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Autore: Cap_Kela    07/02/2010    5 recensioni
-Sequel di UNTITLED-
C'è un'unica cosa che spetta per certo ad ogni uomo, ed è una Signora senza volto, avvolta nelle tenebre, che lo condurrà alla sua dipartita.
A Capitan Jack verrà data la possibilità di sfuggirle ancora una volta, ma la sua scelta potrebbe portare al trionfo o alla fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Will Turner
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'UNTITLED'
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chap Attenzione!!! Il capitolo si compone di tre parti differenti.
Per ora verrà pubblicata solo la prima, per dare la possibilità ad Unty di riemergere un po’ dagli abissi, dato che secondo il sito l’ultimo aggiornamento risale ad una vita fa, anche se spero sappiate non è proprio così.
Le altre due parti sono già in lavorazione, ma vanno riviste, si spera nonostante tutto di pubblicarle presto, in ogni caso vi sarà segnalato nell’introduzione della storia.
Nel primo capoverso il narratore è sempre Scilla come negli scorsi capitoli, mentre per poi tornerà ad esserlo Jennyfer come in tutto il resto della FF.
Piccolissssimo anticipo: Nella terza ed ultima parte del capitolo verrà ripreso il punto da dove si è interrotto il prologo di Unty2.

Ringraziamenti:

A Sogno&Leo, i miei “musi” lol, grazie di esistere per davvero! =P

Grazie a giu91, in bocca al kraken per la matura, come me  T_T buuuu,
ci azzecchi sempre eh =)
Ho pensato che da parte di Leonard ci fosse oltre all’orgoglio anche un po’ di timore, come ne ha chiunque per ciò che non conosce.

Grazie anche a Rebecca Lupin per il tuo sostegno commuovente =’) davvero! Questo piccolo “ritaglio” ci è sembrato giusto metterlo per chiarire da dove provenisse Celia, personaggio già presente nel primissimo capitolo di Untitled, forse è stato un po’ pesante, me ne sono resa conto solo dopo, ma in seguito chiarirà moooolte cose, spero sia servito comunque ad emozionarvi almeno un po’, quei due sbaciukioni tornano proprio in questo capitolo! =)

Buona lettura!

Capitolo 10
I don’t wanna miss a thing

I don't wanna close my eyes
I don't wanna fall asleep
'Cause I'd miss you baby
And I don't wanna miss a thing

“Le coperte non scaldano i cuori infranti, Sogno, e non riportano indietro dalla morte nessuno -suggerisce la donna incappucciata nelle vicinanze della finestra- Però possono mantener vivo ciò che rimane dei tuoi ricordi, ed è per questo che non devi privartene mai!” conclude sovrastando le piccole mani irte e gelide di quella creatura, all’apparenza tanto fragile, la quale però dentro di sé nutre tanto impeto da tenerla in vita con la sola speranza, un giorno, di riabbracciare il suo amato raggio di tenebra.
L’espressione mesta della Dea prende ad ammorbidirsi leggermente, per spaziare in un piccolo sorriso orgoglioso: “Senti, senti! Ti ho fatta diventare più saggia di me!- le riconosce sorniona- D’accordo, è tempo che io tolga il disturbo!” sussurra lanciando un’occhiata alla porta dell’altra stanza, da dove Jennyfer e Jack stanno per rientrare.
“Aspetta! -l’arresta Scilla esprimendo rammarico- Celia... Io non so proprio che fare, lo so che mi hai mandato qui per questo, ma come posso dir loro una cosa simile...?! Non ne ho cuore...” si appella al suo appoggio.
“...Se io fossi a conoscenza di tali informazioni nei tuoi confronti, non vorresti che te le dicessi il prima possibile?”
I movimenti meccanici della maniglia al di là della porta secondaria fanno sobbalzare entrambe, lasciando l’affermazione di Sogno sospesa nell’aria.

...Rientro in cabina sola, colpevole, seguita da un frastornato Capitano pochi passi addietro, si trascina nella stessa direzione con il suo passo instabile.
Per tutto il tragitto mantengo lo sguardo basso, tento di non farmi sopraffare dal nervosismo, e prima di raggiungere il tavolo mi metto in cerca delle parole adatte per scusarmi dell’accaduto verso la sconosciuta, ancora accomodata compostamente come prima l’abbiamo lasciata, solo con un’espressione più triste.
“Scilla, io… Sono spiacente per poco fa, devo esserti parsa una vera maleducata” m’incolpo consapevole, serrando le mani intorno allo schienale di una sedia vicina, ed assumendo un tono efficacemente contrito.
Lei reitera con un lezio allegro lasciandomi dubbia, non afferro se lo rivolge a me o all’avanzata scomposta e dondolante del Capitano, mentre lo vedo far ritorno verso di noi.
Improvvisamente l’estranea scatta in piedi, cogliendo entrambi di sorpresa: stringe gelosamente al petto un frammento cartaceo, il bigliettino di prima suppongo. Compie ponderata qualche passo, o dovrei dire volteggio, dalle sue movenze leggere pare volare! Sembra non sfiorare terra coi piedi, l’orlo della sua veste rasenta soltanto il pavimento, quasi fosse un velo, fino ad atterrare al fianco del Capitano che la fissa accigliato, sistemato in una delle sue pose consuete: le spalle incurvate all’indietro, il bacino infuori, i polsi poggiati sull’impugnatura di spada e pistola.
L’aria fredda pervenuta dalla finestra si riempie della fragranza mielata che quella donna trascina con se, una sorta di sapore sdolcinato e zuccherino, riporta alla mia memoria un aroma conosciuto, forse un fiore…
Nel mentre dei miei pensieri osservo sdegnata l’intera scena, sono stata io a parlare, perché a questa specie di fantasma interessa solo Jack?!
Sto quasi per dimenticare i miei buoni propositi ed impormi di nuovo astiosa, quando la sua sottile voce scostante riprende il discorso prima interrotto: “Questo è solo un abbozzo stringato di Untitled –accenna rivelando timidamente un pezzo di carta stropicciato, con sovra disegnate delle sottili linee di china blu- i 4 simboli della sorte a mappa integra sono posizionati in questo modo” esplica indicando i quattro angoli del disegno.

mappa Unty
 “Jennyfer e Dylan strapparono il manoscritto a metà in diagonale, il loro frammento comprendeva l’angolo della catena, il sole e un piccolissimo ritaglio del teschio. Il Capitano Sparrow possedeva la porzione del veliero a vele spiegate, io e Nick, invece, l’intero teschio con le ossa incrociate.” prosegue distinguendo ogni simbolo.
“Hai detto di conoscere il significato di questi... scarabocchi -li dirime agitando in aria le mani- Puoi rendercene parte?” richiede il Capitano incuriosito.
Scilla impiega qualche secondo a dare il suo consenso, sorpresa dal tentennamento della donna, all’apparenza cotanto risoluta, mi sporgo per scorgerne meglio il movente: il viso del Capitano l’è talmente prossimo che, se non fosse per lo spesso cappuccio della donna, i baffetti arricciati all’insù del Capitano potrebbero solleticarle il viso, e lei tenta invano di attutire l’imbarazzo.
Questo avviene poiché d’insolita abitudine Jack tende ad avvicinarsi molto al suo interlocutore quando discute saviamente, chiunque egli sia.
Al momento non lo nascondo, gli metterei le mani al collo per tale usanza!!
“...Ma certo! -riesce infine a sussurrare Scilla con fiato smorzato, riprendendosi dall’incanto- Il sole consiste metaforicamente ad un nuovo inizio, un cambiamento radicale nella propria vita, com’è stato per Dylan la sua venuta qui e il ritorno nel ventunesimo secolo, senza Jennyfer accanto... -al suono di quelle parole dimentico ogni avversità, e mi spengo in tristi pensieri rivolti ancora a quel piccolo birbante- Il teschio con le ossa incrociate mi sembra sia il più semplice da capire, sta a significare la fine della vita stessa” spiega tristemente. A quel punto sorge spontaneo chiederle cosa ci faccia ancora qui se è questo il significato del simbolo che era in suo possesso.
“In effetti per me, poco tempo fa, è stato come morire e tornare a vivere…” commenta amara.
Io e Jack ci scambiamo un’occhiata interrogativa.
“Prima di calarmi nelle assidue ricerche sulla mappa dovetti affrontare la perdita della persona che amai di più al mondo, ne ho cotanto sofferto da credere di non uscirne viva…” chiarisce vedendoci interdetti.
Una fitta improvvisa mi coglie al petto, le sue parole hanno una cadenza così mesta da spezzare anche l’animo più austero… Ad ogni modo, nonostante l’accaduto, niente l’autorizza a riversare i suoi rimpianti sugli uomini altrui!!
Il Capitano si limita a chinare il capo ed a increspare le labbra in una smorfia più infelice.
“Ma questo non concerne voi, perciò proseguo senza annoiarvi oltre –continua sbrigativa- Quando Nick entrò in possesso del lembo notò subito le due iniziali H.N. annotate sovra una didascalia illeggibile. Si credette una sorta di predestinato o simile, in realtà la sigla sta per Hans Nils, sovrano di Svezia. Spietato quanto sciocco quel vecchio stolto…!” lo ricorda gaiamente.
Ma come? Dice che Nick le ha fatto del male e in seguito parla di lui sfoggiando un bel sorriso? Cosa diamine le passa per la testa?!?
“Stolto quanto scarso, l’ho atterrato con un solo pugno!” Jack non perde mai occasione per pavoneggiarsi, le mostra persino, alla pari di un trofeo, le nocche insudiciate con cui l’ha colpito.
Dalla bocca purpurea di Scilla giunge una breve risata cristallina, così vivace e argentina da stupire lei stessa per prima, se ne scusa poi ritenendola disdicevole riguardo la situazione.
Il tutto non fa altro che farmi angustiare di più, sembriamo tornati ai vecchi tempi quando Jack mi faceva ingelosire cinguettando con le sue indisponenti damine di porto...
“Se posso, permetti una domanda? -intervengo tra i due rivolgendomi a Scilla, mascherando il tono alterato- A quanto dici sei entrata in contatto con Nick più di quanto a noi è stato dato a sapere. Ricordo distintamente quell’uomo nell’atto di farneticare su un’altro tempo ritenendo noi tutti inferiori, tu sei al corrente di chi fosse realmente?” indago rievocando insieme a quell’uomo il disprezzo provato per lui.
“Hayez Nick appartiene al tuo stesso secolo, Jennyfer. Nella sua epoca, non era altro che uno sfortunato imprenditore fallimentare del 1960. Quando fu sull’orlo di perdere tutto rinvenì in una partita di oggetti antichi il frammento della mappa. Fece molte ricerche a riguardo, è stato lui a rivelarmi gran parte del funzionamento di quel frammento di pergamena, solo all’apparenza tanto consueto. Nick vi vedeva un prezioso riscatto del suo successo, era convinto di poter conquistare il mondo con la modernità di cui era a conoscenza partendo dal 1600, dove la mappa lo avrebbe condotto, ma a quanto pare non era al corrente della leggenda che sottostava dietro al nome svedese Hyubtat-le e al resto che ora anche voi conoscete!” risponde esauriente tornando al suo atteggiamento ferrato.
Jack si concede un momento per riflettere, quando è così incrocia le braccia sul petto portando le mani al mento, con cui si tortura incessantemente il pizzetto intrecciato: “A me è toccato il veliero con le vele spiegate...” accerta solenne studiando il bozzetto in mano a Scilla.
“Esattamente. Sta a significare un lungo viaggio all’insegna dell’ignoto o libertà eterna” definisce ricercando l’ombroso sguardo penetrante del Comandante, il quale ad occhi bassi sorride infervorato.
“C’è stato un viaggio, sì -ammette incalzante- Ma io non mi sono ritrovato in un’altra epoca, questo come te lo spieghi?” la sfida austero.
“E’ tutto chiarito nella didascalia consunta sopra le iniziali H.N. -replica lei con molta padronanza, preoccupandosi di indicargli anche precisamente il punto- Voi, Capitan Sparrow, al ritrovamento del vostro frammento eravate nell’ultimo luogo e tempo in cui la mappa è stata utilizzata da Hans Nils, perciò non avete avuto bisogno di giungervi passando confini geografici e temporali come hanno fatto Nick, Jennyfer e Dylan!” esplica lasciando trasparire un lezio altrettanto presuntuoso.
“Tu parli lo svedese?!” domanda Jack stranito quanto divertito dal piccolo diverbio.
“No -definisce semplicemente- Ma ho una cara amica che conosce tutte le lingue del mondo...” conclude alludendo a Celia.
Jack non nasconde la propria divertita sorpresa, si volta ridendo verso di me, indicando la misteriosa donna con un cenno enfatizzante.
La mia reazione è nulla, non smuovo un muscolo, continuo ad assistere sdegnata, ogni mio singolo intervento mi ricade contro a favore di cappuccetto grigio.
“E la catena?” domando spazientita in cadenza altera.
“Oh -sospira lei adorante- Quell’immagine simboleggia il fondamento di qualcosa d’immortale, l’amore n’è un ottimo esempio…!” dice afferrando entrambe le nostre mani per avvicinarle e stringerle insieme.
Il suo tocco glaciale fa sussultare ambedue, un freddo innaturale il quale reca con se un sinistro brivido lungo tutta la schiena.
Le sue dita sono così gelide da stentare a credere che vi scorra del sangue all’intero di certe vene bluastre in trasparenza dalla sua pelle smorta.
E’ Jack a riprendersi subito dal gesto insolito, prima fissa le nostre mani, poi si appresta a rivolgermi un’occhiata molto intensa che in seguito ricade nel vuoto.
“...E’ stata la mappa a far sì che ci incontrassimo?” domando sull’orlo dello sconcerto, voltandomi verso di lui ed accorgendomi di quello sguardo vacuo che ricade in un sorriso malinconico e tirato.
“In un certo senso, è proprio così!” conferma quel volto celato e gaio.
Conduceva ad un tesoro molto più grande dell’oro di Isla Oculta...
“Dunque, era solo questo l’aiuto che volevi darci, nevvero?” interviene all’istante il Capitano riprendendosi dal torpore.
“Non è così, ahimè! La faccenda è molto più seria. -definisce divenendo grave- Quello che sto per dirvi va al di là dei segnali raffigurati nella mappa... Si tratta del vostro destino. Temo che i significati dei 4 simboli possano subire variazioni quando non si è più in possesso di Untitled...” preclude chinando tristemente il capo.
“Come dici?! Hai appena terminato di esplicare...”
“Jenny! -tuona Jack attutendo sul nascere un mio nuovo impeto di rabbia- Sta a sentire per un momento...” esorta ammiccando nell’indicare Scilla.
Ci mancava solo che prendesse le sue difese adesso!
La donna lo ringrazia silenziosamente con un cenno del capo, compie un respiro profondo e prosegue: “Ho avuto modo di prendere visione di alcuni fatti che avverranno in un vostro futuro molto prossimo. E’ qualcosa di complicato da spiegare, non saprei dirvi con esattezza... Vi basti sapere che tutto ciò avviene mentre sogno, riesco a scorgere dei frammenti di alcuni avvenimenti che devono ancora accadere” enuncia con ferma convinzione alla presenza dei nostri sguardi perplessi.
“So cosa pensate, vi apparirà alquanto strano, ma tutto questo avviene grazie alla Dea Sogno che durante la notte mi conferisce parte dei suoi poteri. Io in realtà provengo da un tempo che rispetto a dove ci troviamo ora sta avanti 10 anni... Ho viaggiato indietro nel tempo grazie alla mappa e in parte a Sogno” svela calibrando ogni parola.
“Però, come ben sapete, questo viaggio comporta la cancellazione della memoria, perciò essa mi viene restituita a poco a poco ogni notte, nel sonno, e se accetterete il mio aiuto, sarò sempre qui quando avrete bisogno di me!” offre il proprio sostegno.
“Fammi capire con maggior chiarezza...-replico dubbia- Poco fa hai ammesso di aver perso chi amavi prima di iniziare le tue ricerche su Untitled. Queste tue indagini sono durate ben 10 anni, ed ora che hai ottenuto, grazie ai poteri di quella Dea che dici, la possibilità di tornare indietro e cambiare il corso delle cose, preferisci aiutare noi?!” contesto ogni sua incerta dichiarazione.
“Per me è già troppo tardi, sono qui per darvi una speranza...”
“Di cosa dovremmo esattamente sperare d’ottenere le tue speranze sperate?” chiede Jack incuriosito, ricorrendo ad uno dei suoi strampalati giochi di parole che non mancano mai di sorprendermi.
“...Vi prego di prendere molto seriamente ciò che sto per dirvi. Dovrete essere gli unici al corrente di questo al di fuori di me, Sogno e pochi altri. C’è un nemico sulle vostre tracce, brama da tempo di ottenere l’immortalità, cosa che solo grazie al Capitano potrà veramente raggiungere...” riferisce in preda ad una agitazione poco rassicurante.
“Chi non la vorrebbe?!” scherza Jack per nulla allarmato dal suo tono affannoso.
“Il suo cuore è piccolo, ma completamente accecato dalla vendetta… Presto vi raggiungerà e sarete costretti ad affrontarlo, ma l’esito di questo terribile scontro sarà tutt’altro che positivo...” predice scossa da violenti tremori.
“Ossia?” insiste Jack piacevolmente incuriosito.
“...Vi porterà alla morte, Capitano...” termina affranta.
Un muto sussulto. Poi entrambe le mani corrono a ricoprire la smorfia d’orrore che si dipinge sulle mie labbra.
Jack dead
“Cos..?” mormoro in uno spiro straziato, mentre avverto il fiato risalire con fatica dal petto, e gli occhi arrossarsi di pianto.
Non riesco ad immaginare niente del genere... Allontano tutto quello che si forma nella mia testa a quel solo pensiero e continuo a scuotere la testa incessantemente, come se così potessi impedirlo...
Ma quello che più di tutto mi sconvolge di più è la risata divertita di Jack mentre pronuncia con noncuranza le parole: “Non sei la prima e non sarai nemmeno l'ultima a dirmi qualcosa del genere!” riferisce altruista.
Le braccia mi ricadono pesantemente lungo i fianchi. Quella specie di fantasma gli ha appena detto che presto morirà e lui la prende col sorriso??
Fisso entrambi più volte con espressione incredula, senza ricavare nulla, eccetto due visi impassibili, dunque mi trovo costretta ad intervenire io stessa: “Prima mio fratello, poi Jack... Adesso basta!! Perché mai dovremmo crederti, chi sei tu per dire tutto ciò, hai delle prove??” sbotto irrimediabilmente alzando pesantemente i toni, nel contrappormi tra i due con gli occhi colmi di lacrime.
“Hai la mia parola che non mi sto inventando tutto, non sarei qui altrimenti -giura portandosi solennemente la mano destra al petto- Dispiace anche a me per prima esser portatrice di brutte notizie, ma sto facendo quanto più è in mio potere. Se desiderate il mio aiuto vi dirò come intendo procedere, altrimenti, alla mia uscita da questa stanza, non mi rivedrete più e potrete fingere di non avermi mai incontrata!” dispone concorde.
“Non sembri darci molte alternative...” riconosce il Capitano in tono di ammonizione, avverto il suo respiro all’altezza della mia spalla, probabilmente si trova schierato dietro di me, con i riflessi sull’attenti, pronto a bloccarmi in caso mi accanissi di nuovo, accecata dalla rabbia, sulla donna di fronte a noi.
“La vostra scelta è del tutto libera” ribadisce lei in cadenza ferma.
“Prima voglio delle prove!” mi intestardisco sulla mia convinzione nonostante il fiato smorzato dai singhiozzi.
“Per ora posso solo darvi la mia parola, non ho sognato molto di recente... -ammette dispiaciuta- L’unica cosa che ricordo è un segno, lo riceverete presto da colui che è sulle vostre tracce...”
“I tuoi avvertimenti non sono divertenti!” legittimo irritata.
“Stai fraintendendo Jenny, l’unico motivo per cui sono qui è proprio aiutarvi, non arrecarvi altro danno!” replica Scilla supplichevole.
“Aiutarci?! -canzono al limite della tensione- Aiutarci come hai fatto al porto di West Caicos?” rammento il vecchio attrito.
Se avessi gli occhi sulla nuca potrei scorgere Jack sogghignare sommessamente, lo diverte un sacco la mia spropositata gelosia.
“Oh, capisco... -sembra intendere- Di quello mi dispiace molto, mi scuso con entrambi, soprattutto con voi Capitano! -dice a testa bassa, addolcendo la postura altera- Ma, vedete... Mi sono lasciata coinvolgere dagli eventi in modo eccessivo, ero troppo entusiasta di avervi raggiunto in tempo, e... Sono davvero mortificata. Non si ripeterà in alcun modo, d’ora in poi prometto che starò al mio posto, scusatemi ancora!” inscena tutto il suo perdono.
Ti conviene “mia cara”...
“Ebbene, il tuo è solo un generoso aiuto...-ironizzo inquieta- Ma, realmente, per cosa lo fai, cosa vuoi ottenere in cambio?” proseguo in tono duro scacciando gli accenni di pianto.
“Nel caso in cui vorrete usufruire dei miei servigi, il mio unico compenso sarà la felicità personale d’aver recato aiuto a qualcuno, contrariamente a quanto è stato concesso a me...”
Quell’ultima frase colpisce profondamente entrambi, io per prima non mi sarei mai aspettata un’affermazione simile da parte di quel mezzo volto tanto colmo di sicurezza e spavalderia. In realtà deve nascondere qualcuno di profondamente fragile...
Mi ammutolisco del tutto, assumendo inevitabilmente un’espressione in parte pentita per esser parsa tanto avversa nei suoi confronti. Mi auguro solo che sia sempre stata sincera...
Jack interrompe l’imbarazzante silenzio creatosi nella stanza con la sua scaltra dialettica: “Passiamo al negoziato! Supponendo che io e il mio angioletto irrequieto qui accettassimo i tuoi servigi, cosa dovremmo fare esattamente?” domanda riposizionandosi al mio fianco con aria curiosa.
“In quel caso dovrei stabilire un contatto costante con voi, per sapere dove raggiungervi e se necessitate della mia presenza. E siccome non mi sarà possibile essere sempre qui, e convengo con voi che la mia presenza non sarebbe sempre ben accetta, ho pensato per il primo inconveniente di affidarvi questo... -propone Scilla rivelando dalle pieghe del vestito un ciondolo dall’aspetto di un diamante cristallino, contenuto in una sottile catena dorata- E’ una pietra molto rara e particolare, la dovreste indossare solo per reclamare il mio intervento: a contatto con la luce del sole prende una colorazione vermiglia e riflette un sprazzo luminoso che mi segnala il vostro richiamo. Mentre per quanto concerne al mio secondo compito... Avevo pensato di inviarvi qui un tramite” accenna illuminandosi in un sorriso.
“Cosa intendi per quest’ultimo?” chiede Jack accigliato, assumendo una espressione buffissima data da un sopracciglio eccessivamente inarcato.
“Si tratta del figlio di Sogno, è un mio caro amico... -narra lieta- Un bizzarro semidio, ma potrete fidarvi di lui, sarà del tutto innocuo! Al momento non sa ancora utilizzare appieno i suoi poteri, sebbene è già capace di mantenersi in contatto con me anche a lunga distanza, perciò è l’unico che potrà esserci utile!” argomenta il tutto con ferma sicurezza.
“Non lo vedo qui con te, dove si trova?” Sarà invisibile anche lui?
“Al momento è rinchiuso nelle prigioni di Mayan (località situata a sud-ovest in una grande isola nel Mar dei Caraibi: Cuba NdAutori) -ammette imbarazzata- Tranquilli, non vi è finito per nessun reato grave! Ci hanno sorpresi nell’atto di inoltrarci insieme negli archivi della Marina, volevamo scoprire se erano sulle vostre tracce e in quel caso deviare le loro rotte, ma io sono stata l’unica a sfuggirgli- rammenta costernata-  Se accetterete il mio aiuto sarà indispensabile liberarlo!" predispone infine.
Lo sapevo che c’era un secondo fine, lo sapevo!!
“E’ del tutto ridicolo! Non contribuirò anche a liberare un detenuto!” mi oppongo ostinata.
“Tesoro... -interviene Jack divertito- ti ricordo che anche tu una volta hai trascorso una notte in prigione!”
Già, grazie a te, maledetto!
Replico semplicemente voltandomi offesa dal lato opposto al suo.
“Scusala...- dice rivolgendosi a cappuccetto grigio prima di assumere anch’egli un piglio serio - Al momento siamo diretti a Imìas, (località dalla parte opposta di Mayan NdAutori) è poco distante da qui, al nostro arrivo sapremo dare una risposta alle tue alternative, in modo da poterne discutere nel frattempo… insieme, eh, che ne dici?” conclude guardandomi.
Annuisco alla sua decisione ostentando tutto il mio inesistente entusiasmo.
“Andata!” conferma Jack alla nostra interlocutrice più che soddisfatta.
“Sì, è tempo che anche io vada…” riconosce affrettandosi.
Entrambi, in seguito, fummo certi in quel momento di vederla indietreggiare verso la parete da cui si era materializzata, con le braccia sospese, come in procinto di prendere il volo, ma sul proseguo non sappiamo ancora darci spiegazione...
Sappiamo solo che quella notte, improvvisamente agitò le braccia come un volatile spiega le ali, e poi, alla pari di una illusione, scomparve da sotto i nostri occhi, lasciando solo, come testimonianza del suo passaggio, una brevissima pioggerella di scintille luminose.
Io e Jack saremmo rimasti per molto e molto tempo immobili, in quello stato di sconvolgimento ed incredulità, se dalla porta non fosse entrato sbraitando soccorso un turbato membro della ciurma...

---Mi scuso se l'html della prima parte del capitolo inizalmente si lasciava un pò a desiderare, ma ho appena cambiato pc con un sistema operativo tutto nuovo e devo ancora imparare a sfruttarlo al meglio, sorry! Capitana.


Spagna vs Francia

“Il pandemonio, il pandemonio...Un’inarrestabile baraonda!!!” farnetica in modo sconnesso per giustificare la sua violenta irruzione nella nostra cabina, il madido pirata appena apparso dalla porta.
Il suo viso ambrato e lucido è sconvolto come i nostri dal turbamento, gli occhi quasi guizzano fuori dalle sue palpebre sbarrate, il mento è ripiegato verso il basso in una innaturale smorfia di terrore.
Coward, conosciuto anche come il pirata più superstizioso che abbia mai percorso il ponte di questa nave.
Non mi ha mai rivolto la parola da quando mi trovo qui, e se gli capita di incrociare il mio stesso percorso finge subito di non vedermi, una volta l’ho sentito borbottare tra violenti tremolii che porta molto male avere una donna a bordo, vede la sfortuna praticamente ovunque.
“Mastro Conward! Blateri più chiaramente le sue vuote ciance!” lo riprende Jack incollerito da tale intrusione.
“Si tratta dell’ispanico, Capitano! Quel vile demonio inviatoci dal Sigliore Iddio nostro creatore...” dice agitando le braccia verso l’alto come una disperata supplica.
Il Capitano ascolta, sbuffando sonoramente ai suoi deliri: “Ti riferisci a Juan per caso? Cosa avrà fatto...”
“Come, con ve ne siete accorto, signore? -domanda il pirata stravolgendo ancora di più il suo sguardo allucinato -Da quando gli avete permesso di risalire a bordo non ha fatto altro che attaccar brighe con quell’altro strano...Andrè!” lo informa mimando nervosamente mille scongiuri, dopo aver estratto dal lurido giaccone crocifissi, scacciaspiriti, un gris-gris (amuleto vudù NdA) spicchi d’aglio, peperoncini, ferri di cavallo, pentacoli, un Ankh e altri oggettini scaramantici che stritola incessantemente tra le dita timorose.
Sta davvero menzionando il tenero e quieto Andrè?!
“Ebbene, per quale motivo?” si fa più dubbioso.
“Non so! Non so... Ma sembrano posseduti, Capitano! Si ingiuriano e percuotono con tutto ciò che capita loro sotto mano... -perpetua strattonando nella disperazione la sua chioma intrisa di sale- Deve intervenire all’istante, prima che il diavolo si impossessi definitivamente di loro...!!” lo esorta trainandolo a forza con se al di fuori.
Quali effetti non comporta l’eccessiva esposizione al sole negli uomini...

Non credevo di dovermi realmente “armare” di acqua santa, o per lo meno di un solido scudo nell’affrontare lo spettacolo a cui assistemmo giungendo sul ponte, da dove si distingueva già chiaramente il feroce caos presente nel salone:
“MAIS COMBIEN…*BONG*… TU EN AS JETE’???” (ma quanto ne hai buttato? NdA)
“EL AZATRA’N NO ES UN PECADO…*SBANG*…ES UNA EXQUISITEZ! TU NO ERES UN COCINERO CALIFICATO PARA CRITICARME!!!”
(lo zafferano non è un peccato.. è una prelibatezza! Tu non sei un cuoco qualificato per criticarmi!)
“QUE TU AS DIT?? JE N’AI PAS COMPRITE” (che cosa hai detto? non ho capito!)
“EH??TU NO COMPRITE?!? AHORA TE HAGO ENTENDERME COME USA UNA SANTE’N…SOBRE LA CABESA DE UN FRANCE’S!!!”
(adesso ti faccio capire io come si usa una padella..in testa a un francese!!)
“NE PAS CE QUE TU ES EN TREN DE BREDOULLER...MAIS JE TE FAIS VOIR!!!” (non so cosa stai blaterando, ma ora ti faccio vedere io!)
Ingiurie miste a percosse di padellate con contorno d’urla, rabbia e uno spruzzo di rivalità, l’antipasto servito in tavola quella sera, notte.
La Pearl aveva lasciato il porto a mezzanotte e nessuno aveva ancora cenato, la ciurma affamata cercò dunque rimedio nei due cuochi, i quali non si fecero sfuggire l’occasione per dimostrare il loro prestigio, e saziare anche la reciproca “sete di affermazione” come il migliore sull’altro.
Ma, a giudicare dal risultato, il tutto finì in catastrofe, i due prepararono il medesimo piatto secondo le loro due tradizioni europee differenti: risotto! La colluttazione a cui assistiamo ha proprio questo come tema.
“Eh, già quei due folli vanno fermati... -s’avvede Jack intervenendo a dividerli, mentre si stanno malmenando a suon di mestoli, padelle e coperchi- SIGNORI…calma! Riponete le pentolacce -ordina energico, disarmando entrambi- Ed ora spiegatemi il motivo di tutto questo baccano a bordo della MIA nave!!” reclama scosceso.
E’ il più focoso, Juan, a farsi violentemente avanti per primo: “Capitàn, esto stupido francés non vuole che yo usa el azafràn...zafferano nel mio arroz…risoto!”
“Capiten -si difende il mio dandy supplichevole, anch’egli con il viso rosso per la furia- cRedete al vostRo Andrè? Non so che diSce quel moLusco…me, le safran è tRopo dentRo il Risotto!!!”
“VostRo Andrè?! Allontanati dalla mia presenza tu!- lo ripudia disgustato spingendolo via- Non prendo le parti di nessuno -mette subito in chiaro-...Aspettate -riflette un istante- mi state forse dicendo che sono venuto fin qui..perché state litigando... per un RISOTTO? Dei pirati che litigano su come CUCINARE del cibo?? -i due chef annuiscono animosi-…se fosse stato rhum sarei con voi compari, ma per dell’insignificante ZAFFERANO...!” riconosce sempre più stranito.
A quelle articolate parole nella sala scende un pacato silenzio, si odono soltanto le lievi orazioni di Coward, bisbigliate in almeno 5 lingue di altrettante religioni diverse.
Gli spadellamenti cessano di rumoreggiare, e tutti i presenti, me compresa, rintanata nello stipite della porta, ma con un occhio vigile ad assistere, attendono ansiosi l’esito del Capitano.
“Orsù... Poneteli in tavola ed assaggiamo entrambi!” esorta prendendo il suo posto a capotavola con una scintilla di curiosità aleggiante negli occhi.

In pochi secondi, dall’entrata della sala, ora molto più silenziosa, seppure animata dal vociferare impaziente dei presenti affamati, esordiscono due ampi vassoi fumanti, uno color dell’oro e il secondo scuro quanto la pece, accompagnati da un sospiro generale dettato dalla fame, nel loro volteggiare frenetico per aggiudicarsi l’approvazione del Capitano, colui che ricevere sempre il pasto per primo.
I due corridori gareggiano lungo le due estremità della lunga tavolata, i loro piedi volano sul scivoloso “selciato”, somigliate più ad un cimitero di residui di cibo in decomposizione. Si fanno largo tra decine di pance vuote e volti voraci pronti ad assalirli, mantengono sulle braccia e nei polsi un equilibrio incredibile, facendo, nonostante la corsa, ondeggiare appena i grandi vassoi argentati, ed infine giungono con il fiato corto sul collo del Capitano, già armati di mestolo e modi gentili.
La lotta sopra il cappello a tricorno di Jack (non ha mancato di indossarlo nonostante l’emergenza) è all’ultimo sangue, inizia con insulti e minacce silenziose e si conclude con una gara di velocità su chi riempie più velocemente il piatto del Comandante, finendo per rilasciare nella stoviglia di porcellana un cumulo spropositato di riso.
bleah
Jack osserva quella poltiglia tendente al marrone, per il miscuglio del dorato zafferano e l’oscuro... inchiostro di seppia, senza celare una mezza smorfia di disgusto, poi volge uno sguardo inceneritore ad entrami gli chef.
I sudori freddi che colgono quelle due canaglie testimoniano il loro timore e sconcerto reciproco, dato che non capiscono proprio in cosa hanno errato.
“Vi rammento che a questo tavolo è presente anche una signora!” ammonisce Jack indicandomi al suo fianco, quella cadenza di tuono mi risveglia dal la mia dissociazione momentanea dalla realtà, presente da prima nella mia mente, dove risuonano quanto un eco le aspre parole di Scilla.
“...Come? Oh, no. Grazie, non ho appetito in questo momento!” cerco di oppormi in modo cortese, sento davvero lo stomaco oppresso da un peso.
“Mademoiselle, se non lo asaJate mi ofendo!” interviene Andrè, volgendosi con foga al mio fianco per esibire in tavola la sua portata.
Ma è Juan il cuoco tra i due più vicino a me.
Scorgo con la coda dell’occhio l’ispanico affondare il ramaiolo nel risotto nero fumante, sollevare la porzione indirizzandola al mio piatto, ma l’istante prima che ve la depositi, una violenta gomitata lo scaraventa in avanti, facendo ruzzolare non solo lui, bensì anche gran parte della sua creazione prelibata.
Il merito della caduta va ad Andrè che ora depone al suo posto, con aria trionfante, una generosa cucchiaiata dorata ticchettando il mestolo ligneo sul bordo del mio piatto.
Ma nel frattempo tutti veniamo perturbati da quel capitombolo tanto comico quanto pietoso, poiché rappresenta sempre tante ore di duro lavoro in cucina gettato al vento.
Juan Carlo Ostras rimane per un istante a terra con espressione turbata, in parte ricoperta da tanti gustosi chicchi neri, ormai immangiabili, ad osservare di spalle la figura florida e gongolante del francese.
Poi una fiamma si accende in lui, gli parte dallo stomaco, risale dalla gola e
viene scagliata fuori dalle sue labbra con un forte urlo d’imprecazione, a tutti incomprensibile, almeno fin quando non si indirizza febbricitante a stagliarsi con le mani intorno al collo di Andrè.
Il vassoio del riso dorato viene rilasciato pesantemente sul tavolo, se non mi fossi spostata mi avrebbe travolta, mentre il francofono reagisce per cercare di difendersi.
Approfittando dello scompiglio generale, qualche coraggioso membro della ciurma, si avvicina gattoni al fulcro della rissa e sgattaiola via con il “bottino d’oro” per saziare finalmente l’appetito.
Con un gesto fulmineo trovo riparo sotto al tavolo, dove cerco di ricreare un fronte di difesa utilizzando le panche e le sedie lì attorno, se proprio quei incivili con cui son costretta a convivere vogliono malmenarsi, che non lo facciano in mia presenza!!
Sto per terminare la muraglia quando mi imbatto in qualcuno che probabilmente ha avuto la mia stessa idea e riconosco come... Jack!
“...Capitano! Che diavoli combini qui?!” domando in voce altera cercando pur sempre di non farmi sentire.
“Ehm, umm... Vedi, tesoro... I-io...” risale ad una scusante, cercando di prendere tempo vaneggiando.
“Sono i tuoi uomini quelli là fuori, sei l’unico che può fermarli! E invece ti ritrovo qua sotto, nascosto come un topo” interrompo i suoi tentennamenti in cadenza delusa.
“Jenny- replica afferrandomi per le spalle- tu non sai cosa può diventare Andrè in una rissa quando si parla di mangiare! -esordisce preoccupato- Questa sua sciocca mania cancella tutto il suo perbenismo di facciata e lo trasforma in una vera belva furiosa, non si ferma finché non vince!” narra enfatizzante senza mancare, anche il questo spazio ristretto, di gesticolare come un forsennato.
Nel suo fiato capto un odore fin troppo concentrato di rhum, ecco perché farnetica in tal modo... Avrà voluto mettersi a tavola solo per affogarsi in quella vile bevanda.
Ammetto la mia poca convinzione, ma mi tranquillizzo, il trambusto sembra spostarsi dalla parte opposta della tavolata, da quanto mi è concesso capire, ora tutti si stanno litigando la propria porzione del risotto rimasto, e la rissa si è estesa a tutta la ciurma sebbene nei pressi dell’entrata.
“Niente paura, chéri -dice facendosi più vicino, credendomi intimorita- Li ho visti litigare per molto meno, e per appetiti migliori!” allude con un sorrisetto sghembo.
“Immagino...” acconsento dubbia, notando nelle mie vicinanze una posata scintillante che si rivela poi essere un cucchiaio. Un pensile simile ad una tavolata dove in genere si dilettano solo a mangiare con le mani??
“Puliranno tutto loro l’indomani, a zuffa conclusa, quando saranno abbastanza sobri e fiacchi!” decide sollevato, pensando così di risolvere tutto.
“E dimmi, Jack... Hai trovato infine una buona ragione per cui ti sei rintanato qui?” pongo sfidante.
“Perché, ecco... -esita ancora- Volevo ripararmi da eventuali imbrattamenti -trova poi una valida argomentazione- sai, ci tengo ad essere sempre lindo e terso per te...” inventa sfoggiando fare innocente.
Io non direi proprio...
“Tu trovi sempre spunto per scherzare! -dico divertita- Allora, visto che sei qui, non ti dispiacerà assaggiare...Questo!” con la posata raccolgo una piccola quantità di riso allo zafferano, colato dal tavolo sopra le nostre teste, e servendomi del cucchiaio come di una catapulta, miro al naso di Jack centrandolo in pieno.
La mia mira non è affatto calata!
Ora la sua faccia impiastrata di giallo si è rilassata in una espressione incredula che in pochi secondi tramuta in demoniaca.Ma preferisco non trattenermi oltre, e scampo per un pelo a quelle grinfie, facendomi goffamente largo tra le mura da me stessa create, per poi scampare dalla sala da pranzo, seppur slittando tra vetri rotti, schegge di legno e cibo sprecato, attraverso la finestra che conduce direttamente al ponte di comando.
Cavalco silenziosa l’aria notturna, infranta da nuove grida di protesta in lontananza, le quali ammutoliscono una volta rientrata nel vano che conduce alle cabine. Nessun movimento alle mie spalle, Jack si sarà ingarbugliato in quella stessa trappola da me creata come difesa.
Appena ritorno al sicuro mi privo degli abiti della giornataccia appena trascorsa per ricorrere alla più comoda camicia da notte, e finisco con l’abbandonarmi, questa volta del tutto, dalla mia metà del letto.
Sto quasi per addormentarmi, quando la porta della cabina si apre lentamente con uno scricchiolio sordo, e dal passo incerto e pesante riconosco il Capitano in avvicinamento.
Apro gli occhi per avere un accenno dei suoi movimenti, e dalla fioca luce lo scorgo intento a levarsi gli stivali riponendoli scompostamente a terra, per poi accomodarsi sul letto con la schiena rivolta alla spalliera, armato di piatto e di cucchiaio. Non pare arrabbiato, né il suo naso è più falbo.
Sorrido al suo non mancare mai di stupirmi per le sue stranezze, mentre lui porta il cucchiaio alla bocca degustando quello che ravvedo come il risotto nero cucinato da Juan.
“Mmm... -approva estasiato assaporando tutto il boccone- Non sai cosa ti perdi!”
“Come hai fatto ad averne? Era andato quasi tutto perso...” contesto in voce vaga.
In risposta esibisce un ghigno furbo: “Sono Capitan Jack Sparrow!”
Mai che manchi di ricordarlo e di farmi ridere ogni volta.
“Jack...-dico mutando totalmente tono- Ho paura..." ammetto stringendomi al suo torace.
“Per ciò che ha detto Scilla?” chiede conferma che riceve con un mio cenno silenzioso del capo.
“Dolcezza...- ridacchia roco ponendo il piatto sul comodino- Non mi succederà niente! -dice altruista, con la sua voce calda, sollevando verso di se il mio mento imbronciato- Ci sono andato vicino molte volte, so cavarmela! Mi meraviglio di te, a credere così ciecamente a certe idiozie sperperate da un volto di cui non sai nemmeno l’aspetto!” conclude sorpreso, fingendo rimprovero.
“Non è questo... -nego irritata- Quella donna ha un effetto strano su di me, come dire... Sembra ipnotizzarmi! Mi rende del tutto incapace di reagire -confesso adirata- come si è visto oggi...” confermo scoprendo la fronte dove si trova la ferita, ora bendata, resa abilmente quasi invisibile dal ciuffo.
“Suvvia, non è niente -mi incoraggia allontanando le mie mani da quel taglio ancora pulsante- Il peggio è passato, basterà solo un po’ di riposo, che per l’appunto non ti sei ancora concessa, quando dovresti!” alleggerisce il tutto, preoccupandosi di rimboccarmi le coperte per incitarmi a dormire.
“...Ma accetteremo il suo aiuto, Jack?” ignoro il suo gesto per avere un’ultima conferma.
“Perché dovremmo? -domanda crucciato- ...Ti preoccupa a tal punto?” la risposta affermativa l’ottiene dal luccichio delle lacrime che si impadronisce dei miei occhi.
“D'accordo, d’accordo... Come vuoi, vediamo fino a che punto è disposta a trascinarci... Ma io rimango della mia opinione!” stabilisce col fare altezzoso di quando si trova in disappunto.
Il mio sguardo smarrito muta in uno più quieto e riconoscente che si fonde in un abbraccio tra mille miei “...Grazie!”
“Mi pareva ti dispiacesse l’idea di avere a bordo un’altro galeotto...” riconosce a suo favore, rammentando i termini della ricorsa all’aiuto della donna.
“Umm, no. Ve ne sono già parecchi... E poi magari questo sarà più benevolo, e utile, aitante, e bello...” lo provoco figurandomi a fantasticare.
Sotto di me avverto il suo corpo irrigidirsi e stizzire per l’indignazione.
“Ci sei cascato anche tu! ...Ti prendo in giro!!” lo derido soddisfatta.
“A tal proposito: sai, vero, che mi vendicherò di quanto è accaduto poc'anzi?” definisce nefasto.
“Oh, suvvia, Jack! E’ stata una stupidaggine!” Ma non per lui.
Infatti a mia insaputa, già in quel momento, stava attuando la sua rivalsa... Dandomi semplicemente il bacio della buona notte, e approfittando del mio totale abbandono a lui per fingere di carezzarmi i contorni delle labbra, disegnando invece con la punta delle dita un paio di grandi baffi scuri sotto al mio naso, servendosi dell’inchiostro nero del risotto.


2011 - Odissea nel passato.

Le trombe d’aria in California non sono un evento poi così straordinario, se ne vedono spesso, e parecchie, ma tutti sono sempre già pronti ad affrontarle con sofisticati mezzi di sicurezza e superarle al meglio.
Non quando una di esse si scatena in camera tua però...
E Dylan per contrastarla non poté fare altro che contare solo sulla sua resistenza, unita a testardaggine ed ebrezza del pericolo, cosa a cui lui in 18 anni e mezzo non si è mai sottratto.
Le nocche delle sue mani, serrate ormai da alcuni minuti intorno al davanzale della finestra per impedirgli di essere spazzato via, sono livide e doloranti, ma resiste, aspetta con il cuore in gola e gli occhi infervorati di curiosità, ciò che lo attende al cessare del bagliore accecante, concentratosi in un cerchio di luce, al centro della sua vecchia camera da letto di quando era bambino.
“Dai...dai...” mugugna a denti stretti, pregando che il tutto finisca al più presto.
E tale invocazione viene esaudita, quando quei raggi luminosi si intrecciano come lunghi rami, in un vortice che sale sopra di lui e modella una vaga sagoma femminile, la quale irrompe nella stanza riportando con se il semi-buio.
Il ragazzo ricade pesantemente a terra, lamenta di non sentire più le dita e i polsi, ma ora finalmente, può guardare in faccia cosa, o per meglio dire colei, la causa di tutto questo trambusto.
dy finestra
“Oh...” mormora incredulo, colto da profonda sorpresa, riconoscendo dal fioco bagliore che la donna emana, contrastante il grigiore di quel meriggio di pioggia, la dea dei sogni.
Nonostante si senta lievemente intontito, rimane prostrato a terra sistemandosi in una posa il più possibile somigliante ad un elegante inchino, così da accogliere come dovuto la divinità.
Sogno lo osserva accigliata trattenendo un riso: “Hai perso qualcosa, Dylan?” domanda chinandosi a sua volta nei pressi del viso prono del giovine.
Dylan rialza di scatto lo sguardo, incrociando gli occhi vispi e furbi della donna che gli sorridono, e avverte di potersi sentire più a suo agio.
“No, signora!” replica scattante.
“Signora?! -lo apostrofa fintamente indignata- Non sospetti nemmeno lontanamente chi io possa essere?”
“Ma certo. Chioma fluida e bionda, veste azzurra... Sei la fata turchina!” scherza rimettendosi in piedi, provocando anche in lei una spassosa risata.
“Benvenuta in mia casa... -la omaggia di nuovo, imitando l’accento rumeno del Conte Dracula-...Sogno! Patrick non fa che parlarmi di te, e poi avete lo stesso sguardo buono -sorride come ha già visto fare Jennyfer- Sono onorato di averti qui!” non sa se abbracciarla, o solo stringerle la mano, come si saluta una Dea? Forse un semplice sorriso può parlare più di qualunque altro gesto.
“Ti ringrazio, Dylan -ammette sincera, quasi intimidita da tale ingresso- E perdona disordine che ha suscitato il mio arrivo qui dentro!” dice desolata
guardandosi attorno, in quell’altro sgombro da ogni forma di mobilia, ma con le pareti interamente tappezzate di fogli scritti e disegni, ora un po’ disseminati ovunque.
“Oh, nessun problema, ci son solo scartoffie qui...” non ci bada, affrettandosi subito a raccoglierli e riporli sul muro.
Sogno si offre di aiutarlo, ma Dylan rifiuta, sembra averli molto a cuore.
La Dea dunque si avvicina lentamente ad una parete per scorgere la natura di tali scartoffie, ma non trova nulla di tutto questo, bensì dei magnifici e realistici ritratti, ancorati al muro con delle puntine da disegno, come si fissano i ricordi nel cuore, testimoni di un volto che non appartiene più a questa epoca da lungo tempo.
I suoi tratti sono fini, morbidi, all’apparenza tristi, ma la loro mestizia è scongiurata dagli occhi, al contrario grandi, chiari e luminosi, fino a poterci leggere l’anima.
Identici a quelli che in questo momento la stanno realmente osservando lì accanto: “Tremendi, vero? Quelli che stai guardando sono solo i primi che ho fatto, ora sono un po’ migliorato...” le assicura scompigliandosi i capelli umidi di pioggia per l’imbarazzo, con ancora un fascio di altri disegni in mano.
“No, affatto! Sono magnifici Dylan, dico sul serio! Sembra di averla qui...” nega complimentandosi con lui.
“Cerco di tenerla vicina, e così riporto su carta l’immagine dei miei pensieri...” spiega volgendo lo sguardo anch’egli ai disegni sulla parete, e le sue iridi smeraldo si fanno più lucide nonostante sorride.
Sogno gli circonda una spalla, come farebbe con suo figlio, sente che Dylan prova lo stesso vuoto che lei nutre per Leonard.
“Volevo scusarmi con te anche per il modo affrettato con cui ti ho trascinato qui...! Ma non hai dormito molto in questi giorni, vero?” i segni scuri intorno agli occhi del Signorino Allyson lo confermano.
Il ragazzo la osserva per un attimo frastornato, poi ammette: “Sì, per lavoro... In effetti ricordo di essermi appisolato mentre rientravo a casa in metropolitana, di aver fatto un sogno molto strano, e quando mi sono svegliato ho sentito il forte bisogno di venire qui!” ripercorre ogni suo passo che insolitamente quest’oggi l’ha riportato in questo luogo, per lui colmo di ricordi.
La Dea ride sommessamente con aria furbesca.
“Ah, dunque sei stata tu!” la scova divertito.
“Che lavoro fai adesso?” domanda incuriosita per sviare il discorso.
“Bhe, ecco, è una storia lunga -ma Sogno lo esorta a continuare- Vedi... Dieci anni fa quando sono tornato nel futuro, per tre anni non ho fatto che giocare ai pirati, i miei genitori erano molto preoccupati, mi ero fatto regalare da loro un cappello giocattolo da Capitano e non lo volevo togliere nemmeno per andare a dormire -parla della sua infanzia con aria felice, giocosa- A 12 anni mi sono buttato disperatamente sui libri di storia, è stato lì che ho iniziato a sentire fortemente la mancanza di Jennyfer -pronuncia il suo nome sommessamente, in tono grave. Saranno anni che non ne può parlare con nessuno. Anche se non lo dà a vedere, deve fargli molto male- E... Non so come... Volevo cercarla, trovare una notizia su di lei, sulla Perla, su Jack... Ma le mie ricerche sono state vane. Quando fui sul punto di arrendermi, sono semplicemente tornato al museo, dalla mappa! Ed è stata quella la mia chiave, non tanto il contrario -prosegue rimembrando le parole di Patrick sul fatto che Dylan è, e sarà sempre il custode della mappa- Ho iniziato a studiarla in tutto e per tutto, e sono giunto al proprietario che l’ha ceduta al museo. E’ ancora vivo e abita a San Francisco, così quell’estate, anziché andare in spiaggia come tutti i quattordicenni, prendevo il treno ogni giorno e mi recavo da lui. -Non ti arrendi mai, vero?- Mi sono offerto come tutto fare: gli selciavo l’immenso giardino, pulivo la sua piscina... Le punizioni che mi infliggevano i miei genitori sono servite, visto? Ho curato più casa sua di questo chiccoso (sciccoso) rudere che ormai cade a pezzi... -scherza sull’ancora bellissima residenza vuota che l’ha visto crescere- E infine gli riordinavo lo studio, solo in cambio di poter accedere alla sua biblioteca e a qualche altro prezioso documento che potesse raccontarmi di lei...” ne parla come di un angelo, l’angelo custode che ha perduto.
“Caspita, Dylan! Quanta passione hai impiegato in tutto questo!” riconosce ammirata.
“In realtà... A me non pare di aver fatto granché -ammette in tono triste massaggiandosi il copino- In 4 anni ho trovato poco niente come informazioni, ma il Conte Prinston ora mi sta aiutando, si è appassionato anche lui di questa storia, sa solo che Jennyfer potrebbe essere una mia antenata!” ride appoggiandosi distrattamente al muro, dove la sua mano si posa intorno alla guancia allargata in un sorriso della sua adorata Mozzarella.
Lo sguardo di Sogno percorre velocemente tutta la parete sulla quale è immortalata ogni possibile espressione di Jennyfer, in alcuni ritratti Dylan l’ha pensata persino al fianco di Jack.
disegno
“Dylan... Non mi chiedi perché sono qui?” lo interroga riacquistando l’attenzione del giovane Allyson, smarritasi a sua volta lungo il muro.
“No...! Sarebbe da maleducati porre tale domanda ad un ospite tanto prestigioso -sostiene imitando uno sprezzante rimprovero- ...Perché sei qui?” si contraddice sogghignando.
“Sono venuta qui... Per verificare con i miei stessi occhi se meriti di ricevere un regalo!” rimane vaga, ma sfoggiando un’espressione gioiosa.
“Meritare un regalo... E per cosa?” dice incuriosito.
“Le altre divinità mi avevano detto: “Non andare, Sogno! Cosa pretendi di trovare? Un diciottenne alcolizzato già stanco di vivere che ha buttato via la sua vita per qualcosa che non potrà mai riavere!” li imita emulando una voce grossa e adirata.
“Ahahaha, hanno detto proprio così?! -la Dea annuisce- Grazie per la fiducia miei cari!” ride di gusto allargando le braccia e volgendosi al cielo, o in questo caso, al soffitto, dove indirizza le sue parole.
“Oh, no. Alcol no. Semmai solo il rhum! -rassicura- I tuoi parenti sanno essere proprio delle vipere eh!” scherza ancora divertito.
“Hanno ben poca fiducia negli esseri umani ...Ma io sapevo di poter contare su di te. E dunque, eccomi qui! ...Per tutto l’impegno che vi hai impiegato, sono ormai certa che meriti appieno questo dono!” dichiara divenendo sempre più luminosa, mentre il sole alle sue spalle tramonta.
Il moderno Odisseo continua ad osservarla interdetto, senza capire.
“E’ qualcosa che hai sognato molte volte... -svela sotto forma di indizio- Ed ora ho avuto la conferma di poterlo realizzare! -aggiunge, prendendo tra le sue, quelle mani d’artista- ...Ma! Devi promettermi di limitarti a guardare -gli raccomanda- Non devi parlare, né dire chi sei, e tanto meno tentare di sconvolgere la situazione in cui ti troverai. E’ possibile che ti vedano, ma devi condurre la tua visita alla pari di un fantasma...!”


May I keep you? (posso tenerti con me)

Quiete e silenzio.
Chi l’avrebbe mai detto che una caotica giornata del genere, infine, potesse concludersi così?
Solo quiete e silenzio.
Qualche schiamazzo in lontananza dal salone da pranzo con i lumi ancora accesi, il rollare regolare del timoniere, le assi scricchiolanti sotto ai suoi piedi, il sonnecchiare scandito dal russare sommesso delle sentinelle notturne, il ponte deserto, la calma della notte e del mare luccicante, dove le stelle vanitose si specchiano...
La fresca aria tranquilla si fa largo tra gli astri, e trova il suo nascondiglio nelle finestre di una stanza, lasciate aperte per distrazione, intrecciandosi nel respiro di due anime, legate l’uno dall’altra, che si cercano in un abbraccio anche nel sonno.
I loro occhi chiusi non possono accorgersi che uno di quei numi ha appena sceso la scalinata di stelle per posarsi tra loro.
Due paia di piedi scalzi atterrano piano, nel buio fondale della stanza, raramente illuminata poiché operativa solo di giorno.
Dylan si è privato delle scarpe infangate come gli è stato chiesto da Sogno,  per evitare ogni rumore, sa di esser giunto a destinazione, ma ha ancora le palpebre strette di chi ha paura di vedere, e forse deludere le proprie aspettative.
Inspira profondamente e sente già che l’aria è cambiata, non è più quella frizzante e rumorosa di Los Angeles, ma è piuttosto umida e afosa, come di un luogo tropicale.
La mano che stringe la sua si allontana per ricadere sulla sua spalla, sussurrando: “Ci siamo, puoi guardare adesso!” pronuncia flebile una voce entusiasta al suo fianco.
Il ragazzo fa come gli viene detto, ma riaprire gli occhi, inizialmente, è esattamente come averli velati: vede solo una profonda oscurità dinanzi a se.
“Segui le indicazioni che ti ho dato -prosegue la voce- ma ricorda che non manca molto all’alba, perciò forza, sbrigati!” lo incita dandogli una piccola spinta di incoraggiamento.
Il giovine barcolla in avanti, e ritrovata la stabilità si concede qualche altro secondo per abituarsi al buio ed orientarsi un poco.
Ha l’impressione che la stanza...ondeggi. Il rumore delle onde che attraversa i finestroni glielo conferma: si trova su una nave!
Muove qualche passo incerto, avvertendo ad ogni movimento un odore diverso: tabacco, sale, mirra, incenso, cera di candele... rhum!!
Il suo pensiero non può che andare ad un uomo molto insolito di sua conoscenza, ma no, è impossibile...
Eppure, pensandoci bene, ha la sensazione di essere già stato in quel luogo, non vuole crederci ma è così.
La sua incertezza viene colmata quando, inciampando in una sedia lasciata fuori posto, si rende conto di conoscere la tavola a cui appartiene: un raggio d luna traccia i contorni di uno scrittoio cinquecentesco, più che un tavolo, ricco di intarsi elaborati e colmo di mappe, scarabattoli, pennini, boccette di inchiostro, pietre luccicanti e bottiglie vuote dalle pareti ridondanti e il collo stretto.
“Ci arrivavo appena un tempo... Mi arrampicavo fin qui con le mie dita salsicciose, riuscendo a sporgere soltanto il naso, quel poco per rimaner incantato dalla magica punta del compasso che Jack faceva roteare sopra le mappe, sognando di poterlo fare anche io un giorno, girando il mondo...”
Tastando a lungo quel guazzabuglio trova un fiammifero, lo accende.
E’ solo uno spillo di luce imbevuto nelle tenebre.
Lo tende allo scrittoio: trova un diario! Lo sfoglia, sembra un diario di bordo.
Guarda l’ultima data: 28 Febbraio 1661.
“Incredibile... Sono trascorsi solo due mesi da quando me ne sono andato, e io ne ho vissuti dieci... anni!”
Sente mancargli il respiro e la testa girare, per poco non lo lascia andare d’improvviso, causando altro rumore che questa volta potrebbe costargli la sua presenza in quel luogo, mentre viene percorso da mille sensazioni contrastanti come euforia, stupore, incredulità, gioia, preoccupazione...
Serra le labbra socchiuse per lo sbigottimento con le mani, così da non lasciarsi sfuggire alcuna asserzione che potrebbe rilevare la sua presenza, e finalmente si rende conto di aver sempre saputo fin dal primo istante dove si trova...
“E’ la cabina del Capitano...!” grida dentro sé.
Il suo corpo viene scosso da una scarica d’adrenalina, mentre il cuore soffocato, cerca di farsi spazio dentro quel petto palpitante, ormai incapace di contenere tutta la felicità che lo colma.
Degli impercettibili movimenti lo fanno allarmare, e spegne subito il fiammifero, gettandolo lontano da sé. E’ di nuovo senza guide.
Compie una giravolta su se stesso per ricercare nuovi punti di riferimento che possano orientarlo: alla sua destra intravede a fatica, più vicina di quanto pensasse, la porta di ingresso, rischiarata dall’ampia finestra spalancata che le sta di fronte, sul lato opposto.
Ricordava immensa questa stanza, un grande covo di nascondigli, una foresta di oggetti strampalati come il loro Re, mentre ora tutto è rimasto affascinate, ma distante e meno visibile ai suoi occhi.
Si ripete di stare calmo, e non lasciarsi prendere dal panico o dall’entusiasmo. Richiude le palpebre e trattiene per qualche istante il fiato, mettendo all’erta tutti i sensi, e finalmente capta da lontano due regolari respiri.
Provengono da nord ovest, il letto è dunque rimasto esattamente dove si ricordava.
Calibra ogni passo, preoccupandosi di bilanciare silenziosamente ogni movimento, e svia il suo percorso verso sinistra, passando accanto alla finestra come un’ombra.
Mentre la distanza che si separa dall’avverare il suo sogno si riduce sempre di più, il pallido astro lunare disegna a tratti la sponda del letto che cerca di raggiungere: un groviglio di bianche lenzuola in lino fanno da cuscino alla morbida sagoma di un piede.
Dylan si fa avanti con uno scatto, ma ciò che gli si presenta da vicino è un arto irsuto, calloso, sporco, decisamente poco femminile...
“...Jack...!” sogghigna il giovane, ammirando la totale libertà dell’uomo che riposa in quel letto, anche se non lo può vedere, e pensa a cosa darebbe per essere un po’ più come lui.
Poco più in là scorge anche l’altro piede, o per meglio dire calzare!
Il Capitano si è addormentato con ancora uno stivale indosso...tipico.
Se lui riposa da questa parte, Jenny non potrà che essergli accanto!
Infatti, la sola cosa che l’inesistente luce gli permette di vedere è il lieve riflesso su quelle che crede siano un paio di gambe nude.
Il ragazzo si muove intorno al letto, fin a giungere a tentoni vicino a dove immagina si trovi il cuscino dell’amata sorellina.
“Se solo avessi la certezza che sei qui...” a quel punto, brancolante nel buio, si siede a terra e affina l’udito, accontentandosi anche solo di ascoltarla dormire, per tenerla, quel poco che può, più vicina ai suoi pensieri.
Ma una promessa, per essere tale, va esaudita in ogni sua richiesta, perciò, come se qualcuno ascoltasse i suoi dubbi, una scintilla più potente interrompe improvvisamente l’oscurità, e accende crepitando la miccia della candela riposta sul comodino.
Il lume si proietta sul giaciglio con un flebile raggio soffuso, ed illumina una schiena ammantata da lucida seta violacea.
Una cascata di boccoli leggeri la ricopre, e in parte si adagia al petto del Capitano, sopra il quale riposa un viso sereno, privo di ogni cattivo pensiero. La pelle bianchissima non è più tale, ma rimane comunque lattea a confronto del ramato braccio tatuato che la stringe a sé.
Jack non cambia mai, è sempre lo stesso. Sembra impossibile, ma mantiene il suo perenne sorrisetto compiaciuto anche nel sonno.
E’ così che li ritrova: abbandonati ai sogni, persi insieme nei luoghi perfetti della loro fantasia.
Per la prima volta dopo dieci anni può non immaginarli soltanto...
Li osserva a lungo con sconcerto, pensa a quanto vorrebbe poter dire “Sono qui... Sono sempre qui...”.
A poco a poco trova la forza di rialzarsi, anche se le gambe tremano, ma resistono, non ha molto tempo, e non vuole perderne solo perché l’emotività cerca di ostacolarlo.
Si muove lentamente lungo il perimetro del giaciglio, ma la sua mente è vana, gli occhi fissi, spalancanti, increduli...
Infine, quando lo sguardo gli ricade pienamente sul viso di Jennyfer, le sue idee si riordinano per formulare un unico pensiero: “...Non potevo immaginarti più felice di così...” E allora anche il suo animo si rasserena e diviene più leggero.
La piccola fiamme arde rischiarando le ombre, brame colme d’invidia che cercano di inghiottire quell’amore. Assistere all’entità di tale spettacolo, da così vicino, senza essere visti, disarma ogni giudizio, lasciando scorrere solo l’emozione, come accade a Dylan dinanzi a tutto questo, quando non riesce a far altro che piangere in silenzio tutta la sua commozione.
Ma c’è pur qualcosa che deve fare, una traccia del suo passaggio da lasciare... Nella sua mente, dove di piani diabolici ne ha formulati spesso, finalmente balza un’idea!
“Vediamo se ricordo dove si trova la cucina...!”

Riprendo lentamente conoscenza, non so dire quanto ho dormito, poco a quanto sembra...
Ho le palpebre gonfie e pesanti, non hanno alcuna intenzione di aprirsi, ma gli altri miei sensi sono già vispi e impazienti di rivedere la luce del sole.

Sono ancora qui, la notte cala, l’alba sta sorgendo, ma di Sogno tuttora nessuna traccia, a quanto pare i sudditi del sonno dormono ancora.
Sfrego le mani appiccicose, chissà se Jenny capirà...
Poi, quasi a dare risposta al mio quesito, la vedo voltarsi, nel sonno, la mano che mi sono imposto di non sfiorare per tutto questo tempo s’avvicina pericolosamente alla mia, per fortuna senza scontrarla.
Il volto della mia Mozzarella si scosta dal petto di Jack per rigirarsi nel letto, e finire col ruotare dalla parte opposta, verso di me, come se volesse silenziosamente parlarmi. Sento che ha cambiato respiro, è più frequente ora.
La candela si è consumata ormai, vi sono i primi sprazzi del crudele mattino a far luce, e proprio da quelli rivedo più vicini i tratti che da anni cerco di disegnare, senza mai riuscire davvero a riportarli in tutta la loro graziosa bellezza, che Jenny spesso dimentica, impaziente quasi che il tempo la faccia svanire.
Proprio mentre parlo di bellezza, lo sguardo mi ricade al di sotto del suo naso, dove si ergono due curve nere dipinte ad arte che si arricciano lungo le guance. Non hai spuntato i baffi sorellina?!
Ma trovo in breve l’arma del delitto: il caso vuole che il pollice di Jack sia casualmente inchiostrato.
Si amano sempre come i due bambini dispettosi che ricordavo, loro sono da tre dispetti e un bacio.
Ma tutto ciò è talmente ridicolo ed esilarante che questa volta proprio non resisto...

Un ronzio improvviso... No, una pernacchia?
Sembra...Sembra...
Una risata! Trattenuta... Che per giunta non ho mai udito...
Da chi...Da cosa è causata, da dove proviene?
La curiosità è davvero troppa, anche per i miei occhi pigri e stanchi che finalmente riapro, trovandomi, con mia enorme sorpresa, ad essere... osservata.
Non so cosa ci si aspetta esattamente di vedere quando ci si risveglia...
E’ sempre questione di attimi, quei momenti in cui inspiri forte e ti fai coraggio per incominciare un’altra dura giornata. In genere non faccio mai caso alla prima cosa che vedo...
Forse è la parete, il mare fuori dalla finestra... Il volto di Jack, il sole che ferisce gli occhi e maledici ogni mattina... Ma ritrovarmi addosso il viso divertito di uno sconosciuto intento a fissarmi intensamente, bhe no, non l’avevo mai preso in considerazione.
dylan 18
Le mie palpebre da una impercettibile fessura che s’allarga a fatica, si spalancano come fari. Un groppo in gola, le labbra serrate, sento che sto per urlare.
L’intruso se ne accorge, diviene pallido, improvvisamente serio, colto sul fatto, ma si spaventa anche lui. Inarca le sopracciglia in espressione preoccupata, i suoi occhi chiari mi supplicano di non farlo.
In ogni caso non mi riesce di dire una parola.
who are you?
Cerco la forza di una spinta nelle braccia, e mi sollevo, arretrando di corsa, appiattita verso lo schienale, il più possibile lontana da lui, schiudendo solo le labbra per riprendere fiato, divenuto affannoso.
Lui non si muove, rimane lì, fermo, continua a guardarmi rannicchiato appena oltre la sponda del letto.
Chi diavolo sei tu...? Jack svegliati...svegliati...!
Con la mano meno in vista ricerco al mio fianco, muovendomi molto lentamente seppur tremando, la zuccaccia di quel ghiro che mi dorme accanto.
L’osservatore non invia alcun segnale che possa lasciar cogliere i suoi intenti.
Lo sguardo curioso che gli fa da cornice al viso si allarga solo in un gran sorriso, che cancella i leggeri baffetti incolti e coinvolge ogni piega del volto, creando all’altezza delle guance due fossette vezzose, prima che qualcosa alle sue spalle, di cui non riconosco la natura, l’avvolge e lo spazza via nel semi-buio, quasi fosse polvere e non più un uomo.
Trattengo il respiro a lungo, stupefatta, aspettandomi che riappaia d’improvviso altrove, ma fortunatamente non accade...Ma com’è sparito??
Impiego parecchi minuti per tranquillizzarmi, e comprendere se ho sognato o è tutto vero.
Neppure io sono più stata capace di muovermi da quanto mi ha spiazzato con quella asserzione gioiosa, ma ora il pericolo sembra essere cessato.
Volgo il collo irto e rigido verso Jack e lo vedo con la faccia affondata nel cuscino, a pancia in giù, che dorme ancora alla grossa.
“J...ack...Jack!” squittisco sconvolta, agitandolo animosamente.
In risposta mi giunge solo un mormorio indistinto e rabbuiato.
“Svegliati, ti prego... C’era un uomo qui!”
“Se non aveva una grossa botte di rhum con sé... Non è di mio interesse, tesoro!” si esprime biascicando, ancora immerso nelle piume d’oca.
Perché non ho a disposizione una secchiata d’acqua quando serve! A quanto sembra è del tutto inutile discutere con il bello addormentato.
E se lo sconosciuto fosse ancora qui... Nascosto nel buio? No, non devo farmi cogliere da certe suggestioni.
Piuttosto, chi era, e perché era qui? Non ha cercato di farmi del male, mi ha sorriso... Ma anche spaventata a morte!
Impongo a me stessa di farmi coraggio ed alzarmi, per scongiurare ogni dubbio, ma come poso i piedi a terra, vengo a contatto con una sostanza viscida, fredda e appiccicosa sul pavimento.
Ritraggo subito il piede disgustata, e sporgendomi m’imbatto nella seconda stranezza mattutina: le assi lignee, all’altezza della mia parte del letto sono imbrattate di quattro insolite sostanze: zucchero, piccole perle rosee e altre due melme appiccicose quanto gelatinose.
Che cosa ci fanno qui?! Ma, aspetta... Non sono cadute, formano una scritta...!
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“Sognami con te” mormoro tra me e me.
Cosa vorrebbe dire?
Dimentico momentaneamente l’intruso, forse era solo la terrificante conclusione di un incubo...
Ma questo almeno è reale: allungo un braccio verso la prima poltiglia dorata e luccicante, ne raccolgo una quantità minima col dito, l’assaggio... E’... miele! La seconda non ancora identificata sembra essere invece marmellata di mele.
Zucchero, miele, marmellata di mele e perle rosa.
Forse sono degli ingredienti dolci legati ad un altrettanto amorevole significato della frase che compongono... Ma di chi è opera tutto questo?
Volgo di nuovo lo sguardo verso il bel dormiente.
“...Oh, Jack! Da quando sei così poetico?” sussurro ammaliata distendendomi al suo fianco.
“Mmm...Sono cosa?” borbotta fiacco.
“Mi riferisco alla frase sul pavimento!” replico entusiasta.
“Non so di cosa parli” confessa riemergendo finalmente dal cuscino.
E’ impossibile, starà facendo il finto-tonto.
Per cercare di estorcergli la verità, e vederlo sveglio almeno un minuto consecutivo, mi vedo costretta a ricorre ad una mossa infallibile, nonché suo grande punto debole: il collo.
Così, per sfuggire alla tortura è obbligato a trascinarsi almeno fino all’orlo della mia parte di letto, vedendo lui stesso.
Dopo un’attenta visione assottiglia le palpebre semichiuse, e sporge in avanti le labbra per formulare ad indice sollevato e sguardo rabbuiato: “Ribadisco... Che non sono stato io!” dichiara solennemente, come spesso deve fare quando è reduce di qualche accusa, prima di crollare di nuovo, così come si trova, nel mondo nei sogni.
E con lui anche ogni mia convinzione. Forse mi sbaglio davvero, dunque.
...Ma se non è merito di Jack, chi può essere stato?
Riflettiamo: la porta della cabina è chiusa a chiave, l’unico momento in cui ci siamo allontanati da qui è stato per la “cena”, però al nostro ritorno era tutto in ordine. L’unico accesso possibile è la finestra, ma, no... a quale scopo?
Dopo qualche altro istante di considerazioni, penso a concentrarmi principalmente sulla stessa scritta e i materiali che la compongono.
Cosa potrebbero significare per me questi 4 elementi?
A primo appiglio, mi ricordano... Le spassose burle di cui spesso ero vittima poco tempo addietro.
Ed era Jack ad architettarle! Eppure il sospettato qui non ne sa niente.
Ma... Questo furfante non era solo! Collaborava con...
Per un istante, non so come, alle parole che sto per pronunciare, si sovrappone nella mia mente l’immagine del muto osservatore.
“...Dylan!”
no
   
 
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