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Autore: Jordan Cullen    28/01/2010    1 recensioni
piccola presentazione di un Edward Cullen umano. Essendo rimasto orfano in giovane età sarà messo a capo di una importante compagnia alberghiera, lasciatagli in eredità dal padre...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto

… Fuga…

 

 

Scesi nella grande hall dell’hotel per dirigermi verso il ristorante. Due portieri aprirono le porte della sala illuminante e con un inchino mi diedero il benvenuto. Un metre di sala mi accompagnò al tavolo alla fine di una lunga scalinata che portava su un piano più alto di quello da cui ero entrato. Mi diede un menù e si allontanò silenziosamente nella direzione opposta da cui eravamo arrivati.

Diedi una rapida occhiata alla lista delle pietanze che erano elencate e lo richiusi subito. Un timido cameriere si avvicinò al mio tavolo.

“si… signor Cullen ha de… deciso che cosa desidera ordinare per stasera?” mi chiese titubante

“ho deciso per le ostriche!”

“ma… ma signore non sono sul menù!” mi disse il ragazzo abbastanza intimorito nel contraddirmi

“lo so! ma non mi importa… ho deciso per le ostriche e non accetto un ‘no’ come risposta!” tuonai con fare strafottente. Il ragazzo terrorizzato segno sul taccuino la mia richiesta e si allontanò a passo sostenuto verso la cucina.

Intanto diedi un’occhiata alla gente che c’era nella sala del ristorante. Grazie alla mia posizione sopra elevata avevo tutto sotto controllo. Donne e uomini di tutte le razze era rinchiusi in quel posto senza rivolgersi alcuno sguardo, riempiendo solo le loro bocche di cibarie varie. Un rumore insopportabile di posate che cozzavano contro la ceramica dei piatti, mi urtava parecchio.

- in fin dei conti che vuoi che faccia tutta questa gente se non abbuffarsi! - pensai tra me e me mentre guardavo una donna masticare.

Una musica di sottofondo mi fece distrarre. Mi sembrava di riconoscerla. La mia mente tornò indietro di qualche anno prima che i miei genitori diventassero tutto ciò che odiavo nella mia vita. La dolce ninna nanna che mi cantava mia madre prima di dormire risuonava pura e dolce, come la voce che tempo addietro me la recitava per farmi addormentare. Socchiusi gli occhi e cercai di ricordare le parole.

Riaprii gli occhi giusto il tempo di vedere un uomo corpulento, vestito di bianco con un lungo grembiule nero, avvicinarsi al mio tavolo scortato dal cameriere che mi aveva servito pochi minuti prima.

“buonasera signor Cullen” mi salutò cordialmente l’uomo

“salve…” gli risposi abbastanza scocciato dalla sua presenza

“mi hanno appena avvisato della sua scelta per stasera!” mi disse lui misurando le parole

“e allora?” gli risposi non degnandolo di uno sguardo

“abbiamo un po’ di difficoltà tecniche nel esaudire la sua richiesta! Mi dispiace signore!”

“e questo sarebbe un mio problema perché?” alla mia domanda lo chef rimase a bocca aperta senza proferire nessuna parola.

“ecco vede se potesse….” interrupi la sua lamentela con la mano

“ho capito! Evitiamo qualsiasi scusa banale…” detto ciò mi alzai dalla sedia e mi diressi verso l’uscita dove i due uscieri mi riaprirono le porte che davano sulla hall.

- bene e adesso che si fa? - mi chiesi

Mi avviai al bancone del bar che si affacciava su una terrazza dove lo staff dell’animazione intratteneva la gente, seduta ai vari tavolini quadrati. Mi sedetti anch’io su uno sgabello libero e appoggiandomi al bancone ordinai un martini.

Il tempo dell’attesa non fu particolarmente veloce. Presi il drink e mi guardai intorno ispezionando faccia per faccia la gente che rideva alle battute del comico di turno.

C’erano donne anziane, che ridevano mostrando le marcate rughe sul loro viso, un’altra donna di mezza età era stata appena fatta alzare da un animatore per sottoporsi a qualche strana gag organizzata al momento. Guardai distrattamente il poco esilarante spettacolino. Sorseggiai dal bicchiere un piccolo sorso del liquido incolore e vagai ancora un po’ con lo sguardo, quando qualcuno mi strattonò la giacca.

“ehi…” dissi girandomi

“ciao Edward!” una vocina squillante come quella di un piccolo folletto mi fece abbassare lo sguardo

“Ehi… ciao Matt” risposi sorridendo

“che fai?” la domanda del piccolo ragazzino mi fece sorridere ancora una volta. Sollevai il bicchiere per farglielo vedere “cos’è? Acqua?” mi chiese insistendo

“non proprio è qualcosa di più forte!” gli risposi prendendolo in braccio e mettendomelo sulle ginocchia.

“posso berlo anche io?” mi chiese

“non penso ti farebbe bene! Sei troppo piccolo per certe cose!”

“ah va bene, ma non ti ho visto a cena stasera!” mi disse abbassando lo sguardo

“lo so sono venuto qui… e come vedi ci siamo visti lo stesso!” gli dissi bevendo un altro sorso dal bicchiere e continuai “e invece tu? Hai mangiato bene?”

“Edward…”

“si che c’è?” gli chiesi preoccupato dato che aveva abbassato lo sguardo improvvisamente

“ti puzza l’alito di alcool!” mi disse puntandomi i suoi occhi sulla mia bocca e mi strappò un’altra risata

“ah si scusami allora!” e iniziai a fargli il solletico sui fianchi. Matthew buttò la testa all’ indietro ridendo di gusto

“basta… basta! Ti prego…” una piccola lacrimuccia per il troppo ridere, scese sulla sua guancia dorata per via dell’abbronzatura

“vieni ti voglio presentare una persona!” mi disse il ragazzino saltando giù dalle mie ginocchia

“ok aspetta un attimo!” bevvi l’ultimo sorso del drink e chiamai il barman “un altro per favore!”

Afferai il martini che mi fu servito a tempo record e mi avvicinai a Matt che mi prese per mano e mi fece sedere ad un tavolo con altre tre persone.

“questa è la mia famiglia!” citò lui orgoglioso.

La donna seduta alla mia destra, fasciata da un abito aderente e con una scollatura molto provocante, mi sembrava famigliare.

“salve piacere… signor Cullen io sono Elionor!” si presentò la donna aggiungendo “sono la mamma di questa piccola peste.”

- ora ricordo dove l’avevo vista! -

“mamma lui si chiama Edward!” mi precedette il ragazzino “lui è mio papà Jason, e lei e mia sorella Patricia”

L’uomo che rispondeva al nome di Jason sembrava un uomo molto distinto anche se sfoggiava un paio di bermuda e una maglietta bianca aderente. Poi c’era la ragazza di nome Patricia che invece vestiva in modo più elegante con un vestitino turchese che le faceva risaltare il seno e si intonava molto bene con l’abbronzatura e i suoi occhi castani. La ragazza sembrava molto timida, infatti da quando mi ero seduto che aveva gli occhi bassi.

“molto piacere di conoscervi…” dissi mostrandomi gentile nei loro confronti

“il piacere è tutto nostro mister Cullen!” mi rispose l’uomo distogliendo un attimo gli occhi dallo spettacolino.

Intanto Matt mi saltò di nuovo sulle ginocchia appoggiandosi al mio petto e rimase fermo in quella posizione fino a quando lo staff dell’animazione non diede la buonanotte alle persone lì sedute.

La gente piano piano iniziò a defilansi dalla piazzola. Io mi alzai leggermente dallo schienale della sedia. Notai che Matt si era addormentato.

“Jason prendi tu Matthew?” chiese la donna al marito che silenziosamente si avvicinò a me prendendo il ragazzino tra le braccia che si sveglio appena il braccio al padre.

“forza Matt andiamo a dormire in camera!” disse l’uomo mettendolo a terra

“va bene papà! Saluto Edward e andiamo” gli rispose strofinandosi il palmo della mano su un occhio.

Si avvicinò a me e mi buttò le braccia al collo “buonanotte…” mi disse e si riavvicinò ai suoi genitori che lo aspettavano sulla porta.

“buonanotte piccolino… ci vediamo domani in spiaggia!” e con la mano lo salutai

Salutato il ragazzino e i suoi genitori, mi avviai verso la spiaggia passando tra le villette e la gente che tornava in camera.

Arrivato sulla spiaggia tolsi le scarpe e camminai fino al mare a piedi nudi, affondando di qualche centimetro nella sabbia sottile. Mi sedetti su una sdraio e appoggiai le scarpe e la giacca su un altro lettino. Tirai fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette e me ne accesi una. Ispirai profondamente prima di buttare fuori una nuvola di denso fumo che di diradò dopo pochi secondi. Guardai in direzione del mare scrutando l’orizzonte che ormai si confondeva con il nero del cielo.

Tirai ancora un’altra boccata dalla sigaretta, che aveva iniziato a disegnare delle piccole nuvolette di fumo bianco.

I piccoli lampioni a forma di fungo illuminavano gran parte della spiaggia. Mi guardai intorno e vidi una piccola figura seduta sulla sabbia a poca distanza da me. Il vestito turchese che si adagiava sulla sua persona ricadeva leggero sulla sabbia disegnando un piccolo semicerchio. Sembrava la corolla di un fiore da cui spuntavano due lunghe e affusolate gambe dorate.

Mi avvicinai di soppiatto cercando di non fare molto rumore e mi accucciai dietro di lei.

“Patricia… giusto?” le dissi in un orecchio. La ragazza sobbalzò appena sentì la mia voce

“si…” la sua voce melodiosa mi sembrava quasi irreale

“scusami non era mia intenzione farti spaventare” le dissi sorridendo sghembo

“tranquillo non mi hai spaventato!” si scusò la ragazza “pensavo di essere sola”

“se vuoi vado via!” le dissi alzandomi in piedi

“no no! Rimani…” al suo invito mi sedetti vicino a lei

“allora… mi chiedevo dove fossi finita! Sei sparita in mezzo alla folla e non ti ho vista andare via con la tua famiglia”

“si lo so… ma sai la sera mi piace stare qui a pensare e mi riesce facile la sera quando qui non c’è nessuno!”

“capito” tirai l’ultima boccata dalla sigaretta per poi spegnerla nella sabbia

“ti seccherebbe se ti chiedessi una sigaretta?” mi domandò la ragazza stringendosi nelle spalle

“no! Assolutamente anzi scusami se non te l’ho offerta prima!”

“tranquillo!” mi rispose lei e le porsi il pacchetto “ti posso chiedere un altro favore?”
“si certo dimmi!”

“potresti accendermela tu per favore?” mi chiese abbassando lo sguardo per vergogna della sua richiesta.

Presi la sigaretta e la infilai tra le labbra. La osservai ancora una volta afferrando l’accendino nella tasca. Accesi la sigaretta con una lunga boccata e gliela porsi.

Patricia l’afferrò e tirò anche lei una boccata facendo accendere il tizzone incandescente alla punta.

“grazie” mi disse incrociando le braccia sulle ginocchia

“di niente. Quanti anni hai?” le chiesi

“diciannove…”

“e so che sei di New York come me!” incalzai cercando di instaurare un discorso

“eh già!” mi rispose lei laconica tirando un’altra volta

“vedo che non ti piace molto parlare!”

“senti…” non terminò la frase che si alzò in piedi afferrò le sue scarpe e corse via.

Ebbi il tempo di afferrare anche le mie cose e rincorrerla per cercare spiegazione al suo comportamento di poco prima. A piedi scalzi correvo tra i piccoli sentieri di mattonelle che collegavano tutte le piccole villette. Incrociai la sua piccola figura prima che scomparisse dietro una porta.

“cavolo è veloce la ragazzina!” mi dissi tenendo sott’occhio la porta da dove era entrata. Mi fissai in mente il numero della stanza così l’avrei potuta individuare meglio l’indomani.

- 345 b - mi ripetevo nella mente il numero della stanza mentre ritornavo nel mio appartamento. Mi gettai sul letto che mi accolse come il ventre materno. Chiusi gli occhi e mi continuai a domandare cosa le avesse preso per fuggire in quel modo. Le immagini di quella sera mi si affollarono nella mente e poco alla volta caddi nelle braccia di Morfeo.

 

  
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