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Autore: Freedert    17/01/2010    5 recensioni
"Voglio essere libero. E quella lettera mi appare come la chiave di quella porta tanto bramata. Sarà per il mio comportamento abituale, ammetto di non essere molto incline alle pubbliche relazioni, ma diamine! Tutti mi guardano dall’alto in basso, ripetendo sotto voce ‘E’ fuori di senno.’ E allontanano chiunque dall’ingresso della mia gabbia composta da quattro ridicole mura. Pigro, saccente ed estremamente asociale. Così mi descrive quel rincoglionito del mio psicologo. Grazie, ti adoro pure io. Meglio essere me che te, questo è poco ma sicuro. Socchiudo le palpebre, inspirando, calmo, mentre la coda sferza l’aria agitandosi. Sono nervoso, forse un po’ eccitato, e di certo sono pronto alla delusione che mi prospetta il futuro immediato. D’altronde chi vuole un folle nella propria scuola? Nessuno." Mi sono deciso a pubblicarla finalmente, è la prima che scrivo, perciò le critiche sono molto gradite...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luna Lovegood, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tap. Tap. Tap.
Il mio passo svelto risuonava per i corridoi deserti del castello. Ovvio, erano tutti a lezione dopotutto.
“Ehi ragazzo, lo sai che le lezioni non si marinano?!” mi rimproverò un ritratto al mio passaggio ma lo ignorai. Perché quei dannati dipinti avevano l’insano hobby di spettegolare su tutto ciò che accadeva al castello, osservare pettegoli gli studenti e divertirsi alle loro spalle?! Non avevano una vita loro? Beh, in effetti non credo che per loro si possa parlare di una vita propria…
Salii le rampe di scale, litigandoci some sempre e talvolta saltando anche da un piano all’altro con le mie sole gambe, troppo irritato da quegli assurdi capricci, e in men che non si dica mi ritrovai nel corridoio del quinto piano, in fondo al quale si trovava l’infermeria.
E già mi tornavano alla mente i ricordi vaghi di quella notte.
Era passata solo una settimana, ma non c’era stato giorno in cui non fossi andato a trovarlo.
La stanza era inondata dei pallidi raggi mattutini recanti calore su quei letti vuoti meno uno, su cui riposava un ragazzo bendato in più punti e al momento incosciente.
Mi avvicinai al letto e presi una sedia, su cui mi buttai pesantemente con la testa all’indietro, quasi a ciondoloni, e con gli occhi chiusi mentre mi tenevo la radice del naso tentando di ricordare che diavolo mi era saltato in mente quella fatidica notte. Ma d’altronde erano passate settimane dall’ultima volta in cui avevo perso il controllo, e mi ero convinto che sarei riuscito a controllarmi. Ma non avevo fatto i calcoli con la mia brama di sangue…


♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

Il pendolo torna indietro.
La notte è giovane, e le stelle illuminano il cielo come scintille di un fuoco bianco, rischiarando quella notte di novilunio oscuro come l’altro lato di me.
Scendo dal letto a baldacchino, piano, mentre il solito studente russa. Quante volte ancora dovremo fargli notare che è alquanto rumoroso di notte? Nessuno lo sa.
Come uno spirito che vaga nel cimitero scendo dal materasso morbido, appoggiando le piante dei piedi sul freddo pavimento. Mi alzo, calmo, e comincio a muovermi per la stanza, uscendo dalla porta e scendendo per le piccole scale a chiocciola che portano al tinello della torre di Corvonero.
Niente si muove nel castello, d’altronde è l’ora in cui tutto dorme, tacendo più o meno.
E il silenzio è padrone di tutto.
Qualcuno si rigira nel letto, ma solo per mettersi più comodo,ignorando ciò che sta per compiersi nel parco del castello. Già, perché nessuno sa di ciò che si aggira praticamente una volta a settimana tra gli alberi della foresta, per i manti erbosi del castello.
Perché è solo di notte che posso sfogare la mia controparte così da non ferire nessuno.
E riprendo ad avanzare, uscendo dal dormitorio come un ombra della notte, e neanche i ritratti, assonnati, si accorgono di me.
Gazza? Beh, Gazza è nel suo ufficio a dormire probabilmente, e la sua gatta mi teme. Come è giusto che sia, in fondo.
Esco dal portone di quercia, libero dalle mura del castello, libero da ogni costrizione. Eppure ho paura ogni volta a trasformarmi in bestia.
Ancora ricordo i giorni, quasi lontani, in cui aggredivo e uccidevo gli infermieri. Già, perché loro avevano deciso di tenermi in gabbia. E come una tigre rinchiusa, la mia rabbia spesso prendeva il sopravvento e uccideva la guardia, come una tigre che azzanna il domatore.
Tac. Tac. Tac.
La porta è aperta in fronte a me, ma perché esito ad uscire?
Sembro un uccellino che ha paura di buttarsi giù dal nido per volare…
I minuti passano, e rimango li a fissare quella porta, quel confine che mi pare quasi insormontabile. Anzi, più che insormontabile, semplicemente mi mostra una cosa a cui non ho dato l’importanza che in realtà si merita. Dannazione, sono passati un paio di mesi e non ho mai riguardato alle mie spalle, al mio passato. Perché voglio dimenticarlo? In fondo il passato è ciò che mi ha formato. Il passato è ciò che da le basi delle mie idee, in fondo… Un pugno di mesi fa avrei dato galeoni per poter fare ciò che sto per fare, e io me ne sto qua impalato troppo impaurito per uscire?
D’altronde qualcosa turba il mio sesto senso, e qualcosa sta per accadere.
Ma una voce dentro di me mi urla che vuole uscire, e non riesco a soffocarla. E il mio corpo, piano, ribolle, come le acque agitate di un mare che si prepara alla tempesta.
“Che aspetti?”
Una vocina mi sussurra all’orecchio. No, non devo darle ascolto, oggi non è nottata per uscire.
Ma quella vocina acquista sempre più importanza e continua a sibilarmi nell’orecchio, come il serpente che tentò Eva, e mi fa apparire la realtà di fronte a me terribilmente affascinante.
Sono confuso. Uscire? Non uscire?
Tac. Tac.
Perché esito?
No… Non voglio tornare un mostro, sto cedendo alla realtà abbandonando il mio sogno. E non voglio.
Perché mi hanno dato vita… Perché devo essere una via di mezzo…? Sono questi gli interrogativi che mi salgono alla mente.
Ma intanto la coda fende l’aria, e il sangue ribolle. “Che aspetti?” La vocina risuona ancora, sempre più ammaliatrice.
L’olfatto diventa più fine, e l’udite ascolta i suoni della notte, il frusciare delle ali di qualche uccello sonnambulo, il dormire della maggior parte degli esseri viventi.
E tuttavia qualcosa non torna. Cos’è quest’odore? Cos’è questo rumore?
Ma la vista diventa sempre più confusa, e va tingendosi di rosso.
I canini del mostro escono, dischiusi tra le labbra vermiglie, mentre ormai non capisco più niente. E il sangue ribolle. Li sento, affondare, in qualcosa. E subito sulle mie labbra ritrovo quel caldo sapore che tanto mi strega, e che è meglio di qualunque cosa.
Rosso, sgorga sotto le mie fauci il caldo liquido di qualcosa. O forse è qualcuno, ma ormai non mi controllo.
Probabilmente la mia preda sta gridando, ma non me ne frega niente. Di cosa parlavamo? Mah, niente di importante credo; già, perché il sangue è ormai al centro di tutto, ritrovato dopo mesi d’astinenza.
Gli artigli intanto hanno atterrato quella creatura impaurita, ormai preda del mio raptus omicida, ormai preda della bestia che è in me, assetata di sangue. Le unghie affondano, come i canini, lacerando la carne in più punti, più o meno superficialmente, e liberando altra tintura rossa.
Le mie labbra scendono sul corpo di quel ragazzo, mentre la stoffa che lo ricopriva è già andata in brandelli, e sensualmente faccio scorrere la lingua leccando via il prelibato alimento, ammirandone ogni singola goccia, leccandolo ovunque e facendo nuovamente calare i canini nella spalla, nel collo, graffiando il petto, e tornando ad accarezzare quei tagli con le labbra tonde.
E la bestia è ormai libera nel mio corpo. E la preda urla di dolore, e Dio solo sa cosa prova.
Le urla non sono sfuggite però, e subito qualcuno è sceso insospettito dalle grida stridule. E sono diviso in più fazioni. Spero che non mi riconoscano. Spero che non mi separino dal sangue di quelle ferite. Spero che salvino il ragazzo è mi rinchiudano al castello. Spero che non mi rimandino alla clinica psichiatrica. Spero di non ucciderli, per quanto deboli possano essere. E soprattutto, in un angolo remoto del mio essere, spero che mi uccidano, eliminando così anche il mostro sanguinario che è in me.
Le chimere umanoidi? Certo che esistono, ne hanno una esattamente davanti.
E la mia lingua continua a scorrere su quel petto caldo, leccando le ferite all’altro, bramosa di altro sangue.
Sento altre urla. Bene, sono arrivati, ora sederanno il mio alter ego, e forse anche me. Altre persone scendono, e spero che non ci sia in mezzo a loro anche qualche studente che conosco. Spero che non ci siano i ragazzi con cui mi sto aprendo. E davanti ai miei occhi scorrono i volti di qualche grifondoro e corvonero.
Qualcuno urla un incantesimo. Il mio corpo viene sbalzato via. E tutto diventa nero.

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

“Stai ancora pensando a quanto è successo, Blake?”
La voce del vecchio mi scosse, facendomi tornare alla realtà. Perché non si era arrabbiato quella volta? Perché non mi aveva espulso? Perché nessuno mi aveva ucciso?
Aprii un occhio, quasi timidamente, verso quell’alta figura dal naso aquilino.
“Si” mormorai richiudendo l’occhio dall’iride scarlatta e massaggiandomi piano la radice del naso.
“Perché nessuno mi ha ucciso?” chiesi, piano, dando voce ai miei pensieri “Perché ha deciso di tenermi qui a scuola? Sarebbe stato tutto più facile se mi aveste reindirizzato al San Mungo, no?”
“Di certo sarebbe stato tutto più semplice” disse il professore, mentre Madama Chips cacciava da dietro le tende del suo ufficio l’ennesimo sospiro rivedendomi li come ogni altro giorno.
“Tuttavia io mi fido di te, e tutti hanno almeno una seconda possibilità” continuò, cercando il mio sguardo con i suoi occhi azzurri.
“Non sia sciocco, lei non può fidarsi di me. Non può nemmeno leggermi nel pensiero come fa con la maggior parte delle persone… E poi l’ho quasi ucciso…” dissi, freddo, accennando al povero Neville, adagiato incosciente sul lettino “Ancora pochi minuti e avrebbe guadato il confine che distingue il mondo dei vivi dal regno dei morti, e ora è li incosciente da sei giorni” borbottai.
“Beh, se ti fa piacere saperlo, l’altro giorno si è svegliato per un po’, ma d’altronde è decisamente stanco… e senza sangue…” rincarò l’infermiera scolastica, arrivando da noi come un avvoltoio.
“Tuttavia la nonna del signor Paciock non pretende alcun risarcimento, e non è arrabbiata con te visto che in fondo suo nipote è ancora vivo” cercò di rincuorarmi Silente.
“Tutte palle, mi odia anche lei. E a buon motivo…” replicai, ancora irritato con me stesso per ciò che avevo fatto. E tuttavia sentivo ancora l’odore del sangue fresco nelle narici, e il sapore del sangue in bocca.
“Nel caso vi incontrerete, direi che potrete scambiarvi i vostri pareri, allora, così forse sarai un po’ più propenso a continuare la tua esistenza” disse il vecchio, sistemandosi gli occhiali a mezzaluna sul naso dopo averli puliti.
“Già, la mia esistenza da morto. Proprio una bella vita, davvero” risposi cinico. D’altronde la mia persona poteva facilmente definirsi anche con il concetto di atopia. Già, perché ero fuori da qualunque mondo, diverso da tutto e tutti. E anche la maggior parte delle creature magiche mi temevano. Perché ero u mostro.
Il preside della scuola sbuffò, quasi sconfitto, e si alzò, aggiungendo solamente una cosa.
“Io non la penserei così, ma d’altronde ognuno ha le sue idee. Comunque mi sbrigherei visto che è quasi ora di pranzo” e mi fece l’occhiolino, per poi girarsi e, dopo aver salutato anche Madama Chips, se ne uscì dalla porta.
Rimasi li attonito ancora qualche secondo, poi risuonò la voce irritata dell’infermiera.
“Allora, vuoi stare qui ancora per molto?! Su! Su! Devo cambiare le fasciature e le ferite sono ancora aperte grazie alla tua saliva, quindi ci sarà un po’ di sangue, quindi esci prima di banchettare ancora una volta!” Disse, irritata quasi sbattendomi fuori dalla porta.
Beh, dovetti ammettere che almeno quell’infermiera sapeva prendermi nel modo giusto, trattandomi come uno studente qualunque di cui conosce il più grande segreto e rigirandoglielo contro con frecciatine pungenti.

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Come promesso nel vecchio capitolo, sono riuscito ad aggiungere il nuovo capitolo questa sera stessa! (e meno male visto che teoricamente erano legati in uno solo XD)
Ringrazio come al solito Lady, soprattutto er avermi fatto notare il fatto che avevo scritto due volte lo stesso pezzo °A° arigato gozaimasu!! >.<
Che dire di questo capitolo? Beh, mi sono divertito da matti a scrivere il flashback, soprattutto quando assale il malcapitato neville e.e (e... si, lo so, sembra quasi che stiano "giocando maliziosamente"... <.<'' pardon, spero che non abbiate rimostranze su scene che potrebbero sembrare più adatte ad uno yaoi <.<'' e per chi non l'avesse capito... si, mi piace lo yaoi anche se sono maschio u_u)
A ogni modo rencensite pure se avete voglia!
See you in the next Chapter ;) (che potrebbe essere postato intorno ai primi di febbraio visto che devo studiae o.o'')

  
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