Capitolo
3:
Blues’
Disease.
- Siediti.-
Suona così
strano, essere dalla parte sbagliata della trincea, ricevere
brute notizie, anziché darne.
Eppure eccomi qui, camice
ancora sporco di sangue, capelli scarmigliati,
occhi rossi dalla stanchezza, occhio sinistro che pulsa.
Mi guardi, il volto grave e
quasi insoddisfatto.
Le tue labbra, carnose e
morbide, tremano un po’.
Ti prego, non tergiversare.
- Kurenai Yuhi, ventisette
anni, donna. Ha avuto un figlio da poco, dal suo
vecchio compagno, morto in un incidente sette mesi fa. Ma queste cose
le sai
già, Kakashi. Le sai già troppo bene. Quello che
non sai è che questa donna
soffre di una patologia non troppo grave, di solito. Viene
impropriamente
chiamata“depressione post partum”, o, almeno,
questo è il nome con cui è nota
ai più. Questa sindrome psicologica si divide in tre fasi.
La prima, chiamata “
baby blues” si manifesta nel 70% delle donne nei giorni
immediatamente
successivi al parto. Non
è nulla di
grave, si manifesta sottoforma
di pianti
senza motivo, irritabilità, ansietà, inquietudine
e sparisce in pochi giorni.
Poi vi è una seconda fase, più grave, chiamata
appunto depressione post partum.
Essi si presenta sintomi come inappetenza, paura, ansietà,
insonnia,
disinteresse per il bambino, pianti senza ragione, improvvisi
cambiamenti d’
umore, paura di nuocere al bambino… - Yugao fa una pausa,
prende fiato. Stiamo
per arrivare al dunque. – Poi vi è una
terza fase, la più grave. Ed è appunto quella di
cui soffre Kurenai. Si chiama
“psicosi post partum” e si presenta con i sintomi
della seconda fase, con l’aggiunta
di paranoia, allucinazioni, depressione, esaurimento e… -
Chiude gli occhi come
se parlarne facesse male pure a lei.- Cosa più
grave… pulsioni suicide ed
omicide nei confronti del bambino.-
Gelido, un brivido, corre
per la mia schiena.
Non è possibile.
Yugao deve avere
sbagliato…
Non è possibile.
Non è possibile.
Non a lei, non a me!
Eppure è
così dannatamente convincente.
Potrei non crederci, potrei
consultare altre persone. Ma so già che questa
è la dura verità.
L’ho conosciuta
nell’istante stesso in cui ho visto quel taglio sulla mano,
l’ho sempre saputa.
Mentre tornavo da casa sua,
dopo che mi aveva scacciato malamente,
furiosamente. Io l’ho sempre saputo, nulla di più.
Dannato idiota.
Mi guardi, come se potessi
capire quello che devo provare. Non puoi. Non
per altro, ma perché non hai mai vissuto un’
esperienza del genere. Non si può
comprendere quello che una persona prova semplicemente guardandola, non
si può
percepire la sensazione provata da ognuno. Perché si
è diversi, perché le
emozioni, la realtà si percepisce in modo diverso.
Apri la bocca,
cos’ altro devi dirmi?
- Kurenai soffre della forma
più grave ed è una psicosi degenerata, quasi.
Significa che non basta più imbottirla di psicofarmaci.
Bisogna dare il via ad
una terapia psichiatrica. Io devo poterle parlare, e le sedute devono
essere
abbinate alla cura con i farmaci. Non è stabile, Kakashi.
Può fare male a sé
stessa, oltre che al bambino. Deve essere ricoverata. Ha
bisogno di essere tenuta sotto controllo,
monitorata ed aiutata. E’ troppo tardi per curarla da casa,
è rischioso per se
stessa e per gli altri. Non ha un compagno che si possa prendere cura
di lei e
del bambino. Soprattutto del bambino. Non può tenerlo con
sé.-
La fisso, sconvolto. Ho
già capito dove vuole andare a parare. Non le
toglieranno il bambino, non lascerò che lo prenda in
custodia qualcun altro,
che una quarta persona entri nel nostro microcosmo e rubi
l’ultima scintilla di
normalità residua.
Non chiamerai gli assistenti
sociali.
- Posso tenerlo io.-
Mi guardi, sorridi, amara.
Come non capire quello che ti passa per la
mente? Non sono nemmeno in grado di prendermi cura di me stesso,
figuriamoci di
una vita appena nata.
E’ questo che sta
pensando? O forse che non sono abbastanza presente,
perennemente chiuso in questo ospedale? O che non sono che un illuso
che si sta
giocando la sanità mentale per una donna che non lo
considera più che il
ricordo del compagno?
- Giuro, ci ho pensato anche
io. Avrei potuto tacere sul fatto che sei una
persona appena autosufficiente. Saresti stato in grado di farlo. Sai,
potrei
raccontarti una balla, potrei dirti che davvero non hai abbastanza
tempo, che
non hai le competenze adatte per essere il padre di questo piccolo. Ma
non
sarebbe giusto, verso di te. Ti mancherei di rispetto, un rispetto che
ti è
dovuto. La verità, Kakashi, è che lei…
non vuole.-
Ahia.
Questo fa dannatamente male.
Questo è un colpo
talmente duro che, fossi stato un'altra persona, avrei
potuto gridare. Ma io sono così freddo e apatico, io sono
colui che grida in
silenzio, senza che nessuno si accorga del dato grido.
Questo non l’avevo
previsto.
- Ha dichiarato di non
volere che tu… tocchi
il suo bambino. Le ho spiegato cosa sarebbe successo altrimenti, ha
cominciato
a non rispondere ed a stringere quel fagotto.
Se volessi potrei dichiararla mentalmente instabile.-
- No. Non sarebbe giusto.
Non mi approprierò di suo figlio, se non vuole
che accada. Troverò un modo.-
Abbasso gli occhi, le mani
tremano impercettibilmente, il cuore pulsa a
mille, la testa scoppia. Ora
ci credo,
ora capisco che è tutto vero, non è una finzione.
E questo mi lascia ferito e
moribondo, nell’anima. Mi dipingo una smorfia in volto,
estraggo una sigaretta
e la stringo dolcemente. – Fa quello che devi. Ricoverala,
imbottiscila di
farmaci. Ma, ti prego, lasciami un paio d’ore prima di
chiamare i servizi
sociali. Troverò il modo.-
Mi volto, non attendo
risposta, cammino lentamente, appoggiando le mani ai
muri dell’ospedale, apatico.
I piedi mi trascinano dove
io non ho la minima forza di andare. Apro la
porta che da sul balconcino.
Accosto la sigaretta alla
bocca, lasciando che la cenere venga trasportata
dal vento, in un mondo lontano.
Un mondo in cui, magari,
tutto questo dolore mi sarebbe stato estraneo.
La cenere cade, piange per
me.
Perché io non
piango, ho già perso tutte le mie lacrime.
- Entra.-
Una voce abbastanza tirata
mi invita ad entrare nello studio del capo dell’intero
ospedale.
Una donna sulla cinquantina,
i capelli biondi ed uno strano punto induista
in testa mi guarda con occhi color miele e profondi.
Ho sempre
l’impressione che lei mi legga nella mente.
Tiene le mani incrociate,
nervosamente.
Davanti a sé una
cartella clinica, per quello che ne so potrebbe essere
anche la mia.
Ho sempre avuto una sorta di
timore reverenziale per questa donna.
Chino la testa, i capelli
argentati mi nascondono gli occhi, in una cascata
di vivo argento, di viva indifferenza e malinconia.
Sanno di sudore, devo farmi
una doccia, ma ne avrò tempo dopo.
Tento di stamparmi addosso
un sorriso, o almeno una pallida imitazione.
Ma non ce la faccio, le
labbra rifiutano di arcuarsi e tendersi, gli occhi
rifiutano di perdere la loro sciatta e vuota espressione, in favore di
un
autocompiacimento banale e superficiale.
Mi guarda, mi guarda fisso.
Sa già.
- Siediti.-
Mi accascio stancamente su
quelle poltroncine che stanno davanti al sua
scrivania, le poltroncine dei pazienti e dei parenti.
Oggi io sono così, un uomo venuto a chiedere
pietà.
- Oggi è stata
ricoverata una certa Kurenai Yuhi, Kakashi. – La voce si
ferma, in attesa. Poi, non avendo risposta continua, arrivando da
sé a quello
di cui volevo parlare. – Psicosi post partum. E’
una brutta malattia,
decisamente. La conosci, vero?-
Chiudo gli occhi, per non
vedere, per non guardare.
- E’ la moglie di
Asuma.-
Trattieni il respiro, i
polmoni si gonfiano, le tue labbra si socchiudono
in una smorfia sorpresa. Non ti sorprende il nome né la
parentela, quello che
ti sorprende è il tono in cui lo dico. Un tono atono, senza
inflessione, un
tono spento e carico di dolore.
Non posso mentire anche a
te, sebbene lo vorrei. Sono troppo stanco per
mentire, ho già esaurito la mia scorta di maschere, per oggi.
Sono nudo, a pezzi.
- Ha un bambino piccolo, che
non può tenere. Yugao mi ha detto che avrebbe
aspettato un po’ a chiamare i servizi sociali.-
la donna si ferma, in attesa.
-
Tsunade- sama, gliel’ho chiesto
io. Non voglio che quel bambino vada in mano a chissà chi.
Non posso tenerlo
io, la madre non vuole
che mi avvicini
nemmeno al figliolo.- lo senti quanto male fa, pronunciare queste
parole? Lo
senti il dolore grondare? Vorrei di no.
Pausa.
Riprendo fiato, mi
schiarisco le idee.
- Non mi interessa cosa
dovrò fare, ma quel bambino non deve uscire da
questo ospedale.-
Sorrido, stanco.
Ho visto il lampo di collera
illuminarti lo sguardo. Ma come potevo non
tentare, come potevo lasciarmi scappare la possibilità?
- Non sei tu che dai ordini.-
Pausa.
Uno sguardo miele sul mio
corpo umano.
Cosa vedi in questo momento
che ti fa sgranare gli occhi?
Cosa vedi di me?
Il medico, l’uomo,
o il dolore?
- Ci tieni molto a questa
donna, vero? Ci tieni molto a quella promessa. Ci
tieni di più della tua stessa vita, della tua stessa
carriera.-
Uno sguardo, un attimo.
- E sia. Il bambino
può giovare alla madre, è terapeutico. Non vorrei
mai
che, poi, il bimbo avesse un trauma a causa del distacco forzato dalla
madre.-
Non
credo a quello che stai dicendo.
Non ci posso credere.
Mi alzo, balbetto un
ringraziamento, nella confusione di questo sollievo.
Faccio per andarmene, ma poi
è un sussurro che ti sfugge dalle labbra,
lasciandomi interdetto.
- Kakashi… non ti
distruggere.-
Oh, capo.
E’troppo tardi.
Passi felpati e
poi…
Poi il silenzio.
Il piccolo
si svegliò nella notte, le manine che si agitavano,
afferrando il vuoto.
Eruppe in un
vagito sofferto, alla ricerca del calore materno.
Strinse la
copertina che lo ricopriva, annusando un odore familiare, anche se non
materno.
Qualcuno lo
strinse forte, con amore.
Non erano
gli abbracci della madre, nervosi e così asfissianti.
Era un
abbraccio calmo, che sapeva di menta.
Il piccolo
afferrò i capelli del misterioso visitatore, trovandoli
morbidi e familiari.
Appoggiò la
testa nell’incavo della spalla dell’uomo,
sentendosi protetto.
- La mamma
tornerà presto. Te lo prometto.-
Chiuse gli
occhi, il piccolo, trasmettendo una calma sonnolenta anche a
quell’essere che
l’aveva abbracciato.
Si
addormentò nelle braccio dell’uomo, del medico e
del dolore.
Kakashi lo
stese nella culla di pediatria, lo coprì con dolcezza, poi
si stese sul lettino
accanto, chiuse gli occhi.
Si
addormentò, cullato dalla dolce nenia del respiro del
piccolo.
E, per la
prima volta dall’incidente che gli era costato il migliore
amico e parte della
vista, ebbe un sonno senza sogni e senza incubi.
Sarebbe durata poco.
NOTE by Brave:
Aiko92: Garzie mille per la recensione!! E' una situazione un po' particolare e che, concordo, potrebbe capitare a una persona qualsiasi. E' sempre stato un argomento, quello delle psicosi, che mi ha sempre colpita. spero ti piaccia questo cap^^
Grazie a quelli che leggono.
Grazie davvero grazie.