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Autore: whateverhappened    09/02/2010    0 recensioni
Da quando, durante la battaglia di Hogwarts, aveva proposto di consegnare Potter al Signore Oscuro per poter evitare che questi attaccasse la scuola e gli studenti, la ragazza si sentiva tacciata come colei che avrebbe consegnato senza problemi l'Inghilterra magica nelle mani del più temibile dei maghi oscuri. Non passava giorno che la giovane non si svegliasse senza pensare per prima cosa a quell'avvenimento, a quell'attimo in cui aveva ceduto ai suoi propositi di non sbilanciarsi troppo nelle sorti della guerra, a quel momento in cui aveva detto quelle poche parole che a suo parere avrebbero potuto mettere fine a tutto. Era semplicemente esasperata da quella situazione di perenne insicurezza, avrebbe solo voluto tornare alla normalità e in quella manciata di secondi le era apparso uno spiraglio di salvezza: se Potter avesse affrontato il Signore Oscuro tutto sarebbe finito. Che avesse sbagliato se ne era resa conto non appena tutto era finito.
Sono passati cinque anni e mezzo dalla fine della guerra, tutti hanno voltato pagina e si sono ricostruiti una vita. Tutti? Non proprio: Pansy Parkinson è rimasta incatenata al passato e ai suoi errori, incapace di reagire.
E, forse, a strapparla dalla sua situazione di torpore sarà l'ultima persona che Pansy si aspetta.
Semel in anno licet insanire.
Partecipa all'iniziativa "Carnevale" di Fanworld.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Pansy Parkinson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Carnival. La vita va avanti.








Children of the Damned.


Erano passati ormai cinque anni e mezzo dalla conclusione della Seconda Guerra Magica, conclusasi con la morte di Lord Voldemort nella celebre battaglia di Hogwarts. La società aveva ricominciato lentamente a riprendersi, a volte incagliandosi nelle secche che il dopoguerra portava con sé e a volte viaggiando col vento del progresso in poppa, e la pace aveva finalmente cominciato ad albergare nel mondo magico e nei cuori delle tante persone che avevano subito delle perdite. Nessuno dimenticava, ma si cercava di rievocare i ricordi meno spesso, evitando di gettare altro sale sulle ferite ancora in parte aperte.
Camminando per le vie di Hogsmeade era facile scorgere segni di rinascita: i negozi - in larga parte chiusi durante il periodo buio di qualche anno prima – erano stati tutti riaperti e sempre decorati in modo da conferire allegria alle vetrine, i colori facevano da padroni nelle insegne e i commessi accoglievano tutti i clienti con un enorme sorriso in volto. Non vi era più sospetto negli occhi della gente, non più paura e terrore, ma semplicemente cordialità e contentezza. La guerra era finita e gli antagonisti della storia erano morti o dietro le sbarre di Azkaban, come in una qualsiasi fiaba; il bene aveva trionfato e tutti vivevano felici e contenti.
O quasi.
É risaputo che in ogni regola c'è sempre un'eccezione, in ogni pagliaio un ago diverso da trovare, in ogni oceano una goccia differente dalle altre: la Perfezione non esiste. E le pecche nella perfezione dell'Inghilterra magica post-guerra erano i figli dei Mangiamorte, che all'epoca delle vicende erano soltanto ragazzi, ma che al tempo della nostra storia già erano uomini e donne alla ricerca di un proprio posto nel mondo. Ritenuti soltanto altre vittime delle follie dei propri genitori, erano stati giudicati innocenti dal Wizengamot perché troppo giovani per riuscire a comprendere a pieno cosa stesse accadendo intorno a loro. In molti avevano criticato tale verdetto, sostenendo che l'Eroe – come veniva chiamato Harry Potter – aveva la stessa età di quei ragazzi che venivano giudicati troppo giovani: lui aveva capito la gravità dei fatti, aveva combattuto e rischiato la sua stessa vita, per quale motivo i figli dei Mangiamorte dovevano essere ritenuti meno maturi di lui? Ma il Wizengamot era stato irremovibile, e dopo numerose riunioni private aveva confermato le proprie decisioni affermando che tali ragazzi erano stati cresciuti con dei valori sbagliati, credendo che ciò che stavano compiendo i genitori fosse effettivamente giusto.
Fra tutti questi giovani vi era chi era riuscito ad approfittare della situazione e ad utilizzarla a suo favore da buon ex Serpeverde, come Blaise Zabini, che prima della battaglia di Hogwarts non era altro che il figlio della serial moglie – così veniva chiamata nei salotti mondani la signora Zabini, giunta al settimo marito – e che ora si ritrovava ad essere l'avvocato di maggior prestigio della Londra magica. C'era chi ne aveva approfittato per fuggire da un futuro già programmato per dar invece sfogo alle proprie aspirazioni, come Daphne Greengrass, che invece di rimanere a casa a crescere cinque figli come avrebbe voluto il padre si ritrovava a disegnare abiti da sera da Madama McClan, inseguendo il sogno di diventare una stilista. C'era chi dimostrava al mondo che anche nella peggior situazione con un po' di testardaggine e orgoglio si può risollevare le proprie sorti, come Draco Malfoy, che dopo aver assistito impotente alla requisizione della villa di famiglia si era rimboccato le maniche e aveva lavorato duramente finché non era riuscito a riacquistare il maniero. E c'era chi, come Pansy Parkinson, altro non faceva che veder passare la propria vita davanti a sé, lasciandola scivolare fra le dita come fosse sabbia.
Da quando, durante la battaglia di Hogwarts, aveva proposto di consegnare Potter al Signore Oscuro per poter evitare che questi attaccasse la scuola e gli studenti, la ragazza si sentiva tacciata come colei che avrebbe consegnato senza problemi l'Inghilterra magica nelle mani del più temibile dei maghi oscuri. Anche lei, come gli amici, era stata in qualche modo assolta dal Wizengamot, ma Pansy continuava a percepire – giorno dopo giorno, mese dopo mese – gli sguardi di sospetto e disprezzo che gran parte dei maghi le riservava. Zabini le aveva spesso detto che molta di quella malevolenza che Pansy sentiva su di sé era dovuta alle sue stesse paranoie, convinta com'era di essere perseguitata dai fantasmi del passato. Non passava giorno, infatti, che la giovane non si svegliasse senza pensare per prima cosa a quell'avvenimento, a quell'attimo in cui aveva ceduto ai suoi propositi di non sbilanciarsi troppo nelle sorti della guerra, a quel momento in cui aveva detto quelle poche parole che a suo parere avrebbero potuto mettere fine a tutto. Era semplicemente esasperata da quella situazione di perenne insicurezza, avrebbe solo voluto tornare alla normalità e in quella manciata di secondi le era apparso uno spiraglio di salvezza: se Potter avesse affrontato il Signore Oscuro tutto sarebbe finito. Che avesse sbagliato se ne era resa conto non appena tutto era finito, quando si era sentita finalmente libera, non più incatenata dalle rigide regole imposte dallo stato di sangue e forse capace di avere una vita come lei desiderava. Quando aveva percepito per la prima volta quel nodo allo stomaco così tipico del senso di colpa, quando la consapevolezza di ciò che aveva proposto si era fatta strada nella sua mente ormai fresca.
Ogni mattina, da quel giorno, Pansy apriva gli occhi e ricordava. Blaise aveva ragione, era davvero perseguitata dai fantasmi del passato: non era mai riuscita a voltare pagina del tutto, finendo per isolarsi volontariamente dal mondo e a sentirsi rifiutata dalla società. I suoi amici cercavano di trovare sempre più espedienti per farla uscire di casa, magari per farla divertire come una volta, ma per loro era come combattere contro i mulini a vento; ciò nonostante non si arrendevano mai, animati da quell'affetto che li legava sin da quando erano bambini, e almeno due volte a settimana Pansy si ritrovava in casa qualcuno con proposte di cene di gala, di balli o di semplici serate fra amici. Quel giorno era toccato a Theodore Nott, che si era smaterializzato in casa Parkinson alle otto del mattino, col risultato di trovare la ragazza ancora a letto.
« É ora di alzarsi! » disse a voce volutamente alta, scostando le coperte della ragazza e aprendo, con un fluido gesto della bacchetta, le persiane.
« Che cos... - borbottò Pansy, una mano sugli occhi ancora assonnati per proteggerli dalla luce del Sole – Theo! Che diavolo ci fai qui a quest'ora?! »
« Ti sveglio. - rispose lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo – E ti porto un invito. » concluse, sedendosi sul letto accanto all'amica.
« Ancora? - Pansy alzò gli occhi al cielo – Sprechi il tuo tempo, sai che non verrò. »
« Oh, io dico di sì. » Pansy si voltò di scatto ad osservare il ragazzo, che in quel momento stava mettendo in mostra il migliore dei suoi ghigni. La conosceva tremendamente bene, sapeva come farla incuriosire, e il tono allusivo accompagnato dal ghigno era senza dubbio la tecnica migliore.
« Ok, spara. » si arrese infine.
« Una festa... »
« Non mi interessa. »
« Una festa di Carnevale. » continuò Theo, ignorando l'obiezione.
« Non vedo come l'occasione possa farmi cambiare idea. »
« Sarà in maschera, Pan. - la ragazza lo fissava dubbiosa – Nessuno saprà chi sei, e se nessuno ti riconoscerà come potranno guardarti con disprezzo? »
Il silenzio di Pansy era come una mezza vittoria per Theo, certo che sarebbe finita per capitolare. Come Blaise anch'egli era convinto che molto era dovuto alle paranoie della stessa Parkinson, ma durante quegli anni aveva capito che lei non si sarebbe mai mossa dalla sua posizione, e l'unico modo per convincerla a fare qualcosa era andare incontro alle sue idee.
« Di chi hai detto che è la festa? »











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Fan fiction scritta per l'iniziativa "Carnevale" di Fanworld. In particolar modo è stato utilizzato il prompt "battaglia" della tabella "Carnevale di Nizza".
Al prossimo capitolo, che presumibilmente verrà postato domani :)
   
 
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