Capitolo 5
Il viaggio in macchina con il padre durò un istante, o almeno così parve ad Himiko che, assalita continuamente da pensieri angoscianti e piangendo per tutto il percorso con la testa appoggiata al finestrino appannato dell'auto, non si accorse minimamente del tempo trascorso. La macchina si fermò dinnanzi al cancelletto della loro bella villetta in un quartiere residenziale di periferia, e la ragazza fu ripescata dalla propria testa da una carezza sui capelli di Kojiro, che le fece cenno di scendere così da poterla posare in garage. Lei annuì ed uscì sotto la pioggia battente. Senza ombrello, né nulla, alzò lo sguardo al cielo e si chiese quand'è che aveva iniziato a piovere. Le sembrò quasi uno scherzo del destino. Varcò il portoncino, percorse il vialetto che la condusse sotto il porticato bianco e rimase immobile dinnanzi alla porta. Con che coraggio avrebbe affrontato Shin che si era appena svegliato dal coma per essere stato morso da un mostro? Oggi il mostro era lei. Kojiro la raggiunse dopo pochi minuti, ma non disse nulla, rispettando la sua voglia riflettere. Inserì la chiave nella serratura ed aprì, subito una Ai tutta trafelata si mostrò all'ingresso, correndo incontro alla figlia ed abbracciandola. «Tesoro mio, non piangere… » le disse solamente, ben conscia dello stato mentale della figlia in quel momento. Lei lo sapeva sempre quando le sue piccine stavano male e poi, dopo la telefonata di suo marito che gli aveva spiegato la situazione, la sua sensazione, che da qualche ora la assillava, si era spiegata. Non appena si era ripresa Hagumi, con il risveglio di Shin, era successo qualcosa ad Himiko. Si domandò se le due ragazze avrebbero mai potuto trovare un po’ di serenità. «Sei fradicia, entra su… » le intimò in modo dolce. Himiko annuì e fece come detto, subito fu raggiunta da Hagumi, che percepita la sorella era accorsa per comunicarle la buona notizia, inciampando nel penultimo scalino e facendo uno dei suoi soliti poco aggraziati ruzzoloni. Si rialzò nel giro di un secondo, troppo euforica per pensare al ginocchio ora dolorante, il suo Shin era vivo, sveglio e stava bene, quale miglior fonte di forza interiore!
Poco
prima di saltarle
addosso, però, frenò la sua corsa ed
osservò il suo volto, rigato di lacrime
tanto che il trucco si era sciolto fino a darle l'aspetto di un tenero
panda e
ricordò quando, poche ore prima, mentre imboccava Shin,
aveva sentito male al
petto e la voglia di trasformarsi ed a casa aveva squillato il telefono
per
avvertire Kojiro di recarsi subito chissà dove. Il padre era
uscito dicendo che
era tutto ok, che Himiko aveva avuto un piccolo incidente, ma stava
bene e che
si apprestava ad andare a prenderla. A quanto pareva, non aveva detto
proprio
la verità. Raggiunse la sorella con gli ultimi passi un po'
lenti e la abbracciò
con tutta la tenerezza e l'amore per lei di cui disponeva, un amore
fraterno
certamente infinito. Himiko sorrise flebilmente e ricambiò
l'abbracciò «Fortuna che Shin si é
svegliato, eh, Hagu?». La rosa però non rispose.
Dopo pochi attimi spuntò a metà scale Shin, che
scendeva un gradino alla volta,
tenendosi al corrimano. Himiko distolse lo sguardo, si sentiva un
verme. «Himiko... stai b... bene... ?»
domandò un po' affannato, mentre la mamma
con fare amorevole si portò al suo fianco per fargli da
appoggio nello scendere
gli ultimi gradini.
«Ragazzi,
seguitemi tutti
in salotto, penso che sia momento di parlare di un paio di cose
importanti.»
era Kojiro, che invitò i presenti a seguirlo e, mentre
Hagumi accompagnava
Himiko tenendola per mano, Ai aiutò il figlio ad accomodarsi
su uno dei divani,
sparendo subito dopo e ricomparendo in seguito con un vassoio di tazze
di
cioccolato, porgendone una ad ognuno.
«Papà,
mi dispiace, se
dobbiamo andarcene, lo farò io da sola, in fondo
è colpa mia se… » cominciò
Himiko, sorseggiando il contenuto della sua tazza, soffiando ogni tanto
per
raffreddarla, ma fu interrotta dal padre, che prese parola.
«Anche
Shin si è rivelato a
degli umani, ma per ora ancora non è successo nulla, quindi
non saltiamo a
conclusioni affrettate.».
«Ma
Shin non ha morso
nessuno! Non… non si è rivelato un mostro come
me… ». Hagumi aguzzò le
orecchie, volendo ora più spiegazioni, che diavolo era
successo di cui era ora
all’oscuro?
Kojiro
spiegò velocemente
l'accaduto ai tre ignari, sorvolando su cosa avesse fatto Akira per
meritarsi
il trattamento avuto, a quello ci avrebbe pensato Himiko in un secondo
momento
se avesse voluto. Nessuno dei tre però la
giudicò, Hagumi rimase un po' scossa,
ma tutto ciò che fece fu circondare le spalle della sorella
con un braccio ed
appoggiare la testolina alla sua, per farle capire che non era sola e
che
nessuno la disprezzava. Shin le appoggiò una mano sulla
testa, scompigliandole
i capelli affettuosamente, e lei ebbe finalmente il coraggio di
guardarlo.
Pianse di nuovo, come una bimba, e solo quando si fu calmata Kojiro
continuò,
seduto sul divanetto di fronte a quello dove sedevano i tre figli.
«Ora,
passiamo a ciò che
devo spiegare invece a voi, figli miei.» strinse una mano che
teneva appoggiata
sul ginocchio a pugno ed Ai allungò una sua per appoggiarla
su quella del
marito. Lui si tranquillizzò, anche se non sapeva da dove
partire, e non voleva
che venissero a conoscenza di certe cose fin da ora, così
giovani ed inesperti.
Hiro, per esempio, aveva saputo tutto dopo la laurea, ed era
così ormai prassi
in tutto il mondo dei vampiri. I vampiri originali venivano lasciati
crescere e
maturare, prendere un titolo di studi da umano e poi messi dinnanzi
alla scelta
se far parte della comunità degli eterni o meno.
«Dovete
sapere che noi
siamo più di quanti voi potreste immaginare. È
vero, potete fiutare gli altri
vostri compagni e riconoscerli da subito, ma non potete concepire
sicuramente
quanta potenza possiede la nostra stirpe. Ovviamente, questo comporta
la
necessità di un governo che gestisca tutto, anche se nel
nostro caso rimane
celato. Non sono molti a sapere dell’esistenza di questa
confraternita, di cui
tu Himiko, hai conosciuto chi ne è a capo. Non
sottovalutarlo per il suo
carattere frivolo, è molto più potente e
pericoloso di quanto perfino io possa
immaginare. In ogni caso, al momento della loro riunita, decisero che
nessuno
avrebbe dovuto sapere di loro, se non in età e
maturità adeguata e, ovviamente,
nel caso che il soggetto a loro interessato possedesse i requisiti
necessari,
quelli di un purosangue… » qui strinse di
più la mano della moglie, cosa che
Shin notò, ben conscio che questo comportava il suo
argomento di mezzo sangue,
di cui non aveva ancora avuto il coraggio di chiedere una spiegazione
ben
chiara ai genitori, troppo shockato da questa rivelazione quando Hiro
lo accusò
di essere un cacciatore. Era
al
nono anno di scuola quando incontrò Hiro, suo senpai che
frequentava le scuole
superiori, e la sua vita aveva subito un netto cambiamento: Hiro aveva
un
potere particolare e fiutò subito ciò che di
"marcio", così l'aveva
definito, c'era in lui. Fu ripescato dai suoi pensieri dal padre, che
proseguì
il discorso. «Gli originali sono a capo di tutto, quelli che
non lo sono
invece di nascita possono comunque collaborare, unendosi a loro come
sottoposto
del tutto rispettati e stimati, ed il semplice motivo per cui non
possono
entrare a far parte della cerchia degli anziani é che non
sono eterni. I
vampiri non di nascita muoiono, prima o poi. Non sono "brevi" come
gli umani, ma neanche longevi come gli eterni e questa é una
debolezza che gli
originali ancora non ammettono. Ad ogni modo, come ben sapete, io non
sono un originale,
ma faccio comunque parte del clan, sono un subordinato ed il mio
compito é
quello di spalleggiare il capo-anziano». «Okura...
» sussurrò Himiko e
Kojiro annuì «Esattamente, proprio lui.
È un vampiro potentissimo, sapete... ». Ai
abbassò lo sguardo, come a volersi estraniare da quel
discorso. Hagumi
prese parola «Ne fa parte anche Hiro?» ed il padre
annuì ancora «Sì,
lui però é giovane. Ha ventitré anni e
fa parte del gruppo da nemmeno due... ». «E tu da
quanto ne fai parte, papà?» chiese Shin. L'uomo
alzò gli
occhi al cielo, facendosi un paio di conti «Credo che l'anno
venturo siano
sedici anni, correggimi se mi sbaglio, mia cara... ». Ai
scosse la testa,
sorridendo in direzione del marito «No, sono sedici tondi
tondi.».
«Quindi,
poiché noi non
siamo vampiri originali, purosangue insomma, non dovremmo essere
interessati
alla cosa, giusto? A meno di non seguire il tuo esempio.»
guardò dritto
negli occhi il padre, con un tono di sfida, per fargli capire che aveva
compreso,
che voleva sapere, ma costui sembrò ignorare la sua domanda,
rispondendo furtivamente.
«Non
proprio, in un certo
senso forse… penso comunque che tutto questo possa tornarvi
utile, nel caso vi
troviate in difficoltà o abbiate problemi, se io e vostra
madre dovessimo
mancare per qualsiasi ragione, o foste in una situazione particolare e
veniste
chiamati al loro cospetto.».
«Sinceramente
avrei
preferito non scoprirlo… » fece capolino la voce
di Himiko, che non riusciva
a smettere di tormentarsi di tutto l’accaduto, perseguitata
dalla visione di
come dava compimento alla trasformazione di Akira.
«Inoltre...
» Ai prese
parola «... voi siete vampiri di nascita, anche se vostro
padre non é un
originale, siete considerati anche purosangue in tutto e per tutto,
poiché
siete stati concepiti comunque da due vampiri.» i due si
guardarono però, ed
infine fu il momento di Shin. «Per Shin, però, non
vale lo stesso
discorso.» il ragazzo tremò solo un attimo, prima
di deglutire e farsi
coraggio. La verità tanto attesa, finalmente era giunta.
Hagumi
era totalmente confusa,
così come Himiko, che sembrava però sicuramente
meno sconvolta della
confettina. Che cosa significava tutto questo? La paura fece capolino
nel cuore
della rosetta. «Com’è possibile che noi,
come vostre figlie, siamo vampiri
purosangue e Shin no? Spiegamelo mamma!». Lei,
però, spostò lo sguardo da
quello della figlia, concentrandosi in quello del marito.
«Caro… » disse
solo, ma questo annuì in segno di assenso e lei
tornò a prestare l’attenzione
ai suoi tre adorati figlioletti. «Perdonatemi…
» la voce ora rotta,
mentre eventi troppo dolorosi del passato facevano capolino nel suo
cuore,
ricordandole quella profonda ferita. «Shin, io ti voglio bene
come fossi mio
figlio, ti prego di credermi… ».
Fu come se il cuore di Shin
si fosse fermato per un tempo lunghissimo, in realtà aveva
saltato solo un
battito, ma a lui era sembrata un'eternità. «Lo
so, mamma. Lo sapevo già... » dichiarò
infine, abbassando lo sguardo. «Perlomeno sapevo di non
essere
figlio di uno dei due, data la mia doppia natura.»
continuò a spiegare ed i
genitori si guardarono scossi: avevano taciuto a lungo per proteggerlo
ed
invece si era rivelato tutto un fallimento che forse l'aveva solo
ferito di
più. Hagumi invece scuoteva la testa incredula. Che diavolo
stava succedendo?
Strinse una mano della sorella, se la strinsero a vicenda, per farsi
forza,
mentre Kojiro riprendeva parola: «Shin, prima di conoscere
Ai, io ero
sposato con un'altra donna. Ero un umano, non sapevo nulla di vampiri,
cacciatori e tutte le altre creature. Vivevo la mia vita
tranquillamente, ero
uno studente universitario di scienze naturali, e tra i banchi del
corso
conobbi Mayumi. Tua madre. Ci innamorammo e ci sposammo. Io rimasi
vittima di
un vampiro, mi trasformai, e Mayumi mi spiegò tutto. Lei era
una cacciatrice,
ma si ritirò dal suo compito per rimanermi accanto. Fu
uccisa da altri
cacciatori per questo, nel tentativo di difenderci. Di difendere me,
suo
marito, e te, che eri stato concepito poco dopo la mia trasformazione,
ed eri
un fagotto di pochi mesi non voluto da entrambe le
comunità.». Shin annuì
silenzioso, mentre quella verità finalmente faceva capolino
e lo sollevava. In
un certo senso, questo lo rendeva quasi felice, perché
finalmente era libero,
libero di essere anche lui un uomo come tanti altri, agli occhi della
sua
piccola ed adorata Hagumi.
«Capisco,
ora è tutto più
chiaro… » sorrise sollevato, non rendendosi
nemmeno conto dell’espressione
distrutta della confettina, che scoppiò in lacrime, cullata
dalla sorella, che
invece non era certa di cosa pensare. Quel giorno era stato un vortice
infinito
di sensazioni, tra le dichiarazioni di Natsu e Akira, il bacio di
Natsu, che
tanto l’aveva scossa e rasserenata allo stesso tempo e poi,
quel terribile
evento con Akira… in aggiunta ora non aveva nemmeno
più un fratello.
Spettacolare. Shin si girò verso Hagumi, che stava in mezzo
a lui ed Himiko,
prendendole una mano fra le sue.
«Hagu,
non piangere… se
vuoi che io rimanga tuo fratello per il resto della vita, lo
farò… voglio solo
che tu sia felice, ti supplico, non piangere… »
quelle parole gli costarono
un certo sforzo, ma in fondo ciò che per lui era veramente
più importante al
mondo era che la sua amata stesse bene, non gli importava di
cos’altro fosse
successo, voleva solo che lei fosse felice, anche a costo di dover
sacrificare
se stesso.
Lei
scosse la testa,
ripetutamente, e stava male, male da impazzire. Si divincolò
dalla sua presa e
si alzò, correndo fuori dalla stanza, in corridoio e via,
uscì di casa senza
neanche prendere una giacca o un ombrello, troppo scossa per pensare a
qualsiasi cosa. Shin fece per alzarsi e seguirla, ma lo fermarono
«Lasciala
andare, ha bisogno di stare da sola. È molto intelligente,
sa di non doversi
allontanare troppo, né fare sciocchezze.
Tornerà... » furono le sagge parole
di Himiko. Erano tutti d'accordo con lei.
***
Fu come un fulmine che gli
saettò davanti, tanto veloce che quasi credette di aver
avuto un’allucinazione.
Chiuse l’ombrello, che gli avrebbe impedito la corsa in
quello stato, e
proseguì per la stessa strada in cui l’aveva vista
sfrecciare. Non fece fatica
a raggiungerla, giacché era di gran lunga molto
più veloce di lei, che nemmeno
in un momento come quello sembrava esser aiutata dalla signora
agilità,
poiché barcollava
al punto di correre a zig zag. Entrò
nel parchetto, dove l’aveva vista sparire,
raggiungendo la piccola torretta dello scivolo blu. Si
arrampicò salendo giusto
un paio di scalini, per vederla lì, davanti a sé,
che tremava come una foglia
e, raggomitolata su se stessa, piangeva disperatamente. Si
levò la giacca, che
pur avendo preso l’umidità esterna, dentro era
ancora calda ed asciutta,
posandogliela sulle spalle. Lei sussultò, rendendosi conto
solo in quel momento
di non essere sola. Alzò lo sguardo offuscato dalle lacrime
sullo sconosciuto,
che ora aveva salito gli ultimi gradini, per sedersi accanto a lei,
passandole
un braccio sulle spalle e tirandola a sé, senza nessuna
parola. Se lei avesse
avuto bisogno di parlarne, era certo non si sarebbe fatta pregare.
Nello
stringerla, comunque,
gli giunse al naso un odore di alcool da stendere anche i bevitori
più
incalliti. La allontanò per guardarla in viso, appoggiandole
le mani sulle spalle,
stralunato. Da quando la Minamoto rosa beveva? Lei che era sempre
così fissata
con la salute del corpo?
«Hagumi?»
chiese in un
misto tra preoccupazione e curiosità, dovette lottare per
non ridere quando lei
alzò il viso e risultò avere nasino rosso ed
occhi lucidi. Sembrava, se
possibile, più indifesa del solito, mentre inerme alzava lo
sguardo per
guardarlo e sorrideva scioccamente.
«Shiki...
» biascicò, tuffandosi poi verso di lui e
circondandogli
la vita con le braccine esili, appoggiando una guancia al suo petto,
inebriandosi del suo profumo. «Oggi non puzzi di
sigaretta!» esclamò,
condendo il tutto con un "Hic" finale, che gli diede la conferma di
quanto fosse ubriaca. Lui se la staccò di nuovo di dosso,
serrando poi le mani
sulle sue spalle per tenerla ferma. «Sta buona e spiegami che
ti é
successo!». Lei sorrise ancora, non disse nulla,
semplicemente allungò il
collo, si sporse verso di lui e gli lasciò un casto bacino
sulle labbra, prima
di ritirarsi e sghignazzare divertita. «Ihihih questo era il
mio primo
bacio, ladro!».
Shiki
era semplicemente rimasto inebetito. «Sarà meglio
che ti
accompagni a casa, Hagumi. Sei ancora capace di indicarmi la strada per
arrivarci?» le domandò alzandosi e tentando di
tirarla su a sua volta, ma
lei si lasciò cadere come un sacco di patate, facendo il
peso morto e scuotendo
ripetutamente la testa, dicendo di non volerci tornare. Una venuzza
iniziò a
pulsare sulla tempia del moro, mentre cercava di far ragionare la
rosetta, che
sembrava preferire continuare a fare i capricci. «Hagumi, dai
ti prego… sei
bagnata fradicia, ti prenderai un accidente così…
». La rosetta sorrise
arricciando un po' il labbro inferiore, alzò una manina con
la quale tirò un
lembo dei suoi pantaloni, come per farlo tornare giù. Lui
sbuffò ed acconsentì,
s’inginocchiò di nuovo al suo fianco e si
ritrovò la ragazza completamente
spalmata su di sé, le sue braccia attorno al collo e la
testolina appoggiata al
suo petto.
«Posso
venire da te, Shiki? Non voglio tornare a casa.» la voce
era seria adesso, non tremava, né singhiozzava a causa di
lacrime e forse,
pensò Shiki, a causa dell'alcool che sicuramente aveva
buttato giù, dato che ne
sentiva l'effluvio ovunque ed era certo provenisse da lei, dopotutto
c'erano
solo loro due lì sopra. «Saranno tutti preoccupati
per te… » si ritrovò a
pensare, il pensiero ad Himiko e Shin, giungendo poi subito alla
conclusione
che, in effetti, non era forse la migliore delle idee riportarla a casa
in
quello stato e poi il suo appartamento era proprio dietro
l’angolo. Acconsentì
con un cenno del capo, aiutando Hagumi a scendere la scaletta della
casa di
legno, sollevandola appena arrivati a terra, e portandola a casa sua.
Ciò che
Hagumi riuscì a notare nonostante la sua mente fosse
decisamente brilla, non
appena varcò la soglia dell'appartamento di Shiki, fu che
era un luogo
veramente freddo. Asettico, di una pulizia quasi maniacale, che
certamente non
proveniva da lui dato quanto fosse pigro e tutto l'arredamento era
moderno e in
tonalità di bianco e nero. Eppure, nonostante fosse
così lontana dai suoi
gusti, quella casa le piacque molto, si sentì a suo agio,
forse perché in ogni
angolo riusciva a notare la presenza di Shiki, come se fosse impregnata
in
quelle pareti. Anche il profumo che c'era nell'aria era inconfondibile,
era il
suo. Si chiese come fosse possibile che tutto sapesse o ricordasse lui,
quando
un'idea balenò nella sua testa: «Shiki, abiti da
solo?» chiese
incuriosita, mentre il ragazzo toglieva il giubbotto bagnato e lo
appoggiava
sull'attaccapanni all'ingresso. Certo non si sarebbe aspettata
quell'ordine da
lui, ma non poté pensare altrimenti, poiché
sembrava una casa vuota, come se
fosse poco vissuta e nessun altro oltre lui ci mettesse piede da tanto.
Lui
ebbe un cipiglio, guardandola da tutta la sua altezza, come se le fosse
superiore, cosa ormai abituale. Hagumi non ci fece caso. «Ti
sorprende la
cosa?». Lei ridacchiò un poco, no, in effetti era
proprio da lui anche se…
un senso di tristezza sembrò avvolgerla, vivere da soli
doveva essere anche
immensamente triste. Loro a casa erano sempre stati in cinque, tranne
l’ultimo
periodo in cui Shin si era trasferito, ma anche se ogni tanto le
capitavano
conflitti in famiglia, non avrebbe mai potuto immaginare la vita senza
loro.
Stare sempre da sola, consumare i pasti da sola, vivere in un
instancabile
silenzio, non poter cucinare deliziosi dolcetti per qualcuno e farsi
fare i
complimenti in modo affettuoso, anche se le uscivano bruciacchiati. No,
non
avrebbe mai potuto rinunciare al calore di una famiglia.
«Un
pochino.» rispose infine alla sua domanda, mentre piegava
prima un ginocchio e poi l'altro per sfilarsi le scarpette rosa con
movimenti
abbastanza fluidi, nonostante la mente decisamente annebbiata.
Lasciò le scarpe
all'ingresso e, ignorando bellamente le pantofole femminili per ospiti
che lui
le porse, si addentrò a piedi scalzi, con i lisci e
vellutati collant bianchi
che avvolgevano i piedini e poco facevano per difenderla dal pavimento
gelido.
Squittì appena a quel contatto freddo e fu rincuorata nel
vedere un divanetto
nella sala che era poi un tutt'uno con l'ingresso. Sorrise soddisfatta
di
questa importante scoperta e corse verso il sofà,
gettandovisi sopra senza
troppi complimenti. Shiki non ci badò troppo, sapeva che
sarebbe stato stupido
pretendere un po' di educazione e discrezione da una ragazzina
distrutta e
mezza brilla ed oltretutto era troppo impegnato a ripensare al contatto
caldo
che le loro labbra avevano avuto poco prima; un incontro ravvicinato
inatteso,
quanto piacevole. Assunse un'aria sbalordita e, nello stesso istante in
cui
faceva quei pensieri, altri presero possesso del suo cervello in modo
prepotente: iniziò a chiedersi cosa diavolo fosse tutta
quell'accondiscendenza
verso i comportamenti liberi di Hagumi, cosa fosse poi quello strano
pizzicore
avvertito alle guance mentre le lo baciava e, per ultimo ma non ultimo,
si
fissò sul ricordo del tepore che quelle labbra emanavano.
Non sapeva che i
vampiri fossero caldi, dopotutto fino ad ora era cacciatore di nome, ma
non di
fatto, troppo giovane per averne mai cacciato alcuno, non aveva neanche
ancora
terminato gli studi che lo avrebbero portato ad essere un cacciatore
completo,
figurarsi quindi se aveva mai avuto modo di toccarne una... baciarla,
anzi! Si
schiaffò una mano sulla fronte, mentre lei canticchiava
soddisfatta,
sdraiandosi a pancia in giù sul divano ed affacciandosi
verso di lui, braccia
posate su un bracciolo e mento abbandonato su di esse:
«Shiki-chan!»
canticchiò, prima di essere scossa da infantili risatine,
mentre arrossiva e si
copriva la testa col primo cuscino che riuscì ad acciuffare,
tutta imbarazzata
per l'ardore dimostrato nel chiamarlo con tanto affetto. Lui rimase
basito. E
poi capì. «Dio mio… »
imprecò mentalmente, mentre la testa iniziò a
girargli fortemente e dovette appoggiarsi con la spalla al muro, per
non cadere.
Lei lo guardò confusa, s’alzò dal
divanetto, avvicinandoglisi. «Stai bene
Shiki-chan?» domandò, guardandolo dal basso,
essendo più piccina di lui, frattanto
che appoggiava le mani sul suo petto, il suo corpo che ormai sfiorava
quello
del moro. «Ti prego Hagumi, se fai così, potrei
non rispondere di me… »
si morse subito la lingua per ciò che aveva appena detto.
Che diavolo gli stava
prendendo? Quella era un vampiro!
Lei
sbatté le ciglia lunghe, mentre scrutava il suo volto
imbarazzato,
appoggiandosi quasi a lui ora con tutto il peso del corpo, rimanendo
solo sulle
punte dei piedi. Sorrise maliziosetta, puntando poi indice e medio
della
mancina sul suo petto, facendoli camminare in su, alternati in un
movimento
buffo, fino a raggiungere il suo naso su cui fermò poi le
due dita, per
circondarlo e tirarlo appena, come si fa con i nasi a patata dei bimbi.
Trillò
in una risatina, mentre lui tratteneva il respiro e si appuntava
mentalmente di
ordinare alla gemella rossa di non fare alzare ma più il
gomito a sua sorella,
perché era pericoloso, così come
confermò l'appena vago gonfiore nei suoi
pantaloni. «Cazz... ».
Ebbe
solo modo di esclamare in modo poco raffinato, prima di alzare una
mano e spingerla via, con non troppa forza, ma abbastanza per
scollarsela di
dosso. Appoggiò poi le mani sulle sue spalle e la
guardò dritto negli occhi,
tutto serio. «Hagumi, no! Non si fa! Ora ti riaccompagno a
casa, maledetta
succhiasangue malefica.» a quanto pare, era più
turbato del previsto, ancor
più di quanto la sua geniale mente riuscisse a rendersene
conto. «Ma
Shika-chan... AHIO!» fu l'urletto contrariato, mentre lui le
afferrava il
braccio destro con fermezza ed iniziò a trascinarla via,
verso l'ingresso. Non
era il caso di rimanere da soli, si stava allegramente fottendo il
cervello e
per lui ed il suo sommo genio, era assolutamente INACCETTABILE. Lei si
portò la
mano libera alle labbra, fingendo un singhiozzo, mentre lo guardava
sempre con
tono malizioso. «Mi trovi così brutta?»
gli chiese senza pudore,
facendolo voltare nella sua direzione e mollare la presa sul suo
braccio. La
rosetta prontamente approfittò dell’occasione per
levarsi il maglione compreso
di canottierina e rimanendo solo con il reggiseno di pizzo rosa.
«Anche così
sono troppo poco affascinante ai tuoi occhi?». Si
passò una mano fra i
lunghi capelli, gettandone alcune ciocche all’indietro,
mentre con l’altra mano
giocava con una ciocca degli stessi. Eh no, quello era veramente troppo
anche
per lui. Era pur sempre un uomo no? E lei lo stava decisamente
provocando.
Tuttavia
era troppo intelligente per farsi tentare così. Si
voltò
altrove con l'ultimo briciolo di senno che gli rimaneva,
s’avvicinò al
maglioncino di lana rosa che lei aveva gettato per aria e, senza
voltarsi a
guardarla, glielo porse. «Vestiti.»
ordinò gelido, non ammetteva
repliche. Era convinto che mostrando indifferenza lei avrebbe cessato
quello
strano giochino nato da chissà quale parte del suo cervello,
che aveva sempre
creduto casto, puro, lindo e pinto come neanche il bucato
più bianco, ma a
quanto pareva si sbagliava, tant'é che se la
ritrovò di nuovo sotto il naso.
Arrossì violentemente fin dietro le orecchie e non
poté trattenersi più. Mollò
la maglia sul pavimento, aprendo semplicemente la mano questa cadde al
suolo
senza indugi, mentre il braccio di lui già si muoveva in
direzione del
corpicino della diavoletta tentatrice che, si poteva dire, aveva vinto.
La afferrò
avvolgendole il corpo piccolo e caldo tra le sue braccia, mentre le
labbra si
congiunsero con quelle di lei passionalmente. Arretrò di
qualche passo verso il
muro, affondando le mani nei suoi capelli rosa che profumavano di
shampoo alla
camomilla, e si lasciò scivolare contro la parete contro la
quale aveva cozzato
nella retromarcia, sedendosi a terra, lei ancora stretta a lui
inginocchiata
tra le sue gambe, il busto appoggiato sul suo petto e la faccia in
fiamme
nascosta nei suoi abiti. Per quanto brilla, si rese conto di aver
superato il
limite con lui, averlo spinto troppo oltre. Eppure... non le
importò. Non le
importò affatto. Si aggrappò ai suoi vestiti,
stringendone i lembi tra le
piccole manine pallide, e lasciò che lui iniziasse ad
esplorare il suo corpo,
ansioso di farla sua, con carezze piene di bramosia che simboleggiavano
la
distruzione di certi freni inibitori che, tra loro, non avevano
vacillato mai,
neanche un attimo... o almeno, così era sembrato fino a quel
momento.
***
Uscì
dall’appartamento in punta di piedi, chiudendo
silenziosamente la
porta, ballerine in mano per non fare rumore. Le indossò in
fretta e furia e
intraprese una corsa in direzione della scuola, totalmente sconvolta da
se
stessa. Se voleva sorprendersi, con quell’azione ci era
riuscita perfettamente.
Insomma, non era cosa da tutti passare dal primo bacio alla prima volta
nel
giro di così poco. Si portò una mano alle labbra,
le lacrime pungenti volevano
scendere copiose, ma sembravano come bloccate. Si sentiva sporca, si
sentiva
come una sgualdrina qualunque, ma al contempo stesso non riusciva a
pentirsi di
quell’azione, se mai in vita sua avesse potuto avvicinarsi al
paradiso beh,
quella notte sicuramente l’aveva raggiunto. Corse a
perdifiato lungo la strada,
era molto in anticipo, ma sapeva che anche sua sorella lo era, lo
sentiva,
perché lei stava correndo esattamente lungo la stessa
strada, dalla parte
opposta, per raggiungere l'edificio scolastico. Neanche si fossero date
appuntamento, s’incontrarono davanti al portone ancora chiuso
ed entrambe
arrestarono la corsa a pochi metri l'una dall'altra, guardandosi negli
occhi
completamente sfatte ed affannate.
«Hagu...
ti ho... portato... anf... la borsa... ».
Hagumi
riuscì a malapena a sorridere con lo stato d'animo in cui
versava, ma ci provò comunque. Allungò una mano
verso lo zaino, non guardò
neanche cosa ci fosse dentro, era già tanto che gliel'aveva
preparato,
generalmente Himiko non preparava neanche il suo, fu molto grata alla
sorella e
le sorrise cercando di sembrare convincente, prima che i volti di
entrambe si
contorcessero dalla tristezza e si tuffassero l'una nelle braccia
dell'altra,
piangendo all'unisono. In che razza di situazioni si erano andate a
cacciare?
Dopotutto,
comunque, quando si furono calmate riuscirono persino a
trascinarsi lontano da lì, mancava ancora almeno un'ora al
suono della
campanella, così l'idea di trovare un baretto aperto e fare
colazione ad un
tavolino per parlare con tranquillità fu la cosa
più sensata che riuscirono a
pensare. Himiko non chiese nulla su cosa avesse fatto quella notte,
perché
semplicemente l'aveva capito, aveva sentito le emozioni della sorella,
poiché
non aveva avuto chiuso occhio a causa dei troppi pensieri che le
affollavano la
mente. Una domanda però sorse spontanea: «Chi
era?».
Hagumi
smise di succhiare il frappé alla fragola come stava
rumorosamente facendo da qualche minuto e guardò la sorella
rossa come un bel
pomodoro, mentre allontanava le labbra dalla cannuccia. «Ah,
allora hai
sentito... » se possibile, arrossì ancora di
più. Beh, come avrebbe potuto
non avvertire i sentimenti della gemella, se fosse stata sveglia?
Sicuramente
la sua attenzione era alta perché aspettava un qualsiasi
segno che le dicesse
dove potesse essersi andata a ficcare, di conseguenza avrebbe dovuto immaginare che tutto
ciò che
avesse potuto fare, sarebbe stato sentito e bollato da Himiko, troppo
sconvolta
ed ubriaca per chiudere la propria mente e far si che i propri
sentimenti non
sgorgassero fino a raggiungere la sorella. Himiko annuì.
«Non sei obbligata
a parlarne.» le disse solamente, strappando alla rosetta un
sorriso di
gratitudine. In fin dei conti, alla sua prima volta, neanche lei se
l’era
sentita di parlarne con Hagumi, l’aveva trovata una cosa
troppo imbarazzante,
alla fine son pur sempre cose molto intime e personali, anche per una
gemella.
Sospirò, sorridendole e avvicinandosi un po’, per
arrivare a tirarle una
gomitatina nelle costole. «Son però contenta di
sapere che ti è piaciuto,
doveva essere proprio uno stallone… benvenuta nel mondo
degli adulti
sorellina!» squittì abbracciandola forte,
coccolandosela tutta e
scompigliandole i capelli.
«Uno
sta... CHE?» pigolò
guardando la sorella prima che le saltasse addosso per festeggiarla e
la osservò
in modo così sconvolto che era quasi come se Himiko avesse
detto la cosa più
indecente del mondo. Arrossì furiosamente fin dietro le
orecchie, lasciò che
l'altra la spupazzasse un po', perlomeno così facendo poteva
nascondere tutto
il suo imbarazzo affondando la testa da qualche parte. «...
Shiki... »
miagolò infine, mentre l'altra la lasciava andare. Non aveva
capito bene. «Come?» o almeno sperò di
non aver capito bene. «Shi... Shiki... era
Shiki... » terminò infine, prima di doversi
tuffare con la testolina di lato
per evitare un cucchiaino volante diretto in fronte. «Ma sei
pazza?!»
chiesero all'unisono, la rossa che la guardava scandalizzata, e l'altra
che la squadrò
di rimando alzandosi dalla sediolina e prendendola tra le mani per
alzarla e
farsi scudo. «SHIKI?!» ripeté con lo
stesso tono Himiko. Cosa diavolo le
era saltato in mente di tuffarsi tra le braccia di Shiki, il cugino di
colui
che aveva assistito all'incidente con Akira del giorno prima?
«Beh… non puoi
dire che non sia un gran bel pezzo di ragazzo, no?»
domandò innocentemente
la confettina, nascondendosi meglio dietro la sedia, ben conscia che
sarebbe
finita sbranata nel giro di pochi istanti. Himiko sembrò
fermarsi a riflettere
per un istante, poi la guardò come illuminata. «In
effetti, come darti
torto… » si sedette confusa sulla sua sedia,
perdendosi in un silenzio di
pochi attimi, al che Hagumi fece capolino dal suo nascondiglio,
credendo che il
peggio fosse passato, ma proprio in quel momento Himiko
riscattò in piedi,
picchiando un pugno sul tavolino. «Ma resta sempre
SHIKI!» ululò,
portandosi le mani nei capelli e ributtandosi a sedere sulla sediolina,
riprendendo la degustazione del suo frappé al cioccolato.
«Sì...
beh... » la rosa
portò la sedia al suo posto, affondandocisi dentro come se
volesse scomparire,
mentre appiattiva convulsamente una ciocca di capelli sul volto
«... lo so
chi é... » un cacciatore, niente di più
e niente di meno «... ma ero
mezza ubriaca... » la bocca di Himiko si spalancò
«... anzi diciamo che
ero tutta ubriaca... » e qui se possibile il mento della
rossa avrebbe
toccato terra «... e lui era così... bello...
forte... insomma, dai, come
facevo a resistere?» tacque, guardandola imbarazzata. Himiko
sospirò: per
essersi addirittura ubriacata, Hagumi doveva aver preso davvero una
brutta
batosta alla rivelazione delle origini di Shin, ben più
grande di quanto non
avesse sospettato. «Come pensi di comportarti,
adesso?» chiese
preoccupata. «Non so. Sinceramente... credo che
farò finta di nulla. Ed
immagino che anche lui farà lo stesso, conoscendolo. E tu
invece? Tu cosa farai
con Natsu?». Himiko abbassò lo sguardo con
espressione sofferente. Avrebbe
dovuto spiegare alla sorella per quale motivo aveva fatto tutto quel
casino
proprio sotto gli occhi del biondo, ma non era propriamente una cosa
semplice
da raccontare.
«Non
lo so… » rispose
semplicemente, ripensando a quel momento. Le era sembrato di passare
dal
paradiso all’inferno nel giro di pochi secondi. Ironico. E
pensare che lei non
l’aveva nemmeno mai calcolato da quel punto di vista, ma
sapere che lui ora la disdegnava
le faceva così male, quasi più di quanto la
distruggesse ciò che era successo
con Akira. La cosa comica, si ritrovò a pensare, era che
quando scontavano la
punizione, l’ultimo giorno della gita, le aveva proprio detto
che non gli
avrebbe mai potuto fare schifo, ma come dargli torto, non aveva visto
la sua
vera natura di mostro. Sorrise tristemente, alzando gli occhi su quelli
della
sorella. «Dopo quello che ho fatto ad Akira, le cose non
potranno mai
tornare come prima, mi disprezzerà in eterno e non posso
biasimarlo. Sarà più
importante concentrarsi su come spiegare tutto ad Akira e calmarlo, una
volta
che si sarà risvegliato come vampiro.». Un anelito
affranto quello che
sfuggì ad Hagumi, mentre alle sue orecchie giungeva la
campanella che segnava
l'inizio delle lezioni. «Uhm, dobbiamo sbrigarci!»
borbottò senza troppa
attenzione, finendo di bere il suo frappé ed alzandosi in
piedi. Sistemò la
gonna della divisa che Himiko le aveva portato in un sacchetto assieme
alla
borsa e che aveva indossato nel bagno del bar prima di sedersi a fare
colazione, quindi recuperò lo zaino e fece cenno alla
sorella di muoversi. Ad
Akira ci avrebbero pensato più tardi.
Uscirono
di corsa, arrivando
davanti al cancello della scuola proprio al finire del trillare della
campanella. Svoltarono l’angolo per entrare nel vialetto che
conduceva al
portone di entrata, ma la sfortuna sembrava non essere proprio dalla
loro.
Sbatterono entrambe contro due figure fin troppo bene conosciute,
cadendo
rovinosamente a terra, lo sguardo inebetito in direzione di Shiki e
Natsu, che
sembravano attenderle. Le due boccheggiarono per un momento,
guardandosi poi a
vicenda, piuttosto preoccupate. E ora?
«Vi
aspettavamo.» prese
parola Shiki, lo sguardo fisso sulla confettina. Le porse una mano per
aiutarla
a rialzarsi.
«Non
si era capito… » borbottò
Himiko, alzandosi da terra e spolverandosi la divisa, raccogliendo
subito la
cartella.
Hagumi
arrossì come un
semaforo, abbassò lo sguardo portandosi i pugnetti sulle
ginocchia e non osò
più muoversi da quella posizione, almeno non
finché Shiki non ritrasse la mano,
un'espressione indecifrabile dipinta in volto. Fu Himiko ad aiutare la
sorella
che, mancandole almeno il doppio della grazia che mancava alla rossa,
nel
cadere si era anche slogata una caviglia. Come sempre.
«Allora,
cosa volete?» chiese
Himiko guardandoli mentre spolverava la divisa della sorella con
qualche
pacchetta che, anche se tornata in piedi, rifiutava ancora di muovere
un solo
muscolo, guardando ovunque tranne che Shiki. O perlomeno, ci provava,
ma quando
lo sguardo cadeva su di lui, non poteva fare a meno di farsi assalire
da
flash-back della notte precedente, il suo corpo nudo su di lei, i suoi
baci
appassionati, le sue mani calde che s’infilavano ovunque con
un vago dispotismo
che... oh no, ci stava ricascando! Distolse di nuovo lo sguardo, mentre
Himiko
tratteneva a stento le risate, cercando di mantenere un certo decoro ed
un po'
di serietà. Era anche un po' dispiaciuta, se non ci fosse
stato quel problemino
tra di loro, sarebbe stata davvero una scena divertente a cui
assistere. Come
aveva detto in passato, Shiki era proprio il suo tipo, e
l’aveva dimostrato
riuscendo a rubarle il primo bacio e la prima volta, cosa che nessun
altro, ne
era convinta, sarebbe stato capace di fare, per di più in un
tempo record.
Peccato che i loro status li dividessero in partenza.
«Perché
sei scappata,
stamane? Mi sono preoccupato.» domandò Shiki
asciutto, segno che era anche
un attimo piuttosto irritato. Hagumi provò ad alzare lo
sguardo timidamente su
di lui, ma era più forte di lei, non ce la faceva proprio.
Provò a balbettare
una qualche scusa, ma le parole sembravano non volerle uscire.
«Ti sei
pentita?» insistette lui, avvicinandosi alla confettina e
alzandole il
mento, per poterla guardare negli occhietti azzurri.
La
ragazza scosse appena il
capo e, nel farlo, si liberò anche dalla presa di Shiki sul
suo viso. Voltò
nuovamente lo sguardo altrove, non aveva il coraggio di guardarlo.
«Ero
ubriaca... » disse semplicemente, rimanendo sul vago.
Già, ubriaca. Ciò però
non significava si fosse pentita, no?
Natsu,
poco dietro le spalle
del cugino, sbuffò contrariato. Che si metteva a fare anche
tutto il dolce,
ora? Incrociò le braccia e si voltò verso Himiko,
con un sorrisetto sghembo. «Spero tu sia venuta sazia
stamattina, non vorrei ci scappasse un altro
incidente solo perché uno ti chiama come pensa che tu
sia.» disse aspro,
gelido, malvagio, come Himiko non l'aveva mai sentito. Le si strinse il
cuore,
mentre lo guardava supplichevole, pregandolo già solo con lo
sguardo di
smetterla, di non infierire.
«È
stato un incidente… »
pigolò lei, stringendosi nelle spalle, sentendo quella
ferita bruciarle come
non mai. Lui però prese a ridere, ironico.
«Certo,
è un dato di fatto
che i vampiri si cibino di esseri umani per incidenti
casuali.» ruggì,
tornando subito serio, avvicinandosi a lei e strattonandola per il
braccio. «Sai che ti dico? Forse Akira, a pensarci bene,
aveva proprio ragione. Se
ora t’insulto un po’ anch’io, morderai
anche me? Eh, Himiko? Farai anche a me
quello che hai fatto a lui?».
«LASCIAMI!»
urlò lei,
cercando di liberarsi dalla presa, mentre una lacrima le scivolava
lungo la
pallida guancia.
Stavolta
fu Hagumi a perdere
il controllo, anche se non del tutto. Uno spintone di una violenza
inaudita lo
fece sbalzare indietro di parecchi metri, prima che capitombolasse a
terra di
schiena. Si rialzò a sedere, confuso, e trovò la
rosa che faceva scudo alla
sorella con il suo corpo, gli occhi lampeggiavano dall'azzurro al
rosso, in una
trasformazione non ancora totale. «Non toccare mia sorella,
Natsu. Per quanto
siamo potuti essere amici, non te lo perdonerei... MAI!»
l'ultima parola fu
un ringhio che suonò fin troppo sfalsato per la
tonalità di voce acuta e
cinguettante della giovane vampira. Himiko quasi tremava dietro di lei,
ma poi
si calmò, doveva far rinsavire la sorella prima che anche
lei commettesse
qualche errore madornale. Le appoggiò una mano sulla spalla
ed Hagumi tornò
immediatamente alle sembianze umane. «Lascia stare. Va tutto
bene, tranquilla.
Grazie di avermi difesa... ora... ora ci penso io.»
annuì decisa, quindi
ignorò il suo sguardo preoccupato e si avvicinò
con fierezza al biondo,
porgendogli una mano. «Alzati e vieni con me, dobbiamo
scambiare due
parole... CIVILMENTE... » se non si fosse ricordato che erano
ancora in una
scuola.
Lui
rifiutò l’aiuto, si alzò e
le fece segno di seguirla. Himiko assentì con un gesto della
testa, girandosi
un momento in direzione della sorella e sussurrandole qualcosa
all’orecchio. «Cerca di chiarire con Shiki, penso
ci sia rimasto male.». Le fece
l’occhiolino e si avviò dietro al biondo, ben
conscia che non avrebbe passato
piacevoli momenti, da quell’istante in poi.
***
Aprì il pesante portone bianco
che portava al tetto, uscendo su questo, volgendo per un momento lo
sguardo al
cielo. Notò piacevolmente che era coperto da nuvoloni neri
che sembravano
portare un potente temporale estivo, perfetto, non poteva chiedere di
meglio.
Sorrise cinico, salendo alcuni scalini della scaletta di cemento che
portava al
pianerottolo superiore, quello sopra la cupola dell’entrata,
appoggiandosi alla
parete, in fare strafottente. Estrasse una sigaretta dal giubbotto e se
l’accese, aspirando ampie boccate, evitando di guardare in
direzione della
rossa che lo osservava da sotto. Himiko lo lasciò fare, ben
conscia che farlo
calmare un attimo le sarebbe solo stato d’aiuto, ma dopo
cinque minuti buoni di
silenzio, si decise a prendere parola.
«Ero
sincera, quando ho
detto che si è trattato di un incidente.» lo
sguardo puntato verso di lui,
che però sembrava trovare più interessante
guardare in direzione del panorama
della città.
Dopo
qualche istante sorrise
amaro, mentre dava un leggero colpetto alla sigaretta per eliminare un
po' di
cenere. «Vorrei crederti Minamoto. Dico sul serio...
» però non ci
riusciva, era troppo difficile accettare ciò che era
accaduto sotto i suoi
occhi... e sotto il suo cuore che fino a pochi secondi prima era
scoppiato
d'amore per lei. Che razza d’idiota era stato a credere che,
nonostante fosse
un vampiro, avrebbe potuto essere diversa. «Se vuoi, puoi
farlo!»
rimbeccò lei, raggiungendolo e portandosi al suo fianco,
speranzosa; perché lui
non era stato l'unico a provare quei sentimenti il giorno prima,
dopotutto;
perché quando l'aveva baciato era cosciente di
ciò che stava facendo e in quei
pochi istanti aveva sperato di aver finalmente trovato qualcuno che
potesse
diventare importante, importante davvero; perché
semplicemente credeva di aver
finalmente riempito un vuoto.
Lui
scosse la testa, in segno
di diniego, quindi con molta semplicità allungò
una mano verso di lei e
l'appoggiò sul suo petto, ad altezza del cuore. Lei non
capì cosa stesse
accadendo, non finché il cuore si strinse fino a farle male
e gettò il capo
indietro urlando al cielo, disperatamente, in un dolore che non trovava
fine,
né inizio, sembrò semplicemente eterno. Il suo
grido fu coperto da un rombo di
tuono a seguito di un fulmine che squarciò il cielo, come se
anche quest’ultimo
volesse disperarsi assieme a lei. Natsu interruppe per un momento quel
contatto, mentre lei scivolava contro la parete di cemento,
accasciandosi al
suolo, mantenendosi il petto dolorante.
S’inginocchiò davanti a lei,
afferrandole il mento e alzandole il viso verso il suo, per poterla
guardare in
tutta la sua sofferenza, per vedere la paura nei suoi occhi.
«Sai,
probabilmente questo
è nulla in confronto a quello che ha provato Akira nel
momento in cui ti sei
cibata di lui, ma non ti preoccupare, alla fine questo era solo un
assaggio.» lei strizzò un attimo gli occhi, mentre
cercava di rimettere a
fuoco la vista. Un cacciatore, Natsu era un cacciatore, e dal potere
che le
aveva rivelato probabilmente anche uno dei più potenti. Si
ritenne già morta,
furioso com’era, non l’avrebbe mai risparmiata.
«Uccidimi
pure… conosco le
mie colpe e non me le perdonerò mai. Se vuoi liberarmi di
questo peso, fallo.
Mi faresti solo un favore.» sussurrò a fatica, il
fiato corto per il forte
dolore al cuore.
«MA
NON LO FAREI A ME
STESSO!» tuonò lui, cogliendola alla sprovvista,
tanto da farla sussultare. «Non a me stesso, Himiko! Io ti
amo... dannazione... ti amo!» sbatté le
mani sul muro, ai lati della testa della ragazza, e si
accasciò in avanti, in
lacrime. Di rabbia, di tristezza, di colpa... Colpa, sì!
Perché se solo
l'avesse fermata anziché rimanere pietrificato, ora Akira
sarebbe ancora umano,
e lui non avrebbe dovuto crogiolarsi nella dolorosa consapevolezza di
essersi
innamorato di una donna appartenente alla stirpe dei suoi nemici
naturali.
Himiko non ebbe, però, il tempo di assaporare a pieno quelle
parole, scattò in
avanti, con le poche forze che le rimanevano dall’attacco di
Natsu, mettendosi
in posizione di scudo davanti a lui, giusto in tempo per incassare il
colpo che
volava in loro direzione e la investì in pieno.
«CHE
DIAVOLO STAI FACENDO,
HIMIKO?! STAVA PER AMMAZZARTI E LO DIFENDI?» la voce di Misa
risuonò, intanto
che scavalcava la ramina di protezione del tetto su cui era appollaiata
poco
prima, e correva in direzione della rossa che, accasciata a terra, si
manteneva
il fianco. La vista le si annebbiò completamente, mentre
perdeva velocemente i
sensi. «Brutto idiota di un biondo arrapato, chiama
Hagumi!!!» urlò
infuriata nera, guardandolo in cagnesco. Natsu era totalmente confuso.
La
velocità di quelle scene si erano susseguite troppo in
fretta per lui.
«Misa?
Sei anche tu un vam… ». «MUOVITI HO
DETTO!».
La
guardò
incredulo: era un vampiro, gli stava dando degli ordini... e se l'era
anche
portata a letto. Ma dove diavolo aveva ficcato il suo istinto da
cacciatore, il
suo sesto senso? E poi possibile che fosse ancora arrabbiata con lui?
Dall'espressione disgustata avrebbe detto di sì. Si
alzò ancora un po' stordito
e guardò il corpo di Himiko tra le braccia dell'amica, forse
ancora più pallida
del solito, il che era un'impresa non indifferente. Rantolava
nonostante fosse
priva di sensi, gemeva, gli abiti sul fianco completamente inceneriti,
e la
pelle al di sotto di questi visibilmente ustionata. Ma era un vampiro,
avrebbe
dovuto rimarginarsi tutto subito, no?
Poi
guardò
l'espressione disperata e totalmente colpevole di Misa e
capì che il potere
vampirico della ragazza era forse letale se colpiva suoi simili. Il
perché non
riuscì a spiegarselo, ma il cuore
s’appesantì d'angoscia: Himiko stava
rischiando di morire. Fu con la testa immersa nella più
totale confusione e in
un cieco terrore, che si allontanò dal tetto, correndo a
perdifiato alla
ricerca della gemella rosa, perché nonostante tutto,
nonostante fosse sua
nemica, una vampira ed avesse persino aggredito un essere umano sotto i
suoi
occhi, non poteva fare a meno di pensare che non lo disgustava per
niente, e
che anzi ai suoi occhi, seppure fosse contrario a questa cosa,
continuava ad
apparire come la creatura più bella che avesse mai visto,
quella di cui inesorabilmente
s’era innamorato, quella che aveva provato ad odiare...
invano.
«Ti sei pentita?» domandò
nuovamente, approfittando ora del fatto di essere soli e che lei non
potesse
sfuggirgli. La rosetta, alzando finalmente lo sguardo dalle ballerine,
lo
guardò ora confusa.
«Te l’ho detto, ero ubriaca, e
dubito che la cosa ti sia sfuggita.». Lui scosse la testa,
avvicinandosi di
un passo a lei, arrivando a stare a pochi centimetri dalla sua figura.
«Questo non risponde alla mia
domanda e se pensi che ti chiederò scusa per aver
approfittato del fatto che
non eri in te, sbagli di grosso.». Hagumi lo
guardò un po’ offesa, di certo
non era ciò che si definitiva un gentiluomo. Lui
sembrò cogliere i suoi
pensieri da quello sguardo. «Senti, ti sei spogliata davanti
a me, hai fatto
di tutto per provocarmi e sono pur sempre un uomo. Per me puoi
benissimo
rifarlo che la cosa non mi offende, ma se ferisce il tuo candido animo,
la
prossima volta evita di girare ubriaca, la cosa non mi
tocca.».
Lei
spalancò la boccuccia, scandalizzata. «Sei...
sei... osceno!» sputò fuori con rabbia, cercando
di dargli un
pugnetto sul petto, ma lui fu più veloce e le
fermò il polso, con nonchalance. «Eh no, miss
ingenuità. Sei tu quella che mi strusciava addosso due tonde
protuberanze. Io ho solo accettato l'invito.»
rettificò secco, prima di
aggiungere uno sbuffatissimo «Che seccatura!» e
mollarle il braccio, già
stanco di parlare. Lei si massaggiò il polso tenendo lo
sguardo basso,
seriamente infastidita. La stava trattando come la prima sgualdrina che
si era
infilata nel suo letto e lei che per un attimo si era persino illusa
che c'era
stato qualcosa di più di una scopata, tra loro. Ovviamente
aveva toppato alla
grande. «Allora... » riprese lui, dopo aver
guardato un po' in giro per
assicurarsi che nessuno passasse, ed essere tornato su di lei
spingendola un
paio di volte verso il sottoscala, facendola indietreggiare tanto che
ci mise
poco a cozzare contro il muro alle sue spalle. «Allora
che?» incalzò,
nascondendo maldestramente l'ansia per ciò che stava
facendo. Erano nel
sottoscala della rampa che accedeva alle cantine della scuola,
qualsiasi cosa
fosse successa, nessuno avrebbe visto o sentito nulla provenire da
laggiù, era
impossibile. «Allora, ti sei pentita?» chiese
ulteriormente, appoggiando
un braccio al muro, sopra la testa di lei, e di seguito la fronte su
questo,
piegandosi in avanti e schiacciandola contro la parete, sovrastandola
in tutta
la sua altezza, tanto che lei dovette reclinare il capo indietro per
quel che
poté pur di vederlo in viso, scrutare nei suoi occhi e
capire dove volesse
arrivare. «Non sono pentita.» rispose infine,
arrendendosi. L'aveva praticamente
messa alle strette e non solo in senso metaforico. Lui non si scompose
minimamente. Alzò l'altra mano che teneva abbandonata lungo
il fianco e la
portò su una guancia di lei, ad accarezzarla. Un tocco
freddo, pensò Hagumi,
eppure gentile. «Sai quando Natsu mi ha raccontato di cosa
avesse fatto tua
sorella sono rimasto scosso. Mi sono chiesto se fosse per quello che
eri
distrutta e ubriaca... ma sono giunto alla conclusione che non poteva
essere
solo per quello, sei sensibile, ma non abbastanza per distruggerti solo
perché
tua sorella ha fatto ciò che, dopotutto, tutti i vampiri
fanno. Poi mi sono
ricordato che non volevi assolutamente tornare a casa e di come poi ti
sia
appiccicata a me nonostante non avessimo mai avuto contatti... e non
eri
abbastanza ubriaca per questo, Hagumi, perché eri ancora
lucida da capire
dov'eri, cosa facevi, e addirittura che la casa era troppo vuota e
asettica
perché io abitassi con qualcuno... » lei
ascoltò attentamente quasi rapita
da quel discorso. Come aveva fatto a capire tutto ciò senza
che lei gli dicesse
niente? Forse non era un caso che tutti lo ritenessero un genio,
dopotutto. «Vedi, Hagumi, non é un segreto
ciò che tuo fratello prova per te.» lei
impallidì, mentre gli occhi si riempivano di lacrime quasi
con violenza «...
e non é un mistero ciò che tu provi per lui, un
affetto fraterno morboso, non
amore. Allora semplicemente ho pensato che per aggrapparti ad un altro
uomo con
tutta te stessa, stessi cercando di scacciare Shin dalla tua
testa.» terminò
mentre le passava la mano tra i lunghi capelli rosa, appoggiando poi la
fronte
alla sua «È successo qualcosa con Shin,
Hagu?» chiese infine, mentre la
vista della ragazza si appannava ed in preda ad un dolore troppo forte
da
reprimere scoppiava in lacrime, abbandonandosi tra le sue braccia.
«Suppongo
che questo risponda alla mia domanda… » disse,
lasciando poi che le sue braccia la circondassero e la stringessero
a sé. «Sfogati, dopo ti sentirai
meglio.» concluse, lasciando che Hagumi
piangesse tutte le sue lacrime e buttasse fuori tutto il suo dolore,
tutta la
sua frustrazione di quello che aveva passato. Non appena la rosetta
sembrò
calmarsi un po’, portò una mano alla sua fronte,
alzandole la frangetta, per
guardarla meglio negli occhietti azzurri, un sorriso sincero dipinse il
suo
volto, mentre notava che tutta l’oscurità che
aveva visto in quelle due pozze
d’acqua cristallina sembrava essersi dileguata. Ora appariva
decisamente più
serena. Si abbassò su di lei per posarle un bacio sulla
fronte, come a volerla
ridestare dallo stato di trance in cui era caduta e, non appena lei
alzò lo
sguardo su di lui, portò le mani sul suo viso, dandole un
leggero bacio a fior
di labbra.
«Se
hai bisogno di un uomo che continui a fartelo
dimenticare, ricordati che son sempre disponibile.» la
punzecchiò un attimo,
nella speranza di farla reagire.
Lei
abbozzò un
sorriso, celando la sottile inquietudine che provava nel pensare che
non doveva
andare così, che non potevano avvicinarsi a quel modo, che
erano troppo diversi
e sarebbe stato troppo difficile un giorno, allo scoppio di una nuova
ipotetica
guerra, separarsi e disporsi su due fronti nemici. Strizzò
le palpebre e si
aggrappò di nuovo a lui, come il giorno precedente, quindi
riaprì gli occhi con
una decisione rinnovata nello sguardo. Alzò una mano verso
il suo viso e lo
accarezzò ricambiando il dolce gesto di lui pochi attimi
prima, quindi lo
spinse oltre, portando la mano sui lucenti capelli neri, e poi ancora
verso il
nastro che legava quei fili d'ebano in quel buffo codino, che a lei
tanto
piaceva, ma ora voleva vederlo al naturale. Lo sfilò e
lasciò che la lunga
chioma cadesse attorno al suo bel volto ed il cuore saltò un
battito al ricordo
della notte precedente, ancora una volta: lui aveva sciolto i capelli
anche in
quel frangente. Un brivido attraversò la sua schiena, prima
di perdere le dita
sottili tra i suoi capelli, giocare appena con quelle ciocche ed infine
far
scivolare la mano dietro la sua nuca, per spingerlo verso di
sé. Fu un bacio
piuttosto casto rispetto agli altri innumerevoli che si erano scambiati
durante
la notte, neanche il tempo alle loro lingue di incontrarsi che si
separarono,
per guardarsi. Ed il cuore correva, ora, mentre incredula fissava i
suoi occhi
di pece ed una strana consapevolezza s’insinuò in
lei, nella sua mente ed in
ogni fibra del suo corpo: Shiki le piaceva così tanto che
tutto il resto aveva
improvvisamente perso d’importanza.
«HAGUMI!»
la
voce di Natsu rimbombò nelle loro orecchie, facendo
schizzare la rosetta
lontana dal moro, totalmente imbarazzata. Accidenti a lui, ma sempre
nei
momenti sbagliati doveva arrivare? Notò un tono piuttosto
preoccupato nella sua
voce che la richiamava interrottamente, sembrava piuttosto scosso.
Shiki uscì
dal loro rifugio, segnalandogli la loro posizione.
«Che
è
successo?» domandò, avendo notato probabilmente
anche lui lo stato di suo
cugino. Natsu li raggiunse, poggiando le mani sulle ginocchia, piegato
a
riprendere fiato per un paio di attimi, Hagumi nel frattempo era uscita
anche
lei dal sottoscala e ora gli stava di fronte. Il biondo alzò
lo sguardo su di
lei, per poi afferrarla per il braccio ed iniziare a trascinarla con
lui. «È
Himiko! Devi venire con me!».
La mano tremò
appena mentre l'indice si allungava verso quel piccolo tasto che tanto
lo
spaventava. Deglutì con parecchio timore, prima di trarre un
lungo sospiro e
voltarsi verso Shiki, che lo guardava come se fosse un povero fesso.
«Scusa, io non
ce la faccio. Fallo tu!».
Shiki scosse il
capo, rassegnato all'idea che suo cugino fosse troppo stupido, quindi
lo spostò
con una manata e pigiò quel dannatissimo tasto del citofono
di villa Minamoto.
«E pensare che
sei tu ad aver tanto insistito per venire fino a qui! Secondo me ti
piace stare
in pasto ai leoni!» borbottò, distratto quasi
subito da strani rumori
provenienti dall’interno dell’abitazione. Una bella
signora, decisamente ancora
troppo giovane, aprì loro la porta, tutta scomposta, mentre
poterono
intravedere il corridoio con diversi mobiletti rovesciati a terra. Se
quella
era la madre delle gemelle, come venne loro naturale pensare,
cominciarono a
capire come mai Hagumi fosse tanto imbranata. Ai guardò i
due giovanotti con un
notevole apprezzamento, sorridendo loro melliflua, cercando di darsi un
contegno.
«Posso aiutarvi cari?» domandò
cordialmente. Shiki annuì, mentre il codino nero
sembrò ipnotizzare la donna,
come se non fosse ovvio per quale motivo fossero lì.
«Ah, immagino voi siate qui per le
mie bambine! Prego accomodatevi!» li invitò ad
entrare cordialmente e li
indirizzò in salotto, scomparendo come suo solito per
qualche minuto in cucina
e ricomparendo con un vassoio portante due cioccolate calde ed un
piatto di
biscottini che sembravano appena sfornati. «Prego,
servitevi!» li incitò
cordiale, il suo sguardo saettò alla porta del salotto, che
dava sul corridoio,
dove vide la figura della figlia confetto passare. «Ah
Hagumi, ci sono i
vostri amici!» la richiamò, gli occhi due
cuoricini battenti, mentre faceva
strani gesti per indicare alla ragazza quanto apprezzasse
l’aspetto e la
presenza dei due giovanotti.
Hagumi, che stava
ciabattando dalla stanzetta adibita a biblioteca, dove lei potesse
divorare
spaventosi tomi di medicina, alle scale per salire in camera da sua
sorella,
tornò sui suoi passi e si affacciò oltre lo
stipite della porta del salotto,
sbiancando alla vista dei due. «Dio mio... » seppe
solo dire, prima di
connettere il cervello che lavorò freneticamente. Indossava
un
pigiamone-scafandro rosa, pantofole a forma di fragola ai piedi,
occhiali
inforcati sul naso e capelli spettinati in due lunghe treccione... e
Shiki era
seduto in salotto a bere cioccolata calda con sua madre.
«EEEEEK!» fu
tutto ciò che riuscì a dire prima di catapultarsi
su per le scale, inciampando
anche due o tre volte, e scomparire dal pian terreno. I due cugini
osservarono
il punto in cui la rosetta era scomparsa chiedendosi se fosse
impazzita, mentre
Ai ridacchiava nervosamente «Ohohoh... non fateci caso,
suvvia!» meglio
cambiare discorso «Com'è che vi
chiamate?».
Natsu si grattò la chioma bionda,
presentandosi alla donna, così come fece Shiki. Lei li
guardò estasiata. «Natsu, Shiki… ahhh
quali bei nomi per due giovanotti così
affascinanti.»
si portò le mani alle guance, urlettando tutta felice,
mentre i due si
guardarono fra loro sconvolti. Erano forse finiti in un manicomio?
«Comunque… » sembrò
riprendersi la donna «Potete trovare le mie
bambine al piano di sopra, non è il caso che vi tratteniate
ancora con una
donna anziana come me… potrei non rispondere di me stessa!
Uhuh!!!»
ridacchiò, congedandosi dai due, indicando loro la via da
seguire. Un brivido
percosse la schiena di Natsu, mentre sbiancava visibilmente,
attaccandosi alla
manica del giubbotto del cugino, decisamente spaventato. Frattanto, al
piano di
sopra, Himiko guardò divertita l’uragano Hagumi
che irrompeva nella piccola
lobby fra le loro stanze, dove tenevano scarpe e cappotti, passando
nella porta
sinistra che conduceva alla sua stanza.
«Ehi Hagu, che succede?» domandò
notando la sorella in preda ad una crisi isterica, mentre sporgendosi
leggermente dal letto, poteva notare vestiti volare in ogni dove.
«Himiko!»
squittì sorpresa di trovare la sorella a letto... ah
già, ma lei era a letto da
qualche giorno, no? «Himi, devi sbrigarti, assolutamente,
alzati, muoviti,
lavati, vestiti, renditi presentabile per l'amor del cielo, stanno
arrivando!!!». «Chi sta arrivando?»
chiese confusa la rossa, mentre la
porta della lobby si spalancò, rivelando due figure ben
conosciute. Sbiancò
come solo pochi attimi prima aveva fatto la gemella, mentre Natsu e
Shiki
alzavano una mano in cenno di saluto. Si rifugiò con la
testa sotto il piumone,
non dopo aver lanciato il libro che stava leggendo per passare il tempo
verso i
due, il quale attraversò senza affanni la porta e la
oltrepassò entrando nella
stanza di Hagumi, inchiodandosi sulla sua testa, facendola cadere
lacrimante al
suolo «Ahio... » pigolò la rosa, mentre
Himiko urlava, anche questo come
poco prima aveva fatto la sorella «EEEK! HAGU SEI UNA...
MALEDETTAAA, PERCHÉ
NON ME L'HAI DETTO?» piagnucolava da sotto alle coperte,
mentre l'altra
piagnucolava all'unisono, spalmata sul parquet di legno della sua
stanza. Shiki
e Natsu stavano seriamente prendendo in considerazione l'idea di
fuggire.
«Se è un problema, la nostra presenza,
ce ne andiamo… » bofonchiò il moro con
un cipiglio, mentre osservava le due
nella loro scenata esagerata. Himiko uscì da sotto il
piumone, ora i capelli
scompigliati, mentre prese a lanciare tutti i manga che aveva sul letto
in
direzione degli indesiderati nella lobby.
«Tornate fra dieci minuti!!!!»
imprecò, non dando ai due neanche il tempo di replicare, che
furono sbattuti
all’esterno della stanza, che Hagumi si affrettò a
chiudere, con l’arrivo di
due cuscini di proporzioni giganti diretti sulle loro facce.
«E questa sarebbe una che sta
male?» domandò al cugino, cuscino che aveva
intercettato in mano, mentre
quest’ultimo era intento a massaggiarsi la faccia, non avendo
avuto i riflessi
di Shiki.
«Ricordami di non fare mai più una
visita a sorpresa a casa di una ragazza… » si
appuntò mentalmente Natsu,
mentre informava anche il moro della sua saggia idea.
Si appoggiarono al
muro del corridoio di fronte alla porta e rimasero in silenzio per un
po',
lasciandosi contagiare dal buon'umore delle due gemelle che,
all'interno della
lobby, urlacchiavano sul più e sul meno, principalmente
riguardo a cosa sarebbe
stato più adeguato mettersi. Hagumi, poi, era completamente
su di giri, mentre
Himiko, più calma, ma entusiasta comunque, non aveva fatto
altro che pensare a
Natsu e a cosa le avesse detto poco prima che lei perdesse i sensi. "Io
ti
amo, Himiko!". «Aaaawwww... » mugolò,
sentendosi avvampare,
nascondendo il visetto nelle mutandine pulite che doveva mettere.
Hagumi si
fermò ad osservarla, con il reggiseno per metà
indossato, l’aria assai
preoccupata.
«Sembri una
perversa… » le fece notare, al che Himiko
arrossì fino alla punta delle
orecchie, diventando un tutt’uno con i suoi capelli.
«Non dire
sciocchezze!» balbettò, indossando il capo ed il
resto della biancheria
intima, affrettandosi a mettere anche la gonnellina a pieghe, seguita
da un
paio di calzini neri lunghi sopra al ginocchio ed una canottierina
dello stesso
colore, ma ovviamente con una parte della fantasia leopardata. Fece una
linguaccia alla rosetta e si sedette davanti allo specchio da trucco,
sistemando i capelli con una fascia della sua fantasia preferita e
iniziando la
fase di make up.
Nel frattempo in corridoio i
due iniziavano seriamente a stufarsi. «Dieci minuti
eh?» bofonchiò Natsu
accovacciandosi a terra, pronto a far fronte ad un'ancora molto lunga
attesa.
Shiki sospirò, fece per tirare fuori il pacchetto di
sigarette dalla tasca dei
jeans neri, ma si bloccò ricordandosi che era in casa
altrui. Che seccatura,
ora iniziava ad innervosirsi. Pregò per trovare qualcosa per
passare il tempo e,
guarda caso, le sue preghiere furono esaudite in quattro e quattr'otto,
quando
un rumore di passi si udì dalle scale alla loro sinistra e
dopo poco sbucò la
testa di Shinichi, ancora a casa dei genitori per la convalescenza,
indebolito,
doveva ancora riprendersi del tutto, anche se ormai era più
un fantasma in casa
e lui ed Hagumi si evitavano accuratamente, o meglio lei evitava lui.
Shin
stava salendo al primo piano dal garage, dov'era assieme a Kojiro per
sistemare
una delle macchine che faceva i capricci da un po', e rimase piuttosto
sorpreso
nel ritrovarsi i due cugini sotto il naso, in cima alle scale.
«E voi due di grazia, si
può sapere che diavolo ci fate qui?»
domandò accigliato, portandosi le mani
sui fianchi. «Ah ho capito, siete così
incompetenti come cacciatori che
dovete andare diretti nella tana del nemico per stanarlo?».
Salì gli ultimi scalini fino a
raggiungerli e si piazzò davanti a loro, l’aria di
sfida. Per suo gusto, con
quella mossa, avevano decisamente superato il limite.
«Andatevene, prima che vi
butti fuori io a calci!» li intimò, indicando loro
la via da seguire. I due
cugini si guardarono l’un l’altro, tornando poi con
lo sguardo sul bruno e
scoppiarono in una fragorosa risata.
«AHAHAHAH se questa doveva
essere una virile minaccia non ci sei proprio riuscito,
Shinichiuccio!» ruggì
Natsu, che accovacciato a terra, si manteneva la pancia dal ridere. Il
poveretto, infatti, oltre ad essere ricoperto di grasso dalla punta dei
piedi a
quelli dei capelli, indossava un tenero grembiule rosa con i
fiocchettini,
probabilmente per proteggere i vestiti dallo sporco durante il lavoro.
«Non hai trovato nulla di
più grazioso da mettere? Non sapevo che arrivassi perfino a
chiedere in
prestito i vestiti ad Hagumi! Sembri proprio la rispettabile sorella
maggiore!» lo schernì Shiki, sapendo di colpirlo
nel suo punto debole.
Il ragazzo osservò il proprio
vestiario, quindi arrossì un po', balbettando qualcosa
d’insensato e se lo
sfilò con un leggero imbarazzo «Questo era...
» lasciò cadere la frase,
non sapendo bene cosa inventarsi, e ringraziò mentalmente
Himiko che in
quell'istante uscì dalla stanza, dopo aver sentito il
vociare e le risate folli
di Natsu. «Che succede?»
s’intrufolò anche Hagumi, affacciandosi
allungando il collo da dietro la sorella, vestita per metà,
gonnona rosa al
ginocchio, calze e ballerine infilate, mentre il busto era da un lato
coperto,
con una manica infilata e l'altra ancora no, facendo scorgere
così pancia e un
po' della base inferiore del reggiseno, giusto un po' di pizzo che
però fece
arretrare Shin di qualche passo, sembrava addirittura sconvolto. Shiki
aggrottò
la fronte e si avvicinò alla confettina, quasi indignato
«Ti sembra il modo
di presentarti, Hagu?» borbottò, mentre le dava un
colpettino sulla fronte
con un dito, facendola indietreggiare. «Ahio!»
protestò lei, ma fu troppo
tardi, perché lui si sporse in avanti, sorrise beffardo ed
afferrò il pomello
della porta, richiudendola dall'esterno. Lei rimase a fissare l'anta un
po'
contrariata, prima di ridacchiare ed arrossire, nel piegarsi in avanti
era così
vicino che quasi l'aveva baciata. Lanciò un urletto
soddisfatto e riprese a
vestirsi, mentre all'esterno Natsu ridacchiava guardando Shiki
«Che crudeltà
mandarla via così, eh!» disse, mentre si alzava in
piedi, era ancora
accucciato dalle risate di poco prima. Shiki fece spallucce e si
voltò verso
gli altri, Himiko si stava avvicinando al fratello e una volta
raggiunto gli
appoggiò una mano su una guancia, sfregandola per mandar via
una macchiolina di
grasso, fu un gesto molto affettuoso, al quale Shin sorrise grato ed
infinitamente dolce, chiedendosi da dove nascesse quello slancio di
bene da
parte di Himiko, in genere era Hagumi a riservare certe accortezze
verso di
lui. Sospirò, raggiungendo la conclusione che probabilmente
doveva fargli
proprio pena, anche se non si sentiva disperato al punto di dover
attirare la
sua pietà.
«Sei un disastro, vatti a
cambiare! Non vorrai che Hagu ti veda conciato
così!» gli sorrise
dolcemente, spedendolo in camera sua. Lui però sembrava
incerto sul da farsi,
certo, da una parte una doccia non gli sarebbe dispiaciuta, ma
dall’altra non
voleva proprio lasciare le gemelle da sole in compagnia di quei due.
Fu proprio durante il suo
dissidio interiore, che una voce in fondo al corridoio
spezzò il filo dei suoi
pensieri, e fece voltare tutti in quella direzione, con sorpresa.
«Himiko belllaaaa, guarda
chi é venuto a trovartiiii!» fu la voce
cinguettante di Okura ed Himiko non
fece in tempo ad arretrare neanche di qualche passo, che si
ritrovò avvinghiata
dai tentacoli del biondo capo degli anziani, soffocata a morte dalle
sue
braccia che le premevano sul visetto. Mosse le braccia convulsamente
implorando
pietà con qualche gemito, ma fu Natsu a salvarla dal polipo
sconosciuto,
afferrandogli un polso e strattonandolo via da lei. «Chi
diavolo sei?»
sbottò stizzito, mentre la ragazza tornava ad un colorito
normale,
appoggiandosi alla spalla di Shin nel fare profondi respiri per
riprendere
fiato. Okura sorrise al biondo, mentre Shiki e Shin lo squadravano,
immobili e
diffidenti.
«Come chi sono? Io sono lo zio Okura!»
sorrise mellifluo, congiungendo le mani all’altezza del viso,
sprizzando amore
da tutti i pori, per poi strizzare le guanciotte di Natsu come si fa
con i
bimbi. «Quanto sei caaariiiino!».
«Non è vostro zio, vero?»
domandò Shiki,
sicuro della cosa, al bruno, che scosse la testa piuttosto allarmato.
«Mai
visto in vita mia… ». Fu però Himiko a
prendere parola, liberando il povero
Natsu dalla presa dello stravagante uomo.
«Okura… ». «ZIO
OKURA!» squittì
lui, scuotendo la testa ripetutamente, offeso dal fatto che la ragazza
si
ostinava a non chiamarlo come di dovere. La rossa però non
ci fece caso.
«Sì, sì, come ti pare… cosa
ti porta fino
a qui?» domandò seriamente curiosa e piuttosto
irrequieta, ben conscia che
era sicuramente lì per portare notizie riguardanti il
risveglio di Akira.
«Uhm? Cosa mi porta? Beh,
ovviamente sono venuto a trovare la mia splendida nipotina e...
» non
terminò di parlare, che sorrise soffiando un "Ecco l'altra",
mentre
la porta della lobby si apriva e ne usciva una Hagumi finalmente
presentabile. «Che sono tutti questi schiamazzi? Cosa mi son
per... oh?» anche lei si
bloccò ed inclinò la testolina verso l'uomo,
guardandolo sorpresa. «Chi...
?». «CHE CARINAAAAAAAAAA!» ed Okura si
avventò anche verso la rosetta,
che chiuse gli occhi spaventata e portò le braccia davanti
al corpo in difesa,
spaventata. Quando li riaprì però lui non le
stava addosso, ma era spalmato al
suolo, Shin con un piede sulla sua schiena e Shiki con un piede sulla
sua testa,
dopo averlo acchiappato e riempito di pugni.
«Ohibò... » disse il biondo
anziano, piagnucolando appena.
«Che scena patetica… » una voce
conosciuta, che fece sussultare la rossa, fece capolino alle orecchie
del
gruppetto, frattanto che si avvicinava e si fermava proprio davanti a
lei,
guardandola con un ghigno sadico. «Ciao Himiko.».
Lei indietreggiò giusto qualche passo,
boccheggiando appena, mentre la figura di Akira, ora così
pallida, la guardava
divertito. Okura si alzò, spolverandosi gli abiti con aria
offesa, portandosi
poi di fianco al moro e appoggiandogli una mano sulla spalla,
l’aria ora seria. «Dovrai tenerlo sotto la tua ala
protettiva, Himiko. Kojiro ha già approvato
il fatto che vivrà sotto il vostro stesso tetto
d’ora in avanti, non può
permetterti di lasciarlo troppo a lungo da solo, ora è come
un bambino,
affamato ed incontrollabile. Ovviamente non è possibile per
lui intraprendere
da subito una dieta vegetariana, sarà quindi tuo compito
offrirti tu come suo
pasto, per aiutarlo nella crescita e a convertirsi come tutti noi.
».
«Dai zio, così mi fai sembrare un
marmocchio… » sorrise subdolamente in direzione
dell’anziano, chiaramente in
un palese gesto di arruffianarselo.
Himiko sentì le proprie gambe
tremare e cedere sotto il suo stesso peso, se non cadde in ginocchio fu
solo
grazie a Natsu che, affianco a lei, la prese al volo, sorreggendola.
Fare da
pasto? Significava concedergli il suo sangue come e quando voleva, ad
ogni suo
capriccio? E poi... mostrargli tutto di sé, ogni suo
tribolamento, ogni minimo
e più recondito pensiero? «MAI!» non fu
lei a parlare, fu Natsu che aveva
prontamente formulato i suoi stessi pensieri. «Himiko non
farà da pasto a
nessuno. È stato un incidente!» ammise anche lui,
mentre aiutava la ragazza
a tornare dritta. La rossa era sconvolta, oltre a
quell’atroce sorpresa, ora
Natsu sembrava crederle ed essere dalla sua parte. Com'era possibile?
Come
aveva fatto a cambiare opinione in così pochi giorni?
L'aveva persino
TORTURATA! E ora... ? Non sospettava minimamente, ingenua,
ciò che il ragazzo
aveva realizzato di provare per lei, quando era sull'orlo di perderla.
Shiki
sorrise appena alle parole del cugino ed annuì soddisfatto
di tanto ardore,
mentre Hagumi e Shin continuavano a domandarsi chi diavolo fosse quel
tizio e
come facesse Himiko a conoscerlo.
Okura sorrise amaro, scuotendo la testa
in segno di diniego.
«Mi dispiace ragazzi, questa è la
regola.» fu allora la rosetta a prendere parola, che in un
lampo momentaneo
sembrava aver iniziato a legare il filo del discorso.
«Okura… il capo degli anziani
giusto?» pigolò in sua direzione, al che
l’uomo la guardò estasiato,
annuendo energicamente, gli occhi illuminati di gioia. Hagumi sapeva
chi era,
cosa poteva chiedere di meglio? Ma se in un attimo si
ritrovò alle stelle, nel
giro di un istante finì nelle stalle. «Allora le
regole sei tu che le detti
e puoi cambiarle, no? Puoi evitare a mia sorella questo tormento,
vero?».
E lo chiese con una vocina
così tenera che fu seriamente tentato di farlo. Ma non
poteva, sarebbe andato
contro ogni suo principio. «Tua sorella... »
iniziò, avvicinandosi a lei
e prendendole una manina tra le sue, accarezzandola lentamente con le
dita
affusolate e un po' fredde «... deve scontare la sua pena.
È severamente
vietato creare nuovi eterni, é giusto che continuiamo ad
esistere solo tramite
procreazione. Dovrebbe comunque scontare una pena e, credimi, questa
é la meno
brutta che possa accaderle. Ha creato un vampiro ed é giusto
che ne paghi le
conseguenze.» la voce vellutata aveva un tono quasi dolce le
parlare,
nonostante l'espressione perennemente enigmatica stampata sul suo
volto. Shiki
non poté fare a meno di pensare che sembrava quasi ci
tenesse alle gemelle come
fossero molto preziose per lui.
«La meno terribile?» domandò Shin,
totalmente incredulo, avvicinandosi all’uomo e mettendosi fra
lui ed Hagumi. «OK, lei avrà sbagliato, ma
è stato un incidente no? Non l’avevate appurato?
E quali sarebbero queste cosa così brutte?» Hagumi
però lo zittì, tornando a
gestire lei la situazione. Sicuramente aggredendolo non avrebbero
risolto
nulla, era meglio proseguire con più tatto.
«Ma signor Okura… » squittì
con
occhioni malinconici, cercando nuovamente la mano dell’uomo e
stringendola
forte. «Sei tu sei il capo, il potente, tu decidi queste
cose. Che problema
dovrebbe nascere se tu decreterai che è stato un incidente e
che non debba
scontare nessuna pena? Staranno tutti
al
tuo volere, giusto?».
«Basta così, Hagu. Ha ragione lui…
» fu Himiko a richiamarla dalla sviolinata, mentre
l’espressione di Akira si
fece se possibile ancora più subdola.
Hagumi abbassò le manine,
sconsolata, mentre Shin le appoggiava una mano sulla spalla per
rincuorarla,
tuttavia lei si allontanò, non si sentiva ancora di avere
contatti con lui, di
nessun genere. Akira sorrise trionfante e si avvicinò alla
rossa, sovrastandola
dalla sua altezza e passandole le mani attorno ai fianchi, la lingua
che si
leccava lentamente le labbra, bramosa di assaggiare quel nettare di cui
già
sentiva il profumo. «Posso?» chiese scostandole i
capelli con una mano e
carezzandole lentamente il collo, facendola rabbrividire. Lei
lanciò uno
sguardo quasi d'aiuto verso Okura, che però si
voltò a guardare altrove,
impotente. Non poteva fare nulla per aiutarla e ancora una volta la
feriva.
Ancora una volta. Akira si piegò su di lei, gustando il suo
collo con la punta
della lingua, mentre gli altri erano pietrificati a quella visione
quasi
oscena, RACCAPRICCIANTE.
Natsu, rimasto fino a quel momento
impotente a guardare la scena, non poté più
frenarsi. Non gli importava di
quello a cui sarebbe andato incontro, anziani, non anziani, potere e
non, e le
loro stupide leggi. Perché i vampiri dovevano essere tanto
sadici verso i loro
simili? Perché valutavano solo l’errore di Himiko
e non le motivazioni di
questo? Partì in quarta in direzione del moro, piantandogli
un pugno in pieno
viso, gesto che ormai agoniava da quando l’aveva conosciuto e
l’aveva visto
gironzolare intorno alla sua Himiko. Poiché già
allora qualcosa dentro di lui
palpitava per lei e lo rendeva consapevole del fatto che non avrebbe
mai voluto
lasciarla nelle mani di un altro uomo.
«Non ci provare nemmeno!» esordì,
portandosi davanti alla rossa mentre Akira, ora a terra, si ripuliva il
rivolo
di sangue che usciva dal labbro spaccato, leccandolo con gusto. Si
voltò allora
in direzione di Himiko, prendendola per le spalle e scuotendola.
«Himi-chan,
ti prego, non devi farlo se non vuoi, non devi. Ci deve essere
un’altra
soluzione, ti prego.» la supplicò, mentre lei,
passiva, teneva lo sguardo
puntato ai suoi piedi, trattenendo le lacrime.
«Non l’hai capito eh, Natsu? Sei tu
quello che ha perso, non io! Lei ha già scelto!»
ridacchiò Akira
ipocritamente, ricordando la discussione che avevano avuto poco prima
della sua
creazione, mentre la ferita già si rimarginava e si alzava
senza nessuno sforzo
da terra, l’aria vittoriosa.
Fu allora che Himiko alzò il viso e si
perse per alcuni attimi in quei suoi limpidi e stupendi occhi del
colore del
cielo, che tanto la facevano sentire viva in quel momento e le
portavano una
nuova speranza. Si alzò in punta di piedi e
circondò il collo del ragazzo,
unendo le labbra alle sue in un casto e fugace bacio, che le
sembrò però così
intenso, così paradisiaco, con quel sapore agrodolce che
sembrava accompagnarla
in un mondo lontano, stordendola. Fu un attimo che assaporò
appieno, come a
volerne imprimere il ricordo, ma dovette staccarsi quasi subito da lui.
Prese
il suo viso fra le mani, spostandogli poi una ciocca di capelli ribelli
dal
volto, sorridendogli.
«Andrà tutto bene, non ti preoccupare…
» era una bugia colossale, era vero, ma in quel momento si
ritrovò a pensare
che agire come la “forte” della situazione fosse
probabilmente la soluzione
migliore per non creare ulteriori problemi a se stessa e a tutti i
presenti. Natsu
la guardò
supplichevole, non poteva arrendersi così, ma prima che
riuscisse a dire altro,
Akira l'aveva già agguantata per un braccio e senza troppi
riguardi la stava
trascinando via. Via da lui...
***
Il corridoio era rimasto
semivuoto, se non per la presenza di Hagumi e del biondo anziano
accanto a lei.
Natsu aveva avuto un crollo psicologico, non appena Himiko era
scomparsa con
Akira dietro una porta, e Shiki l'aveva portato via, scusandosi e
dicendo ad
Hagumi che sarebbe tornato da solo un'altra volta. Shin si era
appostato dietro
la porta dove Himiko ed Akira erano scomparsi, per fare la guardia in
caso
succedesse qualcosa, se Akira non fosse riuscito ad esempio a fermarsi
ed
avesse esagerato. La rosa sospirò e si voltò a
guardare l'uomo, corrucciata.
«Sa per quale motivo avrei
voluto nascere cacciatrice, anziché vampiro, in
quest’assurdo conflitto?»
buttò lì, seria. Lui la guardò
sorridendo ingenuamente come sempre e lei pensò
che avesse davvero un'immensa faccia da schiaffi, furbo come una volpe
e
viscido come un serpente. «I cacciatori hanno mantenuto la
loro indole
umana. Noi invece... siamo dei mostri... ».
Lui sorrise in direzione della
confettina, non distogliendo un momento lo sguardo dai suoi occhi.
«Credi veramente
questo?» domandò, appoggiandosi alla parete in
modo teatrale, le braccia
incrociate, mentre parlava come a saperne una più del
diavolo. «Sì, lo
credo!».
«Io invece no… » la sua
risposta la lasciò letteralmente di stucco, mentre
cominciava a sentire un
senso di rabbia pervaderla. Come diavolo poteva pensare una cosa del
genere?
Esseri che si cibavano della linfa vitale di altri per sopravvivere,
cosa osava
sostenere che loro non erano mostri?
«Sai Hagumi, alla fine non
è tutto oro ciò che luccica, devi sapere
che… ».
«… Okura… !» una voce alle
loro spalle li fece voltare, mentre la figura
di Ai si avvicinava ai due, salendo gli ultimi gradini della scalinata.
Se il corridoio non fosse
stato in totale penombra, Hagumi avrebbe potuto giurare di aver visto
un guizzo
di tristezza attraversare solo per un istante lo sguardo di Okura.
«Ai... » sorrise l'uomo, mentre la donna si
avvicinava. «Com'é andata?»
chiese lei senza neanche salutarlo, anche un po' brusca. Mentre loro
erano su,
al piano di sotto Kojiro spiegava alla moglie cosa fosse tutto quel
vociare e
le impediva di salire, conscio che non avrebbe mai permesso una cosa
simile. Il
biondo anziano fece spallucce, prima di allungare le mani verso la
donna e
tentare di acciuffarla, cinguettando allegro «AIIIICHAAAAN,
SEI SEMPRE LA
DONNA PIÙ BELLA DEL MONDOOOO!» ma i riflessi di
lei furono più veloci,
semplicemente si spostò di lato e gli piazzò un
pugno in testa mente lui la
superava in volo, facendolo finire dritto, dritto spiattellato contro
la parete. «Non cambierai mai!» disse irritata,
prima di sciogliersi in un sorriso.
Dopotutto andava bene così. La donna si voltò poi
verso la figlioletta e la abbracciò,
cullandola appena. «Himiko?» chiese tristemente,
mentre la figlia si
aggrappava a lei. «È con Akira... ».
Tacquero, non c'era bisogno di
aggiungere altro.
A salvare la situazione fu
l’arrivo di Kojiro, che interruppe
quell’imbarazzante silenzio fra i tre,
facendo una carezza amorevole alla figlia.
«Hagu tesoro, forse è il
caso che tu vada a riposarti un po’, è stata una
giornata pesante e noi adulti
abbiamo ancora un paio di cose da discutere.». Le sorrise
dolcemente,
invitando gli altri due a seguirlo e iniziando a scendere al piano di
sotto,
precisamente in salotto, dove vi si chiusero.
«Allora, di cosa dovevi
parlarci esattamente, Okura?» domandò, ora seduto
sul divano, mentre la
moglie si premurava si servire loro una tazza di caffè
fumante, accomodandosi
poi accanto al marito.
Il biondo li
guardò con un sorrisetto soave, mentre soffiava nella sua
tazzina per freddarne
appena il contenuto. «Sono cresciute molto.» disse
sinceramente colpito e
i due consorti annuirono, sorridendo a loro volta. «Era molto
che non le
vedevi, no? Saranno almeno quindici anni.».
Già... quindici
anni, si ritrovò a pensare Okura; come volava il tempo,
anche per loro esseri
immortali. «E quei ragazzi vengono spesso a
trovarle?». Ai negò col capo «No,
é la prima volta.». «Capisco.»
smise di soffiare e bevve il
suo caffè, prima di riporre la tazzina sul vassoio.
«Immagino volessi dirci
altro, però!» incalzò Kojiro, che era
piuttosto curioso e anche un po' in
ansia. «Sì, sì. Si tratta delle nuove
creature. Hiro ha potuto fiutare in
loro odore di vampiro e cacciatore mischiato.» si
fermò quando vide la mano
di Kojiro che teneva la tazza, tremare lievemente. «Anche
Shin... ?». «No.» si affrettò
a rispondere Okura, sicuro «No, Shin é nato di
parto
naturale da un vampiro e una cacciatrice, se é potuto
nascere significa che non
é qualcosa di disumano. Non corre alcun pericolo, altrimenti
la natura avrebbe
vietato la sua fecondazione.» cercò di rassicurare
l'amico e subordinato,
quindi guardò entrambi «Non so chi ci sia dietro
la loro creazione, ma sono
in tutto e per tutto degli ibridi creati in modo innaturale. Non so
come e non so
perché, controlliamo tutti i vampiri esistenti, i nuovi
vengono subito portati
da noi per essere addestrati, e quelli che decidono di non essere
"vegetariani", sanno comunque di non dover mordere cacciatori
perché
nessuno conosce le conseguenze di questo. O almeno, così
credono tutti.»
sospirò, pronto a buttare fuori la verità.
«Io, Oda e un'altra persona in
realtà sappiamo che così non é.
C'è un caso nella documentazione vastissima
delle nostre biblioteche secolari, un solo, unico caso... Ma
c'é. Ed é esattamente
descritto come quelle cose che stanno seminando il panico tra la gente.
Altri
quindici morti solo questa settimana... qualcuno sta creando un
esercito... un
esercito di IBRIDI. Cacciatori morsi da vampiri, un connubio non
fattibile. Il
cacciatore dovrebbe morire al primo contatto con il veleno di vampiro,
ma se
questo non accade, avviene una mutazione... una mutazione immonda e
ripugnante.
Ecco cosa sono quelle bestie, ecco cos'è che ha attaccato
Shin!». Ai non
voleva più sentire, terrorizzata. Si portò il
viso tra le mani e si rifugiò tra
le braccia del marito, che cercò di cullarla, nonostante
fosse sconvolto anche
lui.
«Non c’è nessun
modo per fermare queste mutazioni?» domandò Kojiro
al biondo, ben sicuro di
quale fosse la risposta, ma fu qualcun altro a rispondere.
«Per il momento
sfortunatamente non abbiamo trovato nulla di concreto, siamo solo
sicuri che se
continueranno così dovremmo batterci, altrimenti finiranno
per uccidere tutta
la nostra stirpe.».
«Oh, Hiro, Oda,
finalmente!» canticchiò Okura, improvvisando un
balletto felice intorno ai
due, manco fosse un cagnolino che fa la festa al nuovo arrivato.
Oda rise appena,
mentre Hiro raggelò Okura con uno sguardo di ghiaccio,
ignorandolo bellamente
ed avvicinandosi ai padroni di casa. «Kojiro, il garage
é aperto, siamo
entrati da lì... state
attenti, potrebbe
intrufolarsi chiunque!» disse, mentre Okura piangeva su una
spalla di Oda, lamentando
qualcosa circa il poco amore di Hiro nei suoi confronti. Kojiro
ringraziò per
aver chiuso il garage, quindi si rivolse ad Okura, facendo tornare
l'atmosfera
seria e pesante di pochi istanti prima che i due arrivassero.
«Dovremmo
parlarne con il resto del consiglio... » disse cauto ed il
biondo annuì,
tornando a sedersi, dopo aver tentato di scoccare un bacio affettuoso
ad Oda,
che lo aveva respinto disgustato. «Sicuramente, ma avevo
bisogno di
confrontarmi prima con voi, siete i miei uomini più fidati,
dopotutto.».
Il
silenzio calò nuovamente nella
stanza e nessuno osava proferir parola, in fin dei conti stava tutto
nel
trovare una soluzione che faticava ad arrivare.
«Non si preoccupi, faremo
l’impossibile per risolvere tutto nel modo meno doloroso
possibile.» il
sorriso e la voce dolce di Oda sembrarono tranquillizzarla, mentre
tornava ad
abbracciare il marito. Tutti annuirono in segno di assenso.
«Oda, Hiro.» li richiamò Okura
«Andate a dare un’occhiata alle ragazze, son sicuro
che in questo momento
avranno bisogno di una figura amica vicino a loro.» .
Li guardò supplichevole della cosa,
sentendosi un verme per non poter essere lui di aiuto alle gemelle, ma
purtroppo, quello non era ancora il tempo di rivelare loro ogni cosa.