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Autore: Ramiza    14/02/2010    2 recensioni
Sono i suoni che le corde vocali di rifiutano di far vibrare e il cervello si rifiuta di trasformare in parole, sono quelle che la bocca non vuol saperne di scandire. Questa è la storia di un uomo e di tutte queste parole, di gesti che non corrispondono mai ai pensieri, e di pensieri che raramente si trasformano in fatti. Questa è la storia di come il mondo vede quest'uomo e di tutto quello che quest'uomo nasconde al mondo. CAPITOLO RIVELAZIONE!!!
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha, Tenten
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«È vero quello che si dice su di te e Tenten Amano?» chiede mio zio mentre inforchetta il petto d'anatra arrosto e se lo porta alla bocca.

«Dipende da cosa si dice» rispondo senza guardarlo.

«Che il ristorante dei suoi rischia l'esproprio e che tu hai accettato di difendere lei e la sua famiglia» continua.

«Sì».

So benissimo che questo non concluderà il discorso, ma voglio dare l'idea che per me sia esattamente così.

Lui, ovviamente, se ne frega.

«È un caso ridicolo, Neji, e comunque mi chiedo come ti stia pagando» prosegue infatti, tra un boccone e l'altro, come se niente fosse.

«Non mi paga, infatti». Non so perché lo dico, forse è solo una piccola rivincita che mi prendo nei confronti della mia solita abulia codarda. Avrei potuto stare zitto, ma non mi va.

Allora lui mi guarda.

Vittoria.

«D'altro canto non credo che andremmo in pari nemmeno se le restituissi tutti i pranzi e le cene che i suoi mi hanno offerto».

Questo, lo ammetto, avrei potuto risparmiarmelo. Servirà solo a rendere più acido mio zio e più aspra la discussione.

Mi è uscito senza averci pensato.


Così ripenso un attimo a quei pranzi e a quelle cene.

Dopo la scuola ci fermavamo lì e poi studiavamo nel retro. A volte lei chiamava e mi diceva “Stasera cinghiale alla cacciatora. Ti va?”. Sono passati millenni.

Da quando ho cominciato l'università non ho mai più mangiato un cinghiale così buono.

Il microcosmo di quel ristorante mi sembrava perfetto.


Lui si irrigidisce. Mio zio intendo.

«Farebbe bene a chiudere, ecco la verità. E tu faresti bene a lasciar perdere».

Già. Soprattutto questo. Se sapesse quanto lo odio quando si atteggia a chi possiede la verità assoluta (atteggiamento che, tra l'altro, temo proprio di aver ereditato).

Comunque rimango calmo.

«Ti assicuro che vincerò questa causa. Fosse l'ultima cosa che faccio», rispondo.

Lui scuote la testa. Adesso passa alla modalità patrigno-bonario-che-ne-sa-infinitamente-più-di-te.

«Quella ragazzina ti ha sempre influenzato troppo, Neji. Con lei di mezzo sembri un'altra persona».

Sorrido.

Inevitabilmente.

«Questa volta devo proprio darti ragione. Quando c'è Ten di mezzo faccio persino un po' meno schifo del solito».


Mi alzo.

Lascio la cena a metà, tanto non ho più fame.

Mia zia mi guarda sbigottita.

«Dove stai andando Neji? Non essere maleducato» sibila cercando di trattenere la rabbia.

Non le rispondo.

Ho la sensazione che quella mia frase, per quanto teatrale e ad effetto, sia davvero la conclusione perfetta per quella discussione. Per quanto teatrale e ad effetto sono perfettamente convinto che si tratti della verità.


Con lei.

Ma lei sta con Kiba, adesso, e io non sono altro che il suo avvocato.

C'è stato un tempo in cui mi ha amato più di qualunque altra cosa.

Per lei ero sempre al primo posto, lo sapevo e mi sentivo importante, essenziale.

Sapevo che qualunque cosa fosse accaduta saremmo stati in due.

Sorrido.

Poi esco frettolosamente di casa.


Quando suono a casa sua so che si tratta di una grossa stupidata.

Potrei trovarci Kiba e in ogni caso non ho la minima idea di cosa dirle.

Mi piacerebbe poterle parlare senza dover trovare una scusa.

Mi piacerebbe poterle dire le cose che le ho mai detto.


Sento i suoi passi che arrivano e il tintinnare del suo buonumore.


«Ciao Neji» dice sorpresa «che ci fai qui?»

«Volevo vederti» rispondo

«È per il processo?» chiede preoccupata «è successo qualcosa?»

«No. Volevo vederti e basta».

Beh, è ovvio. Le parole mi escono dalla bocca prima di arrivare al cervello e vorrei sprofondare un attimo dopo averle dette.

Lei mi guarda.

«Vieni» dice sorridendo e il suo sorriso mi entra nel cuore.


Dio, quanto la amo.

L'ho sempre amata.

Non ho mai amato nessun altro che lei.

Non dovrei dirlo, non dovrei nemmeno pensarlo.


Ricordo bene quel giorno.

Lei lì davanti, intorno gli altri.

Lei lì davanti, incredula e fragile come non l'avevo mai vista. Gli occhi spalancati su quella festa a cui non era stata invitata.

Mia zia che la guarda con un certo disprezzo e sussurra alle amiche “è la figlia dei vicini, è infatuata di Neji e non gli scolla di torno”.

Lei che chiede “posso parlarti?”, io che rispondo “non è il momento”.

I suoi occhi gonfi di lacrime.

I miei occhi tronfi d'orgoglio per l'ammissione ad Harvard.


«Vieni» dice sorridendo.

Le prendo una mano e la fermo.

«Perdonami Ten».


Così alla fine lo dico.

Aspetto un attimo per essere sicuro di non averlo solo immaginato.

È vero.

L'ho detto.

Le sto chiedendo perdono per quel giorno.

Per non averla invitata a quella festa e per averla allontanata in malo modo.

Le sto chiedendo perdono per il giorno successivo.

Per averle detto che non l'amavo e che tutto quello c'era stato finiva lì.

Ma le sto chiedendo perdono anche per tutti i giorni prima e per tutti quelli che sono venuti dopo, per non averla saputa proteggere, per il mio maledetto egoismo, per la mia paura di amare, per averla lasciata sola.


Lei mi guarda, incredula forse come allora.

«Di cosa parli?» chiede

«Di tutto».

Abbassa lo sguardo, come se stesse riflettendo. Poi lo solleva di nuovo e mi fissa.

Mi raggiunge nel passato che sto vivendo e rivivendo da allora, ininterrottamente.

«Non voglio le tue scuse, Neji. L'unica cosa che voglio è sapere perché».

Lo dice quasi con calma, scandendo l parole senza fretta.

«Ho avuto paura» ammetto finalmente.

«Perché non sarei mai stata quello che la tua famiglia avrebbe voluto?» mi chiede scuotendo la testa in maniera appena percettibile.

Sì, anche per questo.

Avevo cominciato a pensarci quando inviai il curriculum per Harvard. Avevo ottime possibilità di entrare. Ten, al contrario, non sarebbe mai andata all'università. Sarebbe rimasta per sempre la figlia della sindacalista che aveva deciso di aprire un ristorante e avrebbe lavorato per sempre in quel ristorante.

«Anche» rispondo.

Finalmente posso essere sincero.

«Sapevo che non avresti capito le scelte che stavo per fare, la strada che avevo deciso di prendere».

Per lei era assurdo spendere 300 dollari per una camicia di Armani.

Ecco il mio alibi, riuscite a capirlo?

«Forse non avrei capito, ma non me ne sarei mai andata per questo» risponde.

Già.

È così maldettamente amaro saperlo. Averlo sempre saputo, non averlo mai potuto ignorare, nemmeno per un istante.

«Lo so» rispondo.

Dev'essere il momento della sincerità. Davvero mi meraviglio di me stesso (ma il potere dei dialoghi con mio zio è davvero straordinario, mi danno, come dire, una carica positiva che normalmente davvero non mi appartiene).


Lei rimane in silenzio.

«Hai mangiato?» mi chiede poi

La guardo. Beh, non farei altro che guardarla.

«Vuoi un po' di cinghiale alla cacciatora?».


Adesso urlo.

Sì.

Adesso salto sulla sedia e mi metto a urlare di gioia.

Certo che lo voglio! Lo voglio eccome! Lo stravoglio!

Impazzisco di felicità.


«Volentieri, grazie» rispondo.


«Vieni» dice prendendomi a braccetto.

«Ma', pa'...- aggiunge poi in direzione della sala – c'è Neji».


Tremo. Sul serio. Cosa diranno, cosa penseranno, cosa faranno i suoi genitori?

C'è stato un tempo in cui mi consideravano davvero uno di famiglia.

Poi li ho abbandonati e traditi, anche loro insieme a lei.

Aspetto.


Sua madre si affaccia dalla porta della cucina, con un sorriso luminoso sul volto.

«Neji! - esclama – è così bello vederti...volevo tanto ringraziarti per quello che stai facendo!».


E così finisce tutto? Voglio dire, adesso la mia paura si scioglie, il senso di colpa se ne va, mi metto l'anima in pace?

Eh beh, no. Non è così facile.

Tutt'altro.

Magari mi fa onore, almeno un po', ma ne dubito.

Quella cena, comunque, è la cosa più bella che ricordi da anni.

È calda, accogliente e piena d'amore.

Poi scala al secondo posto nella mia classifica quando Ten mi chiede

«Facciamo due passi?».


Camminiamo.

A dirla tutta, lei cammina, io faccio finta, ma in realtà volo.

Lei chiacchera e sorride.

«Che direbbero i tuoi se ci vedessero adesso?» mi chiede. La nota lieve di tristezza nella sua voce mi fa sussultare.

Mi fermo e la guardo.

«Non mi importerebbe più» rispondo.


Anche lei mi guarda.

Chissà se ci crede.

Perché dovrebbe, in fondo?

Da ragazzino ho detto tante cose. Beh, non proprio tante, d'accordo. Anche allora non è che parlassi molto.

Ma qualcosa glielo avevo detto.

E nella mia testa le avevo fatto un milione di promesse.

Perché dovrebbe credermi allora.


Mi sorride.

Non ho mai visto un sorriso più bello o più dolce.

«È davvero una serata meravigliosa» sussurra.


Che dire? Sono tornata...

Vediamo un po'...

Grazie a tutti, e in particolare:

Tenny_93:anche qui un po' di dolcezza, che ne dici? Neji si è sciolto davvero?

Kisa_chan:è vero, sono proprio dolorosamente divisi.E adesso? Uhm, ho la sensazione che la riunificazione sarà molto difficile.

Altovoltaggio:carissima! Sì, sono tornata...ti è piaciuto il cap? Il povero Neji ha davvero problemi ad esprimersi, non trovi?

Celiane4ever:come dicevo sopra, Neji ha davvero dei problemi ad esprimersi, ma in questo cap migliora no? Qualche piccolo passo avanti e non va così male...

Baci a tutti!



  
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