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Autore: endif    25/01/2010    29 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAP.27

CARLISLE

Lancio un’occhiata distratta al monitor sul quale a cadenza lenta, ma regolare, i parametri vitali di Bella si trasformano in linee e numeri. E’ ormai un’abitudine farlo, nonostante spesso non ne abbia affatto bisogno. Controllare gli apparecchi a cui vengono collegati i pazienti è un atteggiamento che mi sono sforzato di rendere il più possibile spontaneo fin da quando questi si sono aggiunti all’armamentario terapeutico del medico.
Nessuna macchina tiene in vita Bella, ma la prassi vuole che frequenza cardiaca, pressione arteriosa e andamento del cuore siano monitorati costantemente in pazienti incoscienti. Nonostante sia per me del tutto inutile controllarli attraverso il monitor quando il mio udito mi dice spesso molto di più, lo faccio comunque.
Anche se sono solo in stanza con lei, in questo momento.
Resta ugualmente un’abitudine radicata in me.
Ma mai avrei pensato che tali apparecchi, la cui utilità è rappresentata dal completare e facilitare le diagnosi dei medici, potessero un giorno per me essere di intralcio, se non del tutto indesiderati.
Quando sono stato rintracciato in studio per recarmi d’urgenza in ginecologia, ho aggrottato la fronte. Benché abbia una specializzazione anche il questo ramo, all’Union Hospital dirigo solo il reparto di chirurgia. Ginecologia non è nemmeno sul mio piano.
Ma può capitare che qualche collega richieda la presenza di uno specialista in altro campo. Per chirurgia capita spesso, ma in reparti come ginecologia non tanto. Anche perché la differenziazione delle specializzazioni – introduzione della recente medicina – permette ai medici di essere abbastanza autonomi. Operano con equipe già prestabilite, specie nei casi ordinari o negli interventi programmati. A molti ho partecipato, affiancato da neurochirurghi, cardiochirurghi, ortopedici. Anche ginecologi. Ma sempre in interventi organizzati a tavolino, razionalmente e accuratamente pensati per essere il più possibile rapidi, concertati e risolutivi.
Ma essere richiesta la mia presenza d’urgenza … in ginecologia, per la prima volta in questo ospedale, non mi faceva presagire nulla di buono .
Doveva essere di certo un caso grave.
Quando sono arrivato all’ingresso del reparto avevo trovato la signora Stock, la caposala del reparto di chirurgia ad aspettarmi fuori dalla porta di quello di ginecologia.
Di questo non mi ero stupito affatto. Capita a volte che gli infermieri scambino il proprio turno con quello di colleghi di altri piani e di altri reparti per rendere un piacere o per sostituire un assente.
Nemmeno la sguardo agitato e il sollievo al vedermi uscire dall’ascensore mi impressionarono troppo. La signora Stock è una persona capace, dedita al proprio lavoro e molto precisa. Forse un po’ troppo desiderosa di dimostrare la propria efficienza, ma resta una persona di sicuro spirito di sacrificio e competenza.
La gioia nei suoi occhi al vedermi arrivare era lampante.
«Dottor Cullen, finalmente!» e aveva lasciato andare il respiro come se lo stesse trattenendo da un pezzo.
Mi si era fatta incontro a passi rapidi, agitata.
Il mio sguardo si era fatto più attento. Un comportamento del genere da parte di una persona molto posata ed esperta come lei, non era usuale: «Che succede, signora Stock?» avevo chiesto, la mia voce tranquilla come al solito, continuando a camminare verso l’ingresso del reparto.
Ma lei mi si era parata davanti, come a volermi fermare:«Aspetti, la prego.»
Ed io mi ero fermato, aggrottando la fronte.
L’imbarazzo che le leggevo in viso e la voce insicura, mi suggerirono di ascoltarla. La osservai, lo sguardo interrogativo, ma sereno.
Qualsiasi cosa fosse, era importante, ma la caposala avrebbe dovuto essere  rapida. A volte è il tempismo il reale intervento che riesce a salvare una vita.
Mi predisposi ad ascoltarla prestandole particolare attenzione.
«E’ … hanno portato una ragazza. Dal Pronto Soccorso» cominciò esitante.
Attesi in silenzio che proseguisse.
«Io … credo che … credo che lei la conosca» ancora più imbarazzo, il suo viso aveva assunto un tono scarlatto.
Mi ero accigliato e lei deglutì. Un sospiro, poi:«Dottor Cullen è la ragazza della puntura sternale. E’ la moglie di suo figlio, Bella.»
Prendere in contropiede un vampiro è cosa assai difficile e a me, in particolare, è successo talmente di rado, che solo la padronanza dei miei atteggiamenti, faticosamente acquisita nel corso di quasi quattro secoli, mi salvò dallo smascherarmi miseramente.
Anche se credo che l’adorazione della signora Stock nei miei confronti non sarebbe stata minimamente scalfita neppure se mi avesse visto bere sangue direttamente dal collo di un paziente.
Senza rispondere nulla alla sua affermazione ma con la consapevolezza che mi sarei trovato di lì a breve con una scena già tristemente vissuta, con un passo deciso e rapido ero entrato in reparto.

Varcare la stanza delle emergenze ed essere colpito dalla visione di Bella, pallida, incosciente, con le labbra e le guance imbrattate di sangue, fu terribile e sconvolgente nello stesso tempo. Avvezzo ormai, ad assistere ad ogni tipo di devastazione che il fisico umano possa subire, ero pronto a tutto.
Undici metri di corridoio, quelli che dall’ingresso del reparto conducono alla stanza quattro.
Cinque i secondi impiegati per percorrerli.
Centinaia le immagini e i pensieri che avevano affollato la mia mente per prepararmi a ciò che avrei potuto trovare.
Ero pronto a tutto. Un incidente, un avvelenamento, un atto di violenza su se stessa …
A tutto, meno che a questo.
 
Osservo ancora una volta il viso addormentato di Bella, pallido e tirato. Il labbro inferiore è coperto da una garza. Anche così noto che si sta gonfiando rapidamente. E’ stato necessario applicarle dei punti interni, cosa rarissima, ed esterni.
Il mio sguardo scende al suo torace, bendato da una fasciatura elastica non troppo stretta. Il respiro è lento, ma regolare. Come una lieve risacca, culla il suo petto e … la sua pancia.
Una pancia che accoglie una vita.
La osservo con occhio professionale e con la calma che ormai è subentrata dopo averle prestato i primi soccorsi, cercando con razionalità di analizzare la situazione.
Bella è incinta. Dal volume della sua pancia e dal valore di beta-Hcg direi che il … feto sia di quattro mesi. Ma so per certo che quattro mesi fa non era incinta. E nemmeno tre. Non più di sette, otto settimane al massimo.
Esattamente da quando ha cominciato a star male, a dimagrire e a non mangiare. I risultati dei suoi esami … i valori alterati tutto si incastra perfettamente in una prospettiva nuova. Un lieve senso di fastidio misto al dispiacere mi turba. Io, medico da un’infinità di tempo, non sono riuscito a  formulare dai molteplici dettagli che mi si proponevano in maniera talmente evidente, una diagnosi tanto semplice quanto improbabile nella realtà.
Mai, ho assistito ad un evento del genere. Mai si è raccontato di individui appartenenti alla nostra specie che fossero in grado di procreare. Ho visto bambini immortali, questo sì. Esseri creati per brama di potere, per curiosità, per riempire un vuoto troppo grande nell’animo di vampire costrette ad un’eternità di solitudine. Ma la legge è chiara a riguardo. Non è più permesso da secoli. E, in ogni caso, non si  trattava di generazioni spontanee, quanto più intenzionali.
Il ventre di Bella si muove piano, sospinto dal suo respiro appena accennato.
Milioni di domande si affollano nella mia mente. Di che natura sarà questo essere?  Quanto risentirà delle due specie che l’hanno generato? Perché il suo sviluppo è così accelerato?
Eppure l’uomo, il padre che mi sento e sono ormai per questa nuova figlia, si scontra in una silenziosa lotta con lo scienziato che è in me. E la preoccupazione prende il sopravvento sulla curiosità.
Questa non è una gravidanza fisiologica. Il corpo di un umano, di Bella in particolare, non è adatto ad accogliere questa nuova esistenza. Lo vedo benissimo anche senza ricorrere ad indagini specifiche. Mi è bastato effettuare un esame obiettivo blando e una palpazione dell’addome, oltre a riconsiderare nella giusta ottica il malessere generale di Bella da quasi due mesi.
Bella ha una costola rotta, ed una incrinata. Ho personalmente assistito alla radiografia eseguita dal collega specializzato in diagnostica delle immagini, sapendo che il feto sarebbe stato schermato per questioni di sicurezza legate all’esame stesso.  E questo, non è stato un danno provocato da una caduta, così come ci ha raccontato la sua amica. Bella era in taxi e ha cominciato a star male senza una ragione apparente …
L’ora appena trascorsa è stata una delle più lunghe mai vissute finora. E ce ne sono state tante in quattro secoli.
Mediare le circostanze è stata la necessità primaria. Dopo essermi accertato che Bella non fosse in pericolo di vita –almeno per il momento- ho sentito su di me gli occhi di tutto il reparto, caposala in primis.
Attendevano la mia reazione.
Pensare alla rapidità della luce non mi è mai stato così utile come in quell’istante. Dovevo procedere secondo prassi, scongiurare l’arrivo di colleghi che sarebbero accorsi per rendersi utili e darmi conforto e     proteggere Bella che custodiva in sé la prova tangibile del nostro segreto.
Ho cominciato con il ridurre a due i presenti in stanza, inviando un’infermiera a prenotare una radiografia al piano interrato ed un altro infermiere a preparare soluzioni elettrolitiche infusive con l’aggiunta di un antidolorifico consentito in gravidanza.
Con l’ausilio della sola signora Stock ho disposto l’esecuzione di una ecografia.
Prassi per lei.
Unico vero rischio per noi.
Cosa si sarebbe visto?
Un attimo di distrazione creato ad arte con voce suadente e carezzevole ha destabilizzato la caposala il tempo necessario a recuperare come un lampo l’ultima registrazione ecografa presente nell’apparecchio.
Ho pregato che non fosse quella silente e immobile di un’interruzione di gravidanza. E’ stato il momento in cui ho temuto di più. Perché se anche avessi potuto spiegare l’assenza di battito e di mobilità del feto con un aborto in atto, non avrei potuto spiegare altrettanto facilmente la mia opposizione all’intervento operatorio cui conseguentemente Bella avrebbe  dovuto essere sottoposta.
Sarebbe parso alquanto curioso che il dottor Cullen portasse via sua figlia dall’ospedale in cui lavora perché non riteneva i suoi colleghi ginecologi abbastanza competenti per effettuare un intervento di espulsione indotta.
Quando il puntatore ad ogiva si è posato sul ventre di Bella la pressione su due pulsanti ha avviato la registrazione.
Battito e immagini!
Un  feto di sei mesi circa, piccola vita custodita nel ventre di chissà quale umana che si era sottoposta all’esame proprio prima di Bella, sgambettava senza sosta sul monitor, il suo battito al galoppo, forte e chiaro.
Molto prima che la signora Sotck si avvicinasse per dare un’occhiata alle immagini, avevo prontamente interrotto la registrazione, esalando un sospiro di sollievo da premio Oscar:«Per fortuna il bimbo sta bene» e avevo liquidato la questione ecografia, distogliendo l’attenzione della donna sulla necessità di  effettuare una radiografia il più presto possibile.
Scongiurato il pericolo di trovarci dinnanzi all’ecografia più assurda a cui la signora Stock avrebbe mai avuto il piacere di assistere, restava la necessità di dare voce concreta alle mie supposizioni. La palpazione mi aveva rivelato la rottura di una o più costole, ma non sembrava ci fossero perforazioni o emorragie interne.
La radiografia aveva confermato.
Bella era stata sistemata in una stanza singola, ed io l’avevo lasciata sola solo per pochi minuti.
Il tempo di dirigermi nel mio studio per fare un paio di telefonate.
La speranza di riuscire ad essere contemporaneamente una guida, un sostegno, un esempio … un “padre” per i miei figli ha da sempre cozzato con la necessità imperiosa di evitare l’imposizione per chi come noi ha tutto il tempo davanti per scegliere il tipo di esistenza che preferisce. Banale consolazione per chi come me, seppur spinto dalla compassione e dalla buona fede, ha comunque imposto a quattro esseri umani un’eternità magari non desiderata.
E, proprio in virtù di una tale condanna, ho spesso evitato di interferire nelle decisioni e nelle scelte dei miei figli, limitandomi a mostrare loro altre possibili alternative ad un’esistenza fatta di odio e di violenza.
Ho sperato, comportandomi così, di rendere più sopportabile il peso del loro fardello. Ho gioito quando hanno scelto di battere il mio stessa sentiero. Li ho sostenuti nei momenti di difficoltà. Ma sarei un ipocrita se non ammettessi di essermi sempre sentito intimamente in colpa nei loro confronti.
E lo sarei ancora di più se mi esimessi dal riconoscere la mia responsabilità nelle attuali circostanze. Bella è in un letto di ospedale, rischiando la sua vita, anche a causa mia. E questo non posso accettarlo.
Non considero un errore aver lasciato a lei ed Edward la possibilità di amarsi, di fare le loro scelte e di sostenerle senza esprimere giudizi. No. Ma la mia responsabilità nei confronti di Bella non può essere offuscata dal tentativo di liberarmi del senso di colpa per le mie azioni nei riguardi dei miei familiari. Certo, erano in fin di vita e sarebbero morti sicuramente, ma dal momento in cui hanno subito la trasformazione, l’effetto delle loro azioni ricade inevitabilmente nello spettro dei miei doveri.
Ed era mio preciso dovere informare Edward della situazione.
Ho preso il telefono e l’ho chiamato. E’ giusto che lui sappia.
Come è giusto che, in attesa di decidere il da farsi, resti qui io a vegliare su Bella.


EDWARD

Edward vedrai che tutto si sistema, c’è Carlisle con lei. I pensieri di Alice mi scivolano addosso senza che riesca ad assimilarne pienamente il senso.
Jasper sta guidando la mia auto e siamo diretti in ospedale. Ci siamo quasi, ormai.
Non so come ho fatto a ritrovarmi nella Volvo. Se avessi ceduto al mio istinto, adesso starei volando ad un passo da terra e probabilmente già sarei arrivato a destinazione. E credo che alla velocità che avrei raggiunto nessuno avrebbe potuto scorgere qualcosa di più di un’ombra.
«Jazz, basta» Sussurro a mio fratello. So che c’è lui dietro a tutto questo annebbiamento.
Mi lancia un’occhiata sul sedile del passeggero dove mi trovo e annuisce brevemente. Subito sento la mente schiarirsi e l’intorpidimento abbandonarmi. La rabbia è ancora presente. La sete di violenza anche. Ma non riesco a provare disprezzo per me stesso in questo momento. Non per questa cosa, almeno. Non mi pento di aver permesso all’istinto di avere il sopravvento e di aver colpito quell’uomo.
Questo, forse, è l’unico gesto sensato che mi sono concesso da molto, moltissimo tempo. Troppi anni trascorsi a reprimere le mie emozioni, a mortificare la mia essenza, a pensare a cosa non potevo, non dovevo fare.
Amare Bella è stata una di queste. Ho sempre creduto che farlo fosse sbagliato, ma ho ceduto. E questo, per me, è stato il peccato più grande che abbia mai ritenuto di aver commesso. L’ho desiderata e l’ho avuta.
E lei mi si è donata anima e corpo. Letteralmente. Ha deciso di rinunciare alla sua vita per stare con me. Ed io ho accettato. O almeno, lo credevo fino a poco fa. Credevo che fosse stato proprio così che le cose erano andate.
E, di nuovo, ho sbagliato.
Io non l’ho mai accettato veramente, questa è la realtà. In qualche recondito angolo del mio inconscio, ho continuato a ritenere un errore il permettermi di desiderarla, svilendo in tal modo, l’enorme gesto d’amore che Bella era pronta a compiere per me.
Ero così accecato dal senso di colpa che ho voluto dare un significato di mio comodo a gesti e a situazioni che l’hanno riguardata. E alla prima buona occasione, ho fatto in modo di allontanarla da me e dal destino che consapevolmente lei si era scelta.
Dalla nostra unione io ho solo preso. Ma ho mai concesso? Cosa ha avuto lei di me? Cosa le ho dato io come marito, come amante, come confidente, come amico, come sostegno? Cosa, eh? COSA??
Niente. Non ho mai concesso niente. Mi sono premurato di proteggerla, di curarla e l’ho rinchiusa in una campana di vetro, temendo che si sbriciolasse come un cristallo. Ho sostenuto di volerle far vivere tutte le esperienze da umana che, una volta trasformata, non avrebbe più potuto fare e ho continuato a spiarla mantenendomi sempre ad un passo davanti a lei.
E poi sono follemente geloso, mi rendo conto d’un tratto. E questo si è sommato a tutto il resto, rendendomi insicuro.
Ho sperato, ho cercato, un qualunque pretesto che desse conferma ai miei più oscuri timori, che sottolineasse ancore una volta la mia inadeguatezza come compagno di vita di Bella e mi liberasse contemporaneamente del peso del senso di colpa. Perché io Bella la amo e chiedere a me stesso di accettare di privarla della cosa più preziosa che avesse, la sua umanità, era improponibile.
Ma come le ho dimostrato il mio amore? Quando ha avuto bisogno davvero di me, che ho fatto, io?
Hai sbagliato tutto, Cullen e non l’hai saputa amare. Questo hai fatto.
Quel Jensen … l’uomo giusto al momento giusto. Stringo gli occhi al ricordo del viso insanguinato dell’uomo riverso a terra.
Ho desiderato la sua morte. Ho desiderato potergliela infliggere con le mie mani quando ho letto nella sua mente il reale svolgimento del suo incontro con Bella.
Lei … lei l’ha respinto, mentre io ho creduto che se ne sentisse attratta. Ma forse a questo punto è più corretto dire sperato ... Come ho potuto essere così cieco? Come?!
Dell’interesse di Jensen ero anche al corrente … e che ho fatto io? Mi sono stoicamente fatto da parte come un coglione.
Avrei dovuto lottare per lei, difendere e proteggere il nostro amore, coltivare e curare il nostro rapporto.
Avrei dovuto parlare e stare ad ascoltare ciò che aveva da dirmi.
Non sperare che si innamorasse di un altro.
Lo ripeto, il pugno è stata l’unica cosa giusta che ho fatto.
Mi passo una mano rapidamente tra i capelli.
Cristo! Ho baciato un’altra donna davanti ai suoi occhi. L’ho guardata soffrire sentendo ogni parte del suo corpo urlare dal dolore.
E l’ho fatto consapevolmente.
Ma che cazzo ho combinato?!
Jasper si gira verso di me e mi fissa intensamente. Edward, tu non sei ancora in te, non dovresti andare da lei in queste condizioni …
Gli lancio un’occhiata infuocata:«Vuoi scherzare?!» e per un attimo temo che userà di nuovo il suo potere su di me per dissuadermi.
Non mi importa cosa succederà. Bella è in ospedale e il mio posto è accanto a lei.
E questa volta non me ne andrò, nemmeno se sarà lei a chiedermelo.

Appena la Volvo si ferma nel parcheggio dell’ospedale, esco rapidamente e prendo a camminare a passi veloci. Alice è già al mio fianco e per una frazione di secondo un pensiero che non  è mia moglie mi passa nel cervello:  Jasper non è con lei. L’ospedale è di certo il luogo meno adatto a lui, ma so che resterà nei paraggi.
Cullen devi stare calmo. Adesso le cazzate sono off-limits sul serio. Penso fugacemente continuando a camminare.
Stranamente Alice è silenziosa. Persino i suoi pensieri lo sono. Non mi soffermo troppo su questi dettagli e varco l’ingresso dell’Union Hospital con sicurezza. E’ l’ora di visita dei pazienti, noto distrattamente. Molte persone camminano con grosse buste tra le mani e il chiacchiericcio è sommesso, ma generale. Evito di soffermarmi sui loro pensieri, nonostante la preoccupazione di parecchi di loro sia talmente un chiodo fisso, da raggiungere ugualmente la mia mente.
La maggior parte di loro si affolla agli ascensori. Quasi nessuno prende le scale e mi dirigo spedito proprio da questa parte. Un’occhiata rapida mi rivela l’assenza di telecamere e raggiungo subito il piano in cui sono ubicati gli studi medici. Alice mi tallona stretto. Qui devo riprendere la mia camminata da umano, mio malgrado, ma mantengo ugualmente un passo rapidissimo.
L’occhio di quattro telecamere si alterna per monitorare il lungo corridoio.
La porta dello studio di Carlisle mi sembra troppo lontana e mi sembra che passino secoli prima di arrivare ed aprirla senza bussare. Seduta alla scrivania dell’anticamera c’è Lucy, la segretaria di mio padre.
E seduto, comodamente stravaccato su una poltrona troppo piccola per lui, Emmett.
Emmett?! Aggrotto la fronte e mi blocco d’un tratto al centro della stanza. Lucy mi guarda a bocca lievemente aperta senza riuscire a pronunciare nemmeno una parola.
«Oh, finalmente! Mi avete fatto preoccupare! Tardavate tanto che ad un certo punto ho temuto che foste stati coinvolti in un incidente!» spara Emmett con un vocione tonante e chiudendo il siparietto con una risata fragorosa. Teatralmente si alza facendo attenzione a darsi la spinta con i palmi sulle ginocchia e, con passo fintamente appesantito si avvicina a me, mettendomi una mano sulla spalla. Un affettuoso segno di saluto per lo sguardo un po’ incerto di Lucy, una presa ferrea per me.
Fratellino stai calmo. Dobbiamo aspettare solo che arrivi Carlisle. Quindi non fare cazzate. E accompagna i pensieri con un ampio sorriso.
La segretaria si riprende rapidamente dallo stupore per l’improvvisa uscita di Emmett e afferra la cornetta del telefono digitando velocemente sulla tastiera:«Dottore» dice solo e capisco che mio padre ha lasciato detto di voler essere avvertito non appena fossi arrivato allo studio.
E sono davvero pochi i secondi che impiego per comprendere la situazione.
Punto uno: cercano di tenermi lontano dalla stanza di Bella.
Punto due: la situazione è di una tale gravità, che Carlisle non l’ha lascia sola, nemmeno per cambiare piano nello stesso ospedale.
«Emmett, lasciami andare» sibilo in un sussurro inudibile da Lucy.
Come risposta il sorriso da star di mio fratello si accentua e la presa si rafforza. Spiacente, ordini precisi.
Lo fisso intensamente negli occhi.
«Se ci fosse Rose in quel letto, io ti lascerei andare da lei». Gli dico e la voce mi trema, nonostante non faccia nulla per divincolarmi. Il mio atteggiamento è calmo.
Mi sento anche calmo.
Ormai sono qui. Qualunque cosa sia accaduta, Carlisle è con lei, sa cosa fare e non potrei fare nulla di più di lui per Bella.
Ma devo vederla. A qualsiasi costo.
Negli occhi di Emmett leggo il tentennamento e maledico la sorte che mi ha donato il potere sbagliato. Se ci fosse stato Jazz al mio posto, adesso starebbe  camminando indisturbato per il corridoio.
Edward, si tratta solo di un paio di minuti … pensa incerto lui.
«Vieni anche tu, se vuoi» incalzo, «ma non chiedermi di restare qui» e gli poso il mio palmo sul dorso della sua mano, senza imprimere però alcuna forza.
Dopo un instante, la mano di Emmett scivola via dalla mia spalla e ricade lentamente lungo il suo fianco. Leggo sul suo viso il dispiacere per me.
Devo essere davvero in uno stato pietoso.
Ok, ma tu resti al mio fianco. E non mi combini casini, intesi? E il sorriso che gli si dipinge in volto è diverso, è il riflesso del mio sollievo.
Usciamo velocemente dallo studio e ci dirigiamo alle scale.
«Dov’è?» chiedo a voce bassa continuando a guardare fisso davanti a me.
«Quinto piano» risponde e cominciamo a salire.
Mantengo il passo sostenuto, ma non lo affretto. In direzione contraria alla nostra incontriamo molte persone che scendono. Ma finalmente arriviamo:
QUINTO PIANO – Cita una targhetta sul muro di fronte all’ultimo scalino.
E di fianco l’elenco dei reparti ubicati proprio in questo piano.
Resto un attimo interdetto, accorgendomi solo in questo momento che non so quale sia il reparto in cui hanno portato Bella, ma lo smarrimento è di breve durata, perché, prima ancora di sentirne i pensieri, avverto la presenza di mio padre.
E dopo un attimo eccolo uscire da una porta con i vetri smerigliati.
Avrei preferito che rimanessi in studio. Pensa e contemporaneamente lancia uno sguardo ad Emmett, il quale si stringe nelle spalle e scrolla il capo in un gesto eloquente.
Mi avvicino mentre lui fa lo stesso. Ad un paio di passi l’uno dall’altro ci fermiamo.
Lo fisso, ma non dico nulla. E’ quell’istante infinito in cui sai che qualcosa di enorme sta per accadere, quello in cui proprio le parole possono stravolgere il destino di un individuo. E hai paura di pronunciarle.
E’ stato così con Bella. Fu sentire il mio nome uscire dalle sue labbra mentre era profondamente addormentata che decretò la presa di coscienza del mio amore nei suoi confronti.
Aspetto in silenzio e immobile, ma per la prima volta sento che è in difficoltà.
Materializzo in pochi istanti davanti agli occhi infiniti, possibili, drammatici scenari che coinvolgano mia moglie.
Per ognuno di essi, sento una stilettata in mezzo al petto.
Non ha ripreso ancora conoscenza, ma non è in pericolo di vita. Pensa lui finalmente.
Non è in pericolo di vita! Il mio cuore esulta, ma il sospiro di sollievo che sta per uscire spontaneamente dalle mie labbra si blocca.
Per adesso. Aggiunge mio padre, sempre con il pensiero e i suoi occhi si puntano nei miei.
«Come … cosa … vuol dire?» mi decido finalmente a chiedere, e la voce non  sembra nemmeno appartenermi più.
Emmett e Alice osservano silenziosi e attenti il nostro mezzo dialogo, quasi fosse una silenziosa partita di ping-pong, e allora mio padre decide di parlare ad alta voce: «L’ha portata qui una sua amica, pare che si sia sentita male in taxi.»
«Devo vederla». Dico, sentendo la mia pazienza essere pericolosamente sull’orlo di un baratro, e contemporaneamente faccio un passo in direzione della porta da cui è uscito Carlisle. Ma lui si sposta di un passo e mi copre la visuale, sbarrandomi nel contempo la strada.
Mantiene il palmo lievemente alzato e rivolto aperto verso di me. Questo movimento catalizza la mia attenzione e faccio scorrere lo sguardo prima sulla sua mano, poi, sul suo viso.
«Edward, ci sono delle cose che non sai. Che non sapevo nemmeno io … che non avrei mai sospettato» sospira, quindi.
«Cose … ?» chiedo perplesso «Che genere di … cose?» il mio tono è incerto, ma impaziente. Dei discorsi scientifici si può parlare anche in seguito. Sono stato fin troppo lontano da Bella ed ora, anche un solo altro minuto, non è più  sostenibile.
Scrollo il capo: «E’ necessario parlarne adesso?!» e forse la mia voce ha un che di urgente, perché Emmett fa un passo verso di me e lo noto con la coda dell’occhio.
Tiro un sospiro e noto il disagio di Carlisle.
Disagio … che mi nasconde?
Lo sguardo diventa più attento, la mente si concentra e automaticamente tutti i dettagli intorno a me entrano nel mio raggio percettivo con intensità e prepotenza.
Registro nella mia testa tutto alla velocità della luce. Tutti i particolari, i colori, gli odori e i pensieri … soprattutto quelli di persone a me familiari …
Innocui quelli nelle immediate vicinanze, sfuggenti quelli di mio padre, allegri, gioiosi la maggior parte di quelli del reparto da cui è uscito Carlisle.
Il reparto … l’occhio mi si sposta velocemente sulla targa di fianco alla porta dai vetri opachi … GINECOLOGIA E OSTETRICIA, cita.
Ginecologia ed ostetricia?!
I miei studi di medicina sembrano del tutto inadeguati a fornirmi un valido motivo per cui una donna giovane sia ricoverata in un tale reparto.
Certo, un parto, un’interruzione di gravidanza, un intervento … ma non è questo il caso di Bella.
E dunque? Guardo perplesso la targa. Guardo mio padre.
Non è questo il caso di Bella, … no?E i miei pensieri restano sospesi.
«Carlisle, ma … che succede?» Il mio tono è impercettibilmente cambiato.
Noto subito come le spalle di mio padre subiscano un leggero scatto al mutare della mia inflessione ed i suoi pensieri cambiano con essa.
Edward … ascoltami. Non è mai accaduto nulla del genere … nessuno di noi avrebbe potuto mai immaginare … prevedere … che potesse verificarsi un evento simile … se solo l’avessi sospettato, io … vi avrei messo in guardia …
Aggrotto la fronte.
Una consapevolezza terribile e angosciante si fa strada dentro di me.
E mi mozza il fiato.
Chiudo gli occhi, li riapro.
Quando a passo umano aggiro mio padre, Emmett è pronto ad afferrarmi, ma Carlisle gli mette una mano sul braccio e scuote la testa.
Entro nel reparto e l’odore di Bella mi colpisce nonostante sia misto agli altri,  tipici degli ospedali. Proviene da una stanza isolata rispetto a quelle dove presumibilmente ci sono tutte le altre pazienti e senza esitare mi dirigo lì.
Persone mi passano accanto, alcune mi urtano e si scusano, altre procedono veloci.
Non modifico il passo. Cammino. Cammino e basta.
E quando, giusto di fronte alla stanza in cui l’odore di Bella si concentra, mi fermo, mi rendo conto che a pochi passi da me Carlisle ed Emmett si sono bloccati vicino ad Alice, ferma un po’ prima di loro.
Si tiene la testa con le mani, premendosi le tempie ad occhi serrati.
Mi volto verso la porta e l’apro.
Distesa nel letto, incosciente e pallida, Bella.
Ne percorro ogni tratto del viso addormentato, ogni linea, ogni curva nascosta dalla coperta … fino a che, con la massima calma, i miei occhi si soffermano sul suo grembo dove è chiaramente visibile un evidente arrotondamento …
E’ quell’istante infinito in cui sai che qualcosa di enorme è appena accaduto, quello in cui le parole infrangeranno l’illusione che tra possibile ed impossibile ci sia una netta distinzione e che, tutto sommato, non è così semplice stravolgere il destino di un individuo.
E allora non hai più paura di pronunciarle, quelle parole.
Da sole, quelle stesse parole che la mia mente non avrebbe mai contemplato nemmeno di pensare, trovano la via d’uscita dal mio corpo.
Un sussurro, leggero come un soffio dalle mie labbra.
«Incinta».




NOTA  DELL’AUTRICE: Ehmmm il capitolo mi ha preso un po’ più di tempo rispetto a quello che avevo previsto. Perdono, pliss.
L’importante è esserci, ù.ù
Non rispondo a tutti, purtroppo il tempo stringe … fra poco riprenderò a lavorare e vorrei portarvi ad un buon punto della storia.
 Holly__ Cara, non preoccuparti per le recensioni….XD Spiegarti il motivo del bacio in poche righe non è affatto semplice, ma qui ho spiegato il punto di vista di Edward. Se hai tempo, in qualche risposta alle recensioni dei capitoli successivi al capitolo incriminato, potresti trovare maggiori delucidazioni … Baci XDD
congy; kira83pc : Benvenute! Grazie per aver voluto recensire XDD

Non me ne vogliano gli altri … cercherò di farmi perdonare con il prossimo capitolo.
Solo qualche piccola precisazione. So che è fastidioso interrompere i capitoli sul più bello, che quando si riprende ci si è quasi dimenticati del precedente, ma ognuno di loro necessitava dello giusto spazio. Ora la scena è finita, dal prossimo cambieremo ambientazione e circostanze.
Grazie a tutti coloro che hanno voluto leggermi e recensirmi. Sono sempre lusingata dal tempo che impiegate nel sorbirvi il frutto del mio cervellino allucinato …
Un bacio ed un abbraccio per tutti voi :****
M.Luisa


   
 
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