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Autore: Hinata_Dincht     02/02/2010    1 recensioni
"Stringo le dita intorno alle tempie mentre i miei occhi, spalancati nel buio, cercano un appiglio nelle stelle, invano. Sporco. Sangue. Capelli. Le mie mani, sporche di sangue, che accarezzano capelli non miei." Un viaggio mentale, visto da una Hinata Hyuuga cresciuta. Cosa ci sarà dietro tutto ciò? IV° Classificata al Contest Multifandom "Fan Fiction per i Within Temptation" indetto da Arwen88 e vincitrice del premio Originalità. Attenzione: Spoiler dei capitoli 437 e 450 e presenza di linguaggio colorito.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Yeah, Hinata_Dincht is back! Ecco qui la storia che ha partecipato al contest multifandom "Fan Fiction per i Within Temptation" dopo un'attenta ed accurata revisione (nella quale sono stata fortemente aiutata dalla giudice).

Pubblico con un ritardo spaventoso, ma (qualcuno disse) meglio tardi che mai.

°°°

Cado, rimbalzo, fluttuo e mi allungo.

Tutto ciò che vedo è bianco, di un candore eccezionale che mi fa prudere gli occhi. Non riesco nemmeno a sbattere le palpebre, riesco soltanto a fissare ancora quel bianco tranquillo in cui sono immersa. Sfioro con una spalla una bolla enorme, della trasparenza e della consistenza di una medusa, e sono spinta leggermente indietro, catturata nuovamente in questo gioco infinito di capriole, voli e cadute.

L’assenza di rumori è piacevole, è come se le mie orecchie ferite fossero state anestetizzate.

Tutto ciò che sono è bianco su bianco, tutto ciò che produco sono movimenti silenziosi, tutto ciò che ho nella mente è questa infinità di bolle trasparenti che stanno intorno a me.

<< Così hai smesso di lottare...>>

Mi stringo a me stessa quando la voce arriva ai miei timpani. Quando sfioro una bolla, questa mi passa una scossa dolorosa, la prima vera sensazione da quando sono qui, la prima volta che metto in moto i miei pensieri.

Ma io ho mai iniziato a lottare?

La risposta è semplice: sì.

La mente mi si affolla improvvisamente di pensieri, parole e volti, ma sono tutti sfuocati; e comunque sia, io non voglio niente di tutto questo. Voglio solo il bianco. La tranquillità. Il nulla.

<< Mi hai lasciato qui, indietro. È stato crudele, sai?>>

NO!

Le bolle si fanno vicine, mi soffocano con la loro presenza e mi comprimono, mentre strozzo urla di dolore. Il bianco è troppo oppressivo, fa male, brucia. Stringo gli occhi, cercando di scansare le bolle bianche con calci, pugni, graffi, ma sono scivolose sui miei palmi e dopo poco tornano a travolgermi. Serro le labbra, mugolando infastidita.

Voglio il buio.

E d’improvviso il mio desiderio viene accolto. Sento una strana sensazione di vuoto nello stomaco e i piedi saldamente fissati a terra. Sbatto le palpebre per abituarmi al buio pesto che ora circonda i miei sensi, ma temo che non mi ci abituerò affatto.

Il paesaggio, se così si può chiamare, è cambiato; cammino su una superficie liscia e scura, che potrebbe sembrare una lastra di vetro se non fosse per la sua compattezza, in una notte priva di luce. Oppure così mi pareva.

Ora che osservo meglio, ad ogni passo che muovo una stella si accende in lontananza, come se sulla lastra fossero piazzati milioni di interruttori-mine, che quando vengono pestati si innescano, facendo nascere un nuovo astro in un punto a caso nel cielo.

Socchiudo la bocca, stupita. Le stelle mi hanno sempre affascinata: di tanto in tanto, prima mi stendevo a terra sull’erba fresca di rugiada e, con il naso all’insù ed il dito puntato al cielo, cercavo di dare un senso alla loro disposizione. Ora, invece, sembrano essere state lanciate a manciate da una mano enorme, il tutto casualmente.

Lasciando che i miei occhi si spostino dalle stelle alla lastra infinita davanti a me, continuo a camminare, tranquilla come sempre. Forse sarei un po' ansiosa in una situazione normale.

Ma di che situazione normale sto parlando?

Questa è forse “anormale”?

Continuo a camminare, pensierosa. È l’unica cosa che posso fare, effettivamente: andare avanti e accendere ancora queste stelle che sembrano i punti di domanda che spuntano nella mia mente.

Cerco di scavare nella mia testa, di ricordare cosa fossi prima della dimensione ( Dimensione? Sì, sia questa che quella piena di bolle lo sono. Non sono il mondo reale) bianca, ma incontro resistenza: è come se le mie sinapsi fossero assopite e la mia mente immersa in un sogno.

Sogni... sì, ne facevo.

Era frustrante, mi sentivo più impotente in un incubo che nella realtà; spesso morivo per mano di qualche mukenin: mi sembravano talmente forti da essere invincibili, e quando mi svegliavo, osservando il mio viso madido di sudore in uno specchio, mi dicevo che, sì, probabilmente anche nella realtà sarei morta se ne avessi incontrato uno. Quasi certamente non sarei nemmeno riuscita ad attivare il byakugan dalla paura. L’immagine sfuma nella mia testa insieme all’amarezza.

Ma io ne ho già incontrato uno, di mukenin.

E rischiai di morire.

Mi scagliai addosso a quel tipo come una sciocca, senza un minimo di piano. E per cosa, poi?

Un ragazzo biondo appare nella mia mente e saltella da un angolo all’altro, senza che io possa ignorarlo. Quando cerco di mettere a fuoco il ricordo, l’immagine scompare dalla mia testa proprio come era venuta.

Lascio perdere gli scherzi prodotti dalla mia psiche, accontentandomi di aver scoperto chi ero.

Ero una ninja.

E anche abbastanza scadente, a giudicare dai ricordi che scorrono come lacrime nella mia testa, messasi a funzionare senza che io me ne accorgessi.

Il ragazzo biondo prende di nuovo il sopravvento nella mia mente, ma subito un forte dolore offusca il suo sorriso, costringendomi a fermare il mio cammino, sotto gli occhi di tutte queste stelle che mi osservano accasciarmi a terra da sopra un piedistallo, senza fare nulla.

Distesa in posizione fetale sulla lastra scura, lascio che il mio respiro torni normale, trattenendo i pensieri in un angolo della mente. È ancora troppo presto per risvegliare i ricordi, penso.

<< So quello che hai fatto. >>

La stessa voce di prima torna ad assillarmi, con prepotenza; eppure sembra che stavolta provenga dalle stelle, che si illuminano seguendone il tono.

Che cosa ho fatto? Sentiamo, Stelle. Ditemelo, su.

<< Ma io ti ho perdonato. A me non frega proprio un cazzo di quello che hai fatto. Però torna qui, ti prego.>>

Questa volta urlo. Le parole mi frullano per la testa, si sfregano e si scontrano fra di loro provocando un incendio doloroso, che mi ruba il fiato. È come se quella voce, ogni volta che si fa sentire, mi prendesse la testa e me la sbattesse contro qualcosa di duro.

Cosa ho fatto, cosa ho fatto, cosa ho fatto?

Stringo le dita intorno alle tempie mentre i miei occhi, spalancati nel buio, cercano un appiglio nelle stelle, invano.

Sporco. Sangue. Capelli.

Le mie mani, sporche di sangue, che accarezzano capelli non miei.

La mia anima, sporca, che si macchia.

Sporco, sangue, capelli, sporco, sangue, capelli.

E poi tutto diventa sporco, sporco, sporco.

L’incendio si propaga dentro la mia testa, bruciando le immagini opache, lasciando niente altro che cenere; e la cenere vortica, spinge, soffia contro la mia testa, e sembra quasi che voglia farla scoppiare. Di colpo, una stella implode davanti a me, e la sua mole lievita, lievita fino a prendere il sopravvento sulla mia visuale.

Un forte crepitio che, ne sono sicura, non previene dall’incendio della mia testa, ma dalla grande stella davanti a me, copre i ricordi della voce, terrorizzandomi più di quanto credessi possibile. Seppure io cerchi di indietreggiare e scappare, la lastra di vetro scompare improvvisamente sotto i miei piedi, ed il solito sfarfallio dovuto al vuoto mi stringe alla bocca dello stomaco, stravolgendomi. E poi cado, inesorabilmente attratta dalla stella.

“ Questa volta è veramente la fine.”

Questo è l’ultimo pensiero, mentre un bagliore rosso mi avvolge e copre l’eco ovattata del mio urlo.

Dopo alcuni secondi (o forse minuti, ore, giorni; chi può dirlo?), però, la consapevolezza di essere ancora viva mi colpisce insieme al sentore di essere distesa su qualcosa di fresco e pungente.

Apro gli occhi, focalizzando davanti a me un’ape che cerca curiosa fra i petali di un fiore giallo.

Con un po’ di sforzo (credo che si possa definire più psicologico, che fisico), faccio leva sulle ginocchia per alzarmi in piedi.

Scuoto un po’ i miei vestiti, e mi guardo intorno meravigliata: cosa può esserci di più bello di una radura in mezzo ad un bosco pullulante di armoniose farfalle?

Tutto intorno a me è silenzio, ma non è poi così male: prima, ero sempre stordita dalle urla di mio padre e gli insulti di mio cugino; persino il silenzio di mia sorella, carico di sguardi indifferenti, assordava i miei timpani.

Faccio un giro su me stessa, gustandomi con gli occhi il turbinio di colori. Le labbra si piegano in un sorriso quando una farfalla si ferma sull’indice.

Questi animaletti mi rammentano un volto: Shino (credo fosse un mio compagno di squadra), un ragazzo dal sorriso raro e dagli atteggiamenti un po’ distaccati, era in completa simbiosi con qualsiasi insetto. Aveva sempre creduto che alla fin fine ognuno di noi è una farfalla: chi è ancora nel bozzolo, chi è già pronto a librarsi per morire poco dopo. Quando parlava così mi lasciava sempre un sorriso tenero sulle labbra, facendomi volteggiare fra fantasie e oscuri pensieri infantili.

Quando morì in missione, mi si crepò il cuore.

Al suo funerale piansi, ma ricordai le sue parole e capii che lui il suo tempo per volare l’aveva avuto, e l’aveva usato per difendere il nostro villaggio. Toccava a me.

Quando torno a guardare la farfalla sul mio dito, questa flette le ali e torna a nascondersi tra il nugolo delle sue compagne. Credo che abbia sentito la mia amarezza e abbia deciso di vivere il resto della sua breve vita nell’aria spensierata; come posso darle torto?

Faccio qualche passo, ma sono costretta a portare una mano davanti agli occhi per non rimanere accecata dai raggi del sole.

Il sole. Prima lo paragonavo sempre al ragazzo biondo che mi ossessiona.

I suoi capelli erano oro colato, il suo sorriso erano caldi raggi, la sua tenacia era fuoco ardente. Fin da quando lo conobbi, seduto su un’altalena a dondolarsi sconsolato, ebbi un moto d’affetto per lui; poi, all’accademia per ninja le nostre strade si divisero: lui con la sua squadra, io con la mia. Quando ci rincontrammo all’esame, fu lui a spronarmi. Da allora in poi mi allenai, ed il motivo per una volta non era mio padre, era lui. Era per dimostrargli che sarei diventata forte, che l’avrei difeso anche a costo della mia vita.

Ed ecco che i miei ricordi scorrono verso un passato più recente dei miei tredici anni, e mi rivedo lanciarmi verso quel mukenin per salvare quel ragazzo, gridando ai quattro venti che l’amavo. “Io ti amo, Naruto Uzumaki!”. Devono essere state più o meno queste le parole che si persero nell’aria prima che io fossi ferita quasi a morte.

Quando lui tornò al villaggio dopo lo scontro, da vincitore ovviamente, ad accoglierlo non fui io, come avrei desiderato, ma Sakura Haruno. Lei, che l’aveva sempre rifiutato, maltrattato e pestato. Devo dire che, anche se non è nel mio carattere, quell’abbraccio che si scambiarono mi lasciò un senso di delusione, per quanto fosse sterile. Gioivo perché Naruto era tornato a casa, ovvio, ma la gelosia si era insinuata nel mio cuore senza che io me ne fossi accorta. Perché era Sakura a ricevere tutte quelle attenzioni? Non l’avevo mai vista come una rivale, piuttosto come una possibile aiutante per confessare il mio amore a Naruto. E invece no. Era lei quella che dovevo temere di più.

Comunque le mie parole, il mio amore ed il mio atto coraggioso si persero nel vento e non vennero ascoltati. Mai. Che cosa triste.

Senza nemmeno rendermi conto ho iniziato a piangere.

Tiro su con il naso, asciugandomi gli occhi con il palmo della mano. Rivolgo ancora l’attenzione al sole, ma i suoi raggi sono pallidi e il calore non riesce a raggiungere la mia pelle.

<< Sentivo che c’era qualcosa che andava storto.>>

Ancora quella voce che si prende gioco della mia testa.

- Smettila, vattene via- mormoro, scuotendo il capo per scacciare le parole.

<< Eri sempre distrutta e nervosa; non sorridevi più.>>

Ero sempre distrutta... Perché lo ero?

Nervosa... sì, pure quello. Nella mia vita non ero mai stata nervosa, ero sempre stata tranquilla, posata ed educata; eppure...

<< Non eri pronta a reggere quella situazione da sola.>>

Non ero pronta a reggere cosa?

Le tempie mi pulsano furiosamente nel tentativo di ricordare.

Tra le gocce di nebbiolina che appanna la mia mente si fanno strada delle immagini e mi sforzo per focalizzarle. Un mal di testa pungente prende a pulsare forte, ma stavolta non mi arrenderò: ormai voglio sapere. Stringendo i denti mi concentro e li vedo: Naruto e Sakura. Sorridenti. Vicini. Legati. Che si amano.

La bocca si fa asciutta ed il respiro corto.

<< Capisco che ora tu abbia paura di uscire dal tuo rifugio. Capisco che cerchi un modo per scappare dai tuoi demoni.>>

I miei demoni? Naruto e Sakura.

Loro che pungolano con le loro risate contente il mio corpo disperato. Loro due che tornano come una maledizione ad occupare i mie pensieri. Naruto e Sakura che con la loro felicità si prendono gioco della mia tristezza. Peggio della propria tristezza è la felicità altrui, d’altronde.

Ho bisogno di lavarmi la faccia, di schiarirmi le idee.

Muovo qualche passo nella radura e solo ora mi accorgo che è innaturalmente scura e silenziosa. Le farfalle se ne sono andate ed il sole si è nascosto dietro alle nuvole.

Sull’orlo delle lacrime, corro all’interno della boscaglia ma, per quanto io corra, il pensiero di Naruto e Sakura mi perseguita. Non mi sento nemmeno affaticata quando sbuco in un’altra radura al cui centro vedo un piccolo specchio d’acqua.

Cado in ginocchio sulla sponda verde di muschio e immergo le mani dentro il laghetto per poi portarle al viso.

Sakura Haruno.

Sporco, sangue, capelli, sporco, sangue, capelli.

Apro gli occhi e guardo il mio riflesso sull’acqua, cacciando un grido.

Sulla superficie del lago non vedo i bianchi e dolci occhi di Hinata Hyuga, né il suo sorriso generoso; osservo terrorizzata il viso di un mostro, coperto di sangue e capelli insozzati, incontrando i suoi occhi di assassina.

Assassina, assassina, assassina.

Questo dice la mia immagine.

Ed ecco che la terra sotto di me inizia a tremare borbottando, e tutto ciò che mi attornia inizia a sibilare: assassina. Gli alberi, le foglie, l’erba, il lago, l’acqua; tutto mi sputa in faccia ciò che ho fatto, ed ora il mio animo non può più negarlo.

Ho ucciso Sakura Haruno.

Una sera andai a bussare a casa sua; dovevo avere una faccia del tutto stravolta, ma lei, come sempre premurosa, mi aveva fatto entrare con un’aria preoccupata. Mi aveva fatta sedere su una poltrona e mi aveva dato le spalle per prepararmi un caldo.

Le chiesi la data delle nozze.

Si voltò sorpresa, dicendomi che lei e Naruto non ne avevano ancora parlato, ma che si sarebbero sposati al più presto.

Abbassai lo sguardo, mentre il mio spirito mi diceva di sgozzarla immediatamente e la mia coscienza di ritirarmi prima che fosse troppo tardi.

"Come mai", le chiesi, "come mai al più presto?".

Mi lanciò un’occhiata e potei notare il suo imbarazzo.

Lasciò passare un po’ di secondi in cui l’unico rumore fu il gorgoglio dell’acqua nel bollitore.

"Aspettiamo un bambino", mi disse. Un bambino.

Vent’anni, con un bambino in arrivo ed il marito perfetto. Il marito che si sarebbe fatto in quattro per te, che ti avrebbe difeso fino alla morte, che ti avrebbe amato fino a consumarsi.

In quel momento la mia coscienza cadde, e la furia ebbe il sopravvento: mi gridava nei timpani che quella stronza mi aveva preso tutti i sogni, aveva avuto tutto ciò che avrei dovuto avere io, mi aveva rubato la vita.

Mi alzai dalla poltrona e mi avvicinai con il kunai già pronto in mano. Si era voltata, sì, e mi guardava terrorizzata mentre io ridacchiavo in preda alla pazzia.

“Hinata”, mi chiamò più volte. “Che hai, che hai?”, mi chiese.

Avevo un male d’amore.

Non servì a nulla la sua forza sovrumana in quel momento. Penso che nessuno si sarebbe mai aspettato una tale azione dalla piccola, innocente Hinata.

E mentre la sgozzavo, glielo gridai in faccia più volte che quella vita doveva essere mia.

“Mia solo!”, urlai.

Urlai. Io che non riuscivo a mantenere il tono di voce abbastanza alto da essere udito, urlai.

Si sfiorò la pancia con una mano, prima che i suoi occhi diventassero vitrei.

E poi scoppiai a piangere. La presi e, nel buio della casa, la tenni in grembo, accarezzando i suoi magnifici capelli di quel rosa così innaturale.

Quando Sai entrò in casa, trovò il pavimento schizzato di sangue, il corpo di Sakura e me; o, per meglio dire, il mio involucro ormai vuoto.

Urlò, chiamò la sua compagna si squadra. Anche lui era malato d’amore, potevo vederlo nei suoi occhi. Sai, il controllato Sai, mi strappò Sakura dalle braccia, piangendo sul suo cadavere mutilato.

Mi rannicchiai in un angolo vicino al tavolo, ascoltando stordita i lamenti di Sai.

Poco dopo arrivarono alcuni ANBU; portarono via il cadavere di Sakura ( i cadaveri, dovrei dire), scortarono fuori Sai e mi controllarono.

Dissero qualcosa sul mio stato confusionale, e sulla fortuna che avevo avuto a non essere trovata da Naruto, che sicuramente mi avrebbe ucciso; in quel momento, qualcosa di perverso si accese in me, qualcosa come una fantasia romantica in cui Naruto mi ammazzava. Devo dire che non mi sarebbe dispiaciuto. Ma quel qualcosa si spense subito, quando mi trascinarono fuori dalla casa.

I ricordi sfumano, si mescolano e si confondono urlandomi dietro “Assassina! Infanticida!”.

Si susseguono volti familiari nella mia mente, tutti che mi squadrano disgustati. Non posso nemmeno evitare di guardarli: sono nella mia mente.

<< È andato tutto storto.>>

Tutto storto.

Ora capisco chi erano i miei veri demoni. Una donna e un bambino che rimarranno per sempre con me.

<< Lascia perdere il rimorso, Hinata. Torna qui, io ti ho perdonato. Scusami se non ci sono stato. Ora sono qui. >>

Di colpo vengo attraversata da un brivido e riemergo nel mio corpo.

Sono distesa, ho un piede intorpidito e le punte delle dita gelate. Intorno a me c’è un rumore di vestiti che strusciano l’uno contro l’altro e di leggeri lamenti. Un odore piacevole di miele mi punge il naso e qualcosa di bagnato mi rotola sulla guancia.

- Quando ho capito di averti lasciata sola, mi sono sentito una merda. Soprattutto perché sapevo di amarti ancora.-

Trattengo il fiato, come colpita da un pugno. Il silenzio cade nella stanza, mentre qualcosa di caldo si intrufola nella mia mano.

- Hinata, mi puoi perdonare se provo ancora ad amarti?-

Aspetto qualche secondo prima di sbattere le palpebre ed accogliere la realtà nella mia mente.

Kiba è qui di fianco a me, inginocchiato al mio capezzale.

Soffoco un singhiozzo quando vedo la sua faccia contrita sopra di me, in lacrime. Muovo leggermente la mano, senza accorgermene, e subito lui spalanca gli occhi grondanti.

- Hinata.- mormora fra le labbra, attaccate dal pianto.

Non so perché ma mi sembra mio dovere sorridergli e tranquillizzarlo, come se fosse lui quello che ha ucciso due persone, ma soprattutto una compagna.

Si illumina per un attimo, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, ma subito torna a guardarmi gravemente.

- Sei tornata.- dice alla fine, sforzandosi di sorridere.

Annuisco, stringendogli la mano.

Sapevo che la voce nella mia mente aveva un che di famigliare. Sapevo che era qualcuno che conoscevo. Kiba è stato il mio cicerone verso la realtà.

- Che è successo?- chiedo, ma la mia voce esce a rantoli dalle labbra, così cerco di schiarirmi la gola, invano.

- È successo tutto quindici giorni fa. Non ti sei più svegliata da quel momento.- spiega, accarezzandomi la mano; - Domani ti dovrebbero giustiziare.- aggiunge con voce spezzata, stringendomi forte le dita fra le sue, calde.

Sorrido amaramente, girandomi a fissare qualcosa che non sia il viso afflitto e disfatto di Kiba.

- Ti porterò via. Scapperemo insieme.- afferma con la sua solita sicurezza, ridestandomi.

- Non credo sia una buona idea.- cerco di contraddirlo.

- Ti porterò via con la forza.- ringhia.

Non può farlo. Non deve.

- Ti giudicheranno mio complice.-

- Non m’importa!- esclama con la sua ostinatezza.

- E Hanabi? La lasci così?- domando, cercando di farlo ragionare.

- Le ho già parlato.-

Lo dice abbassando lo sguardo. Bugia. Non le ha ancora parlato.

- Ok.- sospiro infine. Me ne andrò con il ragazzo di mia sorella, scappando al mio giudizio.

Si alza con aria risoluta.

- Aspetta.- lo richiamo. – Naruto...?- Non ho nemmeno il tempo di finire la domanda che già mi borbotta cupamente un “distrutto”.

Mi perdo nei miei pensieri, ma prima di tornare in quelle dimensioni della mia mente, la mano di Kiba mi invita a sollevarmi. E quando mi reggo in piedi e attraverso la porta della mia dimora, penso che forse ho ritrovato la forza di lottare; oppure, cosa molto più probabile, così facendo riconfermo la mia viltà fino alla fine, preferendo una vita disgraziata ad una morte, per quanto poco dignitosa. E quello che mi fa soffrire di più è che, con me, sto trascinando Kiba.

Perdonami se puoi, Kiba.

***

Passeggia avanti e indietro per la stanza, accarezzando con le dita affusolate una lettera. Ne rilegge ancora il contenuto, passando gli occhi nivei fra le righe frettolose.

Poi l’accartoccia e la getta nel caminetto crepitante.

La porta si apre di colpo ed entra un ragazzo col fiato corto e gli occhi grandi per l’agitazione.

- Hinata non è più nella sua camera!- esclama allarmato.

Hanabi finge di esserne sorpresa, e porta la mano davanti alla bocca.

- Neji... Dobbiamo chiamare gli ANBU!- esclama.

Il ragazzo annuisce, ed esce dalla stanza correndo.

Hanabi richiude la porta, senza fretta.

Torna davanti al fuoco e guarda le fiamme sfaldare completamente la lettera che le ha lasciato il suo ragazzo; Hanabi pensa che non dirà a nessuno che lui e sua sorella sono diretti a Nord, né che hanno intenzione di nascondersi per un po’ nel Paese del Suono.

Hanabi ama profondamente Kiba. E per quanto la sua natura sia orgogliosa e vendicativa, la cosa più importante è quel sentimento.

Ma perché lo fa per sua sorella?

Sospira.

Forse lo fa semplicemente perché tutto quello che è stato fatto non ha più importanza.

Tutto è stato perdonato.

°°°

Credits: La canzone (Forgiven dei Within Temptation), da cui ho preso ispirazione per questa fan fiction, non è di mia proprietà; i personaggi del manga\anime Naruto non sono di mia proprietà. Sia la canzone che i personaggi appartengono ai rispettivi autori.

Grammatica: 3,5/5

Stile: 7/10

Trattazione dei personaggi /IC: 7,5/10

Attinenza alla canzone: 8,5/10

Originalità: 10/10

Giudizio personale: 4,5/5

-2 punti per aver inserito spoiler nonostante fosse vietato nel bando.

Totale: 39

Gli errori di grammatica presenti ne testo sono costituiti da errori di distrazione e errori di punteggiatura, purtroppo hai spesso dimenticato la punteggiatura alla fine delle frasi o dimenticato di mettere almeno tra virgolette le parole testuali dette da Sakura: non stavi parafrasando le sue parole, le stavi proprio ripetendo, per cui almeno le virgolette erano necessarie. Per il resto niente di grave. Per lo stile direi che la storia si legge di filato e riesce a catturare molto. Si desidera proprio capire cosa c'è alla fine. Purtroppo alcune frasi non sono proprio riuscita a capirle, per esempio “cercando di dargli un appiglio alla ragione”. Sinceramente non l'ho capita.

Viste però le parolacce che hai inserito e (soprattutto) le scene un po' cruente ti consiglierei di alzare il rating ad arancione.

Passiamo alla caratterizzazione dei personaggi. Mi hai rappresentato una Hinata lontana dallo stereotipo timida e impacciata dandomi una Hinata adulta, in profonda crisi per via di ciò che deve sopportare. Diciamo che dalle mie parti si direbbe che è “uscita completamente di testa” per il dolore. Sì, in effetti in certi casi si possono commettere anche crimini orribili per cui te l'ho data per buona, detto questo la caratterizzazione che le hai dato è decisamente forte e in un certo qual modo fragile. Molto interessante, comunque. 9

Voce fuori campo e compagno: Kiba. Sì, ha avuto un posto abbastanza di rilievo che penso di doverlo valutare... Direi che hai centrato il suo IC per quanto non so se ce lo vedrei ad abbandonare Hinata. 7

Tutti gli altri: sei rimasta abbastanza IC, soprattutto con Sakura, un po' meno con Hanabi e Neji (che tuttavia hanno apparizioni anche minori). 6

L'attinenza alla canzone è buona, le frasi di Kiba richiamano continuamente il testo della canzone.

E la tristezza che emana da questa canzone si sente anche nella storia.

Voto pieno per l'originalità, non avevo mai letto niente di simile, figurarsi poi su Hinata!

Per quel che riguarda la fine di Sakura scommetto che volevi fare leva sul fatto che non mi piace! E invece mi è dispiaciuto parecchio per lei... Poverina. No dai scherzo! (Cioè, mi è dispiaciuto davvero, quello sì.) Che dire, molto coinvolgente e particolare. “Interessante” direi... Bel lavoro!

Meno due punti per non avere rispettato il bando del contest. Hai inserito spoiler nonostante fosse vietato nel bando, Naruto in questo momento è arrivato al numero 45 e il “Ti amo” da te citato e lo scontro con Pain compaiono solo nel 47. Figurarsi poi l'abbraccio con Sakura.

Ho tolto due punti al risultato finale.

Ok, sono arrivata al mio commentino. Insomma, che dire. Adoro la canzone (wow, che perla di saggezza) e sono in un ritardo pazzesco nel pubblicare la storia (wow, di bene in meglio). Per quanto riguarda la f.f., sono soddisfatta del risultato. Ho messo in campo una Hinata matura, nel pieno del suo spettro emozionale, mostrandone lati che forse alcuni le precluderebbero. Alla fin fine lo stereotipo della timida (seppure importante e rilevante) mi ha stancata. Beh, è un esperimento, tutto qui!

Ho scritto la storia nello stesso periodo nel quale studiavo "L'Orlando Furioso" che, devo dire, mi ha ispirata per il tema della pazzia! (Non si nota nemmeno, eh? XD)

Inoltre voglio ringraziare le partecipanti e la giudice Arwen88 per il magnifico contest e vorrei scusarmi con quest'ultima per aver accidentalmente violato il regolamento del bando (anche se sono stata giustamente punita! XD).

Spero che nessuno diventi pazzo, strabico occhessoio leggendo la fanfiction! XD

  
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