~Diari~
2005 ~ Ti porto fuori a cena
(seconda parte)
“Il colore della tua camicetta ti dona molto.”
Dissi cercando di non espormi troppo.
Lei per tutta risposta arrossì.
“Non devi preoccuparti, sto bene adesso.” Convenne
quando la incitai ancora una volta a mangiare.
“Le persone normali dovrebbero stare male in una
situazione come la tua. Tu invece sei così tranquilla.” Osservai.
“Con te vicino mi sento al sicuro.” Ammise
fiduciosa.
Cosa stava succedendo? Aveva esattamente
l’atteggiamento opposto che una persona normale avrebbe dovuto avere. Si
sentiva tranquilla al mio fianco quando invece doveva sentirsi terrorizzata.
Non si rendeva minimamente conto del pericolo che correva standomi vicino.
Invece no, lei era attratta dal pericolo. Così non avrei mai potuto
proteggerla, soprattutto perché entrambi stavamo bene insieme.
“Non doveva andare così.” Sussurrai.
“I tuoi occhi sono chiari, di solito, quando sono
così sei di buon umore.” Buttò lì con tono disinteressato.
“Cosa vuoi dire?” risposi agitato da
quell’osservazione.
“Quando i tuoi occhi sono neri sei sempre
scontroso. Ho avuto modo di pensarci.” Aggiunse.
Ebbi un po’ di paura. Sperai che non si fosse
avvicinata davvero tanto alla verità.
“Un’altra teoria?” chiesi.
“Si.” Rispose, continuando a comportarsi come se
quello che avesse scoperto non la toccasse più di tanto.
“Stavolta spero che tu abbia pensato a qualcosa di
più reale.” Dissi cercando di sembrare indifferente.
“Non è proprio una mia idea.”
“Cosa vuoi dire?” chiesi un po’ più agitato di
prima.
Bella non rispose. Sembrava fosse in imbarazzo per
ciò che avrebbe detto di lì a poco. La sua ordinazione arrivò ed aspettammo che
la cameriera si allontanasse per poter parlare tranquillamente.
“Allora?” chiesi ancora.
“Te ne parlerò in macchina. Ma solo se …” disse
senza darmi il tempo di poter insistere.
“Quali sono le tue condizioni?” chiesi
visibilmente teso.
“Anch’io ho bisogno di alcune risposte.” Sussurrò.
“Non avevo dubbi.” Risposi.
Dovevo stare molto attento alle risposte che le
avrei dato. Anche se le sue domande mi avrebbero aiutato a capire quale fosse
la sua teoria, io avrei rischiato di scoprirmi ancora di più.
“Chiedi pure.” Dissi.
“Perché eri a Port Angeles?” chiese. Avrei potuto
dire la verità oppure avrei potuto distrarla. In ogni caso la sua domanda non
mi portava a capire le sue intenzioni.
“Un’altra domanda.” Dissi.
“Questa era la più semplice.” sbuffò. “Ammettiamo
che esista qualcuno capace di leggere nel pensiero, ma con qualche eccezione .”
disse.
Non poteva essere vero. Si era avvicinata
tantissimo alla verità. Certo questa parte della verità era la meno pericolosa,
ma avrei potuto assecondarla senza scoprirmi tanto.
“Per ipotesi e solamente una eccezione.” Dissi.
Sorrise trionfante per la mia sincerità nel
risponderle.
“Si, solo un’eccezione. Come funziona? Come fa
quella persona a trovarne un’altra nel posto e nel momento giusto?” chiese.
“Sempre per ipotesi?” ribattei.
“Si.”
“Se questa persona,” iniziai, ma lei mi
interruppe.
“Potremmo chiamarlo Joe.” Propose.
“Certo, se Joe non si fosse distratto, non sarebbe
stato necessario arrivare al momento giusto.” Dissi, “lo sai che sei l’unica
persona in grado di cacciarsi nei guai a Port Angeles dove per anni il grado di
criminalità è stato sempre molto basso.” Terminai ancora un po’ scosso da ciò
che avrebbe potuto succederle.
“Pensavo stessimo parlando di una situazione
ipotetica.” Rispose irritata dalla mia osservazione.
Sorrisi.
“Si, hai ragione. La chiamiamo Jane?” dissi
divertito da quel suo strano modo di offendersi.
“Come facevi a saperlo?” chiese mettendo da parte
tutta l’ilarità della situazione.
Cosa avrei dovuto fare adesso? Dire la verità,
oppure nasconderle la parte più terrificante della storia?
“Puoi fidarti di me.” ammise e allungò una mano
verso la mia. Le spostai senza darle nemmeno il tempo di sfiorarmi. Sapevo per
certo di potermi fidare di lui, ma non potevo davvero dirle tutta la verità.
“Non ho molta scelta.” Sussurrai. “Mi sono
sbagliato su di te. Sei molto più onesta di quanto pensassi.”
“Sbaglio o tu hai sempre ragione?” disse
prendendomi in giro.
“Magari una volta era così.” Risposi. Da quando
Bella era entrata nella mia vita, tutte le mie sicurezze erano vacillate. Ora
non sapevo più come comportarmi.
“Ho anche commesso un altro errore. Tu non attiri
semplicemente incidenti, no, tu attiri disgrazie.” Continuai.
“Tu ne fai parte?” chiese. Non potevo mentirle a
proposito di questo.
“Senza eccezioni.”
Ancora una volta, la sua mano cercò la mia. La
ritrassi d’istinto, ma lei non si fermò davanti al mio gesto. Con un dito
sfiorò leggera il dorso della mia mano.
Bella trattenne il respiro e non smisi per un attimo di guardarla.
Sapevo che da lì a poco sul suo sguardo sarebbe apparso il disgusto. Lei mi
guardò e sorrise.
“Grazie, è la seconda volta che mi salvi la vita.”
mi disse con il tono più intenso che avessi mai sentito.
“Fai in modo che non ce ne sia una terza.” Dissi e
lei annuì.
Lentamente allontanai le mie mani dalle sue. Anche
se il calore del suo corpo era piacevole a contatto con il mio, non volevo che
quel piacere si trasformasse in disgusto da parte sua.
Volevo che lei mi chiedesse tutto ciò che voleva
sapere, semplicemente perché volevo che lei sapessi come ero fatto in realtà.
“Ti ho seguita.” Dissi e mi pentii subito di aver
usato quelle parole. Ma non riuscivo a fermare il fiume di parole che stava per
uscire dalla mia bocca. “Non mi sono mai adoperato nel tentare di salvare la
vita alle persone, e credimi, è una cosa molto impegnativa. Probabilmente è
anche colpa tua. Le persone normali, non attirano catastrofi ogni giorno.” dissi.
Lei mi sorrise senza aggiungere altro.
Che assurda situazione.
“Non credi che probabilmente la mia morte sarebbe
dovuta avvenire il giorno in cui Tyler mi ha quasi uccisa e che tu ti sei messo
in mezzo, cambiando il destino?” chiese.
“Non era quello il momento in cui dovevi morire.
La tua ora è arrivata nel momento in cui ti ho conosciuta.” Dissi e sprofondai
nella vergogna di quella rivelazione. Ero stato più che sincero. Le avevo
appena confessato che avrei voluto ucciderla.
Lei non parlò e respirava molto velocemente.
“Lo ricordi?” chiesi.
“Si.” Rispose senza aggiungere altro.
“Ma nonostante questo, sei seduta qui.” Continuai.
“Grazie a te.” Disse e una luce strana nei suoi
occhi si accese. “Come hai fatto a trovarmi oggi?” continuò spostando
l’attenzione dalla mia ammissione.
Guardai il piatto intatto davanti a lei.
“Mentre mangi, io parlo.” Dissi e lei senza dire
niente iniziò a mangiare.
“Sai, è davvero difficile seguirti. Per me
normalmente è semplice, basta solo ascoltare per una volta i pensieri della
gente.” Mi fermai, assicurandomi delle sue reazioni. Poteva da un momento
all’altro scappare via urlando. Invece lei si limitava ad ascoltarmi.
Mi fece cenno di proseguire.
“Stavo controllando Jessica. Per un attimo mi sono
distratto e quando ho controllato come stesse andando, mi sono accorto che tu
non eri più con loro. Ti ho cercata dappertutto. Nella libreria, tra le strade
di Port Angeles, tra la mente di tutta la gente che potevo percepire. Ti ho
cercato per molto tempo, avevo paura che potesse succederti qualcosa visti i
tuoi precedenti, ma niente.” Mi fermai. Il suo odore mi infiammò la gola e fui
felice.
“Poi ti ho vista nei pensieri di quel ragazzo.”
Continuai.
Ricordavo perfettamente tutte le sensazioni che
avevo provato nel momento in cui avevo capito cosa le stesse accadendo. Non
riuscii a continuare. La rabbia aveva preso di nuovo il sopravvento su di me.
Lonnie non l’avrebbe passata liscia.
“Cosa è accaduto dopo?” mi chiese sussurrando.
“Ho capito dai suoi pensieri cosa stava per
accadere.” Sussurrai.
“Credimi, quello che ho fatto stasera, per me è
stato molto difficile. Dovermi limitare solo a salvarti la vita e lasciare
quegli esseri lì. Potevo lasciarti tornare a casa con Jessica e Angela, ma
sapevo che, una volta rimasto solo sarei tornato indietro.” Conclusi.
La guardai cercando di capire cosa stesse pensando
Bella ora di me.
Forse avrei dovuto accompagnarla a casa. Non
sarebbe stato sano per lei rimanere in mia compagnia. Le avevo appena rivelato
di avere delle tendenze omicide. Non avrebbe potuto sopportarlo.
O perlomeno una persona normale non avrebbe potuto
farlo.
“Andiamo, ti riporto a casa. Sei pronta?” chiesi.
“Voglio solo andare via di qui.” Disse,
lasciandomi capire che aveva ancora voglia di stare insieme a me.
La cameriera si avvicinò al nostro tavolo.
“Desiderate qualcos’altro?” chiese. Rifiutai
gentilmente, limitandomi solamente a chiederle il conto. Quando ritornò ebbi la
conferma alle mie supposizioni. Nessuno umano, soprattutto quando ero in
compagnia di Bella, aveva timore di me. Emmett aveva ragione a dire che avevo
perso il lato pericoloso da quando avevo conosciuto Bella. Per lei avevo
imparato a gestire il mostro dentro di me, cercando di metterla a suo agio e di
non spaventarla. Non avevo previsto però, che questo mio modo di fare si
rifletteva anche sugli altri umani. Per questo rimanevano semplicemente
abbagliati da me, invece di provare paura come sarebbe dovuto essere.
Pagai in fretta il conto senza dare importante al
numero di telefono che la cameriera mi aveva lasciato scritto su un pezzo di
carta. Le lasciai una mancia e senza degnarla di troppe attenzioni aspettai che
Bella si preparasse ad uscire.
Quando ci ritrovammo fuori dal ristorante, ci
avviammo verso la macchina e le aprii la portiera per invitarla ad entrare.
L’auto non era molto accogliente e lei si strinse nella mia giacca per cercare
un po’ di calore. Accesi il riscaldamento cercando di metterla a suo agio.
Presi un breve respiro e la gola bruciò ancora.
Stavolta però non soffrivo il suo profumo.
Era giusto così, la sua presenza non doveva essere
per me semplice.
E quella sera, era stato davvero tanto godere
della sua compagnia che soffrire un po’ sarebbe stato il minimo.
Era giusto soffrire respirando quell’aria piena
del profumo che inebriava i miei sogni ad occhi aperti e che accendeva il mio
inferno. Quel profumo che raccontava
tutto di lei, un profumo puro, dolce e delicato.
Nessuno dei due aveva rotto il silenzio da quando
avevamo lasciato il ristorante. Sapevo però che era arrivato il momento di
concludere la nostra conversazione.
Fui io a rompere quel silenzio pieno di imbarazzo.
“Ora tocca a te darmi delle risposte.”
Edward