Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    31/01/2010    3 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 10 – Di male in peggio
(Natsume)


Quando uscii dalla classe era tardo pomeriggio e ringraziai il cielo di essere fuori di lì. La riunione della classe di abilità Pericolose non era una cosa che aspettavo con ansia tutte le settimane, soprattutto quando dovevamo parlare di cose come portare in Accademia altri bambini. Non avevo ancora capito a che punto erano con questo geniale piano, dato che la missione di tre mesi fa era fallita, ma di sicuro Persona e il Preside avevano le idee chiare, e la cosa non mi tranquillizzava affatto. L'idea che dei bambini venissero strappati alle loro famiglie perché avevano Alice rari che potevano servire agli scopi del Preside mi metteva i brividi, soprattutto perché mi ricordava terribilmente quello che era successo a me.
«Natsume-kun...» la voce di Nobara mi riscosse dai ricordi. Forse era la prima volta che ero davvero felice di sentirla. «...ecco... il Preside ha detto che vuole parlarti.» okay, forse non ero così felice. Sbuffai, ricordandomi che, tempo prima, mi aveva detto che avremmo dovuto parlare del mio non meglio precisato futuro. Speravo solo che finisse tutto in fretta, almeno avrei potuto andarmene.
«Arrivo.» risposi, scocciato. Tornai indietro, fino ad arrivare alla porta più squallida di tutta la sezione delle elementari. Immaginai di dover bussare, così lo feci: il marmocchio teneva particolarmente alle formalità, ed era il caso di non indispettirlo ancora prima di aprire bocca.
«Entra pure, Hyuuga-kun.» la sua voce da bambino, che più di ogni altra cosa mi faceva saltare i nervi, arrivò anche più inquietante da dietro la porta. Sospirai, prima di aprirla ed entrare. Se la stanza fosse stata un po' più luminosa, magari sarebbe sembrata più accogliente, ma di certo, quelle scure tende chiuse, non aiutavano a sentirsi a proprio agio. «Non stare lì in piedi, siediti.» ecco: quando chiedeva di sedersi, era perché aveva qualcosa di maledettamente lungo da dire; e quando lui diceva qualcosa di lungo, di solito, uscivo di lì coi nervi a fior di pelle. Obbedii all'ordine, e mi appoggiai allo schienale: se doveva essere per forza una cosa lunga, meglio stare comodi.
«Ricordi che, qualche mese fa, ti ho mandato in missione insieme a Ibaragi e Andou?» e come avrei potuto dimenticarmene? Mi limitai ad annuire: a lui non andava a genio che gli si rispondesse, quando doveva parlare. «Mi fa piacere.» mi trattenni dal mostrare qualsivoglia espressione, ma dentro di me, mi chiesi se mi stesse prendendo semplicemente in giro. «Persona mi ha detto del tuo comportamento durante quella missione.» a quel punto, desiderai che arrivasse subito al nocciolo della questione: ricordare non era esattamente la mia più grande priorità. «Gesto eroico da parte tua, ma...» fece schioccare la lingua, in segno di disappunto. «terribilmente stupido, sfortunatamente.» intrecciai le mani l'una con l'altra, per non cadere nella tentazione di dargli fuoco, anche perché non avrebbe funzionato, con tutte le “precauzioni” che prendeva contro gli Alice delle abilità Pericolose, e non ci tenevo particolarmente a peggiorare la mia situazione. «Però, voglio offrirti un'altra possibilità, dopotutto.» lo guardai in faccia, sospettoso: lui non offriva mai seconde possibilità. Chi sbagliava, andava fuori. Questo era uno dei principi della nostra classe. E con “fuori” non intendeva fuori dalla classe o dall'Accademia. «Dato che non siamo riusciti nel nostro intento, esattamente come avevamo previsto...» faceva tutti quei problemi per una missione che sapeva già che sarebbe fallita? «penso che vorrai porre rimedio, sbaglio?» aprii la bocca per rispondere, anche se non sapevo ancora bene cosa dire. Ovviamente, non ce ne fu bisogno. «Perfetto. D'altronde, una seconda possibilità non si rifiuta mai.» averne l'opportunità, sarebbe già stato qualcosa. «Tu sei molto intelligente, l'hai dimostrato ampiamente in più di un'occasione, e non voglio che questa tua qualità rimanga inutilizzata. Hai molto potenziale, e pretendo che tu lo usi.» inarcai un sopracciglio, confuso. In che modo pretendeva che io mettessi al suo servizio la mia testa? «Come tu ben sai, o dovresti sapere – comunque non fa molta differenza – la Watanabe Corporation, da noi meglio conosciuta come Organizzazione Z, ci osteggia da troppo tempo. Ci nasconde bambini con Alice preziosi per la nostra Accademia e questo potrebbe crearmi dei fastidi.» beh, quella era la storia delle abilità Pericolose; la conoscevo a memoria, non c'era bisogno che me la ripetesse. «Ti chiederai cosa c'entra con il tuo cervello.» per una volta, ci aveva preso in pieno. Appoggiò i gomiti sulla scrivania, intrecciando le dita delle mani, quasi volesse fingersi un grand'uomo d'affari; visto così sembrava più grande. Mi trattenni dal sorridere: sembrava un bambino che voleva giocare a fare l'adulto. «Tu hai la possibilità di diplomarti, così come sei ora, e mi servi fuori di qui.» quando lo vidi sorridere compiaciuto, immaginai che la mia espressione trasmetteva quello che stavo provando, cioè stupore, irritazione e... non sapevo bene che altro. «Voglio che ti infiltri nella Watanabe, tu hai tutte le capacità di quello che può farcela. E con questo, voglio dire che è un'offerta che non puoi rifiutare. Mi spiego?»
«Direi... di sì.» risposi, un po' confuso, mentre cercavo di elaborare tutto il discorso che mi aveva appena fatto. Non mi attirava per niente l'idea di andarmene.
«Non interrompermi.» mi rimproverò, glaciale. Riportai l'attenzione su di lui: a quanto pareva, le belle notizie non erano ancora finite. «Prima di settembre, voglio che tu abbia un diploma in mano. Sono stato chiaro? Farai questa sessione d'esame, e poi ti metterai a studiare per il diploma, questo perché gli studenti del primo anno, nella sezione delle superiori, non sono ritenuti abilitati ad affrontare un esame per il diploma, dopodiché farai le valigie. Dovrai trovare le ubicazioni di questi bambini e trasmettercele. In fin dei conti, non è così impegnativo.» ah, beh, se lo diceva lui, che motivo avevo di preoccuparmi? Poi distese il viso in un sorriso oltremodo irritante. «Puoi andare ora, se è tutto chiaro.»
«Cristallino.» replicai, alzandomi. Mi domandai perché tutta quella fretta di spedirmi in quell'organizzazione, dopo che avevano fatto un gran fracasso per avermi in Accademia e, soprattutto, come avrei dovuto dirlo a Mikan? «E se non dovessi riuscire a diplomarmi?» la domanda mi arrivò alle labbra prima che potessi anche solo pensare di fermarla.
«Mi pare ovvio.» rispose lui, mi pareva quasi di poterlo vedere sorridere, anche se ero girato di spalle, verso la porta. «L'ipotesi non è contemplata.»

Entrai in camera sbattendo la porta: non riuscivo a credere che mi stessero cacciando fuori, cioè, mi irritava il fatto di essere irritato per questo, anche se non c'era molta logica nel ragionamento. Forse, semplicemente, andarmene implicava lasciare Mikan quasi da sola, senza contare come ci sarebbe rimasta quando gliel'avessi detto.
«Natsume... che hai?» appunto, lei era proprio l'ultima persona che volevo vedere, in quel momento. «Stai bene?» si avvicinò a me, ma non la guardai nemmeno.
Sbuffai, irritato. «Mikan, per favore, lasciami in pace.» fu la mia brusca risposta. Lei non disse altro per un po'. Io mi buttai sul letto, sperando che andasse via.
Ovviamente, non lo fece. «Natsume, se non mi dici qual è il problema, non posso aiutarti.» tanto, non poteva aiutarmi comunque. Dirglielo era prettamente inutile, considerando che l'avrebbe solo fatta piangere. E poi che cos'avrei dovuto dirle? “Ops... prima settembre devo levare le tende, ma in qualche strano modo ci terremo in contatto, anche se l'Accademia controlla tutta la posta che arriva e che viene spedita. Ciao”? Non era esattamente l'approccio migliore. «È successo qualcosa alla riunione?» non feci niente per darle una risposta; in quel momento, mi limitavo solo a respirare. «Insomma, vuoi dirmi che hai o no?» chiusi gli occhi, pregando perché la smettesse di fare domande: dovevo ancora elaborare un buon modo per dirglielo. «Sono stufa di questo comportamento. Quando sei turbato non mi parli mai dei tuoi problemi. Che stiamo a fare insieme, allora? Per fare i piccioncini e nient'altro?»
Mi misi a sedere nel letto, guardandola con non so che espressione. «Se vuoi lasciarmi, sei libera di andartene.» la mia voce suonò annoiata. Lei spalancò la bocca, sdegnata, come se l'avessi colpita alle spalle.
«Come vuoi, allora!» dichiarò e, senza darmi il tempo di capire, spalancò la porta e se ne andò. Quando si richiuse alle sue spalle, mi ributtai sul materasso. Magari era meglio per tutti e due: non avrebbe dovuto turbarla più di tanto sapere che me n'ero andato e io non avrei dovuto dire addio né vedere le lacrime di nessuno. Fino a settembre, di sicuro le cose sarebbero cambiare, magari lei mi avrebbe lasciato perdere. Appena finii di pensarlo, mi accorsi che l'idea non mi attraeva più di tanto, anzi: mi si contorcevano le budella al solo pensiero che Mikan potesse stare con qualcun altro. Sorrisi, pensando all'assurdità dei miei pensieri. Insomma, non era possibile che dicesse sul serio: immaginavo che avesse già dimenticato tutto quanto e che la situazione sarebbe tornata alla normalità a breve, esattamente come al solito.

Fu soltanto la mattina dopo, a mensa, che mi accorsi di non aver capito niente di quella che, ormai, sembrava essere la mia ex ragazza. Quando mi ero avvicinato a lei per metterci d'accordo sull'orario delle ripetizioni, scoprii che non aveva intenzione di rivolgermi la parola.
«Mikan...?» la chiamai, ormai non sapendo più se ci sentiva o meno. «Allora?» continuò a camminare, senza rivolgermi un solo sguardo. Io smisi di seguirla, quando capii che non era perché era distratta come al solito suo che non mi rispondeva, ma perché non voleva farlo. Io non sono il tipo che insegue le ragazze che lo ignorano, e per me poteva anche restare senza matematica per tutta la vita. Io avrei passato l'esame, lei no: non scombinava di troppo i miei piani.
Arrivò quasi a sbattermi la porta della mensa sul naso; sospirai, limitandomi ad alzare gli occhi al cielo; tentai di giustificarla ripetendomi che era arrabbiata, ma sapevo che di lì a poco avrei perso la pazienza. Che esagerata! Quando entrai, la vidi che correva a braccia aperte verso Imai, pressappoco gridando: “Ci siamo lasciati”. Vidi tutto il tavolo farsi più attento, specialmente Ruka, che era quasi traumatizzato, e quell'insopportabile colla di Sumire, che sembrava a dir poco deliziata dalla notizia. Beh, poteva avere tutte le speranze che voleva, sarebbero rimaste solo tali.
«Aspetta, Mikan... che vuol dire?» chiese Ruka, sotto shock. «È impossibile! Cioè... stavate insieme da quasi un anno e sembravate felici insieme! Nel test risultavate la coppia perfetta!» alzai gli occhi al cielo alla parola “test”. Davvero il mio migliore amico aveva fatto un test su di noi? Da che parte mi dovevo buttare per uccidermi?
«Sembravamo, infatti!» replicò Mikan, rivolgendomi un'occhiataccia. Sbuffai, sedendomi vicino a quello che avevo presupposto, fino a trenta secondi prima, essere il mio migliore amico, già sapendo che mi avrebbe sommerso di domande. Se non l'avessi conosciuto, l'avrei comunque capito dal suo sguardo. «Ma quel ragazzaccio che ti siede vicino, Ruka-pyon, non ha idea di cosa sia un rapporto tra due persone che si vogliono bene, né di cosa sia la gentilezza.»
«Mi sembra che non ti sia mai dispiaciuta troppo la mia mancanza di gentilezza.» osservai, irritato. Doveva per forza parlarne davanti a tutti? L'opzione “risolvere la cosa tra di noi” sembrava sfuggirle alquanto. Beh, se lei faceva qualcosa che dava fastidio a me, non vedevo perché non avrei potuto fare lo stesso. «Non chiedermi degli esempi, potrebbe essere imbarazzante.»
La vidi arrossire e distogliere lo sguardo. «Ti odio.» sibilò, ma riuscii comunque a sentirla. Imai le mise una mano sulla spalla, nel blando tentativo di consolarla.
«Ti prego,» cominciò, guardandola compassionevolmente. «non dirmi che siete una di quelle coppie che gioca al tira e molla.» no: stavolta aveva fatto tutto quanto Mikan; o meglio, anche quella volta, aveva fatto tutto lei. Mikan scosse la testa, con decisione.
«Non ci sarà niente di niente! Non lo voglio più vedere!» girò la testa dall'altra parte, e io sospirai a bocca aperta, esasperato. Tutto questo solo perché non le avevo detto che a settembre me ne sarei andato dall'Accademia e l'avrei lasciata sola. Bel ringraziamento.
Mi appuntai mentalmente che, se una cosa del genere fosse ricapitata, avrei dovuto semplicemente porgerle su un piatto d'argento la verità, qualsiasi fossero state le conseguenze.
«Allora devi risolvere il problema del banco.» le fece notare Sumire, zuccherosa. Per poco non diedi fuoco alla sua colazione, per pochissimo. «Potremmo fare a cambio, se ti crea problemi stare vicino a lui. Puoi stare tu tra Anna e Nonoko, ti pare un'idea?»
«Lo faresti d-davvero?» le chiese Mikan, timidamente. Sumire le sorrise gentilmente, come mai le avevo visto fare, soprattutto se il sorriso era indirizzato a Mikan. Che persona ipocrita e squallida. E io avrei dovuto sedermi vicino a una come lei? Ma neanche per sogno, soprattutto se aveva intenzione di provare a fare quello che pensavo.
«Niente da fare.» le interruppi, prima che Sumire potesse darle altre speranze. «Decido io chi si siede vicino a me, dalle elementari. Il tuo posto, Mikan, è quello, non puoi cambiarlo solo perché abbiamo avuto una stupida discussione.»
Lei mi rivolse di nuovo uno sguardo di fuoco. Era guerra aperta, a quanto pareva. «Stupida discussione? Stupida discussione? Allora è così che la pensi! Pensi che per me, esprimere la mia opinione su qualcosa sia stupido!»
«Beh, se la metti così.» fu tutto ciò che risposi, prima che Imai la facesse alzare e la trascinasse via dalla mensa per un braccio. Quando tutte e due scomparvero dalla nostra vista, anche i miei compagni di classe si alzarono per andare a lezione. Lo spettacolo era ufficialmente finito. Ma Ruka mi trattenne per una manica della divisa.
«Vuoi parlarmene?» mi chiese, ancora seduto, mentre il suo coniglietto cercava di saltare nel piatto e racimolare qualcosa extra. Scossi la testa. «Veramente era da interpretare come: parlamene.» oh, fantastico! Adesso anche il mio migliore amico si interessava di gossip. Doveva essere la mia settimana fortunata. «Cos'hai combinato?»
«Perché devo essere sempre io quello che complica la situazione?» forse era una domanda retorica, ma il suo sguardo mi lasciò intendere molte cose, una delle quali era “è quasi sempre colpa tua.”. «Ehi, è stata Mikan a lasciarmi, chiaro? Chiedilo a lei qual è il suo problema.»
Ruka mi fissò, sbigottito, mentre si alzava. «È stata lei?» aveva pronunciato quella frase come se fosse stata una bestemmia. Invece, io lo guardai come se fosse stata una cosa ovvia. «Cosa le hai fatto per farti lasciare?» appunto, alla fine la colpa era sempre mia.
«Ma niente! È proprio questo il punto.» tentai di spiegargli. Non avevo capito perché se la fosse presa tanto. «Quando è finita la riunione della mia classe di abilità, ero un po' nervoso.»
«Quanto nervoso?» indagò, fissandomi con sguardo scrutatore, come se il colpevole, lì fossi io.
«Quanto basta.» replicai, irritato. «Sono tornato in camera sbattendo la porta e lei ha cominciato un sermone sul fatto che non le dico mai cosa mi preoccupa e altre scemenze del genere. Io le ho detto che se voleva lasciarmi, nessuno glielo impediva e lei se n'è andata.»
«E ti aspettavi anche che restasse?» era a dir poco stupito, quasi avessi detto che avevo percorso la distanza terra-sole più velocemente della luce. «Le hai praticamente detto che di lei non ti importa niente!»
Sbuffai. «Beh, non era quello il senso. Non è colpa mia se lei interpreta male le frasi.» I problemi ce li avevano tutti; se ci lasciavamo tutte le volte che litigavamo, beh, allora avevamo una lunga strada da fare!
«Perché non le chiedi scusa e basta?» lo guardai come un predatore che desidera uccidere la sua preda con tutte le proprie forze.
«Perché dovrei?» Ruka sospirò, guardandomi spazientito. Che aveva da guardarmi così? Era lui che si faceva tanto l'esperto di ragazze.
«Perché è quello che lei si aspetta che tu faccia, Natsume!» me lo disse come se avessi dovuto pensarci da solo. «Se non sei disposto a chiederle scusa, come pensi che la situazione potrà migliorare?» non capitava tanto spesso che chiedessi scusa, soprattutto per una stupida discussione! E, sì, era stupida, qualunque cosa pensasse Mikan.
Quando entrammo in classe, scoprii che avevano già fatto muovere le rotative: Sumire sedeva al posto di Mikan, e lei era davanti al nostro banco vicino a Imai. Ruka mi scoccò un'occhiata eloquente, mentre io alzavo gli occhi al cielo.
«Vai prima tu.» quello che uscì dalle mie labbra fu quasi un ordine; non avevo la benché minima intenzione di sedermi vicino a quella lì. «O non garantisco che la lezione proseguirà tranquillamente.»
Ruka scosse la testa, rassegnato. «Dovrai chiarire la situazione prima o poi, lo sai vero?» io alzai gli occhi al cielo, di nuovo. Credevo semplicemente che Sumire avesse capito che non aveva speranze, da quando io e Mikan stavamo insieme, e quello che era successo a San Valentino non mi aiutava particolarmente. A quanto pareva, non si era rassegnata affatto, e quest'oggi aveva colto la palla al balzo. Solo che non sapeva che non c'era nessuna palla da prendere.
«Sì... certo.» risposi, anche se, sinceramente, non me ne importava proprio niente. «Ti devo un favore.» lui si sedette vicino a Sumire, che però lo fermò, prima che potesse anche solo appoggiarsi.
«Non è il posto di Natsume, quello?» domandò, simulando un tono innocente. Ruka sorrise timidamente, in difficoltà, e mi guardò come a incitarmi a rispondere.
«Non mi va di stare lì, oggi.» replicai, lapidario. Lei mise su un'espressione comprensiva, quella che di solito hanno quelli che, a prima vista, hanno capito ogni cosa, ma che in verità non hanno capito proprio un bel niente.
«Oh, beh, vorrà dire che mi ci siederò io, visto che per voi due è un problema.» guardai Ruka, con il chiaro intento di trasmettergli le conseguenze delle sue azioni, ma lui mi guardò impotente, alzando le spalle. Sbuffai: questa era una di quelle cose che non si potevano evitare, un po' come la morte.
Ruka mi sillabò uno «Scusa.» non troppo sentito, mentre si sedeva al posto di Mikan. Sumire al mio, io a quello di Ruka. Appoggiai il mento a una mano, già sapendo che quella sarebbe stata una lunga mattinata. Infatti, come previsto, Sumire non stette zitta un attimo, giusto il tempo di cogliere uno sprazzo di conversazione di Imai e Mikan, che erano sedute proprio davanti a me, posizione giusta per la mia ex ragazza – il solo pensare quel termine mi pareva la cosa più assurda del mondo, anche più di quanto mi era sembrato pensare a Ruka in una rissa, il che era tutto dire – per gettarmi ogni tanto delle occhiatacce.
«Mikan, ti prego, dimmelo. E poi, ti scongiuro, taci: vorrei seguire un po' il ripasso che sta facendo il professore!» Imai doveva essere al culmine della sopportazione, a giudicare dal suo tono di voce. «Volevo solo continuare il discorso che stavamo facendo prima di entrare. Ti stavo dicendo di ieri sera, insomma. L'ho lasciato io.» Imai si girò lentamente verso di lei, scrutandola, da quello che potevo vedere, con una certa incredulità.
«Okay, mi hai sorpresa, Mikan.» confessò, allora, tornando a prestare attenzione al quaderno che aveva davanti. Se non l'avesse detto lei stessa, avrei fatto fatica a crederlo. «Contenta?»
«Natsume...» Sumire si strofinò sul mio braccio, fastidiosa come una vecchia spugna usurata. «tu ci capisci qualcosa di questa roba? Io proprio niente... potresti spiegarmela?» la guardai come se fosse stata spazzatura, giusto per chiarire meglio il concetto, e magari farla staccare dal mio povero braccio, ma non sembrò avere effetti di sorta, così la ignorai semplicemente. «Dopo le lezioni che cosa fai? Ti andrebbe di venire a pranzare insieme a me?» lanciai un'occhiata a Ruka che tratteneva a stento le risate. In momenti come quello, avere un migliore amico così sadico non aiutava. «E poi potresti aiutarmi con la matematica? Sei il più bravo della classe, e io ho proprio bisogno di ripetizioni per passare quell'esame.» presi un respiro profondo, mentre mi massaggiavo una tempia, aspettando con ansia il momento in cui avrebbe chiuso il becco. «E poi... insomma... potrebbe essere il momento giusto per... beh, sì... insomma hai capito!» rabbrividii per il disgusto: la sola idea di guardarla mi faceva venire il voltastomaco, figurarsi qualunque altra cosa che implicasse sfiorarla anche solo di striscio.
Quando uscimmo dalla classe, dopo che tutti i professori ci avevano fatto fare il ripasso delle loro materie, di cui io non avevo seguito neanche la minima parte per cause di forza maggiore, Sumire non aveva ancora smesso di parlare. «Ecco... quindi, ci vediamo oggi pomeriggio in biblioteca, okay?»
«Abbiamo una biblioteca?» sentii Mikan chiedere, per poi tapparsi subito la bocca, come se avesse appena pronunciato un segreto inconfessabile. Mi girai a guardarla, chiedendomi se avesse ascoltato tutta la pseudo conversazione che Sumire aveva intrattenuto con me. Volevo proprio sapere che gusto c'era a parlare con qualcuno che non risponde. Io non ne vedevo l'utilità, ma magari Sumire non era dello stesso avviso. «Vedo che ti consoli in fretta, maniaco.»
«Cosa intendi dire, Mutande-a-Pallini?» parlai bassa voce, in modo da farle capire che avrei apprezzato se avesse fatto lo stesso, dato che non ci tenevo particolarmente a dare spettacolo com'era successo quella mattina, ma lei non sembrava pensarla allo stesso modo, quindi non servì praticamente a niente.
«Ti sei lasciato con la tua ragazza ieri sera, e il giorno dopo hai già il rimpiazzo.» era incredibile che ce l'avesse a morte con me solo perché avevo detto quella maledettissima frase.
Mi domandai se si rendesse conto di quello che stava dicendo. «Lo pensi davvero?» se non altro, volevo avere la conferma che mi considerasse un tale idiota. Lei si limitò ad annuire. «Allora sei sul serio molto più stupida di quello che pensavo. Lasciarmi è stata la cosa migliore che potessi fare.» non credevo di pensarlo davvero, però.
«Beh, se tu la pensi così, allora sei il più grosso idiota che abbia mai conosciuto e sì: ho fatto bene a lasciarti, ieri sera.» chiarii lei, mettendosi davanti a me, come se dovessimo affrontare un duello, anche se, se dovevo essere sincero, mi sembrava di essere tornato all'asilo. O per meglio dire, il livello della nostra conversazione sfiorava quella profondità.
«Bene.» risposi, senza particolare enfasi. Lei mi fissò, probabilmente nel tentativo di mostrare uno sguardo altezzoso.
«Bene.» ripeté, prima di distogliere lo sguardo dal mio. Dopo un paio di minuti di silenzio, silenzio che mi chiesi se dovessi rompere io, si grattò una guancia, a disagio. «Beh... è meglio che torni da Hotaru... dobbiamo andare a studiare insieme...»
Annuii, senza prestare particolare attenzione all'ultima frase. Soltanto quando realizzai quello che aveva detto, capii che il posto dove dovevo andare era la biblioteca, dato che ciò che aveva mi aveva fatto intendere che lei sarebbe andata lì. Mi riproposi di tenere lontano da lei tutti quei disgraziati che avessero provato a chiederle di uscire. Essere il nuovo ragazzo della ragazza più chiacchierata della scuola poteva essere un titolo ambito da molti e chiunque si fosse avvicinato a Mikan ne avrebbe pagato le conseguenze.

L'unica pecca nel mio geniale piano, l'unica spina nel fianco che mi ero completamente dimenticato di calcolare era Sumire. Infatti, mi aveva dato appuntamento proprio lì, in quella dannatissima biblioteca, dove io non avevo praticamente mai messo piede e, forse, avrei dovuto continuare a non farlo. Fu quando la vidi correre verso di me, che me ne ricordai improvvisamente, e non c'erano nascondigli che potessi sfruttare per far finta di non essere mai stato lì.
«Ero sicura che non mi avresti dato buca!» trillò la scocciatrice, arpionandomi il braccio e trascinandomi verso un tavolo ben nascosto dietro degli scaffali che funzionavano tipo catena montuosa. Nessuno poteva vederci lì dietro, e io avevo quasi paura che avesse escogitato un metodo per abusare di me. Suonava strano, ma era del tutto legittimo pensarlo, dal momento che stavo parlando di quell'invasata. Poi vidi la sua espressione cambiare, da rallegrata diventò disgustata. E ciò mi fece presagire qualcosa di buono per me. «E voi che ci fate qui?»
«Cosa si fa in una biblioteca, di solito?» fu la domanda retorica di Imai. Io mi ero riproposto di tenere gli scocciatori lontano da Mikan, e invece erano lei e la sua migliore amica che facevano ciò che mi ero proposto di fare a parti invertite. Non mi curai nemmeno di trattenere un sospiro sollevato.
«Sì ho capito...» replicò Sumire, con disappunto, come se il suo piano fosse improvvisamente sfumato. «ma perché proprio qui? Ci sono tanti tavoli ben illuminati. Studiare lì è molto più facile, no?» ora che me l'aveva fatto notare, il tavolo a cui mi aveva portato era in una parte della biblioteca scarsamente illuminata. Era la trasposizione scolastica dei vicoli o delle cantine dei film horror. E io avrei dovuto fare come il protagonista: scappare di corsa.
«Sì, infatti.» osservai, mentre ancora esaminavo il luogo del possibile reato. «È uno schifo per studiare. Io me ne vado.»
Lei piegò le labbra in un sorriso forzato. «Hai ragione...» soffiò, tra i denti, mentre guardava Mikan in cagnesco. «che stupidina...» mi trascinò con sé, quasi correndo, come se avesse paura che quelle due ci seguissero, cosa che sperai ardentemente stessero facendo.
Mi fermai, e di colpo si fermò anche lei. Non avrei permesso a quel cemento umano a presa rapida di trascinarmi come uno straccio vecchio. «Lasciami.» ordinai, perentorio. Lei lo fece subito, così mi concentrai ad esaminare bene il panorama: si vedeva tutta la biblioteca e il vecchio bibliotecario poteva benissimo rimproverarci se avessimo parlato a voce troppo alta. Era decisamente perfetto, se quella aveva intenzione di stare con me ancora per molto. Se non altro, avrei evitato di trovarmi da solo con lei.
«Sicuro... proprio qui... in mezzo a tutti questi studenti... non daranno fastidio?» tentava di persuadermi a cambiare idea, ma io, di sicuro, non avevo intenzione di muovermi di lì.
«La biblioteca è famosa per il silenzio.» se non fosse stato maledettamente umiliante e non avesse diffuso ulteriori pettegolezzi in tutta l'Accademia, avrei fatto seduta stante una dichiarazione d'amore con tanto di poesia, fiori e anello a Mikan, solo perché mi aveva dato la soluzione a tutti i miei problemi. Sumire si limitò a fare una smorfia infastidita.
«Che fate, ci seguite?» chiese, guardandole con aria di sufficienza, mentre Mikan si sedeva precisamente nel posto di fronte al mio, puntando i suoi occhi su di me, come a sottolineare il fatto che mi sorvegliava. Avrei pagato per sapere se quelle due si trovavano lì per non lasciarci soli. Mi venne da ridere, ma mi trattenni.
«Suvvia,» sembrava che Imai tentasse di sottolineare il lato positivo della cosa. «è abbastanza grande per tutti.» Sentii Sumire sospirare, stizzita, mentre prendeva posto accanto a me, facendo strisciare le gambe della sedia sul pavimento, cosa che suscitò le proteste dei ragazzi che volevano studiare in pace. Mikan guardò stupita la sua migliore amica. Effettivamente, Imai non si dava mai a certe considerazioni, dal momento che, era risaputo, non prestava attenzione a nient'altro che non fossero i soldi.

Mezz'ora dopo, non era successo quasi niente di eclatante, escludendo Sumire che si schiariva la voce ogni tanto e mi guardava in un modo inequivocabile. Probabilmente, feci una smorfia di disgusto, considerando l'espressione di lei che ne seguì. Speravo seriamente che prima o poi si rassegnasse: ero arrivato al limite della sopportazione.
Mi concentrai sui compiti per dimenticare, finché una voce non distolse la mia attenzione dalla matematica. «Ehm...» esordì il ragazzo, rivolto a Mikan. Già questa cosa mi fece saltare i nervi. «ti dà fastidio se mi siedo qui?»
«Oh no, figurati!» Mikan spostò i libri in modo che lui potesse metterci i suoi. Lo vidi ringraziarla con un sorriso, che Mikan ricambiò educatamente. Era irritante sapere che la cosa mi dava così fastidio.
«Tu sei la ragazza dei cestini, non è vero?» alzai lo sguardo verso di loro, ma nessuno dei due si accorse che di me, la qual cosa, per qualche ragione, mi faceva innervosire ancora di più. Soprattutto pensando che si conoscevano, e che io non ne sapevo niente. Mikan annuì, sconfortata. Non sapevo se per la matematica, o per il fatto che lui si ricordasse di lei come la “ragazza dei cestini”. «Mikan, non è così? Sono Takahashi Toshiro, ti ricordi di me?»
«Sì!» esclamò lei, rivolgendogli un sorriso smagliante – troppo, per i miei gusti –, come se le fosse sovvenuto qualcosa che aveva temporaneamente dimenticato. Chi diavolo era quel tipo? «È vero mi hai aiutata con quella punizione di JinJin...» l'ultima punizione di Jinno che riuscivo a ricordare risaliva a prima di Natale, quando Mikan aveva in uno strano modo, indirizzato, durante un'esercitazione con i nostri Alice, il mio sulla classe di Jinno, facendole quasi prendere fuoco. Gli insegnanti, dopo quell'episodio, avevano proibito a tutti quanti di proseguire con le esercitazioni. «Studi anche tu per gli esami?» lui le mostrò i libri che aveva con sé.
«Magari.» confessò, come se fare gli esami fosse la cosa più piacevole del mondo. «Io quest'anno mi diplomo.» mi morsi un labbro alla parola “diplomo”, perché mi ricordava che, presto, avrei dovuto dire anche io una cosa del genere. «Sono un po' nervoso.» beh, comunque fosse, erano problemi suoi, non certo di Mikan.
«La gente viene in questo posto per studiare in silenzio.» sottolineai; e poi la sua voce era fastidiosa. Lui mi rivolse uno sguardo scettico, ma non mi rispose. Tornò a rivolgersi a Mikan.
«Forse è meglio smettere di chiacchierare, diamo fastidio.» le propose, facendola sorridere di nuovo. Dire che mi dava sui nervi era un eufemismo. Non credo che a quel ragazzo sia sfuggita l'occhiataccia che gli rivolsi, perché mi rispose con un sorrisetto nervoso.
«Non ci capisco niente!» sbottò Mikan, dopo un paio di minuti, buttando via la matita, che finì contro il mio libro. Gliela rimandai indietro.
«Sei tu che non vuoi che ti dia ripetizioni.» le ricordai, mentre lei riprendeva la matita tra le mani. Si limitò a guardarmi, offesa.
«Tu mi tratti sempre come un'idiota.» mi rinfacciò. Aggrottai le sopracciglia: io non l'avevo mai trattata come una stupida! «Avrei dovuto studiare insieme a te perché tu potessi ricordarmi ogni cinque minuti quanto è grande il divario tra le nostre teste?»
«Non ho mai accennato a cose del genere seriamente.» questo lei lo sapeva, o almeno era quello che credevo. «Abbiamo sempre studiato tranquillamente insieme.» non volevo mettermi a discutere anche in biblioteca.
«Hyuuga, proprio tu ti lamentavi della confusione?» la voce glaciale di Imai mi distrasse dalla conversazione, che si concluse, fortunatamente, lì. Sentii Mikan sbuffare, mentre chiudeva il libro. «Forse posso darti una mano io.» si offrì Takahashi. Lei lo guardò, speranzosa. «Gli esami per il diploma sono più tardi dei vostri... penso di poterti dedicare un po' di tempo.»
Mikan, però, scosse la testa, sconsolata. «No, ma ti ringrazio.» replicò, sospirando. «Io e la matematica siamo incompatibili.»
«Mikan,» la chiamò Imai, sollevando per la prima volta lo sguardo dal libro di chimica. «se non passi l'esame di matematica, rischi di perdere l'anno. Forse dovresti valutare la sua proposta. Sempre se ti vuoi diplomare in tempo.»
«Io questo sabato sarei disponibile, se non hai altri programmi.» mi venne in mente che avrei dovuto scoraggiare i suoi tentativi di flirtare con la mia ragazza. Mikan ci pensò su per qualche minuto. «I vostri esami sono tra una settimana e mezzo, no?»
«Oh, no!» mugolò Mikan, sotterrandosi tra i libri. «Non ce la farò mai!» Takahashi le diede una pacca consolatoria sulla spalla. Se non fossimo state persone civili, probabilmente gli avrei bruciato la mano, ma mi limitai a ricordargli che avrei potuto farlo, mostrandogli gli effetti che il mio Alice aveva sui suoi pantaloni. Non troppo, così che quelli seduti al nostro tavolo non potessero vedere. «Cosa...?» cominciò, mentre una quasi invisibile scia di fumo si sollevava dal suo ginocchio. In un attimo, mi sembrò che avesse compreso. «Senti... è... è meglio che vada. Fammi sapere se accetti, okay? Io... vado.» e quella fu la prima e l'ultima persona che aveva avvicinato Mikan in mia presenza.

Erano tre giorni che le cose andavano avanti più o meno in quel modo, solo che, fortunatamente, avevamo smesso di litigare ogni volta che ci incontravamo. Più che altro, se dovevamo stare da soli in uno stesso posto, nessuno dei due fiatava. Non che la cosa mi andasse poi così a genio, ma credevo che se avessi cominciato a parlare, avremmo finito col discutere un'altra volta, e preferivo il silenzio ad un altro spettacolino per i nostri compagni di classe.
«Ehi, Mutande-a-Pallini,» comunque quella volta non c'era altra soluzione. Lei era stranamente da sola, probabilmente perché Imai era insieme a Ruka. Si girò a guardarmi, con un'espressione strana: era curiosa ma sembrava che non volesse darlo a vedere. «questi sono tuoi.» sventolai i suoi nastri per capelli in modo che li vedesse. Solo quando li avevo trovati nel cassetto del bagno mi ero reso conto che lei non aveva più legato i capelli da quando aveva sbattuto la porta di camera mia. La sua espressione si fece sorpresa.
«Oh, menomale!» quasi corse verso di me, per venire a riprenderseli. «Li ho cercati dappertutto, non riuscivo a ricordare dove li avessi messi. Credevo di averli persi: ero disperata.» allungò una mano per afferrarli ma la ritirò quasi subito, mentre io me ne chiedevo il motivo.
«Erano nel cassetto del bagno.» spiegai, afferrandole il polso per metterle i nastri in mano, cercando di non essere troppo brusco. Lei mi guardò, imbarazzata, quando non lasciai andare il suo braccio.
«Ehm... g-grazie.» balbettò, arrossendo, cercando un modo per sottrarsi alla mia mano. «Ecco... io... devo...» non sapevo bene cosa dire, sapevo soltanto che volevo che questa scemenza finisse. Eravamo ridicoli.
«Mikan...» la chiamai, con una nota di esasperazione nella voce. Lei mi pregò con lo sguardo di lasciarla, e la cosa mi sorprese al punto che, allibito, esaudii la sua richiesta senza neanche accorgermene. Lei mi rivolse un sorriso nervoso prima di scomparire dietro l'angolo del corridoio, senza dire un'altra parola. Rimasi interdetto per qualche secondo. «Ma cosa...?» non sapevo bene come reagire a una situazione del genere. Probabilmente, se Ruka fosse stato lì con me, dato che lui, non si sa come, capiva perfettamente le ragazze, avrebbe avuto una risposta.
«Tutto bene?» sentii la sua voce, neanche l'avessi cercato, dalla direzione in cui Mikan era sparita. Mi girai verso di lui, cercando di trasmettergli con lo sguardo che no, non andava bene per niente. «Ho visto Mikan scappare via.» adesso che era lì, non credevo di aver voluto davvero che fosse con me.
«So già cosa stai per dirmi, risparmia il fiato.» sbuffai, privo di espressione. Lui scosse la testa, quasi rassegnato. «Lo so anch'io che questa storia è assurda.» mi appoggiai alla finestra e la vidi camminare. Dal primo piano riuscivo a scorgerla quel tanto che mi bastava per vedere che stringeva a sé i nastri e che stava piangendo. Mi morsi un labbro, tutto quel trambusto era successo perché io volevo evitare di vederla così.
«Non pensi che sia arrivato il momento di scendere a compromessi?» presumetti che la sua fosse stata un'altra domanda retorica. Ma ci pensai un attimo: non aveva neanche voluto ascoltarmi. Non potevo chiederle scusa se nemmeno mi stava a sentire. Dovevo trovare un posto in cui non avrebbe potuto andare da nessuna parte. C'era solo una cosa e un solo posto che mi avrebbero permesso di realizzare quelle condizioni.
Sospirai pesantemente: era proprio arrivato il momento di porgere le mie scuse.

*****

Risposte alle recensioni:

Luine: grazie mille per i complimenti ^^ ho notato anche io che i capitoli di Natsume riscuotono più successo di quelli di Mikan, e non so davvero dire perché XD, forse perché lo adoro. Per il fatto del bruciare le mutande a pallini, devo ammettere che non è stata tutta farina del mio sacco, ho avuto un piccolo suggerimento ;).
marzy93: ci ho messo un secolo, a dire la verità, a trovare le parole da fargli dire XD. Anche io preferisco senz'altro quello normale, anche se i problemi non mancano XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. bella95
2. Erica97
3. Kahoko
4. mikamey
5. piccola sciamana
6. rizzila93
7. smivanetto
8. marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best
11. _evy89_
12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91
16. lauretta 96
17. EkoChan
18. Silli96
19. stella93mer


E in particolare la new entry:

20. giuly_chan95

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
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E in particolare la new entry:

9. EdelSky

  
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