Disclaimer: i personaggi sono © di
Hidekaz Himaruya. La caratterizzazione della Georgia, invece, è opera mia.
Note: questa è una di quelle fan
fiction che mettono le tende nella tua testa e non se ne vanno finché non ti
arrendi e le scrivi.
I
vari riferimenti storici sui rapporti tra i personaggi hanno come fonte
wikipedia e li trovate a fine fanfic (per non tediare chi, magari, non è
interessato a conoscerli XD).
Irina è il nome che ho utilizzato
per indicare Ucraina.
Personaggi: OC!Georgia e Russia; un po’
di paesi Baltici, un cucchiaino di Polonia e un pizzico di Bielorussia e
Ucraina.
Dedica: a makotochan, che si è
affezionata a questa versione di Georgia prima di me (come, non si sa). A lei,
anche perché il suo regalo di Natale è fermo ad una bozza informe e temo che
rimarrà tale.
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La prima volta che Russia
aveva portato a casa Georgia, c’erano proprio tutti: Bielorussia, che aveva
fissato Georgia a metà fra il poco simpatizzante – molto poco – e l’aria di chi
comincia a temere che casa propria sia stata scambiata per un albergo.
Al contrario, a Ucraina si
erano illuminati gli occhi e aveva sorriso, seppur timidamente – Georgia non
poteva saperlo, che la sua immagine era stata accostata a tanti bei vestiti
merlettati in un lasso di tempo assai breve.
Estonia, Lettonia e Lituania
da parte loro avevano semplicemente sperato che ad accomunare Russia e Georgia
non fosse il carattere.
Quel giorno c’era persino
Polonia, che gli incontri con Russia se li risparmiava volentieri quando
poteva, rimasto per la curiosità quando aveva sentito di quell’arrivo. Lui e
Georgia si erano fissati – o meglio, Polonia aveva insistentemente e anche in
maniera piuttosto indiscreta analizzato ogni dettaglio, Georgia invece aveva
solo osservato pigramente quel processo.
Poi, forse soddisfatto dalla
sua analisi, Polonia aveva sorriso con aria complice a Toris passandogli un
braccio attorno alle spalle – che significava solo prese in giro in arrivo – e
aveva detto: «Ne Liet, non è, tipo, un sacco carina?» il tono divertito non
perché Georgia non lo fosse davvero, quanto per il rossore sul viso di
Lituania.
Georgia, che per tutto il
tempo aveva ascoltato senza muoversi dal fianco di Russia, con pochi passi
aveva raggiunto Polonia e Lituania, dando uno scappellotto – non troppo forte,
ma nemmeno tanto piano – al biondo, che aveva assunto uno sguardo quasi
indignato.
«Ehi!» si era lamentato,
sentendosi prendere un polso e ritrovandosi a guardare Georgia che guidava la
sua mano sul proprio petto.
Ci fu il gelo – e non solo
per la bufera di neve ce imperversava fuori – per qualche istante, dopo il
quale Polonia aveva ritratto la mano.
«Cioè, tipo, ma sei un
maschio!»
I primi tempi, quasi tutti a casa
di Russia passavano il tempo a studiare Georgia: un po’ per la novità, un po’
perché era un tipo strano.
L’errore di Polonia di
crederlo una ragazza non era stato condannabile; in primis, lo avevano pensato
tutti, e poi Georgia non era proprio mascolino.
Al di là dei capelli chiari
che sfioravano le spalle ed erano spesso legati in un codino da quando c’era
stato il malinteso, il viso aveva dei lineamenti morbidi. Ma soprattutto – cosa
che, una volta sottolineata, costò a Feliks un altro scappellotto – Georgia non
aveva propriamente un fisico che esaltasse la sua virilità, ecco.
Minuto ed esile,
probabilmente l’unico che riusciva a superare per più di un paio di centimetri
era Lettonia – e non era un gran traguardo, suvvia.
E, a dispetto di quanto sembrasse
se la si vedeva dal punto di vista di Polonia, Georgia non era eccessivamente
manesco – Feliks se la cercava sottolineandogli ogni volta quanto sembrasse una
ragazza, col solo scopo di prenderlo in giro.
Indiscutibilmente però,
Georgia era una – nazione, parte geografica, qualcosa – persona strana.
In tanti modi diversi quanti
erano gli inquilini della casa di Russia.
Il rapporto più ovvio che
aveva era quello con Bielorussia; Natalia, così morbosamente attaccata al
fratello, non aveva apprezzato la scoperta che Georgia avesse passato del tempo
con Ivan a sua insaputa.
Non era stato concepibile per
lei, e da quel giorno se non gli aveva lanciato dietro coltelli da cucina di
varie dimensioni era stato solo perché Ucraina e lo stesso Russia si erano messi
di mezzo per impedirglielo.
Eppure Georgia non aveva mai
alzato contro Natalia nemmeno un dito: aveva, al massimo, evitato i colpi di
lei. Non le aveva mai risposto male, non l’aveva mai presa in giro né
contraddetta. In realtà, sembrava non l’averla mai nemmeno considerata letale.
Per Georgia, era del tutto
normale; non aveva mai rinfacciato nulla a Natalia.
Solitamente, rapportarsi ad
una come Bielorussia uscendone illeso significava che difficilmente saresti
riuscito ad andare d’accordo con tipi placidi e tranquilli e pure un po’ fifoni
– non senza una relazione basata sul terrore, chiaramente.
Invece Georgia, senza mutare
il carattere o il proprio approccio, riusciva ad andare d’accordo anche con
Ucraina; nel tempo, probabilmente, era l’unica che avesse potuto considerare –
o provare a farlo – un sorella maggiore.
Quando veniva a trovare
Russia o si fermava lì a casa, lei aveva sempre un momento anche per Georgia;
un momento in cui timida e timorosa gli si avvicinava per salutarlo, e
chiedergli se era tutto a posto e lì con il fratello si trovava bene. Arrossiva
un pochino e balbettava, forse perché temeva di disturbarlo, o magari perché
Georgia non lasciava mai trapelare troppo qualcosa dall’espressione.
Ma la prima volta che Ucraina
gli si era rivolta a quel modo, lui aveva annuito con il capo un po’ come un
bambino e aveva pronunciato un: «Va tutto bene, grazie.»
Un incoraggiamento per lei,
così insicura, divenuta poi una delle più vicine al biondo; Irina sembrava in
qualche modo averlo conquistato, anche se Georgia non lo diceva.
Lui le permetteva un po’
tutto – di scompigliargli appena appena i capelli, di coinvolgerlo in cose come
la cucina, o semplicemente di passare del tempo insieme – e Georgia a lei dava
un po’ tutto, il tempo in silenzio, la compagnia e lo stesso affetto con cui
Irina gli sorrideva.
Per Georgia, era del tutto
normale; non aveva mai ferito Ucraina, nemmeno per errore.
I baltici, per la verità,
avevano sempre interagito poco con Georgia: Lettonia ne era spaventato –
Georgia passava la maggior parte del tempo con Russia vicino, volente o
nolente, e per Ravis tanto era bastato a perdere la fantasia di interagire con
l’altro.
Quanto ad Estonia, invece,
lui sosteneva che Georgia non lo capiva – sottolineando poi che non amava
particolarmente le cose e le persone sfuggenti.
Per questo, il loro rapporto
si era limitato a quello che la buona educazione prevedeva: si scambiavano
cenni di saluto, ed Eduard preparava il tea anche per Georgia se questi era a
casa. Ma niente di più.
Toris invece più di una volta
era riuscito a parlarci, forse smosso dall’aver visto Georgia sempre impegnato
in passatempi normali e tranquilli, oppure silenzioso e senza mai qualche
strana pretesa – convincendosi quindi che potesse non essere inquietante come
si pensava a causa della sua apparente vicinanza a Russia.
Certo, Georgia rimaneva un
tipo di poche parole, ma non era così male.
«Aggiungici la vodka.» aveva
detto una volta, apparendo dal nulla in cucina e facendo quasi venire un colpo
a Toris.
«E-Eh?» aveva domandato
nervosamente Lituania quando lo aveva individuato e Georgia lo aveva fissato,
studiandolo quasi.
E alla fine, l’espressione
calma, aveva semplicemente indicato quello che Lituania stava cucinando:
«Mettici della vodka. Senza a Russia non piace.» aveva chiarito – forse era
stata la frase più lunga che il biondo avesse pronunciato tra quelle mura – e
Lituania aveva avuto un moto di gratitudine verso di lui, al pensiero della
tragedia che sarebbe potuta avvenire se Russia avesse mangiato un piatto non di
suo gusto.
«G-Grazie.» aveva balbettato
con un sorriso debole, al quale Georgia aveva scosso appena la testa,
pronunciando poi un: «Posso restare a guardare?»
E Toris lo aveva fissato un
po’ stupito, e aveva notato lo sguardo di Georgia simile a quello di un bambino
che malgrado l’impegno a non mostrare la propria aspettativa verso qualcosa, ne
lascia comunque trapelare un po’.
Allora Lituania aveva
annuito, e l’altro si era seduto e non aveva più parlato.
Per Georgia era del tutto
normale; semplicemente, lui era abituato ad osservare.
Una delle altre volte che
avevano parlato, era stata una di quelle in cui Russia non c’era e come lui le
sue sorelle.
Lituania aveva saputo – o
letto, probabilmente – che prima di vivere con loro in quel periodo, Georgia
era già stato lì insieme a Russia, ma se ne era andato.
Sapeva che per un certo
periodo avrebbe dovuto vivere lì, ma loro non lo avevano visto prima che Russia
stesso lo presentasse, per così dire.
Anche Polonia aveva detto di
averlo forse incrociato, ma che non se lo ricordava granché.
Ma quello che Toris si era
chiesto, era come avesse fatto Georgia ad allontanarsi da Russia e… non
risentirne particolarmente, non in maniera visibile almeno; il lituano era
terrorizzato alla sola idea di ribellarsi ad Ivan e nessuno poteva dargli
torto.
Allora come? Aveva desiderato
chiederlo a Georgia, ma non c’era mai stato il modo; almeno finché quella volta
non lo aveva trovato solo a leggere un libro nel grande salone della casa di
Russia e deglutendo a vuoto si era fatto coraggio e gli aveva chiesto di
sedersi con lui.
Il silenzio imbarazzato da
parte di Lituania e placido da parte di Georgia era durato abbastanza a lungo,
finché Toris non aveva capito che doveva essere lui a farlo cadere.
«G-Georgia, senti» aveva iniziato,
bloccato quasi subito dallo sguardo che il biondo gli aveva rivolto: sembrava
infastidito da qualcosa, ma non in maniera particolarmente ostica come se – per
contro – vi si fosse ormai rassegnato.
Sotto quello sguardo Lituania
si era fatto appena più piccolo, perdendo per strada la vera domanda che voleva
fargli per rivolgergli un: «C-Cosa c’è?» abbastanza incerto.
Georgia non aveva mutato
granché l’espressione, ma il tono con cui aveva parlato era stato di nuovo
neutro come era di solito: «Sakartvelo.» aveva detto solamente, quasi
stancamente.
Toris lo aveva osservato
perplesso questa volta, inclinando appena il capo di lato senza capire.
Georgia aveva riportato lo
sguardo sul libro, aggiungendo in un borbottio: «È questo il mio nome.» parole
alle quali Lituania si era nuovamente chiuso nel silenzio, meditabondo.
Georgia non era “Georgia” e
basta?
Di tempo senza parlare,
quella volta ne avevano passato tanto – un po’ come se fosse lo specchio del
tempo passato in cucina una volta – Lituania senza sapere davvero come
domandare e Georgia che non sembrava infastidito né distratto dalla presenza
del castano.
E alla fine Toris si era
fatto un po’ più coraggioso – solo un pochino, quanto bastava – e aveva chiesto
come mai fosse tornato.
Georgia era rimasto fermo
qualche altro istante, chiudendo il libro; aveva sospirato, e aveva chiuso gli
occhi, e senza un motivo vero Lituania si era pentito di aver parlato.
«A volte i figli tradiscono i
genitori.» aveva detto Georgia, criptico: «O forse ero con Russia da troppo
tempo per saper dire di no. Forse ero… solo stanco.» aggiunse con un sospiro.
E Toris aveva guardato le
proprie mani, in quel momento interessantissime.
Non era riuscito a capire
quello che davvero voleva sapere, ma era chiaro che Georgia non era lì per
paura; si chiese se fosse affetto verso Russia, il suo o se al contrario lo
odiasse ma qualcosa gli impedisse di andare via.
Georgia non glielo disse mai,
ma per il biondo era del tutto normale; non parlava mai, ascoltava e basta, e
sembrava annientarsi a poco a poco.
Russia era una persona accorta per certi versi, ma assolutamente sconsiderata in altri casi e con concetti tutti suoi – come il pudore e il piacere del rischio.
E si traduceva sempre tutto
in qualcosa che avrebbe potuto creare problemi a qualcuno e di cui si sarebbe
puntualmente disinteressato – Russia di certo non era la quintessenza
dell’altruismo.
Quella volta era solo una fra
tante, con una porta socchiusa senza la minima preoccupazione di essere visti o
sentiti; con il fruscio delle lenzuola appena percettibile, e la voce di Russia
tenuta bassa più per infantile dispetto che non per accortezza.
Sospiri leggeri all’inizio,
quando si era chinato su un corpo già visto altre volte, esplorato altre volte
e con il sorriso aveva sussurrato a pochi centimetri dal viso di Georgia se
poteva baciarlo, in una presa in giro – Russia non chiedeva, non per davvero.
Domandava, certo, e se riceveva un rifiuto prendeva e basta.
Georgia lo aveva osservato,
quasi a cercare di capire quanto la domanda fosse sincera: aveva sospirato,
voltando appena il viso, come se volesse trovare la risposta intorno a sé.
E poi non aveva detto nulla,
e Russia aveva sorriso appena più ampiamente appropriandosi delle sue labbra
senza chiedere più.
I baci casti si erano trasformati
presto in più profondi, in morsi più o meno leggeri alle labbra e la lingua che
le sfiorava l’attimo dopo, scendeva alla gola e inumidiva la pelle.
Si erano trasformati in denti
che mordicchiavano il collo e lo segnavano, in sospiri profondi e concitati, in
corpi che venivano spogliati e toccati e strusciati l’uno contro l’altro.
In gemiti più o meno alti, in
corpi sudati che combaciavano ancora una volta, nella voce di Russia che
chiamava “Gruzija” con tono roco prima di raggiungere l’orgasmo e svuotarsi
dentro il biondo, nei mugolii di Georgia che lo chiamava con tono più basso
possibile, quasi non volesse farsi sentire nemmeno da Ivan.
Lituania aveva odiato sentire
quei rumori, incapace di muoversi nel terrore di essere sentito da Russia e per
contro capace solo di chiudere gli occhi per non guardare.
E anche quando poi se ne era
andato via, facendosi forza perché incapace di ascoltare ancora una cosa del
genere – intima, inaspettata, insospettabile almeno per lui – aveva provato a
non pensarci, imponendosi di dimenticarlo e non farne parola con nessuno.
Eppure, la domanda del perché
Georgia permettesse a Russia persino quello se la loro non era quel tipo di
relazione, gli aveva martellato la mente soprattutto all’inizio senza che
potesse farci niente.
E dal canto suo Georgia non
aveva dato segno di aver fatto alcunché quando si erano di nuovo ritrovati
faccia a faccia in casa; Lituania si era chiesto però cosa ne pensasse.
Se non facesse male, sapere
di essere uno ma non l’unico.
Se non fosse per stanchezza,
o per affetto, o per troppo odio o per troppo amore che Georgia non aveva
risposto alla domanda di Ivan e lo aveva solo lasciato fare.
Però, per Georgia quello era
del tutto normale; Russia era stato il primo vero compagno a cui unirsi, la
prima delusione, la prima sensazione di protezione, il primo scendere a patti
per convivere.
Era stato il primo di tante
cose: il coraggio di andare via e la debolezza di tornare ancora una volta, la
sofferenza e la felicità, del tipo stupido, quello che a volte faceva sorridere
le persone come degli ebeti.
Russia era stato anche la
prima persona a cui Georgia avrebbe voluto urlare di no ma alla fine lo
sussurrava, lo mormorava, lo ringhiava anche – ma solo se Russia non c’era – e
rimaneva sempre lì.
E poi, un giorno, Georgia era
andato via di nuovo.
Nessuno aveva sentito un
particolare vuoto, nessuno aveva avuto la sensazione spiacevole di una persona
cara che li abbandonava.
Un giorno qualcuno di loro
aveva incrociato casualmente il biondo: era ancora minuto e se non lo conoscevi
continuava a sembrare una ragazza che Polonia avrebbe nuovamente definito
“carina”.
Non erano più tutti uniti
sotto la giurisdizione di Russia, ma erano ancora gli stessi.
«Gruzja!» l’aveva chiamato
Polonia, alzando una mano in un cenno leggero; l’altro lo aveva fissato e
quando Polonia e Lituania erano stati abbastanza vicini aveva pronunciato
soltanto: «Non sono Gruzja. Sono Repubblica di Georgia.»
E Lituania aveva ricordato di
quando Georgia gli aveva detto il suo nome.
E di come nessuno mai lo
avesse chiamato allo stesso modo.
Di quanto quel nome fosse
importante – Sakartvelo era tutto per il biondo: il proprio nome, la propria
storia prima di Russia, e della vita con loro, e dell’essersene andato di
nuovo; era Georgia stesso e l’unica cosa di cui lui avesse davvero bisogno.
Gruzija, Gruzja, Gürcistan.
Era così importante, eppure
nessuno mai…
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Riguardo la presenza in casa di Russia: anche se entrati nell'URSS in date diverse (Russia,
Bielorussia e Ucraina nel 1922, i Baltici nel '40 e la Georgia definitivamente
nel '36), la Georgia aveva avuto dei contatti con la Russia già nel 1783. Per
questo si parla di Natalia gelosa del tempo che Georgia ha passato con Ivan.
Alla stessa data fa
riferimento Lituania quando scopre della presenza di Georgia in quella casa una
volta, prima che andasse via e poi tornasse ai tempi dell'URSS.
Polonia e Lituania: il fatto che Polonia non ricordi bene Georgia, è dovuto al fatto che
come Nazione fu annessa alla Russia (1793) ma è anche vero che la Polonia era
spartita tra Russia, Prussia ed Austria. Pertanto, non lo ricorda
completamente.
Gli anni a cui invece si
riferisce Lituania sostenendo che Georgia avrebbe dovuto vivere con loro già da
prima, si deve al fatto che prima dell'annessione all'URSS la Georgia oppose
resistenza.
Sakartvelo:
è il nome con il quale il popolo della Georgia si riferisce alla propria
repubblica. Tuttavia, nessuna Nazione la chiama a quel modo, come chiarito più
avanti.
"A volte i figli tradiscono i genitori": Georgia si riferisce a Stalin. Di origini georgiane,
fu proprio lui far cadere la Repubblica incorporando la Georgia nell'URSS.
"Gruzija", "Gruzja" e "Gürcistan": i modi in cui Georgia viene chiamata rispettivamente
in russo, polacco e turco.
Russia e Georgia: il loro rapporto è complicato anche storicamente. Il primo contatto
lo ebbero nel 1783, con l'annessione di un territorio georgiano all'Impero
russo. In questo primo contatto fu stipulato un trattato (Trattato di
Georgievsk), che vedeva la Russia impegnarsi a proteggere militarmente la
Georgia, a fare dei nemici di quest'ultima i propri nemici mentre la Georgia si
impegnava all'apertura del mercato economico verso la Russia ed altre clausole.
Fatto sta che quando la Georgia subì un attacco dal regno persiano, la Russia
non intervenne subito - causando perdite e instabilità alla Georgia - salvo poi
rifarsi dopo qualche tempo andando finalmente in soccorso del territorio
georgiano.
Per questo, se da una parte
la Georgia può aver subito torti e delusioni da parte della Russia, è pur vero
che quest'ultima ha rappresentato certamente una figura importante.
Repubblica di Georgia: il nome acquisito definitivamente dopo
l'indipendenza dall'URSS (cambiato poi nel 2004 in Repubblica della Georgia)
Ancora oggi il popolo
georgiano parla di sé e del proprio paese con nomi che le Nazioni non
utilizzano, come già detto. Mantengono i nomi che derivano da un patriarca, il
che ne sottintende l'importanza che gli è stata attribuita.
Indipendenza:
l'indipendenza "finale" della Georgia non sembra aver lasciato troppi
segni. Ovviamente ci saranno stati degli scontri, ma sembra quasi che la stessa
Russia non se ne sia curata eccessivamente - probabilmente perché è coincisa
con lo scioglimento generale dell'URSS e non con una presa di posizione
particolare. Wikipedia comunque si manteneva assai vaga e ho preferito
attenermi per non inventare pagine di storia mondiale che magari non
esistevano.