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Autore: The_Viking    10/02/2010    1 recensioni
La fan fiction che mi è valsa il terzo premio al concorso letterario della scuola :)
Genere: Malinconico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dark Fantasy Collection'
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Io sono un albero. Esatto, sono uno di quei robusti esseri che affondano le proprie radici nella terra, immobili. Già, immobili.
Io penso. Non so con quanti altri alberi io condivida questa facoltà, quello che so per certo è che io ragiono razionalmente ed ho inoltre la piena percezione di ciò che mi circonda. Posso vedere, sentire, avvertire le carezze del vento e i profumi del bosco.
Non è facile essere entità pensanti, soprattutto se si è condannati all’immobilità dalla propria malvagia natura. Per la radura che si stende dinanzi a me vedo talvolta passare animali o uomini; in quante occasioni vorrei avvicinarmi ad essi, conoscerli meglio! A che serve pensare, infatti, se non si può condividere il proprio pensiero con nessuno?
C’è un uomo che sin dalla giovinezza ama venire nella radura; dalla mia posizione lo ho sempre potuto osservare. Scrive, scrive moltissimo; è a lui, per quanto a sua insaputa, che devo la mia capacità di leggere. Egli inoltre disegna spesso, su un piccolo taccuino, soggetti che spaziano dalle città alle foreste alle montagne. Solo di rado non disegna paesaggi, forse perché non si ritiene abile abbastanza o semplicemente non ha l’ispirazione necessaria per disegnare altro. Ad ogni modo grazie a costui ho imparato a conoscere moltissimi lati dell’esistenza degli esseri umani e del mondo che si trova fuori dalla foresta in cui vivo. Ho capito anche che cosa tiene in vita tali esseri: essi hanno una persona cara da visitare, un’attività da svolgere, un luogo in cui dedicarsi ad attività dilettevoli. Hanno uno scopo. Beati loro!
Non potendo muovermi fisicamente, ho elaborato un metodo per viaggiare che sta tutto dentro di me: viaggio col pensiero. Di certo non è come camminare su gambe o zampe, tuttavia riesco ad avere qualche buona sensazione anche da ciò. Ieri soffiava una brezza lieve che mi scuoteva le foglie, inebriandole del profumo della foresta. Immaginai che quel vento fosse un segnale inviatomi da qualche misterioso essere situato nella selva, oppure il fruscio delle foglie un sommesso sussurro della natura.
In realtà nemmeno io sono immobile: l’ho scoperto dall’uomo della radura. Un giorno, mentre questi stava sfogliando un libro di astronomia, riuscii a leggere che il mondo è sferico e si muove nello spazio. Rimasi sorpreso: mi ero illuso fino a quel momento di essere interamente vittima della quiete, del movimento nullo; mi trovavo invece a bordo di un’immensa nave in eterna navigazione sul tenebroso oceano delle stelle. Non potei fare a meno di leggerlo come un altro scherzo della natura ai miei danni, se tale esso si può definire.
Che io mi muova o no, niente e nessuno possono impedirmi di osservare e cercare di capire quello che i sensi mi portano alla mente. Molte volte vedo persone che sembrano talmente annegate nelle proprie occupazioni da non avere tempo per riflettere: che spreco! Costoro avrebbero la possibilità di fare tesoro delle proprie riflessioni e di migliorare la propria condizione mettendo in pratica le deduzioni tanto ragionate; io, invece, rifletto ma non posso che tenere tutto dentro di me, come in una prigione inespugnabile. Sono schiavo della mia immobilità.
La mia vita è scandita dal meccanico e regolare succedersi del giorno e della notte, delle stagioni e delle diverse condizioni atmosferiche. Posso vedere la Luna percorrere lunghi archi nel cielo e il Sole salire e scendere lungo la volta celeste, in una danza lenta ed eterna; credo di essermi affezionato, ormai, a quelle due grandi sfere, mie taciturne ma fedeli compagne di esistenza.
Le giornate paiono tutte uguali, quando non giunge nessuno alle mie radici. Cantano gli uccelli alle rispettive ore con diabolica precisione, friniscono le cicale a primavera, cade la neve d’inverno. Cosa sarei io senza ciò che mi circonda? Talvolta riesco a distinguere solo con grandissima difficoltà me stesso dal mondo che mi ospita; esiste forse, in fondo, un confine preciso tra me e ciò che non è me? Nei lunghi, identici e interminabili anni della mia vita trascorsa ho imparato che nulla è perfettamente determinato, nulla è sicuro e del tutto distinguibile dal resto. È però proprio delle menti il tentativo di ordinare, di classificare la molteplicità del reale per districarsi nella complessità di questo; io non sono da meno. Che altro posso fare, nella mia assoluta immobilità?
Non è facile essere entità pensanti, l’ho già detto. Il pensiero si può leggere allo stesso tempo come un dono meraviglioso e come un fardello gravissimo: è ambiguo, inutile negarlo. Permette di conoscere, di dare un significato a ciò che recepiamo; permette di giudicare e rielaborare. Eppure, contemporaneamente, esso dà al suo possessore un’inestinguibile malinconia, un disagio che deriva dalla consapevolezza che il pensiero d’un pensante non è che una minuscola goccia in un oceano sterminato di irrazionalità. Convivere con questa ingombrante presenza è una sfida con se stessi.
Io non sono eterno, così come non lo è nulla al di fuori di me: quale che sia la propria natura, per il semplice fatto di esistere si è condannati a perire, prima o poi; così sta per accadere a me.
Parassiti, animaletti di dimensioni ridicole rispetto alle mie, hanno preso possesso del mio corpo ligneo, lo hanno occupato; non ci vorrà molto perché lo conquistino e caccino via per sempre il suo silenzioso e impotente proprietario. Questo tuttavia non mi spaventa, anzi: finalmente subirò un cambiamento vero. Attorno a me ho sempre visto ogni cosa muoversi e cambiare, ho colto la metamorfosi che ogni ente subisce per il semplice fatto di esistere.
Ora anch’io cambierò. Morirò, smetterò di pensare, la materia che mi compone si disperderà e formerà nuove strutture. Costituirà un informe mucchio di terra oppure verrà lentamente dispersa dal vento. Forse verrà a far parte dell’organismo di un animale; magari tornerà una pianta. Non posso saperlo, ma di una cosa sono certo: finalmente muterò, finalmente questa immobile crisalide si aprirà e ne nascerà una nuova forma di me. Così nessuno potrà mai leggere queste righe che albergano nella mia sola mente; mi piace però pensare che esse voleranno alte nel cielo, secondo il flusso delle correnti d’aria, movendosi, facendo ciò che il loro autore non ha mai potuto fare.
   
 
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