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Autore: lauradumb    15/07/2005    6 recensioni
"Ci sono cose che non si possono calcolare, questo l’ho scoperto troppo tardi forse. E se non fossi così impaurito dal fatto che se ti chiedessi scusa potrei alla fine scordarmi di te, ti giuro, lo farei. A cosa possa servire non lo so; di certo non sarà una stupidissima parola a riportare le cose com’erano prima. Ma voglio essere sincero, più con me stesso che con te, purtroppo. Quella notte, quando il mondo ha gioito per la morte del tuo Signore e io stesso gioivo per la fine sua e dei suoi scagnozzi, non lo sapevo."
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Tutti i personaggi che appaiono in questa fanfiction purtroppo non sono miei ma della nostra cara JK Rowling. Io sono semplicemente una pazza che coltiva qualche sogno ^_^

Rating: PG13 per il solo fatto che è yaoi. Niente scene scabrose.

* QUALCUNO MI HA DETTO *

CHE MI AMAVI ANCORA

Una pesante porta in legno scuro chiaramente abbandonata a sé stessa da anni, sbarrava il passaggio. Il cupo corridoio finiva lì, tra l’odore di chiuso e la polvere annidata tra le maglie degli arazzi scoloriti appesi alle pareti. Oltre quei centimetri di quel che un tempo era un legno pregiato, un giovane uomo.

La vestaglia di seta slavata sfiorava appena il pavimento, cadendo senza vita da un lato della sedia che reggeva, quasi a fatica, il pur esile corpo che vi sostava sopra. Un braccio penzoloni dal lato opposto alla seta chiara sembrava voler in qualche modo equilibrare l’immagine precaria che si sarebbe offerta agli occhi di un qualsiasi spettatore. Ma di spettatori non ce n’erano, ormai da parecchio tempo. La casa intera, dal più remoto angolo al salone più spazioso, dormiva in un silenzio assordante. Non un rumore che attestasse che quell’uomo fosse vivo, che respirasse, ma soprattutto, che stesse rivangando i ricordi di una vita. La mano sorreggeva stancamente la testa da un lato mentre il gomito stava appoggiato alla scrivania ingombra di foto in movimento, l’unica cosa di realmente viva in quella casa, almeno ad uno sguardo superficiale. Nessuna foto abbastanza nitida, tutte sfocate, decentrate. Nessun primo piano, ma due colori prepotenti si insinuavano in tutte le istantanee che così, sparse sul legno pesante dello scrittoio, sembravano danzare al ritmo di una melodia silenziosa e tremendamente accattivante. Un bagliore chiaro, quasi bianco e a tratti dorato, saltava irriverente da una foto all’altra, incastrandosi con un colore di fondo pesante come un macigno, una sorta di verde scuro.

D’un tratto, si riscosse. Un movimento appena accennato fece scivolare sulla pelle la stoffa leggera provocando il caratteristico suono che fanno le lenzuola quando ci si infila dentro il letto. E questo bastò. E allo stesso tempo non bastò affatto. Perché era solo un rumore, non c’era nessun letto, nessun lenzuolo e soprattutto, nessun altro a creare quello strano fruscio. Una maledetta, incontrollabile lacrima calda si azzardò a scendere sulla guancia dell’uomo che respinse l’affronto eliminandola in fretta col dorso della mano e alzandosi di scatto come in preda al panico. Ma si bloccò di nuovo, in piedi, tra la sedia e la scrivania, gli occhi incatenati alle immagini sul piano che non avevano notato nulla, né sentito alcunché. Un senso di rabbia e frustrazione lo colpì in pieno, come un temporale estivo che arriva senza che si abbia il tempo di pensare a come combatterlo. Sparpagliò le foto con una manata, alcune caddero a terra ma l’uomo le ignorò, non senza fatica. Trattenne un fastidioso sospiro che gli era salito in gola, inghiottì l’aria imprecando mentalmente ma lasciando anche l’improperio a metà. Troppo stanco per terminarlo, troppo poco interessato ad un perdono divino per ritirarlo.

Lasciò la stanza per qualche secondo, ma a metà del corridoio si bloccò e voltandosi riprese la via appena percorsa zoppicando vistosamente.

Gettò a terra tutto ciò che restava sul piano dello scrittoio salvandone solo la piuma spelacchiata, dono di chissà quale mago famoso e rispettato. Ne aveva una stanza piena di quegli stupidi regali. Aveva confinato tutto o quasi quello che gli ricordava la sua brillante carriera da auror in una stanza isolata e buia, e lo stesso aveva fatto con i suoi ricordi. Alle volte, passando a fianco a quella porta del secondo piano, temeva che i ricordi e gli scatoloni accatastati oltre il legno chiaro dello stipite si liberassero dalle catene per il gusto di annebbiargli la vita. Strinse tra le dita la penna e si ritrovò a pensare quanto fosse ironica e crudele l'esistenza: il mondo intero lo ringraziava di essere stato un assassino. Perché ne era convinto, quel giorno aveva ucciso anche la sua anima.

Sfilò un foglio candido dal primo cassetto e lo fissò sconcertato, più che altro per quel suo bianco così immacolato, quasi surreale. Cercò la boccetta dell’inchiostro e la scorse sul pavimento, completamente vuota, accanto ad una macchia blu scuro che insozzava il vecchio tappeto consunto. La ignorò, cercandone un’altra in uno dei cassetti e aprendone il tappo con un piccolo schiocco, che sembrò echeggiare in tutta la stanza. Intinse la punta della piuma nell’inchiostro e l’appoggiò in cima al foglio, fermandosi a guardare il colore che sporcava la carta. La macchia era inizialmente un semplice puntino, ma via via che i secondi, i minuti, passavano, si ingrandiva sempre di più fino a riempire buona parte dell’angolo superiore del foglio. E pian piano iniziò ad asciugarsi, a seccarsi all’aria. Harry accennò un sorriso amaro. Ancora una volta, riusciva a rivedersi in ogni piccolo particolare. Era come ossessionato dai rimorsi e quella macchia sembrava portare il suo nome, quasi che si aspettasse di veder comparire improvvisamente una cicatrice anche su di lei. E per contro, lui avrebbe dovuto seccarsi come la chiazza aveva già fatto. Staccò la piuma dal foglio bloccando il flusso di pensieri, la intinse nuovamente nell’inchiostro e questa volta, fece scivolare il pennino sul foglio. E per un momento finalmente, i suoi pensieri smisero di vorticare e si lasciarono andare ai dolci movimenti del polso dell’uomo.

“Credo di aver ormai raggiunto il limite estremo. Hai presente quel confine tra la normalità (si fa per dire, dato che si parla di me) e la pazzia? Ecco, ho la netta impressione di camminare sul bordo e di dondolare a volte di qua, a volte di là. E tanto per cambiare, sono praticamente, ancora una volta, solo. Che io mi sia sentito solo per tutta la vita, fatta eccezione per quanto... Tre mesi forse? Che io mi sia sentito solo per tutta la vita bè, non è una novità, quindi perché stupirsi ora… Certo è che scrivere una lettera che mai spedirò (e a chi dovrei spedirla sentiamo?) è proprio il colmo. Il brillante auror Potter, che ha fatto questo e ha fatto quello, è morto da tempo ormai. Quindi posso anche permettermi di delirare”

Si fermò un momento e rilesse quel che aveva scritto, scosse la testa appena e riprese a scrivere.

“Effettivamente, rileggendo queste stupide righe mi rendo conto che sto evitando la questione, come ho già fatto per anni e anni. E forse ne sono stanco. Quindi adesso, anche se saranno parole al vento, scritte per le pareti di questa insulsa casa, ho bisogno di scriverle, di vederle realmente vive. Così da convincermi che purtroppo non è stato solo un brutto incubo. Cominciamo dall’inizio, forse è l’unico modo per iniziare a spiegarti.”

Sospirò rumorosamente, indugiò sul punto dell’ultima frase che divenne troppo spesso. Spostò il pennino all’inizio della nuova riga e si buttò a capofitto nei ricordi.

“Chi non avrebbe immaginato che sarei diventato un auror? Infondo dai, ammettiamolo, cos’altro potevo fare io? Avevo praticamente il destino segnato. La profezia, la cicatrice, la mia Casa, la guerra, il torneo Tremaghi... Di certo non avevo il tempo di organizzarmi la vita diversamente e se ci pensi bene, dev’esserci stato qualcuno alle mie spalle per organizzare tutto questo. È assolutamente impossibile che siano state tutte coincidenze. Sette anni ad Hogwarts e nemmeno cinque minuti senza qualche problema! Tra i tanti, non lo dimentico, c’eri anche tu. Perché ti divertissi tanto a tormentarmi non l’ho mai capito e non ho mai creduto che volessi solo farti notare. Io mi comportavo nello stesso modo con te, e di certo non mi interessavano i tuoi sguardi o le tue attenzioni. Volevo solo… Volevo solo che finisse come alla fine è finita. Ma non doveva andare così maledizione. Ci sono cose che non si possono calcolare, questo l’ho scoperto troppo tardi forse. E se non fossi così impaurito dal fatto che se ti chiedessi scusa potrei alla fine scordarmi di te, ti giuro, lo farei. A cosa possa servire non lo so; di certo non sarà una stupidissima parola a riportare le cose com’erano prima. Ma voglio essere sincero, più con me stesso che con te, purtroppo. Quella notte, quando il mondo ha gioito per la morte del tuo Signore e io stesso gioivo per la fine sua e dei suoi scagnozzi, non lo sapevo.

Me l’hanno detto dopo e non ricordo neanche più chi è stato. Perché in quel momento, in quel preciso istante, è morto il bambino sopravvissuto. Dio quanto avrei voluto non essere sopravvissuto affatto! Lo so è egoismo. Infondo ho salvato (mi dicono, ma io non ci credo poi molto) il mondo intero. Ma che onori potrà mai ottenere una persona che uccide qualcuno che ama? Tu non puoi immaginare Draco quanto male faccia strapparsi il cuore dal petto e farlo a pezzi… Io invece ne ho un ricordo preciso. Sai come me l’hanno detto? Il giorno dopo, finché festeggiavo con le mani che mi sembrano ancora adesso sporche di sangue… una stupida frase.

Sai, lui ti amava ancora...

È stato allora che ho capito. Ho capito di non aver mai capito nulla… Ti ho guardato negli occhi quel giorno, l’ultima volta che li ho visti. Ti ho puntato la bacchetta addosso e accecato dalla rabbia non ho esitato affatto a colpirti. Ti ho guardato accasciarti al suolo senza vita. E ho ignorato quella stretta al cuore, incolpando l’incantesimo che mi aveva trafitto la gamba. Pensavo fosse finita Draco! Pensavo che tutto non fosse mai esistito e che quei mesi passati a nascondere la nostra dipendenza l’uno dall’altro fossero stati solo un gioco per te. Pensavo fosse finita! Ma qualcuno mi ha detto che mi amavi ancora… Come è possibile, vuoi spiegarmelo? Perché non me l’hai detto? Invece di prendere e combattere contro di me potevamo lottare assieme… non mi interessava nemmeno da che parte ci fossimo schierati. Se solo me l’avessi detto, avrei anche lasciato tutto per te. Infondo, l’ho fatto, vedi? Ora non mi resta altro che il ricordo appannato di una vita che non è mai stata mia… Tranne quando stavo con te. Discorsi stupidi, penserai. Tu eri quello forte, io il romantico… Maledetto orgoglio.”

Si bloccò per recuperare un secondo foglio dalla scrivania. Era in preda ad una specie di frenesia ma per un attimo si perse ancora ad osservare le fotografie che si muovevano davanti ai suoi piedi nudi. Lo sprazzo bianco-dorato saltellava qua e là.

“Non ho mai avuto una tua foto. Solo qualche immagine ritagliata dai giornali, dalle foto di gruppo a scuola. Alcune le ho rubate io con la macchina fotografica di Canon. Sono ovviamente orribili, non si capisce nemmeno chi sei a momenti. Si vedono solo i tuoi bellissimi capelli biondi… Cos’ho fatto? Come posso andare avanti ancora? Non ho nemmeno il coraggio di uccidermi, e pensare che dovrei essere un Grifondoro… Credo di aver paura che dopo la morte ci sia davvero un qualcosa, un limbo, un posto dove stare. E temo tremendamente di poterti incontrare e vedere il tuo sguardo indifferente posarsi a malapena su di me, decretando la mia eterna sconfitta.

Vorrei solo poter tornare indietro a quel giorno. Abbassare la bacchetta a costo della vita e urlarti che ti amavo come non avevo mai fatto con nessuno. Invece così, temo solo che tu possa continuare ad odiarmi nello stesso modo in cui mi odio io.

Qualcuno mi ha detto che mi amavi ancora. E io non mi sono mai perdonato di non averti detto che la mia vita senza di te era un inferno…”.

L’uomo posò la piuma e non si curò di asciugare la lacrima che aveva ormai raggiunto la linea del mento. Si fermò ad aspettare che l’inchiostro asciugasse, poi la piegò in due e si passò subito dopo una mano sulla fronte e sugli occhi. Il sole stava calando e il dolore che provava seguiva il corso contrario. Si alzò stancamente dalla sedia facendola scricchiolare e raggiunse il letto sfatto. Si sedette sul bordo e aprì il cassetto del comodino.

Spuntarono decine, forse centinaia di lettere uguali. Tutte lo stesso destinatario, tutte lo stesso mittente e inevitabilmente, tutte intrise della stessa malinconia lancinante. Aggiunse l’ennesima al mucchietto e si accasciò sul letto. Si obbligò a chiudere gli occhi e nel tentativo di bloccare i singulti che lo scuotevano si raggomitolò su se stesso, come se d’improvviso fosse tornato bambino. Dalle sue labbra, uscivano parole spezzettate… ma quasi tutte le frasi, terminavano in un supplichevole “Perdonami…”.

E come tutte le sere, quando il sonno si impossessò del corpo dell’ex auror Harry Potter, l’esangue spettro di un giovane dai lunghi capelli biondi e dagli occhi di ghiaccio fece capolino nella stanza, cercando ancora una volta invano di accarezzare la fronte dell’uomo che non aveva mai smesso di amare. E questo nessuno gliel’aveva ancora detto.

The End

Non ho molti commenti da fare su questa fiction. All’inizio era nata come una song fiction ispirata sulla canzone “Quelqu’un m’a dit” di Carla Bruni, ma mi è forse un po’ sfuggita di mano. Io mi sono emozionata a scriverla e spero che in qualche modo sia riuscita a trasmettere qualcosa anche a qualcun altro. Grazie di averla letta e se non è un problema per voi, vorrei sapere cosa ne pensate…

Laura
  
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