualcosa sulla scia da lasciare, diceva che doveva ascoltare Jasper, discorsi senza senso, ma, come sempre, riflettevano i suoi reconditi pensieri, stava sicuramente macchiando qualcosa e voleva tenermi allo scuro. Sicuramente aveva a che fare con la sua conversazione con Alice di poche ore prima. Lei e la sua fissazione di proteggermi!

«… Mm m moglie … la terza moglie … io … la terza»

E questo cosa voleva dire? La fissai in attesa di un seguito alle sue sconnesse parole, ma non arrivò. Non riuscire a dare una spiegazione ai suoi vaneggiamenti mi preoccupò, ancor di più.

Non lo disse più. Rimasi sul letto vicino a lei guardandola, come sempre, rapito dalla sua bellezza e riflettendo su cosa significasse la terza moglie.

Ormai era pomeriggio inoltrato, una luce tenue filtrava dalla finestra. Il suo sonno si era calmato nell’ultima ora, finalmente stava riposando. Il suo respiro si fece pian piano più forte, si stava svegliando. Ancora ad occhi chiusi le vidi allungare la mano cercando la mia.

«Edward?», sussurrò titubante.

Volevo scherzare un po’ con lei, ma la sua vocina preoccupata della mia assenza mi fece desistere e la sua mano trovò la mia.

«Sei sveglia, finalmente?», mormorai.

«Ti ho dato molti falsi allarmi?». Farfugliò assente.

«Non hai avuto pace. Non sei stata zitta un momento, tutto il giorno».

«Tutto il giorno?». Ribatté incredula.

«È stata una notte lunghissima», le dissi cercando di rassicurarla. «Ti sei meritata un giorno intero di riposo».

«Caspita».

«Hai fame?», le chiesi. «Vuoi fare colazione a letto?».

«Dopo», borbottò stiracchiandosi. «Ho bisogno di alzarmi e sgranchirmi le gambe».

Si alzò e, sebbene fosse impossibile da credere, sembrava avesse ancora meno equilibrio di sempre, la accompagnai per mano fino alla cucina, pronto a prenderla se avesse inciampato sul solito scalino traditore.

«Oddio, sono uno straccio». Disse guardandosi riflessa nel vetro della finestra.

«È stata una notte lunghissima, forse facevi meglio a restare qui a dormire».

«Certo! Per perdermi tutto. Devi iniziare ad accettare che ormai faccio parte della famiglia».

Non aveva nemmeno idea delle volte che l’avevo immaginata al mio fianco per sempre, ma mai come una vampira. Il più delle volte ero io a vedermi umano accanto a lei che teneva in braccio nostro figlio.

“Non ci pensare Edward … peggiori solo le cose …” mi ripetevo in continuazione.

Le uniche immagini che avevo del concetto “famiglia felice” erano i ricordi sfocati della mia vita umana. Nulla a che vedere con la farsa/vita che conducevo adesso, li amavo, certamente, ma non era questa l’esistenza che avrei voluto offrire a lei. Sorrisi dell’inutilità dei miei stessi desideri, in alcun modo avrei potuto cambiare le cose. Cercai, quindi, di non farle pesare la mia amarezza e provai ad essere disinvolto «Potrei anche abituarmi all'idea».

Si accomodò a tavola con tutto l’occorrente per la colazione/cena e mi accomodai accanto a lei. Quel piccolo ciondolo mi si agitava sfrontato davanti agli occhi. Avessi potuto, l’avrei incenerito. Anche lei si era accorta dove era caduto il mio sguardo.

«Posso?», domandai allungando la mano verso il ciondolo di legno.

Deglutì rumorosamente. «Certo!».

Adesso aveva sicuramente paura di una sfuriata … se la sarebbe meritata …pensavo giocherellando con la figurina tra le dita. Un brivido la percorse quando strinsi la figurina nella mano.

“Hai paura che te lo rompa? Mi piacerebbe, parecchio. Basterebbe un attimo, una lievissima pressione e ops! Rotto!”

Ma non l’avrei mai fatto. Troppa soddisfazione per quel bastardo e rilasciai l’ostaggio dalla mia presa.

«A Jacob Black è permesso farti dei regali».Era un'accusa, anche se riuscii, onde evitare le solite polemiche, a far uscire quelle parole con un tono da constatazione.

«Tu mi hai fatto dei regali», farfugliò. «E sai che mi piacciono quelli fatti a mano».

“Questa è una novità …” «E quelli riciclati? Li accetti?».

«Che vuoi dire?».

«Questo braccialetto». Dissi seguendone il contorno con un dito. «Lo porterai per parecchio tempo?».

Alzò le spalle.

“Che domande che faccio! È ovvio che lo porterà! Non è mio!”«Perché non vuoi ferire i suoi sentimenti», le suggerii con tono notevolmente acido. “Mentre dei miei non ti importa, giusto?”

«Sì, direi di sì».

“Ovvio…” «Allora sii corretta», dissi continuando a fissarle la mano, passandole un dito sulle vene del polso. «E indossa anche qualcosa di mio».

«Che cosa?».

«Un portafortuna, qualcosa che mi faccia rimanere nei tuoi pensieri».

«Tu sei sempre nei miei pensieri. Non ho bisogno di aiuto per ricordarlo».

«Se ti regalassi una cosa, la indosseresti?», insistetti. Adesso ero io che ero diventato insistente.

«Un regalo riciclato?», chiese.

«Sì, qualcosa che conservo da un po'». Le risposi con noncuranza, sfoderando uno dei miei migliori sorrisi.

«Farò qualsiasi cosa, pur di renderti felice». Rispose con aria vagamente sollevata.

“Pensi che sia finita qui?” «Ti sei resa conto dell'ingiustizia?», domandai, non riuscendo questa volta a trattenere il tono accusatorio. «Io me ne sono accorto subito».

«Quale ingiustizia?».

Affilai lo sguardo. “Non fare la finta tonta!” «Tutti possono farti regali. Tutti tranne me. Avrei voluto regalarti qualcosa per il diploma, ma non l'ho fatto. So che ti avrei messo in crisi più di chiunque altro. Tutto questo è terribilmente ingiusto. Come te lo spieghi?».

«Facile. Tu sei più importante di chiunque altro. E mi hai regalato te stesso. Questo è più di quanto io meriti, e ogni aggiunta da parte tua mi scombussola ancora di più».

Quest’angelo non poteva essere toccato veramente ad un mostro come me. Era troppo, troppo per me «Il modo in cui mi consideri è assurdo».

Il cellulare squillò.

Guardai il display e risposi.

«Che c'è, Alice?».

«Bella ha preso la sua decisione, l’ho vista aggirarsi nel bosco spersa e sola e te che la cerchi braccato dai neonati.»

Sospirai. Chissà come mai non ne ero stupito.

«Ieri sera l’ho messa in guardia, le ho detto che l’avrei tenuta d’occhio e che, se insisteva con i suoi propositi di depistaggio dei neonati, ti avrei avvisato … ovviamente non mi ha dato ascolto. La visione è nitida.»

Altro sospiro. La sua testardaggine rasentava l’inverosimile.

«Edward? ... Ci sei? … Non mi sembri stupito?»

«L'avevo intuito», le dissi, fissando Bella negli occhi con uno sguardo che mostrava tutta la mia disapprovazione. «Ha parlato nel sonno».

Arrossì. Nel suo viso il panico improvviso. Era stata scoperta.

«Ci penso io», dichiarai.

«Dimenticavo! Grande idea il regalo riciclato fratellone!»

Sorrisi tra me e me. «C'è qualcosa che vorresti dirmi?». Le domandai, non appena riattaccato, con fare inquisitorio. L’occhiataccia che le lanciai la diceva lunga su quello che volevo sapere.

Restò indecisa per un attimo. Si mordicchiava il labbro, incapace di guardarmi negli occhi.

Tipico di quando si sentiva in imbarazzo.

Non dissi nulla. Restai in attesa.

«È un'idea di Jasper», disse.

“Potrebbe tenerle per sé le sue idee!” e una specie di ringhio gutturale uscì dalla mia gola.

«Voglio rendermi utile. Voglio fare qualcosa», insistette.

«Metterti nei guai non è utile».

«Jasper pensa di sì. In questo è lui l'esperto».

“Figuriamoci!” la inchiodai con lo sguardo.

«Non puoi tenermi alla larga da tutto», “Mi stai minacciando?” «Non me ne starò in disparte, nella foresta, mentre voi rischiate la vita per me».

Cercai di mantenermi impassibile, ma il tigrotto che era in lei era di una dolcezza infinita, era veramente preoccupata per noi. Per me. Questo era davvero tanto e, certamente, non lo meritavo.

Mi sforzai di non sorridere. Sicuramente se n’era accorta.

«Alice non ti vede nella radura, Bella. Ti vede girovagare nel bosco, disorientata. Non sarai in grado di trovarci e mi farai solo perdere un sacco di tempo, dopo, quando dovrò venire a cercarti».

«Questo perché Alice non tiene conto di Seth Clearwater», rispose educata, cercando di mantenersi calma. «Ovvio, anche se lo facesse, non sarebbe in grado di vedere nulla. Ma sembra che Seth ci tenga a essere presente, almeno quanto me. Non sarà difficile chiedergli di indicarmi la strada».

 

Cercai di reprimere la rabbia che mi stava assalendo, trassi un profondo respiro e mi ricomposi. «Avrebbe potuto funzionare... se non me l'avessi detto. Ora dovrò chiedere a Sam di dare ordini precisi a Seth. Per quanto sia caparbio, Seth non potrà ignorare quel genere d’ingiunzione».

«Ma perché Sam dovrebbe impartire certi ordini? Credo che sarebbe più disposto a fare un piacere a me che non a te». Sentenziò con quell’aria da saputella.

«Forse hai ragione. Ma secondo me Jacob sarebbe fin troppo felice di impartirgli l'ordine». Risposi cercando di trattenere l’irritazione che mi stava nascendo.

«Jacob?».

“Sorpresa?” «Jacob è il comandante in seconda. Non te l'ha detto? Tutti sono tenuti a obbedire anche a lui». Le risposi con un sorriso furbetto.

“Credevi veramente che non avesse segreti per te?” ed approfittando del suo stupore, continuai a parlarle con il tono di voce più suadente che avevo.

«Sono rimasto affascinato dal modo di pensare del branco, stanotte. È meglio di una soap opera. Non avevo idea delle dinamiche in un branco così grande. Le tensioni individuali opposte alla psiche del gruppo... Assolutamente fantastico».

Mi lanciò un'occhiataccia. Aveva capito che non sarebbe evasa.

«Jacob ti nasconde un sacco di cose», dissi con un ghigno e, ora che glielo avevo detto, stavo meglio.

Non rispose e continuò a guardarmi.

«Per esempio, hai notato il lupo grigio più piccolo, ieri sera?».

Annuì impassibile. Aveva già capito che stavo cercando di spostare la sua attenzione su altri confini. Diventava sempre più difficile distrarla.

Ridacchiai. «Prendono le loro storie così sul serio... e poi accadono cose cui nemmeno le leggende sanno prepararli».

Fece un sospiro. «Va bene, mi arrendo. Di cosa stai parlando?».

«Hanno sempre dato per scontato che soltanto i pronipoti diretti del primo lupo possono trasformarsi».

«E allora? Qualcuno che non è un discendente diretto si è trasformato?».

«No. Anche lei è una discendente».

«Lei?». Domandò incredula.

Annuii. «Ti conosce. Si chiama Leah Clearwater».

«Leah è un licantropo!» gridò. «Cosa? Da quando? Perché Jacob non me l'ha detto?».

«Ci sono cose che non possono dire a nessuno, per esempio, quanti sono. Come ho detto prima, se Sam dà un ordine, il branco non può ignorarlo. Jacob è stato molto attento, non ha mai pensato niente di proibito in mia presenza. Certo, dopo la notte scorsa è tutto alla luce del sole».

«Non ci posso credere. Leah Clearwater!».

«Povera Leah», sussurrò.

Sbuffai. “Basta con il tuo solito pietismo. Non se lo merita.” «Sta rendendo la vita notevolmente impossibile a tutti. Forse non merita la tua compassione».

«Cosa intendi?».

«Per gli altri è già abbastanza difficile condividere ogni pensiero. La maggior parte dei membri del branco cerca di cooperare, di alleggerire le cose. Basta che uno solo di loro abbia pensieri cattivi, ed è un tormento per tutti».

«A me sembra che Leah abbia ragione da vendere».

«Oh, lo so», dissi. «L'imprinting è una delle cose più strane che abbia mai visto, e di cose strane ne ho viste parecchie». Scossi la testa. «È impossibile descrivere il legame tra Sam e la sua Emily, forse dovrei dire che è lui a essere suo. Sam non aveva scelta. Mi ricorda Sogno di una notte di mezza estate, con tutta la confusione creata dagli incantesimi delle fate... è come una magia». Sorrisi. «È una sensazione forte, quasi come quella che provo per te».

«Povera Leah», insistette di nuovo. «Ma cosa intendi per pensieri cattivi?».

«Che sono sgradevoli per tutti, eppure Leah insiste nell'andarli a pescare», spiegai. «Embry, per esempio».

«Che problema c'è?», domandò sorpresa.

«Sua madre lasciò la riserva Makah diciassette anni fa, incinta di lui. Non è una Quileute. Tutti pensavano che il padre del bambino fosse rimasto nella riserva. Ma poi il figlio è entrato a far parte del branco».

«E allora?».

«I candidati alla paternità sono il padre di Quil Ateara, Joshua Uley e Billy Black e, ovviamente, all'epoca erano tutti già sposati».

«No!», esclamò. Sembrava in attesa dell’ultima puntata della sua soap opera preferita.

«Ora Sam, Jacob e Quil si chiedono chi di loro abbia un fratellastro. Tutti pensano che sia Sam, perché suo padre non ha rigato sempre dritto. Ma il dubbio rimane. Jacob non se l'è mai sentita di chiederlo direttamente a Billy».

«Caspita. Come hai fatto a scoprire tutto in una sola notte?».

«La mente del branco è affascinante. Pensano tutti insieme, e allo stesso tempo ognuno per conto suo. C'è così tanto da leggere!».

«Il branco è affascinante», confermò. «Quasi come te, quando cerchi di distrarmi».

Sfoderai la mia migliore faccia da poker.

«Voglio venire anch'io nella radura, Edward».

«No», dissi in un tono che non ammetteva repliche.

Restò in silenzio. Lo sguardo fisso sul tavolo. Che cosa stava rimuginando la sua tremenda testolina? Non mi aspettavo che gettasse la spugna così facilmente e, il suo prolungato silenzio, mi stava facendo preoccupare.

«Va bene, Edward, ascolta», sussurrò. «Le cose stanno così... Sono già impazzita una volta. Conosco i miei limiti. E non sopporto che tu mi lasci di nuovo».

Durante il discorso non alzò mai lo sguardo dal tavolo.

 

Ma quanto male le avevo fatto? Come avevo potuto ridurla così? Io che dichiaravo di amarla più di ogni altra cosa al mondo, più della mia stessa esistenza. Preso dalla gelosia e dall’ansia per tutti i pericoli che minacciavano, di strapparmela via, non mi ero accorto di quanto ancora soffrisse per il mio abbandono, di quanto la mia assenza l’avesse segnata.

Sarei sempre rimasto un mostro. La mia natura non sarebbe mai cambiata. Ero e sarei sempre stato sbagliato per lei. Il mio egoismo mi impediva di lasciarla, sarei morto per lei, senza di lei. La sua ossessione per me era la stessa.

Respirai profondamente, come per cercare di prendere coraggio.

D’impulso la strinsi forte a me, carezzandole il viso e le braccia. Non sapevo come, ma dovevo cercare di confortarla.

«Lo sai che non è così, Bella», mormorai. «Non sarò lontano e tornerò presto».

«Non ce la faccio», insistette ancora ad occhi bassi. «Non posso restare ad aspettare, senza sapere se tornerai o no. Come farò a resistere, anche se tornerai presto?».

Sospirai. «Andrà tutto liscio, Bella. È inutile che ti preoccupi».

«Davvero?».

«Sì, davvero».

«E ve la caverete tutti?».

«Tutti quanti», promisi.

«Perciò è proprio impossibile che vi segua anch'io nella radura?».

«Certo. Alice mi ha appena confermato che sono scesi a diciannove. Ce la faremo senza grandi sforzi».

«Va bene. Hai detto che sarà tanto semplice che a qualcuno toccherà stare in disparte. Dicevi sul serio?».

«Sì».Dissi confermando le mie stesse parole. “Dove voleva arrivare?”

Mi sembrava una mossa davvero scontata, avrebbe dovuto aspettarsela.

«Così semplice che tu potresti stare in disparte?». Lentamente alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi.

Sfoderai nuovamente la mia migliore espressione da poker.

«Ci sono due possibilità. Forse il rischio è più grande di quello che mi vuoi far credere e, in tal caso, è giusto che io sia presente, per aiutarvi come posso. Oppure... la faccenda è così semplice che gli altri ce la faranno anche senza di te. Quale delle due è giusta?». Incalzò

Non risposi.

Sapevo perfettamente cosa avevo detto, ma non immaginavo certo che quelle parole mi si sarebbero ritorte contro. Con l’aiuto dei licantropi sarebbe stato tutto più semplice, ma i rischi permanevano comunque … pensare a Carlisle, Esme, i miei fratelli … a combattere per Bella, per noi, e non poterli aiutare.

«Mi stai chiedendo di lasciarli combattere senza di me?», dissi fingendo tranquillità.

«Sì. Oppure di farmi partecipare. Una o l'altra cosa, purché restiamo vicini».

Inspirai profondamente e poi espirai con calma. Le presi il volto tra le mani ed incatenai i nostri sguardi, la scrutai a lungo, in profondità.

C’era incertezza, paura, sconforto, preoccupazione. Smarrimento. Non ce l’avrebbe fatta, non avrebbe resistito ed, io lo stesso, senza di lei.

Non era proponibile.

«Alice», dissi prendendo il cellulare. «Puoi venire a fare da babysitter a Bella per un po'?». Sollevai un sopracciglio in segno di sfida. «Devo parlare con Jasper».

«Arrivo!! Ci penso io a Charlie! Ho grandi idee per voi! » trillò. Aveva già visto le mie intenzioni e la sua affermazione, sebbene impossibile da credere, mi fece tremare.

«Cosa devi dire a Jasper?», sussurrò.

«Vado a discutere... se posso rimanere in disparte». Dovevo capire i rischi reali che avrebbero corso in mia assenza. Era difficile, ma tra le due scelte avevo preso quella per me più accettabile. Ero comunque in ansia per loro.

«Scusami».

«Non ti scusare», dissi, sorridendo appena. «Non avere mai paura di mostrare i tuoi sentimenti, Bella. Se ti fa star meglio...», alzai le spalle, «tu sei il mio primo pensiero».

«Non intendevo questo... non voglio che tu debba scegliere tra me e la tua famiglia».

«Lo so. Ma d'altra parte è quel che mi hai chiesto. Mi hai dato due alternative ed io ho scelto quella più accettabile. È così che funzionano i compromessi».

«Grazie», sussurrò. Appoggiando la fronte al mio petto.

«Quando vuoi», risposi baciandole i capelli, «ciò che vuoi».

Restammo immobili, per un istante infinito. Il suo viso era ancora nascosto nella mia camicia.

«Chi è la terza moglie?», le chiesi a bruciapelo. Presa di sprovvista le sarebbe stato più difficile improvvisare.

«Eh?»,

«La notte scorsa hai borbottato qualcosa in merito alla "terza moglie". Il resto aveva senso, ma in quel frangente mi sono proprio perso».

«Oh. Sì, certo. È una storia che ho sentito raccontare l'altra sera attorno al fuoco». Scrollò le spalle. «Deve avermi colpita molto». Aggiunse incerta.

Sicuramente c’era dell’altro.

 

«Ti perderai tutto il divertimento», brontolò Alice sulla porta.

«Tornerò tardi stasera», le sussurrai dopo averle lasciato un dolce bacio sulle labbra.

Salutai il ciclone, mi voltai.

«Andrò a esercitarmi con gli altri, a riorganizzare i piani».

«Va bene».

«Non c'è molto da riorganizzare», disse Alice. «L'ho già detto a tutti. Emmett è contento».

«Ovviamente». Risposi alzando gli occhi al cielo, e uscii.

 

Arrivai a casa Jasper, Emmett e Carlisle erano ad aspettarmi sulla veranda. Alice li aveva avvisati del mio arrivo.

«Hai fatto la scelta migliore figliolo, Bella deve stare tranquilla ed anche tu non daresti il massimo in battaglia, sapendola sola.» disse Carlisle prima ancora di salutarmi. Di certo non gli era sfuggita l’espressione preoccupata sul mio volto.

«Credo di sì Carlisle. Ma non ne sono pienamente sicuro.»

«Alice li sta monitorando costantemente. Oggi sono diminuiti.» asserì Jasper.

«Edward dai! Almeno tu sii gentile, non fare l’egoista, lasciane qualcuno in più per il tuo fratellone!». Emmett era unico nel suo genere, riusciva a strappare un sorriso anche nei momenti più neri.

«Mi dispiace dobbiate affrontare tutto questo per me …».

«Non lo dire nemmeno per scherzo Edward. Siamo una famiglia, Bella è una di noi e come tale deve essere protetta, come qualsiasi altro membro.»

«Non stanno attaccando solo te, stanno attaccando tutti noi. Per questo ci troveranno uniti.». Quelle parole dette da Jasper, che raramente si lasciava andare a commenti ad alta voce, mi fecero capire quanto, realmente, tenesse a tutta la famiglia e alla sua unità. Spesso avevo pensato che cercasse di adattarsi al nostro stile di vita solo per assecondare Alice. Ero veramente felice di essermi sbagliato.

«Ricordati che abbiamo anche i lupi dalla nostra.». Aggiunse.

«Già! I nostri assi nella manica!». Sghignazzò Emmett

«Se davvero credete che …».

«Tranquillo Edward, andrà tutto per il meglio. Pensa a proteggere Bella!». Insistette Jasper

“Fosse mai che il lupo decida di farle compagnia!”

«EMMETT!!» Gridai incenerendolo con lo sguardo. Per tutta risposta sfoderò la sua migliore espressione da cucciolo bastonato e, con la coda fra le gambe, rientrò in casa, conscio di aver pensato un po’ troppo ad alta voce in mia presenza.

 

Ormai alle porte di casa Swan iniziai a percepire distintamente i discorsi di Alice. Stava cercando di convincere Charlie che aveva bisogno di compagnia per il fine settimana, perché “poverina” sarebbe stata sola tutto il tempo, dato che avevamo deciso di fare la nostra annuale escursione in montagna.

Il piccolo terremoto aveva ben chiare quali fossero le mie intenzioni per quel fine settimana; e non solo per l’imminente battaglia, e stava cercando di creare un alibi per me e Bella.

L’obiettivo era farla restare con me tutta la notte ed il giorno seguente, quello previsto per lo scontro. Dio solo sapeva quanto avevo bisogno di stare da solo con lei, di coccolarla, di sentirla vicina. Di sentirla mia.

Non avrei mai ringraziato abbastanza la mia sorellina preferita. Non avevamo avuto un solo attimo di tempo per noi, il caos ci aveva sommerso. Bella era terrorizzata ed io non ero stato in grado di accorgermi di quanto tutta questa tensione la facesse soffrire. Avevo bisogno di prendermi cura di lei, dovevo farle capire una volta per tutte quanto fosse importante per me … e dovevo capire se ancora fossi davvero importante per lei.

Suonai il campanello di casa Swan e, come imponeva la commedia, finsi di essere andato a prendere Alice. Salutai Charlie, confermai la versione della nostra partenza per il giorno seguente, e uscii con Alice

«Sono orgogliosa di te fratellone! Andrà tutto bene, l’ho visto.».

«Lo spero Alice, lo spero davvero.»

Mi strizzò l’occhio e se ne andò, riportando a casa la Volvo.

In meno di un attimo ero già sul suo letto ad aspettarla.

«Quand'è l'appuntamento con i lupi?», domandò.

«Tra un'ora».

«Perfetto. Jake e i suoi amici hanno bisogno di dormire un po'».

«Gli occorrono meno ore che a te», precisai.

«Alice ti ha detto che mi rapirà di nuovo?».

Sorrisi. «In realtà, no».

Era confusa e una risatina mi uscì dalla gola.

«Sono l'unico che ha il permesso di prenderti in ostaggio, ricordi? Alice andrà a caccia con tutti gli altri». Sospirai. Mi sentivo inutile a non poter combattere per lei. Ma il pensiero del dolore che potevo infliggerle era ancora più tremendo. «Per me non è indispensabile, al momento».

«Mi rapisci tu?».

Annuii.

Perché restava in silenzio? Non voleva? Le dispiaceva?

«Tutto bene?», chiesi preoccupato.

«Sì, insomma... eccetto una cosa».

«Che cosa?». Stavo per avere un attacco d’ansia.

«Perché Alice non ha detto a Charlie che partite stasera?», domandò.

“Che sollievo!” Risi, rasserenandomi all’istante “Ho davvero bisogno di stare con te.”

 

Come la sera precedente, mi diressi verso la radura con Bella in spalla. La sentivo tranquilla. C’era ancora qualche piccola preoccupazione che le velava lo sguardo, ma sentivo che il terrore della sera prima stava svanendo. Sì, forse avevo fatto la scelta migliore. Qualunque cosa per la sua felicità. Aveva già sofferto abbastanza per me. Non che fossi entusiasta di non poter aiutare la mia famiglia, ero veramente preoccupato, per Esme e Carlisle in particolare, erano le persone più reticenti a qualsiasi tipo di scontro, i meno aggressivi di tutti. Ma loro se la sarebbero cavata.

Arrivammo alla radura per ultimi.

Jasper ed Emmett si stavano già riscaldando, a giudicare dalle risate. Alice e Rosalie sdraiate sul prato a guardarli. Esme e Carlisle parlavano, poco distanti dagli altri, persi in uno di quei loro momenti magici; proprio come immaginavo erano i due meno interessati all’allenamento.

In disparte, a una certa distanza da noi, ed angolati in modo da controllare la situazione da diverse prospettive, tre lupi.

Quello con il pelo rossiccio voltò il muso. L’avrei riconosciuto anche se non avessi letto i suoi irritanti pensieri.

«Dov'è il resto del branco?», mi chiese.

«Non c'è bisogno che vengano tutti. In realtà ne sarebbe bastato uno, ma Sam non si fida abbastanza da mandare Jacob da solo. Lui sarebbe stato disposto a farlo. Quil ed Embry sono i suoi soliti... credo che potrei definirli gregari».

«Jacob si fida di te».

Annuii “In un certo senso.”. «Si fida del fatto che non lo uccideremo. Però, sì, forse hai ragione».

«Stanotte ti alleni anche tu?», domandò dopo una breve esitazione.

«Aiuterò Jasper quando ce ne sarà bisogno. Vogliamo provare a formare dei gruppi non omogenei e insegnare loro come comportarsi in caso di attacchi multipli».

“Diciamo che mi accontento di aiutarli ad allenarsi.” pensai stringendo le spalle.

Panico ed imbarazzo attraversarono il suo volto ed il suo sguardo si spostò sul prato. Si sentiva in difficoltà per la scelta che mi aveva imposto; non si era nemmeno resa conto che la condividevo pienamente. Ero preoccupato per i miei, ovviamente, ma l’idea di saperla lontana, indifesa, mi dava ancora più ansia. Se qualche neonato fosse scappato al controllo, se avesse intercettato la sua scia, o peggio se il creatore dei neonati l’avesse trovata … lasciarla con la sola protezione di un licantropo, giovane e inesperto, non mi dava abbastanza garanzie per la sua incolumità. Il fatto che me lo avesse chiesto lei di restarle accanto, mi aveva, per così dire, semplificato la vita con la mia coscienza.

 

La stava fissando, sembrava quasi le sorridesse. Gli avrei staccato volentieri la testa a morsi. Si avvicinò verso di noi

«Jacob», lo salutai educatamente, ma senza troppa enfasi.

Ovviamente da individuo “educato” qual era, m’ignorò. Abbassando la testa all'altezza del viso di Bella, fece uscire, dal suo muso, un latrato dimesso.

“Schifoso ruffiano!”

«Sto bene», rispose «Sono soltanto preoccupata, lo sai».

“Quando mai non lo sei tesoro …”

"Che cazzata. Cosa c'è da preoccuparsi?" Pensava fissandola intensamente. Troppo intensamente

Secondo lui, quello era un bel modo di esprimersi? Mi rifiutai categoricamente di riportare quelle parole a Bella. Anche se non erano miei pensieri, non era quello il modo di rivolgersi ad una signora.

«Vuole sapere perché», le dissi.

“Non ho detto questo parassita!”

“Che c’è non ho interpretato bene il senso dei tuoi pensieri cagnaccio?”

«Che c'è?», domandò notando la smorfia sul mio viso.

«Pensa che le mie traduzioni lascino un po' a desiderare. In realtà ha pensato: "Che cazzata. Cosa c'è da preoccuparsi?" Ho adattato le sue parole perché mi erano sembrate volgari».

Ovviamente gli sorrideva. Certo cos'altro potevo aspettarmi.

«Ci sono un sacco di cose di cui preoccuparsi. Per esempio, un branco di sciocchi lupi che stanno per farsi male».

“E’ bello sapere che sei preoccupata anche per me! Visto Sanguisuga? Non sei più solo al centro dei suoi pensieri!” pensò abbaiando una risata.

Adesso era veramente troppo. Se non volevo compromettere la nostra alleanza e l’esito della battaglia, dovevo allontanarmi di lì.

«Jasper ha bisogno di aiuto. Ve la cavate senza interprete?». Dissi tirando un profondo sospiro

«Non ti preoccupare».

La guardai per un istante, “Per chi temi di più Bella? Mi vuoi con te e sei in pena per loro … non ti capisco, ed ho paura.”. Mi voltai e raggiunsi a grandi passi Jasper.

Si sedette. Il lupo gli si accucciò accanto e, poco dopo, Bella si appoggiò alla sua schiena, rimanendo così ad osservare il cielo stellato, di spalle ai nostri combattimenti.

Li sentivo parlottare, ma concentrato sull’allenamento non potevo prestare loro molta attenzione, sembrava sghignazzassero.

Ero geloso. Follemente geloso della loro complicità. Ero diventato Otello.

 

.... a voi la parola.

A presto, commentate!!!!!

  
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