Ecco, siamo arrivati al penultimo capitolo, spero vi possa piacere.
Questo è il mio capitolo preferito, anke xk alla fine ci sono le lyrics di uan cazone stupenda, " Bleed for you" del fil Daredevil,
Spero
vi possa piacere^^
Capitolo
4:
Melody
without meaning.
Andrea Yates, nata a Huston in
Texas il 2 luglio 1964.
Soffre per diversi anni di
psicosi di più o meno grave forma, interrata in manicomi ed
ospedali per più
anni. Solitamente casi di depressione estrema, legata anche alla
nascita dei
figli e alla patologia comunemente nota come “depressione
post partum”.
Ha il quarto figlio, viene
ricoverata quasi subito dopo, diagnosi: una psicosi talmente avanzata
da
renderla un pericolo per sé e per gli altri. Viene dimessa
poco dopo, sotto
indicazione di non lasciarla mai sola in casa con i figli e,
soprattutto, di
evitare la procreazione.
Divieto facilmente abolito. Dopo
pochi mesi la donna rimane di nuovo incinta e partorirà il
suo quinto figlio.
Ed è allora, che accade la
tragedia.
Il 20 giugno 2001 la donna,
lasciata da sola, presa da un attacco psicotico, annega tutti i cinque
figli
nella vasca da bagno.
Muoiono tutti…
Le mani, furiose, battono sul blocco degli appunti di Microsoft Word, quelle poche righe, lette e copiate da qualche sito internet a dir poco inaffidabile.
Dannazione, se la cosa mi ha distrutto.
Sono un medico, me ne dovevo accorgere…
E’ l’unico pensiero razionale che mi frulla in mentre, mentre compio la solita dolorosa ed inutile routine. Cartelle da compilare, pazienti da visitare, mani da stringere, sorrisi falsi da mostrare al mondo.
E’ solo l’ennesimo giorno di routine lenta e straziante, una routine fatta di stenti e dolore.
Mentre precorro il corridoio che da sulla tua camera, donna che possiede la mia anima e la mia razionalità, la mente scivola, lasciandomi atono a ricordare quello che eravate una volta, te ed Asuma. E di come io mi sia, inutilmente, invischiato tra voi due.
Apro la porta di una camera sobria, un letto ad una piazza, le lenzuola di carta di colore verdastro, un piccolo televisore.
E poi tu.
Tu con gli occhi chiusi e corrucciati, le unghie laccate di rosso che artigliano le coperte, le braccia contratte, il tuo corpo da donna coperto da un pigiama rosso.
Mi fermo sull’uscio della porta, gli occhi languidi che corrono per il tuo corpo, nutrendosi di questa vista quanto mai dolorosa eppure soave. Quanto vorrei stringerti, quanto vorrei infrangere la barriera che ti soffoca, che ci soffoca.
Apri gli occhi, ghiacciandomi con uno sguardo che mi attraversa, quasi che io non esista neanche più per te.
Che male che fa.
Mi trafigge, eppure non mi fa crollare, mi lascia in piedi. Perché lo sai, vero?
Io non crollo, rimango in un angolo come uno straccio, troppo forte per crollare, troppo debole per vivere una vita davvero piena.
- Ciao.-
Un saluto vuoto, che non mi accusa apparentemente. Ma nel profondo mi odi, mi odi perché io ti ho portato via il tuo bambino, perché tu sei venuta per chiedere il mio aiuto e io ti ho strappato l’ultima cosa che ti rimaneva di lui. Pensi che non lo sappia?
Lentamente mi avvicino al tuo letto, mi stampo un sorriso vuoto in faccia, mi siedo sul materasso senza toccarti, non oserei mai. Le carezze… Sono come gli abbracci, troppo bruschi. Le parole… sono troppo fredde, soprattutto con te.
Non so fare che guardarti in attesa di qualcosa, con questo sorriso spento, col mondo che mi crolla nel vedere il tuo sguardo vuoto e sedato.
Soffocano i tuoi impulsi, e hanno ragione.
Soffri di depressione… anzi no, psicosi post partum. Che è una specie di disturbo bipolare, null’altro che una malattia che riguarda i cambiamenti di umore talvolta troppo repentini e davvero pericolosi. Per te, per gli altri, per il bambino.
Fosse un qualcosa di più leggero, basterebbe parlare. Basterebbe un colloquio anche amichevole con uno psichiatra, ma non è qualcosa di piccolo, è qualcosa di tragicamente grave.
Uno sguardo triste alla boccetta vuota appoggiata sul tuo comodino: l’infermiera ti ha appena portato le medicine, i farmaci.
Quello che ti fanno assumere si chiama “ Risperidone”. È un antipsicotico, ossia uno di quei farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale e hanno un’ azione prevalentemente antidelirante e antiallucinatoria, e non presentano caratteristiche proprie dei supersedativi, al contrario di quanto credono giornalisti poco informati e ferocemente lanciati alla ricerca di motivazioni per cui non li si dovrebbe usare.
Sono farmaci utili, ma rischiosi. Tra gli effetti collaterali c’è qualcosa come torpore, debolezza, alterazione del ciclo, tendenza all’ingrassamento, convulsioni epilettiche…
Passo una mano sul volto, quanto sono stanco…
Quanti effetti collaterali possibili, nevvero Kurenai? Ma serve che tu corra questo rischio, per quanto male faccia l’ammetterlo, persino a me stesso.
Il
risperidone, venduto sotto il nome di Risperdal, ha come formula
chimica C23H27FN4O2,
il che significa che è costituito
da
ventitré molecole di carbonio, ventisette di idrogeno, una
di fluoro, quattro
di azoto e due di ossigeno. O, almeno, questa è la sua
formula base.
Viene
usato per trattare disturbi psicotici persino sugli
adolescenti e sui bambini, ma questo non significa che sia blando,
semplicemente il più sopportabile.
Si
assume per via orale, tramite gocce o pastiglie,ed una scatola
di queste pastiglie costa qualcosa come 90 euro.
Ha
una metabolizzazione epatica, ossia il nostro corpo lo
metabolizza, lo assimila, tramite il fegato, che quindi è
l’organo più esposto
agli effetti collaterali. Si espelle tramite le urine.
Come
effetti collaterali ha atassia, ossia la perdita della
ordinazione muscolare, bassa pressione sanguigna, può
causare tumori benigni all’ipofisi,
discinesia tardiva, ossia movimenti involontari e incontrollati, il
diabete o
ancora…
Ma
tu, tu che mi guardi con questi occhi spenti
dalla rassegnazione, gli occhi di una persona
che non vuole risorgere, tu che cosa ne puoi sapere?
Forse
hai letto queste cose, senza capirne davvero il senso. Ma
una cosa è leggere da profano della medicina, una cosa
è essere pienamente
conscio di cosa questo farmaco farà al tuo bel corpo, che
credevi deturpato da
una gravidanza solitaria.
Queste pasticche
verdi e dall’aspetto innocente potrebbero trasformarti in una
drogata, un
essere senza controllo dei propri movimenti, un essere obeso oppure,
ancora,
costretto ad interventi al cervello, ad assumere insulina ogni pasto
della tua
vita.
Ma, soprattutto,
potrebbero toglierti la possibilità di avere il tuo bimbo al
seno.
E tu, tu, inconscia
di questo dolore mi guardi come se a me non fregasse nulla di te, del
tuo
destino. Ma tu.. non puoi neanche immaginare come io possa immaginare e
ricordare cosa comportino questi effetti collaterali.
Io sì.
E questa, fidati,
è una tortura infame, più infame di questo
sguardo spento che tenta di ridurre
in polvere anche l’ultimo barlume di coscienza.
Giri la testa, mi
nascondi la vista di queste finestre sulla tua anima soffocata.
Mi alzo, il mio
tempo con te, per oggi, è finito.
Chiudo la porta.
Non stai
migliorando, non stai migliorando per nulla.
Yugao parla con te
ogni giorno, conduce il tuo corpo e la tua mente in luoghi dimenticati
e tenta
di liberarlo da questa oppressione invisibile.
Sarebbe più facile
se tu avessi un proiettile in corpo, lo leverei io.
Un orgia di sangue
che mi sarebbe più lieta di questa attesa snervante ed
impotente.
Perché, amica mia,
se questo mi fa male, non hai idea del dopo.
Perché se non
migliori neanche così… dopo rimane solo
l’elettroshock e… vedere il tuo
cervello fino e logico, fritto tra due elettrodi non solo mi
distruggerebbe, mi
annichilirebbe del tutto.
Non vuoi
risorgere.. ti conosco troppo bene per farmi illusioni in merito.
Tuo figlio non
basta, è lui che ti ha indotta in questo stato, e con
estrema freddezza capisco
che probabilmente ti sarà passato pure per la mente di
stringere il suo collo
bianco e porre fine alla sofferenza.
Sofferenza che poi
ti avrebbe trascinata tra manicomi e celle, funerali e luridi sensi di
colpa.
Eppure, quando lo
vedi, gli occhi ti brillano e il cuore si agita per un momento, prima
che il
cervello, infido bastardo, ti trascini di nuovo nell’apatia
più totale, facendo
spegnere anche quella scintilla.
Passo dopo passo
vado a quel balconcino ormai unico confidente dei miei lugubri
pensieri, della
mia sconfitta sempre maggiore e di quel senso di colpa atroce.
Spingo la maniglia
antipatico e l’aria fredda ed invernale mi investe,
scivolando sotto i vestiti
e ghiacciandomi l’anima.
Accendo una sigaretta,
una delle tante, la
nicotina mi riempie
i polmoni, le mani tremano, gli occhi guardano fissi un puntino
all’orizzonte,
la mente viaggia, riportandomi …
A quel dannato
giorno.
Stride, il freno.
Con occhi calmi, Asuma, guarda
la strada, schiva una macchina e passa oltre.
Il passeggero sorride alla
perizia dell’amico, un adolescente mai cresciuto in cerca
dell’adrenalina.
Asuma accende l’ennesima
sigaretta, il passeggero fa lo stesso.
Battuta sporca, sorriso.
Risata goliardica, pacche sulle
spalle.
Contachilometri che scende,quasi
ad una velocità normale.
Sono spericolati, non stupidi.
80 km/h non sono una
velocità
troppo elevata.
E’ un lampo, una distrazione.
Lo schianto lì davanti, una
macchina dell’altra corsia perde il controllo, vola nella
corsia dei due.
Un attimo.
Ed è l’inferno.
Un camion tenta di evitare la
macchina impazzita, sbanda, perde il controllo.
La macchina si schianta, in una
palla di fuoco.
Le lamiere volano.
Asuma tenta di mantenere la
macchina sotto controllo.
Ce la sta facendo.
Ma una lamiera rompe il vetro.
Le schegge volano, il passeggero
sviene in un lago di sangue.
Asuma, incolume, si volta.
Ed un urlo gli esce dalla bocca.
Troppo tardi.
La macchina sgomma, si scontra
sul camion, finisce giù per la scarpata.
E la morte, silenziosa, prende
l’autista
e risparmia il prigioniero.
Tornerà.
La mano destra
artiglia la balaustra, la sinistra scivola dolcemente
sull’occhio sinistro.
Se solo…
Fosse accaduto il
contrario.
Se solo fossi
morto io quel giorno.
Il mondo scivola,
danza sotto i miei occhi. Gira tutto, tutto, non riesco a tenere gli
occhi
aperti…
E tutto pare
chiamarmi verso il marciapiede, verso quel salto nel vuoto che la mia
mente si
ostina ad impedirmi. Ma
il mio corpo…
Non risponde.
- Merda…-
Dio, quanto mi
sento debole.
Le gambe non
reggono.
Un mano mi
trascina lontano.
- Dannazione!-
Una voce non mia,
un’immagine sfuocata di viola davanti ai miei occhi
impazziti, la testa che fa
un male allucinante.
L’impatto contro
il pavimento del terrazzo.
E…
Il buio.
Apro gli occhi con lentezza, un
immagine appannata si forma davanti al mio occhio stanco e si riflette
sulla
retina. Yugao…
I capelli viola ti
vanno sugli occhi, occhi viola che sembrano trafitti da un ansia
tremenda, da
un dolore appena scampato eppure così reale.
Le tue mani
stringono freneticamente le mie braccia, le unghie affondano nella mia
carne,
eppure non oso spostarti, non oso far nulla, mentre la tua bocca di
avvicina
alla mia.
Il tuo fiato da un
colore a questo mondo grigio.
L’occhio sinistro
torna a vedere in un modo decente, le testa comincia a girare un
po’ meno.
Sono steso a
terra, tu sei a cavalcioni sul mio corpo… sei tu che mi hai
trattenuto…
Le tue labbra si
avvicinano ed, in un secondo, sembrano la cosa più concreta
che ci sia a questo
mondo. La panacea per questo dolore che mi attanaglia
l’anima, il modo per
scappare alle mie responsabilità, il modo per scappare al
rimorso, per
riprendere la vita da dove l’ho lasciata prima del maledetto
incidente.
Eppure gli occhi
rossi tornano, distogliendomi dalla pace, che io so a portata di mano,
anzi di
labbra.
Io non posso
scappare dal mio inferno, io non posso rinascere e lasciarmi alle
spalle tutto,
io ho la colpa, io ne devo pagare le conseguenze.
Nel mio purgatorio non esiste venia, non
esiste un paradiso.
Solo un inferno
senza fine, una voragine infuocata senza fondo né pentimento.
Chiudo gli occhi,
un gemito mi sfugge dalle labbra, rompe l’incantesimo e la
potenza
purificatrice di te, donna, che mi può salvare.
- Cosa è
successo?- sussurro, mi sento terribilmente stanco.
- Dovresti dirmelo
tu. Stavi cadendo …-
Come posso vedere
quanto ti abbia fatto male, quanto ti abbia fatto male pensare di potermi perdere.
Perché, Yugao, noi
cosa siamo? Eravamo amanti, prima dell’incidente.
Siamo diventati
amici, dopo.
E ora?
Che siamo tragici
burattini capitati nelle mani dello sbagliato marionettista?
Tragiche anime che
si sono incontrate nel posto sbagliato?
Non ti posso
trascinare nella mia voragine.
- Non ho nemmeno
capito cosa succedesse… mi girava la testa…-
Porto
inconsciamente una mano all’occhio sinistro che fa un male
allucinate, tanto da
farmi gemere.
Mi prendi il mento
con delicatezza e osservi l’occhio, scoprendolo
irritato a tal punto che una lacrima scende giù
per la mia guancia.
L’asciughi con
dolcezza, mentre si perde tra le tue dita sottili e dolci.
I tuoi occhi si
incupiscono in un secondo, mentre capisci quale possa esserne mai stata
la
causa.
Mi passi un
braccio dietro le spalle, eludendo la voglia
che ti ritrovi di appoggiare le tue labbra sulle mie, di
scacciare i
miei demoni.
Fai bene.
- Yugao, sto bene.
Ce la faccio da solo.-
Uno sguardo,
arrabbiato, furioso, insofferente, insoddisfatto.
- NO, tu non stai
bene proprio per nulla! –
Quante cose si
possono dire con uno sguardo? Quante frasi si possono evitare, quante
parole
inutili?
Basta questo
sguardo, questo momento per capire che io e te siamo uguali, sotto
sotto.
Abbiamo tutti e
due qualcuno da fare rinascere.
If I could take
your pain away
I would scream for you
And I'd bleed for you
So you’ll never
feel this way again
When you’re in my
arms, again
I would scream for you
I will bleed for you
E, mentre
lo aiuta a trascinarsi
da qualche parte, lo sa.
Ha capito.
Per far
guarire quella velata
tristezza dal suo sguardo farebbe di tutto.
Lo
stringerebbe forte, e mentre
è tra le sue braccia griderebbe per lui, strapperebbe quella
spiacevole
sensazione da quel corpo.
Perché lui non si
sentisse mai più così.
Ma, Yugao,
lo sa.
Non
sarà possibile, perché l’unico
modo per strapparlo da quella solitudine… E’
strappare Kurenai alla psicosi.
E questo
fa male.
Perché
lei per lui… darebbe via
anche la vita.
Le labbra
sussurrano qualcosa al
vento, qualcosa che si perde senza raggiungere il vero destinatario.
Put the weight on my shoulders
And the pain in my heart
Tie the knots in my
stomach, let it tear me apart
So I could be everything
you need
So tear me apart...
A
melody without sense.