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Autore: maz    06/02/2010    3 recensioni
Poi sentii solo dolore. Mi sentii bruciare. Bruciava tutto. Il mio corpo, i miei organi, la mia mente, il mio cuore. Volevo scappare da quell’incendio ma non riuscivo a muovermi. Quando capii che era troppo tardi per scappare iniziai ad urlare. Pregavo perché la morte arrivasse più in fretta, quel dolore tremendo mi rendeva totalmente inutile. Poi il dolore pian piano scomparve. Il mio cuore palpitava più forte. Stavo morendo lo sentivo. Il mio cuore tacque e riaprii gli occhi. Vidi un angelo. Assomigliava tanto al dottor Carlisle.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, Twilight
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~Diari~

2005 ~ Ti porto fuori a cena

(seconda parte)

 

 

 

“Il colore della tua camicetta ti dona molto.” Dissi cercando di non espormi troppo.

Lei per tutta risposta arrossì.

“Non devi preoccuparti, sto bene adesso.” Convenne quando la incitai ancora una volta a mangiare.

“Le persone normali dovrebbero stare male in una situazione come la tua. Tu invece sei così tranquilla.” Osservai.

“Con te vicino mi sento al sicuro.” Ammise fiduciosa.

Cosa stava succedendo? Aveva esattamente l’atteggiamento opposto che una persona normale avrebbe dovuto avere. Si sentiva tranquilla al mio fianco quando invece doveva sentirsi terrorizzata. Non si rendeva minimamente conto del pericolo che correva standomi vicino. Invece no, lei era attratta dal pericolo. Così non avrei mai potuto proteggerla, soprattutto perché entrambi stavamo bene insieme.

“Non doveva andare così.” Sussurrai.

 

“I tuoi occhi sono chiari, di solito, quando sono così sei di buon umore.” Buttò lì con tono disinteressato.

“Cosa vuoi dire?” risposi agitato da quell’osservazione.

“Quando i tuoi occhi sono neri sei sempre scontroso. Ho avuto modo di pensarci.” Aggiunse.

Ebbi un po’ di paura. Sperai che non si fosse avvicinata davvero tanto alla verità.

“Un’altra teoria?” chiesi.

“Si.” Rispose, continuando a comportarsi come se quello che avesse scoperto non la toccasse più di tanto.

“Stavolta spero che tu abbia pensato a qualcosa di più reale.” Dissi cercando di sembrare indifferente.

“Non è proprio una mia idea.”

“Cosa vuoi dire?” chiesi un po’ più agitato di prima.

Bella non rispose. Sembrava fosse in imbarazzo per ciò che avrebbe detto di lì a poco. La sua ordinazione arrivò ed aspettammo che la cameriera si allontanasse per poter parlare tranquillamente.

 

“Allora?” chiesi ancora.

“Te ne parlerò in macchina. Ma solo se …” disse senza darmi il tempo di poter insistere.

“Quali sono le tue condizioni?” chiesi visibilmente teso.

“Anch’io ho bisogno di alcune risposte.” Sussurrò.

“Non avevo dubbi.” Risposi.

Dovevo stare molto attento alle risposte che le avrei dato. Anche se le sue domande mi avrebbero aiutato a capire quale fosse la sua teoria, io avrei rischiato di scoprirmi ancora di più.

“Chiedi pure.” Dissi.

“Perché eri a Port Angeles?” chiese. Avrei potuto dire la verità oppure avrei potuto distrarla. In ogni caso la sua domanda non mi portava a capire le sue intenzioni.

“Un’altra domanda.” Dissi.

“Questa era la più semplice.” sbuffò. “Ammettiamo che esista qualcuno capace di leggere nel pensiero, ma con qualche eccezione .” disse.

Non poteva essere vero. Si era avvicinata tantissimo alla verità. Certo questa parte della verità era la meno pericolosa, ma avrei potuto assecondarla senza scoprirmi tanto.

“Per ipotesi e solamente una eccezione.” Dissi.

Sorrise trionfante per la mia sincerità nel risponderle.

“Si, solo un’eccezione. Come funziona? Come fa quella persona a trovarne un’altra nel posto e nel momento giusto?” chiese.

“Sempre per ipotesi?” ribattei.

“Si.”

“Se questa persona,” iniziai, ma lei mi interruppe.

“Potremmo chiamarlo Joe.” Propose.

“Certo, se Joe non si fosse distratto, non sarebbe stato necessario arrivare al momento giusto.” Dissi, “lo sai che sei l’unica persona in grado di cacciarsi nei guai a Port Angeles dove per anni il grado di criminalità è stato sempre molto basso.” Terminai ancora un po’ scosso da ciò che avrebbe potuto succederle.

“Pensavo stessimo parlando di una situazione ipotetica.” Rispose irritata dalla mia osservazione.

Sorrisi.

“Si, hai ragione. La chiamiamo Jane?” dissi divertito da quel suo strano modo di offendersi.

 

“Come facevi a saperlo?” chiese mettendo da parte tutta l’ilarità della situazione.

Cosa avrei dovuto fare adesso? Dire la verità, oppure nasconderle la parte più terrificante della storia?

“Puoi fidarti di me.” ammise e allungò una mano verso la mia. Le spostai senza darle nemmeno il tempo di sfiorarmi. Sapevo per certo di potermi fidare di lui, ma non potevo davvero dirle tutta la verità.

“Non ho molta scelta.” Sussurrai. “Mi sono sbagliato su di te. Sei molto più onesta di quanto pensassi.”

“Sbaglio o tu hai sempre ragione?” disse prendendomi in giro.

“Magari una volta era così.” Risposi. Da quando Bella era entrata nella mia vita, tutte le mie sicurezze erano vacillate. Ora non sapevo più come comportarmi.

“Ho anche commesso un altro errore. Tu non attiri semplicemente incidenti, no, tu attiri disgrazie.” Continuai.

“Tu ne fai parte?” chiese. Non potevo mentirle a proposito di questo.

“Senza eccezioni.”

Ancora una volta, la sua mano cercò la mia. La ritrassi d’istinto, ma lei non si fermò davanti al mio gesto. Con un dito sfiorò leggera il dorso della mia mano.  Bella trattenne il respiro e non smisi per un attimo di guardarla. Sapevo che da lì a poco sul suo sguardo sarebbe apparso il disgusto. Lei mi guardò e sorrise.

 

“Grazie, è la seconda volta che mi salvi la vita.” mi disse con il tono più intenso che avessi mai sentito.

“Fai in modo che non ce ne sia una terza.” Dissi e lei annuì.

Lentamente allontanai le mie mani dalle sue. Anche se il calore del suo corpo era piacevole a contatto con il mio, non volevo che quel piacere si trasformasse in disgusto da parte sua.

Volevo che lei mi chiedesse tutto ciò che voleva sapere, semplicemente perché volevo che lei sapessi come ero fatto in realtà.

“Ti ho seguita.” Dissi e mi pentii subito di aver usato quelle parole. Ma non riuscivo a fermare il fiume di parole che stava per uscire dalla mia bocca. “Non mi sono mai adoperato nel tentare di salvare la vita alle persone, e credimi, è una cosa molto impegnativa. Probabilmente è anche colpa tua. Le persone normali, non attirano catastrofi ogni giorno.” dissi. Lei mi sorrise senza aggiungere altro.

Che assurda situazione.

“Non credi che probabilmente la mia morte sarebbe dovuta avvenire il giorno in cui Tyler mi ha quasi uccisa e che tu ti sei messo in mezzo, cambiando il destino?” chiese.

“Non era quello il momento in cui dovevi morire. La tua ora è arrivata nel momento in cui ti ho conosciuta.” Dissi e sprofondai nella vergogna di quella rivelazione. Ero stato più che sincero. Le avevo appena confessato che avrei voluto ucciderla.

Lei non parlò e respirava molto velocemente.

 

“Lo ricordi?” chiesi.

“Si.” Rispose senza aggiungere altro.

“Ma nonostante questo, sei seduta qui.” Continuai.

“Grazie a te.” Disse e una luce strana nei suoi occhi si accese. “Come hai fatto a trovarmi oggi?” continuò spostando l’attenzione dalla mia ammissione.

Guardai il piatto intatto davanti a lei.

“Mentre mangi, io parlo.” Dissi e lei senza dire niente iniziò a mangiare.

“Sai, è davvero difficile seguirti. Per me normalmente è semplice, basta solo ascoltare per una volta i pensieri della gente.” Mi fermai, assicurandomi delle sue reazioni. Poteva da un momento all’altro scappare via urlando. Invece lei si limitava ad ascoltarmi.

Mi fece cenno di proseguire.

“Stavo controllando Jessica. Per un attimo mi sono distratto e quando ho controllato come stesse andando, mi sono accorto che tu non eri più con loro. Ti ho cercata dappertutto. Nella libreria, tra le strade di Port Angeles, tra la mente di tutta la gente che potevo percepire. Ti ho cercato per molto tempo, avevo paura che potesse succederti qualcosa visti i tuoi precedenti, ma niente.” Mi fermai. Il suo odore mi infiammò la gola e fui felice.

“Poi ti ho vista nei pensieri di quel ragazzo.” Continuai.

Ricordavo perfettamente tutte le sensazioni che avevo provato nel momento in cui avevo capito cosa le stesse accadendo. Non riuscii a continuare. La rabbia aveva preso di nuovo il sopravvento su di me. Lonnie non l’avrebbe passata liscia.

 

“Cosa è accaduto dopo?” mi chiese sussurrando.

“Ho capito dai suoi pensieri cosa stava per accadere.” Sussurrai.

“Credimi, quello che ho fatto stasera, per me è stato molto difficile. Dovermi limitare solo a salvarti la vita e lasciare quegli esseri lì. Potevo lasciarti tornare a casa con Jessica e Angela, ma sapevo che, una volta rimasto solo sarei tornato indietro.” Conclusi.

La guardai cercando di capire cosa stesse pensando Bella ora di me.

Forse avrei dovuto accompagnarla a casa. Non sarebbe stato sano per lei rimanere in mia compagnia. Le avevo appena rivelato di avere delle tendenze omicide. Non avrebbe potuto sopportarlo.

O perlomeno una persona normale non avrebbe potuto farlo.

“Andiamo, ti riporto a casa. Sei pronta?” chiesi.

“Voglio solo andare via di qui.” Disse, lasciandomi capire che aveva ancora voglia di stare insieme a me.

 

La cameriera si avvicinò al nostro tavolo.

“Desiderate qualcos’altro?” chiese. Rifiutai gentilmente, limitandomi solamente a chiederle il conto. Quando ritornò ebbi la conferma alle mie supposizioni. Nessuno umano, soprattutto quando ero in compagnia di Bella, aveva timore di me. Emmett aveva ragione a dire che avevo perso il lato pericoloso da quando avevo conosciuto Bella. Per lei avevo imparato a gestire il mostro dentro di me, cercando di metterla a suo agio e di non spaventarla. Non avevo previsto però, che questo mio modo di fare si rifletteva anche sugli altri umani. Per questo rimanevano semplicemente abbagliati da me, invece di provare paura come sarebbe dovuto essere.

Pagai in fretta il conto senza dare importante al numero di telefono che la cameriera mi aveva lasciato scritto su un pezzo di carta. Le lasciai una mancia e senza degnarla di troppe attenzioni aspettai che Bella si preparasse ad uscire.

 

Quando ci ritrovammo fuori dal ristorante, ci avviammo verso la macchina e le aprii la portiera per invitarla ad entrare. L’auto non era molto accogliente e lei si strinse nella mia giacca per cercare un po’ di calore. Accesi il riscaldamento cercando di metterla a suo agio.

Presi un breve respiro e la gola bruciò ancora. Stavolta però non soffrivo il suo profumo.

Era giusto così, la sua presenza non doveva essere per me semplice.

E quella sera, era stato davvero tanto godere della sua compagnia che soffrire un po’ sarebbe stato il minimo.

Era giusto soffrire respirando quell’aria piena del profumo che inebriava i miei sogni ad occhi aperti e che accendeva il mio inferno.  Quel profumo che raccontava tutto di lei, un profumo puro, dolce e delicato.

Nessuno dei due aveva rotto il silenzio da quando avevamo lasciato il ristorante. Sapevo però che era arrivato il momento di concludere la nostra conversazione.

Fui io a rompere quel silenzio pieno di imbarazzo.

“Ora tocca a te darmi delle risposte.”

 

Edward

 

 

 

 

  
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