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Autore: dubhefly    27/01/2010    2 recensioni
"Era lei la causa del tutto. Frank si volto a guardarla, chissà se era consapevole di ciò che provocava. Era così bella."
Irlanda: la nascita d'un amore, in un piovoso giorno invernale.
Una breve storia, ispiratami dalle canzoni dei Modena City Ramblers.
Genere: Romantico, Song-fic, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CANTO DI NATALE

< Vattene, subito.>
< Tranquilla, me ne vado, me ne vado. Avevo già intenzione di farlo da un bel po’.>
< Ecco bravo, coglione… Buon natale, spero che sia l'ultimo che passi vivo!>


Sbadabam. Lui uscì, sbattendosi la porta alle sue spalle.
< Addio puttana.> gridò, alzando lo sguardo verso il cielo plumbeo. Era la sera della vigilia di Natale. Su Dublino scendeva incessante la pioggia.
Era stato un litigio, l’ennesimo, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Si chiese quando e com’era cominciato, forse quando era tornato a casa ubriaco dal pub per l’ennesima volta? Anche a pensarci bene non se lo ricordava, non riusciva a concentrarsi, probabilmente aveva ancora la mente annebbiata dall’alcool di quel pomeriggio. Ma in fondo cosa importava? Tanto, a sentire lei, in qualunque discussione avessero avuto la colpa era sempre stata dalla sua parte. Lei era la vittima inevitabilmente. < Già. Le donne sono così>, pensò rassegnato, < prima ti incantano, poi ti incatenano alle loro catene e ti tengono stretto stretto, fino a toglierti al respiro e guai se tu osi lamentarti o prenderti un po’ di libertà>. Ma ora basta, non si sarebbe più messo a correre dietro a una gonnella. Ma più. Lui con le tribolazioni dell’amore aveva chiuso, definitivamente.
Ora che lei l’aveva cacciato via non gli restava che tornare a casa dai genitori e partecipare all’allegro cenone di famiglia. Ma non aveva fame e, tantomeno, ne aveva la voglia. S’incamminò dunque per le strette vie acciottolate, senza una meta precisa, giusto per far passare un po’ il tempo. Intanto continuava a piovere a dirotto e lui ovviamente, nella fretta di andarsene dopo il litigio, non aveva minimamente pensato a portare con sé un ombrello. In più l’aria era particolarmente gelida quella sera. Si tirò su il bavero del cappotto fino a coprirsi le orecchie per cercare di combattere il freddo, inutilmente, dato che ormai la sua giacca era completamente inzuppata. Continuò a camminare per una decina di minuti lungo le strade scivolose, poi si fermò sotto un portico per riflettere sul da farsi. Dalle finestre delle grigie case attorno a lui giungevano gli schiamazzi dei bambini eccitati dall’approssimarsi del Natale e i rimproveri dei genitori evidentemente seccati. Lui in mezzo a tutto quel rumore per un attimo si sentì sperduto, si sentì solo. Completamente solo.
Scrollò la testa, come per cercare di scacciare via quella malinconia che improvvisamente gli era balzata addosso e si rincamminò. Avrebbe potuto entrare in un qualunque pub, riscaldarsi e ordinare una pinta di birra, poi una seconda, poi una terza e così via. Avrebbe potuto bere, bere fino a non ricordare più il suo nome e poi mettersi a cantare vecchie canzoni patriottiche sull’Irlanda insieme a qualche altro ubriaco. Solitamente era facile, bastava devastarsi con l’alcool per non pensare, per dimenticare. Ma questa volta no. Sapeva che non avrebbe funzionato. Non sarebbe bastato tutto l’alcool del mondo per far svanire la solitudine che aveva cominciato a sentire sotto le finestre illuminate. Era tutto così vuoto dentro di lui.
< Hey Frank, Fraaank…>, un urlo lo distrasse momentaneamente dai suoi pensieri.
< Santo cielo e adesso chi cavolo è!>, sbottò lui girandosi.
Si ritrovo così di fronte il buon vecchio Joe, amico suo ormai da secoli, ovviamente ubriaco fradicio.
< Pensavo che solo gli scapoli incalliti come me girassero da soli per le strade la vigilia di Natale, dove l’hai lasciata la tua dolce Molly eh?> esclamò l’amico, con il tono di voce impastato classico di chi ha bevuto troppo.
Avrebbe potuto dirgli che non c’era più nessuna Molly, che la sua “dolce Molly” l’aveva piantato mezz’ora prima augurandogli di morire e che lui ora era solo come un cane. Sì, avrebbe potuto. Avrebbe voluto. Ma Joe non era certo nelle condizioni migliori per ascoltarlo e lui d’altro canto non amava farsi compatire.
< ...Ci si vede in giro Joe, buon Natale.> disse malinconico. Poi subito se ne andò a passo spedito, in modo che l’altro non potesse replicare.
Si avviò verso la compagna. < Almeno così non correrò il rischio di incontrare qualcuno>, si disse tra sé e sé. Visto che era già così solo tanto valeva marcirci del tutto nella solitudine. La campagna era silenziosa, la luna da dietro le nubi rischiarava appena i verdi prati. Frank camminò per un bel pezzo, finchè non giunse vicino alla vecchia quercia; qui si fermò. Aveva sempre amato quel luogo. Da bambino, quando sentiva la necessità di fuggire un po’ dal mondo circostante, saltava in sella alla sua bicicletta e pedalava a perfidiato fino ad arrivare lì, nel suo rifugio, al sicuro sotto le fronde verdi e nodose dell’antico albero. Forse la vecchia quercia avrebbe dato un po’ di pace anche stavolta al suo animo tormentato.
Era ormai a una dozzina di passi dall’albero quando si accorse che non era solo il vento a fischiare in mezzo alla pioggia. < Possibile che ci sia qualcun altro qui nonostante il tempo avverso e l’ora?>, si chiese stupito.
Si accostò al largo tronco dell’albero e capì di non aver udito male: sotto i larghi rami era seduta una ragazza, stava cantando.
< Che bella giornata vero?> esclamò Frank sentendosi un po’ stupido. La ragazza colta di sorpresa sussultò e smise subito di cantare.
< Suvvia, non c’è bisogno che ti fermi, mi dispiace averti interrotta. Continua  pure a cantare… >
Lei si voltò a guardare Frank incuriosita e scostandosi i capelli dorati dal viso rispose, < Oh non preoccuparti, canto solo quando sono sola, per passare il tempo.>. La sua voce era cristallina. < Ah, certo certo, capisco…> borbottò lui. < Ma suvvia, non stare lì a prendere tutta l’acqua, sotto l’albero c’è posto per due!> replicò subito lei sorridendo. Frank allora scostò le fronde dell’albero e si sedette di fianco alla ragazza. Chissà cosa ci faceva lì, una bella ragazza da sola la sera della vigilia. Chissà perché lo aveva invitato a sedersi lì, manco lo conosceva! Chissà, chissà, chissà. Come sempre troppi dubbi e nessuna certezza. < E i dubbi si sa, sono degli specialisti nell’aggrovigliarsi l’uno con l’altro, nell’ingegnarsi in nodi intricati e contorti, al punto che, quando si cerca poi di solverli, non si può mai essere certi di aver dipanato realmente tutta la matassa.> pensò Frank. Per una volta però decise di non risolverli i dubbi, di tenerseli e si fermò ad ascoltare. Era dolce il suono del silenzio.
Tutto intorno a lui sembrava fremere, come fosse stato colmo di elettricità. I fili d’erba bagnata, il tronco dell’albero, le nuvole e perfino lui stesso. Si sentiva carico, finalmente pieno di vita. Il vuoto era scomparso. All’inizio attribuì quell’improvvisa sensazione al vento che sibilava violentemente fra le fronde degli alberi, ma poi capì che non era quella la causa di quella strana energia vibrante. Era lei la causa del tutto. Frank si volto a guardarla, chissà se era consapevole di ciò che provocava.
Era così bella.
La ragazza sentendosi osservata alzò il capo e lo fissò a sua volta, i suoi occhi chiari rilucevano di vita. Sorridendo lei gli strinse dolcemente le spalle e lo invitò ad appoggiarsi sul suo grembo caldo. Lui non si oppose.


< Canta…> sussurrò poi.
E lei cantò, insieme al vento.

E' in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta,

il vento dell'ovest rideva gentile

e in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti

mi hai preso per mano portandomi via.


Nel frattempo la luna aveva fatto capolino, timida, tra le nuvole.








***

{ Ringrazio le canzoni dei Modena City Ramblers per avermi dato l'ispirazione per scrivere questa pseudostoria :)

In particolare "In un giorno di pioggia", della quale sono i versi in corsivo alla fine del testo. }

  
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