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Autore: Bibismarty    19/01/2010    2 recensioni
Ciao mi chiamo Bill Kaulitz! il nome Tokio Hotel è scivolato in un baratro profondo e a soli 18 anni mi sono ritrovato senza un lavoro a girovagare per le vie di Berlino. mi sono imbattuto in una ragazza che lavorava come prostituta e mi rese padre. Poi si ammalò e morì. Così da allora io e Tom, come avevo chiamato mio figlio in onore del mio gemello, vivevamo come una piccola famiglia ristretta… Benvenuti nella la mia vita...
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 4 Nemmeno Bill è immune dal dolore, purtroppo. Le debolezze sono umanee non possiamo eliminarle quando ci fa più comodo. Allora come si fa? Non si può generalizzare, ognuno ha il suo metodo. Bill deve solo avere la forza di guardare dentro di se e trovare quello che gli servirà per andare avanti.

Capitolo 4: Man in the mirror

Quella notte sognai Rahel. Fu un sogno tormentato.

La vidi, bellissima, nel suo accappatoio color pesca che si asciugava i profumatissimi capelli. Ne potevo quasi sentire l'odore pizzicarmi il naso.

Il desiderio di abbracciarla era fortissimo. Volevo darle vita agli occhi persi nel vuoto, come se non ci fosse niente al mondo se non lei.

Io non potevo raggiungerla. Mi sentivo imprigionato dentro una gabbia di vetro. Volevo toccarla, sentire la sua pelle morbidissima, ma non mi era possibile. I miei muscoli erano contratti dallo sforzo, dovevo sfondare quella barriera che mi divideva da lei, dalla donna che avevo amato, che amavo ancora.

Improvvisamente si voltò a guardarmi. I suoi occhi si accesero di un verde intenso. Dalle sue labbra uscirono due parole, che capii al volo. La mia disperazione aumentò, le lacrime non si vergognarono a scendere. “Ti amo anche io Rahel! Ti prego torna!” urlai esasperato.

Rahel scosse la testa. Urlai. La donna si spaventò e si voltò. 

C'era una culla.

Era la culla di Tom. Rahel si avvicinò e accarezzò il bambino che vi dormiva dentro. La sensazione di tenerezza che mi avvolse era sconvolgente. Con tutto il mio corpo la desideravo ancora. Perché era successo? Perché?

“Papà!”

La voce di mio figlio mi svegliò.

Tom mi guardava con il viso pieno di lacrime. Le sue mani stringevano Poppy, il suo peluche preferito.

Preoccupato gli feci segno di entrare sotto le coperte del mio letto. Tom si accoccolò contro il mio petto e chiuse gli occhi gustando il calore. “Che succede, Tom?” sussurrai.

“Ho sognato la mamma”.

Sussultai. Anche Tom non era mai riuscito a dimenticare Rahel. Gli baciai la fronte accarezzandogli i capelli biondi.

“Ho chiesto alla mamma se voleva giocare con me. Ha detto che non poteva perchè doveva andare in un posto bellissimo, ma io non potevo venire. Ho insistito, ma non ha voluto. Se ne è andata salutandomi. La mamma non mi vuole con lei, vero papà?”

Cominciai a piangere e lo strinsi forte. “No, Thomas. La mamma non poteva portarti perchè è malata. La mamma ora vive in una bellissima isola dove può guarire, ma ha bisogno di tanto riposo. Non ti ha portato perchè temeva ti potessi ammalare anche tu. E lei non avrebbe voluto vederti star male”. 

Non sapevo più cosa dire. Come si può affrontare la morte con un bimbo così piccolo? E poi il dolore per la morte della donna che amavo era ancora vivo in me, bruciava più di ogni altra cosa. Cosa era giusto? Dimenticarla? Non ce l'avrei fatta. Tom era uguale a Rahel, impossibile non accorgersene.

Tuttavia continuare a sognarla e chiamarla disperatamente non l'avrebbe fatta tornare. Avrei continuato a soffrire per tutta la vita. Era una giusta prospettiva? E Tom? Le mancava, logico. E' così piccolo.

Il corpicino di Tom aderì al mio petto e le braccine mi avvolsero senza riuscire a congiungersi. “Ti voglio bene, papà!” bisbigliò con la voce impastata. Strinsi i denti. Non potevo urlare, non davanti a Tom. Lo abbracciai come meglio potei e sprofondai la faccia nei suoi capelli.

Avevano lo stesso profumo di Rahel.


Mi risvegliai nel silenzio del mio appartamento. Tom era sdraiato sul bordo del materasso, bastava un soffio per farlo scivolare. Gli feci passare un braccio sotto le spalle e lo avvicinai a me, facendolo strisciare. Tom aprì gli occhietti e mi guardò. Strinse forte Poppy e me lo passò. “Poppy ti ha visto triste. Ha detto che vorrebbe vedere il tuo sorriso”.

Aggrottai la fronte. “Ah, davvero? Siamo sicuri che non sia questo pancino l'artefice di tutto?”

“No” rispose innocente lui.

Le mie mani come due ganasce lo afferrarono dai fianchi e scoppiò la guerra del solletico, tra i valorosi guerrieri della risata. Il cavaliere Dente Scintillante si destreggiava bene con le sue armi, ma non possedeva la potenza del micidiale Signor Sorriso Smagliante.

Tom si contorceva per evitare di ridere rumorosamente e perdere la battaglia, mentre io cercavo di fargliela perdere! O almeno glielo facevo credere. Alla fine fingevo di essere stato colpito da una attacco delirante di risate e morivo sul lettone pregandolo di liberarmi. Tom con molta maestria mi liberava perdonando il mio abbandono dal combattimento; in quel momento mi sembrava un ambasciatore e non potevo fare a meno di sognare per lui un futuro prospero con una bella famiglia.

Sarebbe stato tutto quello che non avrei potuto avere io in tutta la mia vita.

Come sempre caddi all'indietro e mio figlio mi saltò sopra con la sua arma micidiale, pronto a colpire. “Papà è la tua fine!”. La parola papà era ancora più dolce pronunciata con le sue parole d'angelo.

“La prego mi risparmi! Signor cavaliere nessun duello è degno del mio nome”.

Tom si rinvigorì drizzando le spalle, stringendo fiero il peluche e ritraendo l'altra mano a mo di spada. “Il tuo coraggio non è sparito, papi. Diventerai un valoroso cavaliere quanto me un giorno, e ti proteggerò sotto la mia ala, come è mio compito. Proteggerò questa terra” disse indicando la stanza. “Alzati guerriero, i tuoi giorni da perdente sono finiti. Ora comincia il trionfo”.

Lo guardai sbigottito. Da quanto Tom parlava così bene? “Leggi libri, tesoro?”

Tom scrollò le spalle. “So appena l'alfabeto, papà! È la maestra che ci legge libri a scuola su grandi valorosi guerrieri e sulle loro fantastiche avventure!” annunciò pomposamente. 

Storsi il naso. Non credo fosse il caso di riempire poveri bambini di storie troppo fantastiche. Avevano bisogno di divertirsi con cose più concrete, non di sognare ad occhi aperti. Il loro sogno prima o poi in ogni caso sarebbe svanito con tutte le loro aspettative. Era importante la famiglia e salvare i rapporti umani, non far viaggiare i bambini di storie di coraggio. Non avevo niente contro le persone coraggiose, pensavo solo che il valore in questo mondo non serve, non si arriverà da nessuna parte con la giustizia. Se vuoi davvero avere la tua gloria, devi essere uno schifoso bastardo. Non c'era nessun altro modo di sopravvivere.

“Papà?”

Guardai mio figlio, specchio di Rahel. I suoi occhi di un verde luminoso avevano la forma dei miei, ma il colore era quello della mamma. Mi chiedevo come potessero coesistere le nostri caratteristiche in un solo bambino. Quegli occhi così innocenti non smettevano di accarezzarmi l'anima.

“Non ti piacciono gli eroi?” ipotizzò lui, allungando il collo.

Scrollai le spalle. “Non esistono gli eroi, Tom”.

“Si invece! Tu sei un eroe. L'eroe non è solo chi fa imprese galattiche, ma chi ogni giorno si occupa di noi, nonostante le difficoltà. La maestra ce lo ha specificato”.

I miei occhi si addolcirono. Tom era molto più tenerone del suo omonimo, mio fratello gemello alla sua stessa età. 

Tom era sempre passato per un tenero angioletto. Nessuno si sarebbe immaginato mai cosa sarebbe diventato poi. Sorrisi.

“Andiamo a fare colazione, forza ometto!”.

Tom si alzò in piedi sul lettone e saltò con i piedini scalzi, sfoderando un sorriso indescrivibile: il sorriso di un bambino felice.

Allargai le braccia per un abbraccio e Tom si buttò contro il mio petto aderendo perfettamente, come fosse prestabilito. Lo sollevai dal sedere e lo portai trottando in cucina.

Una volta a terra Tom si sedette sulla sua seggiola senza bisogno di aiuto mentre io gli accendevo la televisione. I suoi occhietti si puntarono sui cartoni mattutini nel tempo che impiegai per preparare la colazione.

Ogni tanto lo sentivo ridere di azioni comiche che succedevano, intervallati dai continui battiti dei talloni sulla sedia. Appena il latte fu caldo lo versai in due grandi scodelle e ne posai una davanti a Tom e una nel posto immediatamente vicino. Mio figlio mi ringraziò afferrando il cucchiaino.

Forse mi preoccupavo inutilmente, era fin troppo educato e autonomo. Un bambino della sua età avrebbe dovuto essere esentato da obblighi formali, avrebbe dovuto vivere meglio la sua libertà, almeno finché ne aveva l'opportunità.

Quando ebbi finito lo lasciai ai suoi cartoni e mi diressi in bagno, accesi la musica dello stereo e mi portai davanti allo specchio.

Il mio riflesso con tratti delicati, marcati appena sotto la mandibola, mi fissava. Sembravo molto più un uomo di qualche hanno fa. Purtroppo non si può sfuggire al tempo.

L'audio dello stereo era abbastanza alto per riuscire a capire, che la canzone in quel momento trasmessa era Man in the mirror di Michael Jackson. Sorrisi della coincidenza. Il mio riflesso mi rispose, con sfumature stanche. Mi sentivo un uomo sbagliato nei miei vestiti banali, senza trucco, senza smalto solo con i capelli ancora neri, un piccolo sfizio che non volevo perdere. Non volevo cancellare il passato, sarebbe stato ingiusto.

I’m starting with the man in the mirror
I’m asking him to change his ways
And no message could have been any clearer
If you wanna make the world a better place
Take a look at yourself, and then make a change
Na na na, na na na, na na, na nah

Il ritornello mi accarezzò il corpo. Sentivo il ritmo entrarmi dentro, scuotere, bussare, rivoluzionarmi rapidamente distraendo la ragione. Le mie mani automaticamente afferrarono la spazzola e le labbra si mossero con una forza propria. Nessuna nota, però, ne uscì. Le gambe si piegarono e cominciarono a saltare; una scarica di euforismo mi attraversò il corpo. Sfiorai la felicità per qualche fugace secondo, troppo breve perchè riuscisse a migliorare il mio umore, ma lo accolsi con così tanta gioia da riuscire a sentire che ero ancora vivo.

Allora capii. Rahel avrebbe voluto che continuassi a lottare per me e per Tom, non avrebbe sopportato la visione del mio strazio. Certo non potevo essere sicuro che non l'avrei più sognata, ma avrei cercato di chiuderla nel mio cuore, sigillare il suo ricordo per non dimenticarla, senza soffrire.

Mi fermai, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Nella mia testa svolazzava un'altra consapevolezza. Nessuna sarebbe stata mai come lei. Nessuna l'avrebbe sostituita. Lei era stata e sarebbe stata per sempre la mia unica donna.





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Autrice:  questo capitolo è stato fondamentale per la storia. Se quello precedente gettava la storia in uncrinazione nuova, questo la riporta indietro, tra mailnconie e dolori, verso il raggiungimento della meta: la felicià. Ogni passo è fondamentale, perchè la si costruisce giorno per giorno e non arriva tutta insieme. Bill lo scoprirà presto. Un kuss a tutte le lettrici! 

MyblindedEyes: lieta di risentirti! Questa capitolo mi è stato ispirato da Michael Jackson e da tante canzoni con il pianoforte. Ho scoperto che mi piace un sacco :) è stranissimo che l'unica che abbia recensito il capitolo scorso non abbia interesse per i tokio hotel...non che sia disturbata, anzi ne sono felice che ti piaccia :)  Sarà forse che questa versione di Bill non è tanto Bill, ma molto troppo normale. Ma in fondo anche lui è un uomo e ha i suoi problemi quotidiani. Nemmeno lui è immune dal dolore, purtroppo. Che bella questa frase! credo che la inserirò in alto alla pagina :) Comunque quel capitolo che ti è piaciuto sarà l'ultimo così, era troppo lista della spesa. Non ho curato ne personaggi, ne descrizioni, ho solo accorciato i tempi della storia.  Un bacione! Kissss!


   
 
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