Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Elebeth    31/01/2010    2 recensioni
Ora Sophie, sdraiata nella vasca, si godeva la riuscita della sua vita. Non aveva seguito il corso del destino, si era imposta lei la strada da seguire e non l'avrebbe abbandonata per nessun motivo. Non aveva creduto alle persone che le dicevano che l'America era solo una farsa; aveva pensato solo con la sua testa e quando, in un futuro sperò lontano, sarebbe ritornata in Italia avrebbe dimostrato a tutti che lei ce l'aveva fatta.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Heilà, prima di lasciarvi al primo capitolo di Don't Stop Believing vi vorrei far chiarezza su che cosa è per me questa storia.
Sophie è Elena, Elena è Sophie. Siamo identiche, perchè io vorrei fare quello che lei ha fatto: voltare pagina.
Allontanarsi da un paese che è troppo stretto, diretti verso la possibilità di realizzare se stessi da soli; trovare amici speciali e dalle strane caratteristiche e un Lui che ti renda speciale in ogni singolo momento.
Spero che vi piaccia, che vi appassionate e spero soprattutto che commentiate: positivamente e negativamente. Di solito i commenti negativi ed esaustivi sono quelli che aiutano di più la gente a migliorare. Quindi, se c'è qualcosa che non vi sembra corretto in generale non esitiate a dirmelo.
Have Fun.
 New York, concrete jungle where dreams are made of.
 


Le strade affollate di New York si stavano pian piano ricoprendo di un leggero manto bianco. Sophie non riusciva ad amare la neve, anni fa pensava che fosse una manna dal cielo perchè mandava in tilt i trasporti e le impediva di andare a scuola. Crescendo si era resa conto che sotto quell'aspetto dolce e soffice si nascondeva un demonio gelido, pieno di difetti e di tristezza. Aveva cominciato a non sopportare di vedere tutto bianco nel periodo invernale; preferiva l'estate nella quale i colori brillavano e la terra viveva.
Ricordò con un leggero sorriso, tre anni prima, quando ancora abitava in Italia e ci fu una super nevicata le scuole furono chiuse e quindi, le vacanze natalizie, anticiparono di un giorno. Il mattino del primo giorno di vacanza si ritrovò con i suoi amici ed andò a giocare, come bambini, nella neve. Ritornò a casa fradicia ma felice; la felicità svanì lentamente quando si rese conto che quella sera non sarebbe potuta andare ad un concerto che si preannunciava spettacolare.
Sophie a vent'anni non riusciva ancora a capire cosa ci trovassero le persone nell'andare a sciare o fare snowboard; preferiva andare al mare, ed abbrustolirsi mille volte piuttosto che gelare di freddo mentre si scende un pendio scivoloso.
Osservava le strade dalla finestra dello studio fotografico in cui svolgeva uno stage da un mesetto ormai; si trovava al limitare di Central Park, nell'Upper East Side, la zona ricca e lussuosa di Manahattan. Venivano spesso ricchi miliardari viziati a chiedere la presenza per una cerimonia, un party lussuoso o un matrimonio. In quel mese aveva capito che l'esigenza principale dei magnati newyorkesi era quella di mostrare la propria ricchezza tramite feste. Ormai non si stupiva più dello sfarzo di quei party di gala; a lei la sua vita piaceva così com'era anche senza un gioiello di Tiffany&Co.
«Sophie, cara, puoi andare anche adesso. I trasporti si impalleranno un po' anche con questa poca neve», la voce roca e vecchia del signor Tenninson, suo tutor, la strappò dai pensieri sulla soffice sostanza bianca che non sopportava ed i ricchi di New York.
L'uomo le si era avvicinato sostenuto dal bastone nero; un tempo era stato un uomo arzillo, ora la sua struttura fisica era acciaccata ma nell'animo era ancora un ventenne. Aveva corti capelli bianchi, simili allo zucchero filato; occhi azzurri brillanti e la pelle rugosa, segno tangibile degli anni che portava sulla schiena curva.
«Signor Tenninson, grazie mille. Dovrei fare anche qualche acquisto per Natale», sorrise la giovane realmente riconoscente, abbracciando l'uomo che riconosceva come una specie di nonno apprensivo.
«Quante volte ti devo dire di chiamarmi Chuck?», sbuffò sorridendo a Sophie che si scusò, per l'ennesima volta e si autoimpose di chiamarlo con il suo vero nome.
Chuck pensava che le foto di Sophie fossero le migliori dei suoi stagisti; riusciva con un click a raccontare la storia della fotografia. Le aveva già proposto di rimanere nel suo studio anche alla fine dello stage, di lì a due mesi, e la giovane aveva accettato.
«Mancano cinque giorni a Natale, riuscirai certamente a trovare qualcosa per i tuoi amici», sorrise l'uomo rincuorandola mentre Sophie indossava un cappotto lungo fino alle coscie, una sciarpa di lana rosa ed un paio di guanti di pelle. Infine, afferrò dalla sua scrivania, un berretto di lana bianca e lo sistemò, come la moda indicava, sui capelli castani.
«Certo Chuck, quelli sono l'ultimo problema. Odio il freddo e non sopporto la neve; spero che finisca presto», sorrise la bruna prendendo la tracolla contenente tutto l'occorrente e la Reflex Canon EOS-1V ben avvolta nella sua custodia. Quella macchina fotografica, oltre ad essere importante per la sua carriera, ha un ricordo affettivo del suo paese nativo: l'Italia.
Furono i suoi genitori a regalargliela compiuti i diciotto anni; coscienti della bravura della ragazza con quello strumento e del suo sogno futuro.
«Spero che non perderai lo spirito natalizio», la rimproverò Chuck che amava il Natale e tutto quello che lo riguardava. Sophie scosse la testa, sorridente rincuorò l'uomo.
«Certo che no. Ci vediamo domani Chuck, buona serata!», portandosi la sciarpa al naso uscì nel tempo gelido newyorkese, simile sotto molti aspetti in quello italiano.
Prima di dedicarsi alla scelta dei regali optò per entrare da Starbuck's e prendersi un cappuccino caldo che strinse tra le mani, tentando di scaldarle.
Le vetrine brillavano dei tipici colori natalizi: rosso, bianco, verde, oro e argento. Era il primo Natale che trascorreva a New York e si sentì come in uno di quei film a tema natalizio che trasmettevano sulle televisioni italiane in quei periodi. La gente alla ricerca forsennata del regalo perfetto, gli uomini travestiti da Babbo Natale ai lati delle strade che richiamavano l'attenzione con scampanellii ed oh-oh felici. Non sarebbe ritornata in Italia; i genitori se l'erano un po' presa, primo Natale che non trascorreva in famiglia, ma aveva promesso a Marshall ed Ella, suoi coinquilini che non sarebbe ritornata nel passato.
Voleva solo puntare al presente e al futuro, la parola passato era bandita dal vocabolario quando in casa c'erano i suoi due migliori amici, coloro per cui si stava avventurando nel bel mezzo di una nevicata per le strade di New York.
Entrò in vari negozi, tentando sempre di sfuggire alle commesse pressanti, preferiva fare tutto per conto suo e sbatterci la testa più volte, piuttosto che chiedere aiuto a persone sconosciute. Solo in casi eccezionali abbassava l'orgoglio e chiedeva.
Due borse troneggiavano nelle sue mani mentre scendeva in metropolitana, diretta a casa al Greenwich Village. Fortunatamente, osservando il tabellone, la prossima corsa sarebbe arrivata in meno di due minuti; si appoggiò stancamente al muro estraendo il vecchio cellulare dalla borsa leggermente bagnata dalla neve. Si passò una mano tra i capelli, speranzosa di eliminare quella sostanza bianca; si maledisse per non aver portato l'ombrello. Due messaggi troneggiavano sulla schermata del Nokia: uno di Ella, uno di Marshall. Entrambi le domandavano a che ora sarebbe arrivata a casa. Rispose velocemente ad entrambi e ripose il cellulare nel suo posto.
La metro arrivò e vi salì, trovando miracolosamente posto. Una signora anziana, al suo fianco, le sorrideva raggiante: «Non sei americana, vero?».
Sophie alzò un sopracciglio sorpresa, sul viso dai lineamenti dolci e dagli zigomi alti si disegnò un sorriso divertito: «No, sono italiana. Abito qua da un annetto quasi».
«Si sente nell'accento, ma non cancellarlo. Voi italiani avete una bella musicalità nella voce», elogiò la vecchia signora affabilmente, Sophie la ringraziò arrossendo.
Non le piacevano più di tanto i complimenti, le facevano andare le gote in fiamme e sentiva caldo dappertutto. Era una sensazione spiacevole, come l'essere al centro dell'attenzione.
«Mio marito era italiano. Avete un tale fascino: così spensierati, sorridenti, chiassosi. Quando noi americani diciamo che siete maleducati è che siamo invidiosi della vostra solarità», ricordò la donna, con un sorriso amorevole disegnato sul viso rugoso.
Sophie rise divertita sistemandosi il cappello; concordò con la donna su tutto: un po' per egocentrismo, un po' perchè sapeva che era tutto vero e sentirlo dire da una persona non italiana la riempì d'orgoglio. Non se n'era andata dal suo paese natale perchè lo odiava, anzi, fu un supplizio; ma perchè c'erano troppi ricordi che facevano male e le domande continue della gente le stavano strette. L'Italia cominciava a starle piccola a vent'anni.
«Voi americani siete uno strano mix; è divertente trovare caratteristiche di un paese europeo in ognuno di voi», sorrise la bruna, ricambiando il complimento.
«Oh sì, possediamo il bene e il male di ogni paese europeo; chi più chi meno», fissava con i suoi occhietti azzurri i pacchi regalo ai piedi di Sophie. «Che bello il Natale quando si è giovani, le corse per prendere il regalo migliore al fidanzato», continuò la donna.
«N-no, non sono per il mio fidanzato. Sono per dei miei amici», sorrise Sophie timidamente. La signora le continuò a sorridere: «Non hai il fidanzato?».
Sophie scosse risolutamente la testa, da quando era arrivata a New York aveva avuto qualche storia ma nessuna era riuscita a coinvolgerla a tal punto da poter trascorrere più di due mesi insieme. Marshall diceva che gli altri erano sbagliati, Ella optava che avevano segatura al posto del cervello mentre Sophie risolveva la questione dicendo che, semplicemente, non si trovavano bene insieme.
«Peccato, sei una bellissima ragazza. Oh, è stato un piacere parlare con te ma sono arrivata. Arrivederci, signorina», la donna si alzò dal suo posto e si dileguò al di là della porta, lasciando Sophie leggermente sconcertata, cercando di metabolizzare ancora l'intera conversazione. Non sapeva nemmeno che nome avesse quella donna ma le stava particolarmente simpatica, il suo sesto senso le diceva che la vecchia signora avrebbe nuovamente incrociato la sua strada.
Elena.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Elebeth