~PARTE II~
«Mmh... ciao. È un po’ che non ci si vede», borbottò Aaron imbarazzato. Mentalmente si rimproverò, perché davvero non aveva alcun motivo per esserlo.
Aveva avuto di meglio da fare e il ginocchio gli faceva male. E non doveva niente a Till, niente.
L’altro lo osservò in silenzio.
«Eh... come va?», chiese Aaron, cercando di instaurare un dialogo. Peggio ancora, ora si sentiva in colpa.
«Sono ventisei giorni che non ti vedo», borbottò Till piatto, ma poi il suo viso inespressivo si sciolse in un sorriso sollevato «Temevo che ti fosse successo qualcosa. Stai bene, meno male».
Aaron avvertì lo stomaco fargli una capriola. Era passato dal sentirsi in colpa al sentirsi una merda.
«Proprio ventisei, eh? Ehm, li hai contati precisamente...».
Till gli rivolse una smorfietta fra il triste ed il dolce che gli rivoltò di nuovo lo stomaco.
«Immagino avrai avuto molto impegni...».
«Mi faceva male il ginocchio!», esclamò Aaron. Una frazione di secondo dopo, dentro di sé inorridì.
Perché cazzo mi sto giustificando?, si chiese infastidito, ma come vide il viso di Till illuminarsi decise che forse poteva fare lo sforzo di rendere contento quel poveretto.
Zane l’avrebbe fatto. Era sempre buono e gentile con tutti.
«Quel ginocchio deve darti proprio tanti problemi», osservò Till, e Aaron annuì.
«E se ti risolvessi il problema... poi riusciresti a venire tutti i giorni?».
Aaron rise «Non prendermi per il culo, dai».
«Non sto scherzando», disse Till serio, e facendo apparire i gradini lo invitò tacitamente ad entrare.
Il pavimento di pietra grigia era freddo, freddissimo contro la sua
schiena nuda. E Zane non era nel suo campo visivo.
«Oggi è un giorno importante per voi, piccoli miei», disse il Capo
Sacerdote con voce allegra «Una dura prova vi attende, ma se avrete fede riuscirete
a superarla».
«Voi Sacerdoti avete pure poteri curativi?», chiese Aaron scettico, poggiando cautamente i piedi a terra. Il cielo era privo di nubi, era una buona giornata.
«Mh... una specie», borbottò Till «Levati i pantaloni. No, non guardarmi così, non voglio abusare di te».
Aaron lo fissò torvo.
«Non potrei neanche se volessi», ridacchiò Till «Non fare lo sciocco, devo toccarti il ginocchio. Ma se riesci a tirarti su i jeans... o preferisci che prenda le forbici?».
«E se ci vede qualcuno?».
«Non ci vedrà nessuno, fidati».
Rassicurato dall’espressione tranquilla di Till, Aaron fece come gli era stato chiesto. Seduto a terra mentre l’altro gli tastava il ginocchio pensieroso, non poté fare a meno di notare che Till aveva mani caldissime.
«Credo di potercela fare», borbottò Till «Tu bada solo a non interrompermi», e cominciò a mormorare qualcosa in una lingua che l’altro non conosceva.
Peccato non sia una ragazza, si ritrovò a pensare Aaron, e la riflessione lo turbò.
Till era tanto androgino che con una parrucca, un po’ di trucco e una protesi sul davanti sarebbe passato comodamente per una donna. Bella.
Si portò una mano agli occhi e scosse la testa per scacciare il pensiero.
«È necessario, piccoli miei, che apriate la vostra mente ed il vostro
cuore», continuò il Sacerdote camminando su e giù fra i bambini, distesi a
terra in file ordinate.
La Sala delle Celebrazioni dell’Achre era gelida, tanto che Till quasi non si sentiva più le dita.
«Siete le creature che più si avvicinano alla perfezione della Trinità.
Spalancate i cancelli della vostra anima e scacciate ogni dubbio ed ogni
timore, poiché dubbi e timori portano con sé il Caos».
Till sollevò appena la testa, ma fra tutti quei capelli bianchi
riconoscere Zane era impossibile. Un Sacerdote lo avvicinò e gli spinse il capo
a terra.
«Sarà doloroso, piccoli miei, non ve lo nascondo. Ma questo dolore è
necessario, perché solo tramite la sofferenza potrete compiere la completa
purificazione che vi avvicinerà agli Dei. È necessario che piangiate, perché sarà
tramite le vostre lacrime che gli Dei potranno misurare la vostra purezza. E
quando le vostre lacrime assumeranno il colore del sangue...».
Il Sacerdote fece una pausa, e concluse con enfasi: «Allora, allora sarete
degni del potere divino e potrete celebrare ed onorare la Trinità!».
Fra i bambini corse un debole mormorio spaventato.
«È ovvio», continuò il Sacerdote con un tono di voce ora neutro «Che
fra voi qualcuno non riuscirà a superare la prova. Quando il potere della
Trinità entrerà in voi il vostro corpo umano lo rigetterà, e comincerà la
Corruzione. Ma se avrete fede, con le lacrime rosse la Corruzione si fermerà e
si ritirerà senza lasciar traccia».
Till si morse un labbro, il cuore che sembrava volergli sfondare il
petto.
Gli veniva da piangere.
Avvertì il Sacerdote allontanarsi ed esclamare, poco dopo: «Compagni,
possiamo dare inizio al rituale!».
I Sacerdoti iniziarono a cantare un salmo dalla melodia triste, ed il
coro di voci che si levò quasi fece piangere Till. Riusciva a cogliere qualche
frase della preghiera, qua e là.
“Divina Trinità, penetra nel corpo dei tuoi figli”, “allontana e
distruggi il Caos”, “scegli chi ritieni degno”.
Il bambino strinse i denti e riuscì a rivolgere un ultimo pensiero a
Zane, prima che un’ondata di energia gli attraversasse il corpo. Inarcò la
schiena e sgranò gli occhi.
Faceva male. Tanto, troppo per un bambino di dodici anni.
Boccheggiò, incapace persino di gridare. O forse stava già gridando di
dolore, ma non riusciva a distinguere la propria voce dalle altre?
Gli sembrava di andare a fuoco.
Avvertì un dolore atroce al polso destro, che gli ricordò quando,
alcuni anni prima, si era ustionato con l’acqua bollente. Solo che questo era
decine di volte più intenso.
Contorcendosi, i muscoli attraversati da nuove ondate d’energia, riuscì
a sollevare il polso all’altezza degli occhi, e vi scorse una macchia nerastra.
Per quanto sarebbe andato avanti tutto questo?
Aaron spiccò un balzò e lanciò la palla dentro la porta. Il portiere tentò di afferrarla, ma gli passò fra le mani e colpì il muro dietro di lui.
«Punto!», gridò il ragazzo eccitato, e portò istintivamente una mano al ginocchio.
Non doleva. Nemmeno un pochettino.
Quasi gli vennero i goccioloni.
«Till! Till, allora facevi sul serio!», esclamò Aaron, raggiungendo il solito punto di corsa.
Seduto sul muro, l’altro piegò la testa di lato.
«Facevo sul serio?».
«Sì, con il mio ginocchio! Cioè... oggi ho fatto educazione fisica e non mi ha fatto male nemmeno un secondo!».
«Mi fa piacere», disse Till, e gli sorrise.
Aaron si grattò la testa, imbarazzato «Quindi pensavo... cioè... che mi dovrei sdebitare. Mi permetti di offrirti il pranzo?».
Il viso di Till si illuminò.
«Volentieri», rispose allegro, e fece apparire i soliti gradini.
Aaron saltellava sul posto, raggiante, ma parte dell’entusiasmo mutò in perplessità quando notò la lentezza con cui Till stava scendendo. Sembrava metterci un’insolita cautela.
Gli mancavano due scalini quando un’espressione di dolore gli attraversò il viso, e cadde a terra.
«Ehi, ti sei fatto male?», gli chiese Aaron aiutandolo a rialzarsi «Che hai?».
«Tutto a posto», tentò di rassicurarlo Till, ma all’altro bastò un’occhiata per capire che aveva un problema ad una gamba. La destra.
Aaron impallidì.
«Non fare quella faccia», borbottò Till, poggiandosi a lui per non cadere «Con la vita di merda che faccio, avere un ginocchio sano o meno non mi cambia di una virgola».
Steso nel giardino dell’Achre a godersi il sole primaverile, Till chiuse gli occhi e non poté trattenere un sorrisetto. Era da un po’ che non si sentiva tanto a posto con se stesso.
«Cos’è quell’aria cretina?», chiese una vocetta stridula. Till scattò a sedere e si guardò attorno senza scorgere niente.
«Vieni fuori, non ti vedo», disse, e pochi secondi dopo una colomba bianca gli planò davanti.
«Giochi ai fidanzatini?», gli chiese l’uccello, ma Till lo ignorò.
«Una colomba? Tu? Ma la colomba non dovrebbe essere simbolo di purezza e menate varie?».
L’uccello emise un verso che parve di disappunto.
«E poi la vuoi smettere di cambiare aspetto? Mi disorienti».
«Tu ti lamenti? E io che dovrei dire?», ribatté piccata la colomba «Ma la nana di merda s’è fatta furba. Quasi mi ha beccato, l’altro giorno».
«Nana di merda?».
«Izdy. La nana di merda. È un soprannome».
Till alzò gli occhi al cielo «Va bene, non voglio sapere altro. Senti, almeno oggi puoi evitare di scocciarmi? È una bella giornata».
«Mocciosetto noioso», sbottò la colomba e si alzò in volo «Mancano meno di due mesi, ormai».
«Lo so», mormorò Till, e le sorrise «Non vedo l’ora».
Till aprì gli occhi, e per diversi minuti percepì solo immagini sfocate
e confuse.
Non riusciva a capire quanto tempo fosse passato dalla cerimonia, ma
era certo di essere svenuto e rinvenuto più volte mentre lo portavano da
qualche parte.
Il dolore si era un poco acquietato, per lo meno quello che interessava
l’intero corpo. Non appena fu in grado di scorgere immagini nitide, sollevò il
polso destro ed osservò la macchia nerastra, che ora glielo avvolgeva tutto.
Singhiozzò per il dolore e forzando i muscoli indolenziti si mise a
sedere.
Sentiva bruciare anche la gamba destra, e dopo essersi sfilato i
pantaloni poté appurare che lo stinco e la coscia erano ricoperti da numerose
macchioline nerastre non più grandi di una moneta.
“Ce la posso fare”, si disse asciugandosi le lacrime “Sarò forte.
Resisterò”.
Se la camera fosse stata insonorizzata, forse ci avrebbe creduto.
Se non gli fossero giunte alle orecchie strazianti grida di dolore,
forse sarebbe riuscito a convincersi che non era una prova poi tanto difficile.
«‘Cazzo c’hai oggi?», chiese Annet, osservando il fratello dalla soglia della camera «È la quinta volta che la tua fidanzatina ti chiama, mi sono rotta. Rispondi, cazzo!».
Aaron, steso sul letto con un libro di scuola davanti, sbuffò.
«Dille... dille che ho mal di testa, toh. E non scocciarmi, sto studiando».
«Sììì, studiando», borbottò lei, ed abbandonò la stanza sbattendo la porta.
Non appena fu scomparsa, Aaron chiuse il libro e lo buttò da una parte. Era inutile tentare di concentrarsi, tanto continuava a pensare al gesto di Till.
Till, Till, Till. Cominciava ad ossessionarlo.
«Ma a me piacciono le fe–».
S’interruppe. Gli piacevano le ragazze, e Till effettivamente lo sembrava.
Ed era bello. Neanche poco.
E poi era talmente gentile...
«Dei santissimi!», esclamò, tuffando la testa nel cuscino.
Questo poteva essere un problema.
Alla Corruzione bastarono poco più di sei ore per estendersi a tutto il
braccio destro. Giunta all’altezza della spalla si arrestò, ed iniziarono ad
allargarsi le macchie nere sulla gamba.
Till le osservava preoccupato, ansimando e piagnucolando ad ogni
centimetro che la Corruzione guadagnava.
Il braccio destro gli ciondolava immobile lungo il fianco. Aveva
cercato di muovere le dita, quando ancora l’avambraccio non gli era diventato
del tutto nero, ma ora non vi riusciva più, e solo il tentativo gli causava
dolorose fitte che preferiva evitare.
Uno dei medici gli aveva portato una pallina di gomma morbida, e Till
la massacrava senza sosta con la mano sinistra. Un po’ lo distraeva dal dolore.
Osservò l’anello nero che si era formato da poche ore attorno alla
caviglia. Voleva vedere Zane. Doveva vederlo.
Ed era necessario che lo facesse prima di perdere l’uso della gamba.
Mise i piedi giù dal letto, ma prima che potesse scendere la porta si
aprì e fece il suo ingresso un uomo dal camice azzurrognolo. Un medico.
«Numero 18, Till Crown», disse questi, scribacchiando qualcosa su una
cartellina «Mh,mi pare che le tue condizioni siano buone!».
«..Buone?», ripeté Till, soffocando un singhiozzo, ma il medico lo
ignorò. Gli si avvicinò e lo osservò attentamente.
«Vediamo un po’... il braccio destro è corrotto, la gamba destra è in
pieno processo, ma entrambi solo in superficie, a quanto pare. Per il resto...
mi sembra tutto a posto!».
«Tutto a posto?», ripeté ancora Till «Come può... essere “tutto a
posto”?».
«Hai una macchiolina sotto l’occhio destro. Ma che ti ha fatto la
destra, si può sapere?», disse il medico, e rise «Bene, tornerò a vedere come
stai fra qualche ora. Ora stenditi e mettiti tranquillo».
Till lo osservò allontanarsi, basito. Come poteva quell’uomo essere
così allegro? Erano tutti fuori di testa, lì dentro?
Aspettò che la porta si fosse richiusa e scese dal letto. Come i suoi
piedi toccarono terra, gli sembrò quasi di stare calpestando del vetro.
«Fa male», piagnucolò, ma il desiderio di vedere Zane era più intenso
del dolore. Si rimise i pantaloni ed uscì, poggiandosi al muro per aiutarsi.
Ogni passo era un tormento. Gli sembrava quasi che gli stessero
pugnalando il piede destro, ed ogni volta che lo posava a terra sentiva lo
stomaco rivoltarsi.
Dubitava di riuscire a raggiungere la camera di Zane senza vomitare.
Lasciando scivolare la mano sana contro il muro, contò le maniglie ed
aprì la quarta. O forse era la terza, o la quinta, o magari non si era mosso di
un passo.
Magari era ancora in camera sua e stava sognando.
Non capiva più niente.
Abbassò lo sguardo e vide ai propri piedi una massa di pelo bianca e
tondeggiante, e un sorriso eccitato gli si dipinse sul viso.
«Batuffolo!», esclamò, ma un istante dopo il coniglio non c’era più.
Scosse la testa ed aprì lentamente la porta.
«Zane?», chiamò, mettendo dentro la testa «Come ti sen-».
Ma la visione lo paralizzò.
Steso nel letto, attaccato a sacche di liquido trasparente e ad una
macchina per respirare, stava un... non avrebbe nemmeno saputo definirlo. Un
qualcosa.
Il qualcosa era d’un colore fra il nero ed il viola scuro, tolto
qualche sparuto ciuffo di capelli bianchi. Gli arti, il busto, il viso erano
sottili e consumati, quasi come quei vecchi cadaveri che aveva visto in
televisione da piccolo, quelli che trovavano gli archeologi ed erano tutti
secchi e magrissimi.
I suoi occhi, al contrario, erano tanto gonfi che parevano sul punto di
scoppiare.
«Dimmi che non sei Zane», pregò Till, e cominciò a piangere tanto che
per qualche minuto gli si annebbiò la vista. Si avvicinò con estrema lentezza,
tanto sconvolto da non avvertire quasi più il dolore fisico, e notò con
sollievo che la disposizione dei mobili era diversa da quella della camera di
Zane. Spostò allora lo sguardo al povero qualcosa, cercando di seguire il
movimento ininterrotto delle sue labbra.
«Vuoi... vuoi dirmi qualcosa?», gli chiese, ma non ottenne risposta.
Till osservò allora il proprio braccio.
Sarebbe diventato così anche lui, se la Corruzione non si fosse
ritirata.
Le labbra tremanti e il petto squassato dal respiro troppo rapido,
indietreggiò e abbandonò la stanza.
Aaron poggiò la testa sul banco, accompagnando al gesto un sospiro.
Il professore di storia parlava, parlava, parlava, ma lui non sentiva neanche una parola.
«Che hai?», sussurrò Alice, la sua nuova compagna di banco – Beth aveva preferito cambiar posto, sentendosi offesa dal suo comportamento.
Il ragazzo scosse la testa «Niente».
«Sì, niente, come no», rispose lei, e lo punzecchiò ancora «Guarda che ti ho visto, sono due settimane che sei strano. Che ti è preso? E poi credevo che Beth ti piacesse un po’ da sempre».
«Ho solo... qualche problema. Niente di grave».
Niente di grave... eccome se lo era.
Till, Till, Till... continuava a pensare a lui.
Uscito nel corridoio, Till mosse ancora qualche passo indietro per
avere una visione globale.
Nella confusione doveva aver contato la propria maniglia, e si tuffò
letteralmente nella stanza dopo.
«Zane!», gridò, e l’altro lo fissò dal letto.
Si scambiarono un largo sorriso, poi Till lo raggiunse di corsa – per
il sollievo non sentiva quasi il dolore al piede – e lo abbracciò col braccio
sano.
«Zane, Zane! Non immagini che paura mi sono preso!», esclamò,
scoppiando nuovamente in lacrime. Zane gli prese il viso fra le mani e lo fissò
negli occhi.
«Non dirlo a me. È da stamattina che ti penso sempre», gli disse, e lo
baciò «Come ti senti?».
«Ora meglio», sospirò Till «Se ti vedo il male passa in secondo piano.
Ma... la tua faccia...».
Till alzò il braccio sano a scostargli i ciuffetti del frangia, e
scoprì una macchia nera sulla fronte del compagno. Ne aveva un’altra, più
piccola, sul mento.
«La faccia è a posto. Sono... le gambe», borbottò Zane, e sollevò la
coperta.
La Corruzione lo aveva colpito dal ginocchio in giù, fino alla punta
dei piedi.
«Zane, ho paura», piagnucolò Till. L’altro gli rivolse una sorta di
sorriso d’incoraggiamento, ma non fu
abbastanza convincente da calmarlo del tutto.
«Mi prometti che non morirai?», lo implorò Till, e Zane annuì.
«Lo giuro. E tu?».
«Lo giuro anch’io!».
«Bene, abbiamo una promessa, allora».
Till annuì e lo baciò nuovamente.
«Fammi entrare, dobbiamo parlare», disse Aaron torvo.
Till obbedì, sul viso un’espressione fra il perplesso e il preoccupato, ed aprì bocca solo quando l’altro fu seduto davanti a lui, nel giardino.
«Che succede?», borbottò.
«Succede che... non capisco più niente, ecco».
Aaron incrociò le braccia ed abbassò lo sguardo, incapace di fissare Till.
«Cosa non capisci? Spiegati».
«Non capisco... tutto. Perché sembri una donna? Mi disorienti!».
Till aprì la bocca, ma prima che potesse dire qualcosa Aaron ricominciò a parlare.
«Insomma, cazzo! A me piacciono le femmine! Non i maschi!», esclamò, e si prese la testa fra le mani «Uffa».
«Aaron», mormorò Till. Gli si avvicinò ed afferrandogli le mani lo costrinse a guardarlo «Te l’ho detto una delle prime volte che ci siamo visti. Il problema non sussiste».
«Invece sì che sussiste! Perché tu sei un maschio! Ma sembri una femmina, cazzo».
Till scosse la testa e si lasciò sfuggire una risatina «Non credo mi si possa considerare un maschio. Lo sai, Aaron, cosa fanno ai bambini per... “permettere” loro di “purificarsi”?».
«No. Cosa?».
Till gli prese una mano e se la portò all’altezza dell’inguine.
«Ma che cazz...!», tentò di opporsi Aaron, ma quando le sue dita sfiorarono il bassoventre di Till gli si mozzò il respiro.
Niente. Non c’era niente.
«Credo... credo di voler vomitare», balbettò.
Till gli baciò una guancia e si allontanò da lui.
Zane si portò le mani alla testa, stringendo i capelli bianchi fra le
dita.
«Tutto bene?», gli chiese Till preoccupato, alzando lo sguardo dal
libro che stavano leggendo.
Zane tentò di annuire, ma a contraddirlo bastò l’espressione sofferente
del suo viso.
Allarmato, Till chiuse il libro e lo lasciò cadere dal letto.
«La Corruzione è ricominciata? Non si era fermata?».
«Si era», mormorò Zane,
lasciandosi scivolare contro il cuscino. Strinse i denti, ma non riuscì a
trattenere i singhiozzi.
«Dei, che male...!».
«Aspetta qui, vado a chiamare qualcuno!», esclamò Till, e scese dal
letto con cautela. Dall’inizio della Corruzione la gamba destra non era più
peggiorata, e ormai al dolore s’era abituato.
Anche il braccio gli faceva un po’ meno male; non da piangere tutto il
tempo, almeno.
Abbandonò la stanza e si incamminò lungo il corridoio parlottando fra
sé e sé, in modo da ignorare i rumori che provenivano dalle altre stanze.
Ma quando passò davanti ad una delle ultime porte non avvertì alcun suono.
«Uno in meno?», si chiese, accostando l’orecchio alla superficie di
legno. Non sentì niente di niente, nemmeno il bip bip
delle macchine per respirare. Aprì allora la porta, e dentro trovò tutto in
perfetto ordine e vuoto.
«Uno in meno», confermò, appuntandosi il dato mentalmente.
I medici non gli dicevano niente, allora aveva fatto da solo un calcolo
approssimativo: le stanze occupate prima erano trentadue, ed ora, a due giorni
dalla cerimonia, solo da ventotto di esse provenivano pianti, urletti o bip bip di vario tipo.
Richiuse la porta e riprese a camminare; arrivato alla rampa delle
scale, approfittò della finestra in cima agli scalini per lanciare un’occhiata
fuori.
Diluviava, il cielo era nero ed il vetro gli rimandò indietro la sua
immagine.
Till si portò una mano alla guancia destra, osservando con aria triste
la macchia nera attorno all’occhio. Riusciva a tenerlo aperto, ma quasi non ci
vedeva più.
«Come sono brutto», borbottò, e scosse la testa «Chissà come fa Zane ad
amarmi, brutto come sono. Ehi, Batuffolo!».
Si voltò ed osservò il coniglio, seduto sulla ringhiera delle scale.
«Sono tanto tanto brutto?», gli chiese, ma il
coniglio non gli rispose perché un istante dopo non c’era più.
Till si batté una mano sulla fronte.
Stava impazzendo, ed erano tutta quella morte e quella sofferenza
attorno a lui a farlo uscire di testa.
«E così ora sei in vacanza», osservò Till, e Aaron annuì.
Erano seduti su una panchina, davanti al laghetto dell’ampio parco cittadino.
«L’estate... effettivamente non l’avevo considerata. Peccato, vorrà dire che mi toccherà rinunciare alla tua compagnia».
«Chissà», borbottò Aaron «Quanti giorni mancano alla cerimonia?».
Till li contò velocemente «Quarantadue, se non erro. Non tanti».
«E da Sacerdote... potrai ancora filartela come fai ora?».
Till non rispose subito. Lasciò vagare lo sguardo davanti a sé a lungo, carezzando con le dita il bordo dell’orribile ed enorme capello da pescatore che indossava – era brutto, ma i capelli li copriva tutti.
«È relativo», disse infine, e Aaron inarcò un sopracciglio.
«Relativo?».
«Possiamo cambiare discorso, per favore? Non mi va di parlarne. Al momento vorrei non pensarci».
«Cosa ti infastidisce?», gli chiese Aaron, e Till scosse la testa.
«Non mi piacciono i cambiamenti radicali».
Aaron non capì cosa l’altro intendesse, ma rispettò la sua richiesta e non indagò oltre.
«Ma tu non fai niente tutto il giorno?», gli domandò allora.
Till rise e si volse a guardarlo con aria divertita «L’hai notato, eh? Te l’ho detto che la vita da novizio è una palla. Cioè... in teoria dovrei passare le mie ore a pregare, ma...».
«Che vita di merda», borbottò Aaron serio «Mamma dice che non c’è gioia maggiore che servire la Trinità... me ne ero convinto anch’io, ma credo d’aver cambiato idea».
Till gli sorrise. Per una frazione di secondo, un’unica frazione di secondo, Aaron scorse un’ombra sul suo volto. Aveva come l’impressione che Till volesse parlargli di qualcosa ma non trovasse il coraggio.
«E... mh... com’è la vita senza...?», borbottò Aaron lanciandogli occhiate allusive.
Erano due settimane che ci pensava. Ci aveva provato, ma non riusciva proprio ad immaginare una vita senza sesso.
«Guarda, è la mia ultima preoccupazione», rispose Till, e scoppiò a ridere.
«Non è... giusto, però», borbottò Aaron. L’altro si strinse nelle spalle, senza aggiungere niente.
Un passerotto planò a pochi passi di distanza dalla panchina, ed entrambi lo osservarono in silenzio mentre beccava il suolo.
Poi volò via, e Aaron si voltò verso Till.
«Dimmi una cosa», gli chiese «Se potessi esprimere un desiderio... cosa chiederesti?».
Per un attimo il voltò di Till cambiò espressione, come aveva fatto poco prima; sempre la stessa sensazione che volesse dirgli qualcosa ma non ne avesse il coraggio.
«Credo... che mi piacerebbe possedere i poteri del Caos, anche solo per un’ora».
«Non è proprio un pensiero da Sacerdote», osservò Aaron «Perché non quelli della Trinità?».
«Perché il Caos è più potente».
Aaron inarcò un sopracciglio «Sai che diceva così anche mio fratello?».
«Till!», gridò Zane. Si contorse nel letto, portandosi le mani al viso.
«Sono qui, sono qui», tentò di tranquillizzarlo l’altro. Si sedette
accanto a lui sul materasso e gli carezzò i capelli «Resisti, so che puoi».
Zane rotolò sulla pancia ed affondò il viso nel cuscino, mordendolo
tanto forte da strapparlo.
Scoppiò a piangere, e Till non poté far altro che carezzargli amorevole
la schiena.
«Zane...», mormorò, e gli baciò la testa.
Parlare gli faceva un male cane, con l’intera parte destra del viso
divorata dalla Corruzione, ma non aveva il diritto di lamentarsi.
«Fatti coraggio. I dottori sono ottimisti, sai?».
Non era vero per niente. Li aveva sentiti, la sera prima, parlottare
fra di loro; dicevano che, se metà dei bambini era morta nei primi cinque
giorni, l’altra metà l’avrebbe seguita nella settimana successiva.
“Però i numeri 18 e 26 rispondono bene”, aveva fatto notare uno di
loro, e gli altri si erano detti d’accordo.
Till non era del tutto convinto che un procedere della Corruzione più
lento della media fosse un “rispondere bene”. L’avrebbe definito piuttosto “una
agonia prolungata”.
Zane soffocò un urlo nel cuscino.
Till continuò a coccolarlo e a baciarlo con dolcezza, cercando di non
piangere pure lui.
Manco a dirlo, il numero 26 era Zane.
Aaron si alzò e mosse qualche passo verso il laghetto.
«Till... secondo te, dopo che sarai diventato Sacerdote potremo vederci ancora?».
«Se con “vedersi” intendi “intravedersi di lontano durante una funzione”, è possibile», rispose Till, e Aaron gli lanciò un’occhiataccia.
«Non lo so», disse allora, serio «Ma ti ho già detto che non mi va di parlarne. Certo che tutto questo interesse da parte tua... wow, non me lo sarei mai aspettato».
Aaron non rispose. Si limitò a stringersi nelle spalle, e calciò un sasso nel laghetto.
«Credo sia meglio che torni all’Achre», disse Till alzandosi «Comincia a essere tardi. Non posso allontanarmi troppo a lungo».
«Perché non scappi, se la vita da Sacerdote non ti piace?», gli chiese Aaron «Non dovrebbe essere così difficile, no?».
«Ormai è tardi, sono... vincolato».
«Da cosa?».
Till si mordicchiò un labbro e scosse la testa.
«Tu non me la racconti giusta», sbottò Aaron. Lo raggiunse e gli puntò l’indice al petto «Cosa mi nascondi?».
«Niente di importante», sospirò Till, e distolse lo sguardo.
Il volto rigato dalle lacrime, Zane si fissò le braccia nere ormai fino
al gomito.
«Till, ho paura», mormorò «Non voglio morire!».
«Non morirai», disse Till, posandogli la mano sana su una spalla «E
nemmeno io. Non preoccuparti».
«Non è vero! Non hai sentito quant’è calato il rumore?! Stiamo morendo
tutti!».
«Noi no», ribadì Till, e lo abbracciò. Gli baciò via le lacrime,
evitando di sfiorargli le zone corrotte del viso «Devi crederci».
Gli sorrise, cercando di essere il più convincente possibile, e Zane
doveva essere così stanco che gli credette subito. O forse non aveva solo
voglia di ribattere.
«Io... ci credo», borbottò «Ma... non posso nemmeno più
abbracciarti...! Non è giusto».
«Quando saremo guariti mi abbraccerai tutto il tempo che vorrai», gli
disse dolcemente, e lo baciò «Buonanotte, Zane. Ti amo».
Zane accennò una sorta di sorriso «Anch’io. Dormi bene».
Till scese dal letto ed abbandonò la stanza. Percorse il tratto fino
alla propria camera alla massima velocità che la gamba gli consentiva, e solo
quando vi fu giunto ed ebbe chiuso la porta si concesse di scoppiare a
piangere.
Un po’ perché la gamba era peggiorata e ad ogni passo gli veniva da
vomitare, ma soprattutto perché Zane stava morendo, e lo faceva più velocemente
di lui.
Ad una settimana dalla cerimonia, erano rimasti solo in sei. Era ormai
questione di giorni.
Till si gettò in ginocchio ai piedi del letto, congiungendo le mani con
uno sforzo immenso.
«Somma Trinità, perché dobbiamo morire?», singhiozzò, ma non gli giunse
alcuna risposta.
Il braccio destro gli doleva tanto che dovette abbandonare la
posizione, e il nuovo movimento gli ribaltò lo stomaco.
Raggiunse a fatica il cestino e vomitò. Quando rialzò lo sguardo, vide
Batuffolo che ruminava in silenzio.
«Di nuovo? Non la gamba, ti scongiuro», pregò, perché ormai aveva
notato che ad ogni allucinazione in cui appariva il coniglio defunto seguiva un
peggioramento della Corruzione.
La notte non riuscì a dormire che pochi minuti.
Se la Corruzione alla pelle faceva un male terribile, quando questa
cominciò a divorargli i muscoli della coscia destra avrebbe preferito staccarsi
la gamba a morsi.
«Beh, ci vediamo», disse Till. Rivolse ad Aaron un sorrisetto e batté una mano sul muro per far apparire i gradini «Magari passami a trovare, prima della cerimonia».
Aaron annuì, lo sguardo basso.
«Senti...», borbottò «Io... non so cosa fare con te. La cosa migliore forse sarebbe non vederti più, tanto fra poco più di un mese non ti vedrò più comunque, però... insomma...».
«Ma dai, ti ho turbato così tanto?», rise Till «Scusami, non volevo. Oddei, forse un po’ sì, lo ammetto».
«Stronzo», sbottò Aaron. Scosse la testa, e senza pensarci troppo su lo prese per le spalle e lo baciò.