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Autore: Botan    22/01/2010    1 recensioni
Esistono un fiume e una città, famosa per i suoi innumerevoli casinò, che si chiamano proprio come me. Tuttavia, non sono né un fiume, né tanto meno una famosa città! E neppure una slot-machine umana!
Se volete pronunciare il mio nome, allora intonate un bel Re maggiore. Perché? Provate ad indovinare!
Non vi viene in mente proprio nulla? Ok. Gli indovinelli non fanno per voi, eh? Pazienza!
Come dite? Il mio nome, zo to?
Reno, per servirvi!
*Dedicata al mio Reno, coniglio nano maschio gagliardo e tosto, che per anni ha tenuto accesa la luce nella mia vita senza pretendere nulla in cambio.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Reno, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Dirge of Cerberus
Capitoli:
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CAPITOLO 14

                             CAPITOLO 14

 

 

 

 

 

Mi viene spiegata la situazione. Annuisco e corro di sopra a cambiarmi.

Una volta indossata la divisa da Turk, io e la collega ci avviamo verso l’uscita, in prossimità della moto.

Saliamo alla svelta sull’abitacolo, con fare incalzante.

 

- Ci sei? – chiedo alla collega, seduta alle mie spalle, per ottenere l’ok e partire.

 

- Parti!

 

Non me lo faccio ripetere due volte. Spingo l’acceleratore al massimo, ed inforco subito una stradina secondaria, per non farci notare dai soldati Deepground.

Meno passiamo inosservati, meglio è.

Le ruote del veicolo sfrecciano scattanti sul terreno disconnesso e campestre. In mezzo alla vegetazione, non ci vedranno di sicuro.

 

- Quanto sono attrezzati questi soldati? – domando alla collega, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.

 

- E’ questo che dobbiamo scoprire! 

 

Rido, tanto per stemperare la brutta situazione.

- Sembra facile a dirsi… -  Il quadro globale è piuttosto ingarbugliato. Non solo… sembra proprio che sia destinato a diventarlo ancora più, man mano che gli altarini saranno scoperti. 

Per questo è necessario conoscere in anticipo le carte che l’avversario ha nella sua mano. Una scala reale piazzata nel momento sbagliato, può essere fatale.

 

L’ex struttura ospedaliera dista alcuni chilometri da qui.

Con una moto come questa, ci si arriva in un attimo.

Per accorciare ulteriormente le distanze, decido di prendere una scorciatoia.

Elena non sarà tanto contenta, però.

- Non avrai mica intenzione di provare a saltare, spero! – replica immediatamente, non appena si accorge del lungo baratro davanti a noi.

 

- Tu che dici? – faccio tutt’altro che serio.

L’acceleratore è al massimo, una spinta… e via! L’abitacolo sembra volare.

Sento da dietro l’urlo soffocato della collega, che si stringe a me con tutte le sue forze.

La traversata dura poco.

Atterriamo sani e salvi con entrambe le ruote dall’altro lato della voragine, e l’impatto con il suolo ci fa traballare. Raddrizzo la moto, recuperandola al pelo, sgommo fino ad alzare un denso polverone, e la corsa riparte.

 

- Sei matto! Completamente matto! – ammonisce Elena, con cadenza stridula e terrorizzata.

 

- Vuoi raggiungere o no quel maledetto postaccio e chiamare il tuo Tseng? Allora sopporta! Di questo passo saremmo arrivati domani mattina! Le scorciatoie servono a questo, no? E poi in questo momento, sono io il capo!

 

Elena si zittisce. Sa di dovermi portare rispetto, in quanto suo superiore.

Da parte mia, ridacchio sommessamente, soddisfatto dei privilegi che un capo ha sui suoi subordinati. E’ una bella sensazione, non c’è che dire!

 

 

Ad un’ora e mezza dalla partenza, giungiamo a destinazione.

Parcheggio la moto nella sterpaglia, per nasconderla, frenando di traverso e frettolosamente.

Spengo il motore, prendo le chiavi e scendiamo.

C’è un bel tratto da fare prima di approdare alla sede.

 

Dopo svariati minuti di cammino, tra sterpaglie d’ogni genere, l’edificio è davanti a noi.

Solo l’elite della Shin-Ra e la Shin-Ra stessa, ne conoscono l’esatta ubicazione.

 

- “Benvenuti a villa Deepground!” Dovrebbero dire! Ma che razza di posto è mai questo?! E’ uno sfacelo!- Mi giro verso Elena che si guarda intorno un po’ disorientata- Sicura che qui dentro troveremo qualcosa di utile?

 

La ragazza n’è certa:

- Sicurissima! C’è una sala nascosta di cui solo la Shin-Ra ne conosce l’esistenza. Lì dentro troveremo un mucchio di informazioni.

 

- Se lo dici tu…- Mi stringo nelle spalle. Quando una donna è convinta di ciò che dice, meglio non contraddirla!

Ci incamminiamo furtivamente, verso l’ingresso sul retro.

Se questo posto fosse abitato da qualcuno, e questo qualcuno ci avesse visto arrivare così palesemente, saremmo già stati scoperti da un bel pezzo.

 

- Mi raccomando! Nessuno deve vederci, intesi?

 

Annuisco battendomi una mano sul petto:

- Intesi!

 

Sgattaioliamo di nascosto all’interno della struttura, come due perfetti agenti segreti.

In realtà, i Turks sono prima di tutto degli investigatori!

 

Lo scenario che ci si para d’innanzi, non appena tocchiamo il suolo interno dell’ospedale, è davvero lugubre.

Calcinacci riversi a terra, immondizia a non finire, e mura completamente sporche.

Mi tappo il naso con pollice ed indice. Che puzza!

Il posto sembrerebbe a prima vista disabitato.

Ovviamente, i Deepground avranno trasferito il loro covo da chissà quale altra parte…!

Tuttavia, avvertiamo un rumore improvviso, provenire dal fondo del corridoio.

Afferro alla svelta Elena, e la trascino giù con me per inabissarci dietro un cumulo di macerie proprio affianco a noi.

La donna, sentendosi trasportare all’improvviso, spalanca la bocca per strillare.

La precedo.

Le tappo il becco con una mano, e le faccio segno di zittire.

Non è il momento adatto per mettersi a fare i difficili!

 

Il frastuono si fa sempre più forte, man mano che il tempo aumenta.

Poi, ad un tratto, sentiamo una risata.

Cerco di dare una sbirciatina, sporgendomi appena da un lato del nascondiglio, e lo stupore mi fa cascare con il viso a terra.

 

- Reno! – mi chiama Elena, sibilando appena per non fare rumore.

 

Mi risollevo dal lurido pavimento, ed esco allo scoperto trascinando con me anche lei.

 

- Un luogo che non conosce nessuno?! – faccio, imitando la voce precisina della collega. Punto un braccio verso il fondo del corridoio. – Questo è un covo di coppiette che amoreggiano! Proprio come stanno facendo quei due laggiù!

 

Elena si volta a guardare.

Vedo il suo viso farsi paonazzo dalla vergogna. Con le mani si copre il volto all’istante, volto che oramai è diventato rosso come il fuoco. Una pudica di prima categoria, lei!

 

- La zona è protetta da alcuni cartelli che vietano l’ingresso! Com’è possibile che sia entrato qualcuno?!– balbetta pigolando con una vocina sempre più imbarazzata, e riparandosi dietro di me, dal disagio.    

 

- Forse c’è gente che ama le emozioni forti! – butto lì, giusto per fare un po’ di senso dell’umorismo. Sollevo gli occhi al soffitto, rassegnato - Elena, Elena! Qualche cartello non basta di certo a fermare la passione che lega due innamorati! Dovrei esserci io, al posto di quei due, a tubare con la mia Yuffie! Altro che missione…!

 

- Intendi la figlia del leader di Wutai?- Sento chiedermi da lei, all’improvviso.

Forse… ho parlato anche troppo.

 

- Tu cancella ciò che ho detto! – Non lo farà mai! Ne sono convinto…! Però forse, sottoforma di ordine…- E’ un ordine! – ribatto poi, con intonazione imperiosa.

 

Il Turk in gonnella rizza la schiena: - Ricevuto!

 

E’ troppo facile con te… Non c’è divertimento. Però almeno sono salvo.

Devo imparare a tenere a freno la mia linguaccia… zo to!

 

- Cosa facciamo, con quei due? – chiede la collega, facendomi riflette sul problema.

 

Faccio finta di pensare, portandomi una mano sul mento, ed assumendo un’aria seria.

- Vai laggiù e cacciali via! – ordino. Scherzando, ovviamente.

 

Il faccino della bionda diventa ancora più pallido e intimidito.

- I-io?

 

Trattengo un risolino di scherno.

Mi piacerebbe proprio, vederla alle prese con quei due. Sono sicuro che diventerebbe di pietra, a metà strada! Uno spettacolo che varrebbe la pena vedere, ma in un altro momento.

Che peccato!

 

- HEY, LAGGIU’!!! – grido, mettendo le mani ai lati della bocca, per fare rintrono. – QUESTA E’ PROPRIETA’ PRI-VA-TA! AVETE CAPITO? PER QUEL GENERE DI COSE, CI SONO ALTRI POSTI! MAGARI PIU’ COMODI!

 

Elena ormai è sul punto di diventare più rossa dei miei capelli, tant’è che sta nascondendo il suo imbarazzo con l’ausilio delle mani.

Patetica!

 

La coppietta raccatta alla svelta i vestiti, e corre via, chiappe all’aria, urlando un ipotetico “scusateci!”.

 

Scuoto la testa.

- Via libera! – mi giro verso di Elena, che sembra reprimere l’imbarazzo con tutte le sue forze, ma con scarsi risultati.- Vogliamo andare, o preferisci imitarli? Per me non ci sono problemi. Quando sto sul lavoro, mi diverto di più! Con una collega, poi… - fingo, recitando alla grande.

 

La donna si pietrifica. Poi mi pesta un piede, adirata come una furia.

- Maiale!

 

- Scherzavo Elena, scherzavo! Sei la solita permalosa!- sbotto secco, infilandomi due mani in tasca ed incamminandomi verso il corridoio. – Hai tu la cartina di questo bordello… per cui, a te l’onore! – mi scosto verso destra, per fiancheggiare la parete, e farla passare a capo della fila.

 

Il biondo Turk prende la mappa e comincia ad analizzarla meticolosamente.

 

- Dobbiamo passare per di qua.- replica con un cenno della mano.

La seguo senza discutere.

Passiamo lo stretto corridoio che conduce alla sala principale, e da lì ancora ci addentriamo in un andito nelle vicinanze.

C’è una tale confusione qui, che sembra esserci stato un terremoto.

Le piante, e dell’edera rampicante, hanno iniziato a ricoprire la struttura e il suo interno.

Del fogliame ricopre in parte la porta dell’ascensore e le tubature poste sopra il soffitto.

Ci sono delle scritte sulle pareti. Parole assurde, senza senso.

Dopotutto, questi Deepground sono dei matti!

 

Il pavimento poi, è tutto imbrattato di fango e di non so cosa. Una sostanza verdastra, molto scivolosa, che mi fa rivoltare lo stomaco.

Mi parte un conato di vomito.

 

Elena si volta, attirata dal rumore.

Sollevo un braccio per farle capire che sto bene, e quest’ultima prosegue il cammino.

 

I nostri passi riecheggiano tra le quattro pareti del corridoio deserto.

Questo posto mette davvero i brividi.

 

Ci fermiamo davanti ad una grossa porta. La donna la spalanca, ed entriamo.

E’ una sala dalle dimensioni enormi, con una piscina per la riabilitazione.

 

- Siamo arrivati.

 

Guardo Elena, poi successivamente il luogo circostante.

- Allora? Dov’è questa misteriosa entrata?

 

Il Turk punta un dito in direzione della piscina.

E’ lì? Caspita è che fantasia!

Faccio una smorfia di stupore. Poi di disgusto.

 

- Dobbiamo immergerci in quell’acqua fetida e stantia?! Stai scherzando!? – scuoto il capo più volte. – In quanto capo, ti ordino di andarci da sola, zo to!

 

- Negativo. Avrò bisogno del tuo aiuto, laggiù.

 

Mi porto le mani sui fianchi.

- Se proprio devo… Ok! Farò uno strappo alla regola…! Anche se controvoglia. – sottolineo.

 

Elena ripone la cartina in un sacchetto di plastica impermeabile, insieme al suo cellulare tutto sfavillante ed intatto. Se solo sapesse le innumerevoli botte che ha subito il mio, mi sgriderebbe di sicuro. Glielo consegno, e consegno poco dopo anche tutto ciò che possa deteriorarsi a contatto con l’acqua. Pacchetto di sigarette compreso.

 

Mi dirigo al bordo della piscina, stomacato da quell’acqua poco pulita.

Faccio un ultimo tentativo.

- Non c’è un altro modo per entrare?

 

- Negativo.

 

- Sai dire solo “negativo”, tu?! ccidenti! Quanto invidio Rude, in questo momento!

 

Chissà se è riuscito a trovare mio padre.

Per un attimo i pensieri mi distraggono, ma vengo subito richiamato dalla giovane bionda.

 

- Questo ti permetterà di respirare sott’acqua. – dice, consegnandomi una piccola bomboletta di ossigeno attacca ad un boccaglio. – C’è una grata, sul lato destro della vasca. Non appena saremo scesi infondo, dovremo cercare di aprirla. Infine, basterà seguire il condotto che ci porterà dritto alla sala sotterranea.  

 

Annuisco facendo finta di aver capito tutto, ma in realtà non è così. L’unica cosa che mi è chiara, è che a breve sarò ricoperto di… bitume!

 

- Prima le signore! – faccio in tono galante, con un bell’inchino.

 

Quando la testa bionda della collega, scompare tra le acque della piscina, è il mio turno.

Raccolgo anima e coraggio, e mi tuffo nella vasca, lasciandomi sprofondare verso il fondo.

L’acqua è calda e viscida. Un vero schifo!

 

Elena è già davanti alla griglia. La raggiungo alla svelta con qualche sgambettata veloce, dopodichè lei mi fa cenno di afferrare i ferri e tirare insieme.

Lo facciamo all’unisono, però il pesante reticolato sembra non volersi staccare.

E’ rimasto qui sotto per chissà quanti anni… rimuoverlo sarà dura.

Faccio passare le dita attraverso la griglia, e l’afferro con tutta la forza che ho in corpo. Quest’acqua sta iniziando a stufarmi davvero!

Faccio forza sulle gambe, che premo lungo la parete, e comincio a tirare.

 

Finalmente qualcosa si muove!

Do un ultimo strattone, e via! La cancellata si stacca, permettendoci così di entrare.

Nuotiamo nel cunicolo, come pesci. E’ stretto, tanto da poter passare una persona alla volta.

 

Sono trascorsi svariati minuti, da quando lo abbiamo iniziato a percorrere. Alla fine si intravede l’uscita.

Letteralmente, sfociamo in una vasca più piccola e risaliamo in superficie.

Tolgo il boccaglio ed esco alla svelta arrampicandomi sul bordo della conca, per portarmi all’asciutto.

 

- Dovrò portare la divisa in tintoria! Guarda che schifo! – mi scrollo la giacca di dosso, e la sbatto con una mano per ripulirla dal fogliame che la ricopre.

 

Elena è dietro di me, che fa la stessa cosa.

 

L’occhio mi cade involontariamente sulla sua camicia. L’acqua l’ha resa pericolosamente e divinamente trasparente.

Sono indeciso se farlo presente alla collega, oppure no. Mi darebbe sicuramente del “maniaco”.

Preferisco tacere.

 

Guardo attorno, cercando di sondare il terreno con lo sguardo, ma c’è poco da fare.

C’è una scrivania, un computer, delle cassettiere, uno stanzino del bagno, e uno schermo gigante.

Tutto qui.

 

- Sei sicura che troveremo davvero qualcosa?! – domando alla ragazza, iniziando ad avere delle serie perplessità sulla riuscita della missione. – Non vorrei avermi insudiciato per nulla…!

 

Come se tutto ciò non bastasse, Elena sembra non considerarmi nemmeno. Se ne sta lì, tutta occupata a frugare nei cassetti, mettendo a soqquadro l’intero covo nella speranza di trovare qualcosa di utile. 

Dei fogli volanti fluttuano per aria, smossi dalla furia esploratrice del Turk biondo. Con loro, anche la polvere, accumulata dovunque e a quintali, fa la sua comparsa levandosi in volo, ed investendomi in pieno.

Sventolo la mano per farmi aria, e tossicchio rumorosamente. C’è da morire intossicati qui dentro!

 

- Allora? Hai trovato qualcosa? – chiedo per l’ennesima volta, sentendo la mia smisurata pazienza, farsi sempre meno smisurata.

 

- Il computer.

 

- Il computer?

 

- Dobbiamo avviare il computer! Quello che cerchiamo è lì.

 

- Dobbiamo? – replico contrariato. - Ti ricordo che sei tu, l’esperta. Io con quelle macchine assurde e troppo sofisticate, non ho nulla a che fare!- Mi porto le braccia al petto, fingendomi disinteressato.

Elena non sente ragioni. Quando è concentrata su ciò che sta facendo, è pressoché inutile parlargli. Tanto non ti ascolta!

 

- Devi tenermi questo! – incalza lei. 

Mettendomi un grosso cavo tra le mani, la collega a posizionarsi davanti all’infernale aggeggio, e comincia ad ispezionarlo.

Faccio come dice, e me ne sto fermo, impalato come una statua, in mezzo allo sgabuzzino, a sorreggere l’enorme filo.

 

Fortuna che dovevo essere io, quello a dover supportare maggiormente Elena! Almeno così sosteneva Rude…

 

- Collegalo al pannello di controllo che c’è alle tue spalle. Dopodichè, all’unisono dobbiamo spingere in su un bottoncino verde, e aspettare che si avvii.

Sento una raffica di parole, una dietro l’altra, che mi dicono di fare qualcosa.

Dette così all’improvviso, è davvero sleale! Qualcosa però sono riuscito a capire. 

Faccio ancora una volta come dice.

Inserisco l’attaccatura del cavo nell’apposito vano sul pannello, dopodichè mi volto per  sincronizzare i movimenti della sua mano con la mia, ed aspetto il segnale.

Un cenno del capo, e via. All’unisono spingiamo i due pulsanti all’insù, che producono un rumore simile al ronzio di una zanzara gigantesca.

Adesso, non mi resta che aspettare che quel fottuto monitor parta.

 

 

Passano alcuni secondi, ma nulla si smuove. Eppure la procedura è stata eseguita alla perfezione, direi.

Cerco di mantenere la calma, mi appoggio per qualche istante con la schiena alla parete, e faccio appello a tutta la pazienza che ho in corpo.

Elena sta premendo dei bottoni accanto al pc, nella speranza di vederlo funzionare. Delle spie luminose sembrano accendersi per pochi attimi, ma poi tutto ritorna allo stato di prima. 

Intanto i secondi si trasformano in minuti, la situazione si fa insostenibile e la mia pazienza mi abbandona del tutto.

 

- Ci vorranno dei minuti, prima che si avvii. – sentenzia l’acida donna, sparandomi una verità che purtroppo non riesco ad accettare.

Ho i vestiti zuppi, sono fradicio e ricoperto di immondizia, e questo fottuto coso si concede il lusso di farmi aspettare?!

No, evidentemente non sa chi sono io!

 

- Minuti un corno! O si avvia all’istante, oppure lo trasformo in una lattina di birra, zo to! – Un po’ per rabbia e un po’ perchè sto avvizzendo, colpisco il pannello di controllo con un violento pugno. La lamiera che lo ricopre emette un tonfo piuttosto forte che rimbomba a sua volta tra le pareti nei paraggi.

Il ronzio fastidioso cessa, e come per magia il monitor del pc si colora di luce.

 

- Si è accesso! – esulta Elena, saltando quasi dalla sedia per la gioia.

 

- L’ho sempre detto che con le maniere forti si ottiene tutto. – dico con un sorriso appena pronunciato, e completamente fiero di me.

 

La bionda comincia a battere le dita sulla tastiera, ad un ritmo incalzante e frenetico. La guardo di sottecchi mentre lavora con dedizione ed impegno, poi nell’osservare quelle dita rapidissime, mi viene un gran mal di testa. Afferro una sedia nelle vicinanze, e la porto davanti a me, per poi stravaccarmi su di essa con il petto rivolto allo schienale. Porto le braccia sulla spalliera, e vi adagio la testa per rilassarmi.

 

La mia parte l’ho fatta. Adesso tocca alla bionda, entrare in scena.

- Di preciso, cos’è che speri di trovare all’interno di questa diavoleria meccanica? – domando un po’, tanto per farmi vedere interessato.

 

- Qui dentro sono registrati i dati di tutti i soldati che sono stati accolti nella struttura. Cartelle cliniche comprese. E’ un modo in più per conoscere meglio i nostri avversari, e i loro punti deboli. In questo modo potremo stilare una lista che ci permetterà di identificarli, qualora ce ne fosse bisogno.

 

- Oh… capisco!

In realtà non è che abbia capito molto.

E’ una sorta di censimento, giusto?

A cosa serve una lista di questi malati, se poi non sappiamo nemmeno dove andarli a pescare?

Infondo Elena ha detto “qualora ce ne fosse bisogno”. Ciò significa che potremmo anche scansarci la fatica di dover combattere contro di loro…

Se non vogliono minacciare la Compagnia, allora non è affar nostro. Se ne occuperà sicuramente Cloud che, prendendo a cuore il problema dei tizi scomparsi, riporterà il solito ordine.

Cazzo, però! Sterminare così decine e decine di cittadini di Kalm, e rapire donne e bambini davanti ai miei occhi, mi rode parecchio!

Sento ancora nella testa quelle urla strazianti di dolore…

Questi Deepground hanno iniziato a provocarmi un po’ troppo, per i miei gusti… E poi quella megera bionda mi viene a dire di stramene buono e di non superare i limiti! Tsk! Se Rude non trova mio padre, vedrà quanti limiti che infrangerò, pur di rintracciarlo!

 

Elena si solleva di botto dalla sedia. Io la seguo immediatamente a ruota, mettendomi in piedi con la schiena ritta, peggio di quella di un soldier.

 

- Fatto! Ho inviato i dati al capo tramite il terminale che ho collegato al telefono. Il nostro compito qui è finito.

 

Rimetto a posto la sedia, e tutto contento mi dirigo verso l’uscita. Non me ne frega un accidenti di dovermi rituffare in quel bitume d’acqua. Voglio uscire fuori da qui, e contattare il socio pelato!

Mio padre ha la precedenza su tutto! Perfino su questo schifo di liquame.

- Madamigella…- faccio con un soave inchino- Si accomodi pure nella vasca!

 

Elena non si scompone per niente. Il suo viso sembra essere addirittura radioso! Non c’è altra spiegazione: è contenta perché ha svolto bene il suo lavoro, e sa che Tseng la accoglierà con un complimento, non appena saremo da lui.

Ci tuffiamo in acqua facendo per l’ennesima volta il lungo percorso, questa volta a ritroso, e guadagniamo in fretta l’uscita.

Sfociamo nella piscina dell’ospedale. A primo impatto l’acqua sembrerebbe molto più calda di prima, ma in realtà è solo impressione.

Così come sono solo un’impressione quelle lunghe lingue di fuoco che volteggiano allegramente al di fuori dell’acqua, nell’ambiente attorno alla vasca.

Un brutto presentimento mi accarezza la mente. Nuoto alla svelta da Elena, e la trascino verso il basso afferrandola per la caviglia. La collega dapprima oppone resistenza, poi, successivamente, quando le faccio cenno di guardare verso l’alto, si ferma, come pietrificata.

Le intimo di restare sul fondo della piscina intanto che io risalgo a dare un occhiata.

La mia zazzera rossa riemerge dall’acqua come un sottomarino che risale in superficie. Non ho neppure il tempo di togliermi il boccaglio, né tanto meno di guardarmi attorno, che una scarica di pallottole viene scagliata violentemente sul pelo dell’acqua.

Guai in vista! Me ne rendo conto all’istante. Faccio appena in tempo a mettermi al sicuro sotto le tonnellate di liquido puzzolente, e a raggiungere la mia collega.

“La baracca sta andando a fuoco, e oltretutto se usciamo da qui ci sparano addosso!” vorrei dirle.

Tuttavia, con il boccaglio, mi riesce piuttosto difficile. Tento di descrivere la situazione improvvisandomi mimo. Elena fa cenno di no con la testa, mostrandosi sempre più tentennante.

Vista la situazione d’emergenza, sono obbligato a passare alle maniere drastiche.

L’agguanto per un braccio, e me la trascino in superficie per farle vedere la situazione con i suoi occhi. Quando le nostre teste spuntano fuori dall’acqua, tengo la ragazza forte a me, pronto a guizzare di sotto al primo colpo di pistola. E quest’ultimo, arriva in un lampo. Non uno, bensì una scarica impetuosa di proiettili, forse sparati da una decine di mitragliette, ci viene incontro. Stringo Elena a me, e mi spingo verso il basso, fino a raggiungere il fondo della piscina.

 

La situazione è altamente drammatica. Prima o poi le bombole d’ossigeno si svuoteranno, e l’aria finirà. Restare qui equivarrebbe a ritardare di qualche minuto la nostra morte… una prospettiva allettante, ma che mi mette in agitazione.

Non c’è altra scelta. Faccio cenno ad Elena di raggiungere il covo segreto. Ci immettiamo per l’ennesima volta nel cunicolo stretto, per poi spuntare dall’altro lato.

Una volta all’asciutto, sfilo il boccaglio dalla bocca, e per rabbia lo scaglio a terra. L’aggeggio rimbalza pesantemente sul pavimento, poi si rompe.

 

- Cazzo!!!

 

- Erano i Deepground! Sapevano della nostra presenza! – esclama Elena, infilando una parola dietro l’altra. E’ visibilmente agitata.

 

La rendo fissa nei miei occhi per brevi secondi, poi osservo il pc.

 

- Quel dannato aggeggio!!dico con tono furioso, additandolo minacciosamente.- E’ possibile che…

Non finisco neppure la frase, che la mia collega ha già capito tutto.

 

- Lo escludo! Non è stato lui a rilevare la nostra posizione! E’ un circuito telematico che può essere localizzato solamente dalla Shin-Ra.

 

Cado assorto nei pensieri. Se non è stato lui, allora

- Possibile che…

Una strana supposizione mi solletica la mente.

A quanto pare, vista la sua espressione allibita, anche Elena ha avuto lo stesso mio pensiero.

Ci fissiamo in faccia sconcertati, ed all’unisono esclamiamo:

 

- La coppietta!

 

Non so se sentirmi amareggiato, o soltanto prendermi a schiaffo per la mia negligenza.

Come ho fatto a non pensarci prima!

D’altronde lo facevo anch’io, quand’ero all’accademia militare della Shin-Ra.   

Stai con qualcuno dell’accademia, e sai che se vi vedrebbero amoreggiare, oltre ad una ammonizione da parte dei professori e dal regolamento, non troveresti più pace tra i compagni dell’istituto, quindi per stare un po’ da soli te la porti in un posto dove non ti verrebbe mai a cercare nessuno. Morale della favola: reputazione salva, e anche voto in condotta.

C’è una coppia tra i Deepground che si ama, e quindi, per evitare di esser vista, se ne nella vecchia base dove non li vedrebbe mai nessuno. A parte noi.

Sono stato davvero uno stupido a lasciarmi forviare così facilmente.

 

- Te lo avevo detto che c’erano i cartelli a guardia di questo posto! – rimbecca la voce acida della bionda, nei confronti del sottoscritto che non perde tempo a difendersi.

 

- Ed io ribadisco che al giorno d’oggi ci sono persone a cui piacciono le emozioni forti! Cosa potevo saperne di quei due sottrattisi all'obbligo militare per dedicarsi a tutt’altri obblighi!? – Vuoi forse che ti ricordi com’era il colore della tua faccia, alla loro vista?!

Guarda un po’ se la colpa di tutto, non doveva ricadere su di me! Quando Elena fa così, mi fa terribilmente imbestialire…! Tuttavia… - Non mi sembra il momento adatto per mettersi a litigare!

 

Mi avvicino in direzione della ragazza, che non appena mi vede sopraggiungere, inizia a fremere come una foglia. Ciò nonostante, le mie intenzioni sono ben altre.

- Non ho voglia di punzecchiarti, puoi abbassare la guardia. Mi interessa invece la grata che c’è alle tue spalle. – segnalo.

Mi dirigo verso di essa, e cerco in tutti i modi di farla saltare dai supporti che la tengono inchiodata al muro.

- Dammi una mano, piuttosto!

 

Elena scuote il capo, con un gesto secco. Ha già capito le mie intenzione, e a quanto pare non ne è per niente entusiasta.

- Non possiamo andarcene da lì! Quel condotto conduce dritto all’anfratto dell’ascensore. E’ una strada senza uscita! – sentenzia con quella sua voce da maestrina, che non fa altro che irritarmi.      

 

Sbatto un pugno sul muro. – Indietro non possiamo tornare, e moriremo senz’altro se restiamo qui! Questo posto sarà divorato dalle fiamme, lo capisci o no?!

 

Elena sembra impressionata dalla mia reazione così impulsiva e drastica. Con una voce flebile e appena sussurrata si limita a replicare: - Ma il protocollo dell’ospedale dice…

 

La precedo, tagliando corto:

- Al diavolo te e il tuo protocollo! – scuoto il capo come per scrollarmi di dosso le sue inutili contestazioni- Pensala come ti pare, ma io questo pertugio lo vedo come l’unica speranza di uscire indenni da qui!  

Il silenzio della dispotica Turk dal caschetto biondo mi fa riflettere. 

Sicuramente starà pensando che tutto sommato, io ho ragione. Io. 

 

- Perché non ammetti che infondo ho ragione?! Forse perché credi che io non sappia cosa significhi avere ragione?! Oppure perché mi reputi uno smidollato capace soltanto di trastullarsi e basta!?

 

- Ok! - Sento esclamare ad un tratto. – Ti aiuto!

 

- Alla buon ora! – replico fingendo di essere un po’ risentito. Infondo, non lo sono poi tanto. Conosco Elena, e sfortunatamente conosco anche il suo pessimo carattere. La cosa più importante è uscire da qui. Una volta salvata la pellaccia, penserò a darle una scrollata di capo che difficilmente dimenticherà!

 

- Allora… qual è il piano? – Perché, dovrei averne uno?

Sorrido per convincerla che ce l’ho, e invece non ho la benché minima idea di cosa fare una volta che saremo entrati nel cunicolo.

Tentiamo di sradicare la grata dalla parete, però non è un’impresa da tutti i giorni.

Comincio a guardarmi intorno, nella vaga speranza di trovare qualcosa che possa essermi utile, ai fini di smanterellare questi cardini mezzi arrugginiti.

Le pale metalliche del ventilatore appeso sopra le nostre teste, potrebbero fare la differenza.

 

- Scusi madame, ma la situazione lo richiede! - Prendo brutalmente Elena in braccio, e la convinco a farla salire sulle mie spalle. Non è che la collega sia proprio una piuma, però date le circostanze… non mi lamento. – Sfila via una di quelle pale! – le ordino. Proprio come un bravo cadetto, la bionda esegue gli ordini.

Una volta ottenuto il prezioso aggeggio, mi metto all’opera.

Faccio scorrere la sottile pala nella fessura che c’è tra la griglia e il muro. Facendo leva su di esso, cerco di allargare la griglia più che posso, in modo da allentare i cardini che la tengono inchiodata al muro, e sfilarla via. Con un po’ di sforzo e una punta di fatica, riesco a farcela.

 

- Siamo liberi! – esclamo gettando a terra la grata, come se stessi gettando alle spalle una valanga di fastidiosi problemi.

 

- Quasi liberi. – Elena è lì, pronta a sottolineare tutto ciò che per lei è da sottolineare. Vale a dire ogni parola che dico

 

- Che ottimismo…! – dico di rimando. Sollevandomi con la forza delle braccia, mi arrampico nel condotto.

La giovane è in netta difficoltà. Con quelle sue braccine sottili, dubito che riesca a sostenere il suo dolce peso. Da bravo ragazzo, le allungo una mano. Tiro su la collega, che si avvinghia al mio arto superiore con troppa forza. Sul mio viso si dipinge una smorfia di dolore che poi si tramuta in urla disumane. Tiro a me l’arto dolorante, ed Elena mi finisce a dosso a causa dello strattone. Metto le mani avanti, per istinto, ma per la bionda Turk, è come se lo avessi fatto per toccarle quello che in realtà non possiede.

Mi dà repentinamente uno schiaffo.

 

- Hey! – scatto adirato verso di lei - Ti pare che in una simile situazione, mi metta a fare il pervertito?!

Figuriamoci se questa matta paranoica mi ascolta…

Me la lascio alle spalle, e vado via per la mia strada, facendo da apri fila nel cunicolo.

Un posto alquanto spazioso, massimo tre persone in larghezza, ed un nano di 1 metro e 30 in altezza.

Non c’è nemmeno bisogno di starsene a gattoni, per camminare.

Assumendo la posizione di un gobbo, si riesce perfettamente a spostarsi su due gambe, anziché quattro.

Dopo un bel pezzo di tragitto, finalmente giungiamo all’uscita.

Da qui si intravedono appena i fili dell’ascensore, che penzolano verso il basso, e qualche filo di erbaccia che ha iniziato a ricoprire le pareti.

Elena sopraggiunge dopo poco.

 

- Dunque, qual è il piano?

 

Mi giro lentamente verso di lei.

- Già, il piano…- A questo punto dovrei averne uno… - deglutisco e sottolineo- Dovrei.

 

Mi gratto un po’ la testa, cercando di prendere tempo.

Sono un tipo abbastanza pigro, ma temo che sia arrivato il momento di far funzionare la mia materia grigia, e trovare alla svelta una soluzione.

Mi affaccio verso il baratro. E’ così profondo che da qui non si riesce a vedere la fine. Inoltre, non mi pare neppure di scorgere la cabina dell’ascensore, lassù in alto. Che sia finita di sotto? Senza nessun appiglio, sarà impossibile aprire quelle maledette porte automatiche… Che seccatura!

Un brivido gelido mi fa trasalire. Se cadessimo da quest’altezza, sarebbe un bel problema.

Beate queste piante, che sembrano starsene lì, a penzolare nel vuoto, senza nessuna paura di finire giù. Tanto, sono sorrette da chissà quale robusto arbusto che si trova là fuori.

 

Un momento.

 

Se ci sono delle piante, allora significa che una di quelle porte automatiche deve avere sicuramente qualche squarcio! Altrimenti com’è possibile che questo fogliame sia finito qui sotto? Gli arboscelli non forano l’acciaio, bensì vi si infiltrano se trovano un’apertura!

 

- Fatti da parte, donna!

Faccio indietreggiare Elena di alcuni metri, e mi preparo a prendere una bella rincorsa.

Infondo, devo solo centrare uno di quei fili, e sperare che mi sorregga. Facile, no?

 

- Cos’hai intenzione di fare? – chiede la bionda, con uno sguardo serio e preoccupato.

 

- Osserva e impara, perchè poi toccherà a te!

Dico la solita frase in maniera teatrale, e successivamente mi lancio in avanti spedito come un razzo verso l’obbiettivo.

Tengo fissa l’immagine della fune davanti a me, e non la mollo nemmeno quando i miei piedi si staccano dal pavimento, e mi lancio nel vuoto.

L’impatto della spinta, fa sì che il mio corpo attraversi con successo l’intero baratro. Senza pensarci due volte e alla svelta, acciuffo al volo la fune e mi tengo avvinghiato ad essa. La pressione mi fa dondolare vorticosamente, da un lato all’altro delle pareti, sbattendomi sui muri in maniera non proprio delicata. Nonostante tutto, non mollo. Al contrario, mi avvinghio ancora di più alla fune, e aspetto che il movimento ondulatorio finisca.

 

Quando penso di avere la situazione sotto controllo, chiamo Elena a rapporto.

 

- Adesso tocca a te! Avanti!

 

Il caschetto della collega ondeggia rapidamente. – Non ci penso nemmeno! E poi… quelle funi reggeranno un altro peso?

 

Osservo svogliato le corde, e poi do ad Elena la sua meritata risposta: - No.

Con una gamba, mi do una spinta facendo pressione sulla parete, e inizio a dondolare.

- Guarda che non mi sognerei per niente al mondo di farti cadere! Andiamo Elena, non abbiamo molto tempo! – la incito. Poi, trovo un metodo migliore per farla reagire- Fallo per Tseng! Pensa a quanto sarà contento di sapere che hai compiuto simili gesta!

La ragazza serra gli occhi, e si lancia nel vuoto.   

Accidenti! E’ il caso di dirlo: per quell’uomo,sta qui si getterebbe anche nel vuoto!

La prendo al volo tra le braccia, e le ordino di afferrarsi alle mie spalle con tutta la forza che le è rimasta dentro.

Risalgo a fatica la fune, con alcune gocce di sudore che mi attraversano le guance fino a percorrere il mento, e poi giù, lungo il collo e oltre.

Sento Elena muovere appena il capo.

L’ammonisco all’istante.

- Non guardare giù! – Oppure finirai per mettere anche me in agitazione! Come se non lo fossi già di mio

 

- L’uscita! Vedo l’uscita! – esclama la ragazza, a più non posso, urlandomi nelle orecchie.

 

La fune vibra.

- Sccc!!! Parla piano! Questa corda potrebbe venir giù da un momento all’altro! Hai intenzione di diventare una frittella? – Io no!

Però in un certo senso, le sue parole mi hanno messo di buon umore, dandomi lo sprint necessario per uscire da qui alla svelta.

Issandomi velocemente, e con un ultimo sforzo, guadagno la tanto agognata uscita.

Do l’aggio ad Elena di scendere dall’altro lato, dopodichè la seguo senza tanti preamboli, lanciandomi oltre la porta automatica e finendo rovinosamente a terra.

 

Prendo fiato per un attimo, poi, aiutato dalla mano della collega, mi tirò su.

 

- Tutto ok? – domanda lei.

 

- Starò meglio non appena saremo usciti da questo postaccio!

 

Elena mi sorride.

- Per una volta, sono d’accordo con te!

 

Corriamo fuori, verso l’uscita, aprendoci un varco tra le fiamme che avanzano minacciosamente minando la nostra incolumità.

Squilla il cellulare.

In un momento simile, non mi andrebbe affatto di rispondere. Tuttavia, incitato da Elena, sono costretta a farlo.

 

- Qui Reno! – scandisco, con il fiatone e i passi che incalzano.

 

Dall’altro capo la voce di Tseng mi segnala della presenza di un elicottero della Shin-Ra, proprio sopra l’uscita dell’ospedale.

 

- Ricevuto, capo! – esclamo riponendo in seguito l’aggeggio nella tasca.

Raggiungiamo la porta principale, e finalmente usciamo da quell’inferno di fiamme che si chiude alle nostre spalle e si divora tutto.

Mi aggrappo alla scaletta che pende dall’elicottero, e trascino con me anche Elena.

L’aeromobile si alza in volo smuovendo, con il roteare delle sue eliche, il fogliame nei dintorni, e quando l’ospedale in fiamme si fa sempre più piccino e lontano, finalmente posso tirare un lungo sospiro di sollievo e rilassarmi.

 

 

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Ragazzi scusate immensamente il ritardo, volevo aggiornare prima ma il lavoro di plush maker mi sta togliendo tantissimo tempo libero…
Spero di pubblicare il prossimo chap molto presto, e soprattutto di rispondere anche alle recensioni di coloro che continuano a lasciare commenti, tra l’altro mooolto graditi, alla mia, anzi, nostra Red Head! ^___^
Alla prossima!
Botan

   
 
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