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Autore: Juliet94    15/02/2010    1 recensioni
La mia storia ha inizio in una fredda mattinata nebbiosa di fine ottobre. Mentre aspettavo che passasse l’autobus che mi avrebbe portato a scuola, scorsi un ragazzo dirigersi verso la mia fermata, l’unica del paese in cui abitavo. Il ragazzo indossava una felpa viola col cappuccio calcato sugli occhi. Nonostante ciò, riuscì a scorgere un ciuffo di capelli neri che gli ricadeva sull’occhio sinistro. Il suo colorito era molto pallido e aveva due chiazze rosse sulle guance, segno che il freddo faceva il suo effetto. Era a circa un metro di distanza da me. Guardava fisso oltre gli alberi del boschetto vicino alla piazza dove si trovava la fermata. D’un tratto alzò lo sguardo e lo puntò su di me. I suoi occhi color del ghiaccio mi trafissero e per un attimo smisi di respirare. Fui scossa da un brivido. E non era solo paura.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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 MOONLIGHT

La mia storia ha inizio in una fredda mattinata nebbiosa di fine ottobre.

Mentre aspettavo che passasse l’autobus che mi avrebbe portato a scuola, scorsi un ragazzo dirigersi verso la mia fermata, l’unica del paese in cui abitavo.

Il ragazzo indossava una felpa viola col cappuccio calcato sugli occhi. Nonostante ciò, riuscì a scorgere un ciuffo di capelli neri che gli ricadeva sull’occhio sinistro.

Il suo colorito era molto pallido e aveva due chiazze rosse sulle guance, segno che il freddo faceva il suo effetto.

Era a circa un metro di distanza da me.

Guardava fisso oltre gli alberi del boschetto vicino alla piazza dove si trovava la fermata.

D’un tratto alzò lo sguardo e lo puntò su di me.

I suoi occhi color del ghiaccio mi trafissero e per un attimo smisi di respirare.

Fui scossa da un brivido. E non era solo paura.

Per fortuna in quel momento arrivò l’autobus e finalmente fui liberata dall’ingorgo dei suoi occhi.

Mi sedetti in un posto isolato, in fondo al mezzo.

Con piacere notai che il misterioso ragazzo si era seduto davanti.

Gettai lo sguardo oltre il finestrino e pensai a quello che mi aspettava: cinque ore di lezione, fra cui interrogazione di latino. Fantastico.

Decisi di tirare fuori il libro e ripassare ancora un po’.

Niente da fare: declinazioni e verbi non erano per me.

Mi rassegnai e chiusi il libro. Non riuscivo proprio a concentrarmi: la mia attenzione era puntata su quel misterioso ragazzo che sedeva davanti e lasciava vagare lo sguardo oltre il finestrino, perso in chissà quali pensieri.

Gettai uno sguardo oltre il vetro appannato del mezzo, ma tutto ciò che scorsi fu uno spesso strato di nebbia che avvolgeva ogni cosa e costringeva il bus ad andare a velocità particolarmente bassa.

Odiavo la nebbia. Oltre al fatto che non riuscivo a vedere a un palmo dal naso, odiavo il fatto che c’insinuava nei capelli, lasciandoli umidi e appiccicosi.

Fortunatamente, dopo quella che mi parve un eternità, riuscì a scorgere la punta scura del campanile della chiesa dove si trovava la fermata in cui dovevo scendere.

Suonai appena in tempo il campanello e scesi velocemente dal mezzo, notando che anche il ragazzo misterioso era sceso con me.

Attraversai la strada e mi diressi velocemente verso la scuola, seguendo il lungo marciapiede che mi avrebbe condotta fino al cancello scolastico.

Decisi di non voltarmi indietro e continuai imperterrita il cammino, a capo chino e a velocità sostenuta.

Alla fine però cedetti all’impulso e mi voltai: del ragazzo nessuna traccia. Forse l’avevo seminato.

Quando varcai la soglia del cortile scolastico, non c’era anima viva: mi aspettavo che a causa del lieve ritardo del bus, qualcuno fosse già arrivato a scuola, invece niente.

Guardai l’orologio. Fra venti minuti sarebbero cominciate le lezioni.

Diedi un occhiata in giro.

Niente da fare. Il cortile era deserto.

Mi sfregai le mani nel tentativo di scaldarmi e cercai una panchina per sedermi, visto che a quell’ora non si poteva entrare in aula dato che era ancora troppo presto.

Cominciai a credere che forse avrei potuto prendermela con più calma, vista l’ora.

Sbuffai. Una nuvoletta di fumo uscì dalla mia bocca. Faceva proprio freddo.

Mi strinsi nel mio giubbotto nero, cercando di pensare ad altro.

Quel giorno era il compleanno di mia madre. Non avevo ancora pensato a cosa regalarle.

Lei odiava i regali. Anzi, lei odiava festeggiare il suo compleanno: trovava insensata l’idea di rallegrarsi del fatto di invecchiare.  Alla fine però lo festeggiava lo stesso.

Dovevo assolutamente andarle a comprare qualcosa dopo la scuola.

Persa nei miei pensieri, non mi accorsi che intanto la porta dell’edificio scolastico si era aperta, e potevo finalmente entrare.

Appena attraversai la soglia mi sentii invadere dal caldo: grazie al cielo i termosifoni erano accesi.

Qualche bidello gironzolava qua e là e intanto qualche studente si aggirava per la scuola.

Mi diressi verso la mia aula e mi sedetti nella penultima fila, in un banco accanto alla finestra, accuratamente chiusa.

Guardai fuori dal vetro: finalmente la nebbia si era alzata e un pallido sole era spuntato nel cielo.

Decisi di prenderla con più calma la prossima volta.

Non c’era motivo di sentirsi a disagio per colpa di quel ragazzo.

 Mi avvicinai al termosifone dell’aula, decisa a non staccarmi più.

Pian piano cominciarono ad arrivare tutte le mie compagne, che mi salutarono con un gesto della mano.

Quando la campanella suonò per indicare l’inizio delle lezioni, tornai al mio posto e cercai in tutte le maniere di prestare attenzione alla lezione.

 

-------

 

Dopo circa mezzora di lezione, qualcuno bussò alla porta e l’attenzione generale fu catturata dall’ingresso di un ragazzo moro, dagli occhi verdi, il colorito pallido e le gote rosee, che si avvicinò alla cattedra, porgendo un foglietto che l’insegnante firmò frettolosamente.

-Lui è il vostro nuovo compagno di classe-, annunciò il prof. –Prego, presentati pure…-, continuò, rivolto al nuovo arrivato.

Il ragazzo esitò un attimo, mentre il suo sguardo vagava da un alunno all’altro, poi disse deciso:

-Mi chiamo Edward, ho 17 anni, arrivo dall’Italia, e mi sono trasferito qui in Inghilterra da poco. Spero di trovarmici bene-, concluse, soffermando per un istante lo sguardo su di me.

-Grazie, Edward. Puoi sederti laggiù in fondo, in quel banco vuoto-.

Così dicendo il prof proseguì con la lezione.

Io ero letteralmente senza parole. Non ci potevo credere. Era lo stesso misterioso ragazzo che avevo notato stamattina in fermata…

Il mio intento di seguire la lezione fu inutile. Percepivo solo il flusso disordinato dei miei pensieri e  il suo sguardo perforarmi la schiena. Ma cosa voleva? Perché non mi lasciava stare?

Ero infastidita.

Forse dovevo tranquillizzarmi. Era normale che facessi quell’effetto sugli umani.

Le povere piccole prede attratte e allo stesso tempo spaventate dal cacciatore.

Poveri. Piccoli. Stupidi. Insulsi esseri umani.

Lui però era diverso. Mi faceva sentire a disagio come non mai.  Cercai di non prestargli attenzione e all’ora di pranzo mi diressi automaticamente in mensa, con lo sguardo perso nel vuoto e l’andatura lenta e fluida.

Comprai una soda e un insalata e mi sedetti nell’angolo più remoto della sala, dove era già seduto mio fratello.

Lo salutai con un cenno del capo e appoggiai il cibo sul tavolo.

-Lily, hai notato il nuovo arrivato?-, mi domandò, curioso, guardandomi intensamente coi suoi occhi dorati.

Annuii.

-Spero vivamente che non sia un Cacciatore-, dissi.

Lui mi fissò inespressivo, poi posò lentamente lo sguardo sul ragazzo, seduto qualche tavolo più in là di noi.

-Ho avvertito una strana sensazione quando l’ho visto, questa mattina-, continuai.

-Già…anche io. In effetti ti fissa in modo strano-, concluse, lanciandomi un occhiatina dorata e scoprendo leggermente i canini.

Gli sfiorai la mano, fredda come sempre.

-Calmati, Matteo…se è un Cacciatore dobbiamo stare attenti e non dare nell’occhio-, sussurrai.

Lui sembrò tranquillizzarsi, ma non distolse gli occhi da Edward neanche per un secondo.

Cercai di inghiottire qualche boccone di insalata e mandai giù un sorso di soda, nonostante sapessi benissimo che il mio corpo aveva bisogno di ben altro tipo di cibo. Ma occorreva salvare le apparenze.

Consigliai Matteo di fare altrettanto.

-Oggi non riesco proprio a sforzarmi di mangiare-, disse.

-Sei assetato? Se vuoi oggi possiamo uscire…-, proposi.

-No, per questa settimana sono a posto, tranquilla-.

Restammo in silenzio per un po’, mentre piluccavo distrattamente l’insalata.

-Non preoccuparti, fratellone. Non mi farò scoprire-, dissi infine, scompigliandogli i lisci capelli biondi, morbidi e vellutati.

Mi sorrise.

-D’altronde, di cosa dobbiamo aver paura? Lui è solo…-, continuai, divertita.

-E se ti da fastidio, giuro che lo farò fuori personalmente-, disse, scoprendo leggermente i suoi canini appuntiti.

Sbuffai, roteando gli occhi.

In quel momento la campanella segnò la fine della pausa pranzo.

Presi il vassoio con gli avanzi di cibo e versai il contenuto nel cestino, poi mi diressi nell’aula di biologia, dove si sarebbe svolta la prossima lezione.

 

                                                                        * * *

 

Il suono della campanella fu un sollievo.

Afferrai in fretta lo zaino e sgusciai fuori dall’aula, impaziente di andarmene, prima che Edward mi notasse.

I corridoi si affollarono velocemente e sperai di notare mio fratello in quel trambusto.

Non appena lo intercettai, gli corsi a fianco e insieme varcammo la soglia dell’edificio scolastico.

-Ti do un passaggio?-, domandò lui, quando arrivammo di fronte alla sua bella moto rossa fiammante.

-No, devo andare in centro a fare una commissione. Prenderò il tram più tardi-.

 –Non hai ancora comprato il regalo alla mamma, eh?-, disse, sorridendo.

Annuii imbarazzata.

Lui borbottò qualcosa, ridendo fra i denti.

Gli feci la linguaccia.

In quel momento si bloccò, fissando un qualcosa dietro le mie spalle. O meglio, qualcuno.

Mi voltai lentamente.

Un gruppetto di studenti chiacchierava fra loro animatamente, ridendo e scherzando ai piedi della scalinata della scuola. Tra questi, scorsi un paio di occhi verdi scrutarmi attentamente.

Edward.

-Giuro che se non la smette di fissarti gli strapperò quegli occhietti dalla faccia-, sibilò Matteo.

Mi voltai verso mio fratello.

-Lascia stare, non ne vale la pena-, dissi, infastidita da quello sguardo insistente.

Matteo intanto indossò il casco e inforcò la moto.

-Sicura di non voler venire con me?-, domandò.

Rifiutai un'altra volta.

-Come vuoi allora…ma stai attenta-, disse, lanciando un occhiata di traverso a Edward.

Lo tranquillizzai con lo sguardo.

-Non temere…cosa vuoi che mi possa fare un piccolo essere umano?Ho io il coltello dalla parte del manico-.

Sorrisi, e lui fece altrettanto, rincuorato dalla risposta.

Aspettai che uscisse dal cancello scolastico, sfrecciando via con la sua moto.

Poi mi avviai lungo il marciapiede che costeggiava l’edificio scolastico, sperando di non essere seguita da nessuno.

Qualche negozio era addobbato con pipistrelli finti e zucche sorridenti, che dimostravano quanto Halloween fosse ormai vicino.

Svoltai a destra e attraversai la piazza semideserta.

Trovai un negozietto dall’aria graziosa. Mi fermai davanti alla vetrina, guardano i capi esposti.

Il mio sguardo si soffermò su un paio di guanti viola di morbido velluto, impreziositi da un cinturino violaceo su cui spiccava una piccola ametista brillante.

Decisi di entrare. Un delicato aroma di cannella mi colpì l’olfatto sensibile e mi rilassò.

La commessa dietro al bancone mi guardò, piegando le labbra scarlatte in un sorriso. Riccioli neri le incorniciavano il viso. Occhi verdi scintillanti mi scrutavano attentamente.

-Desidera?-, domandò.

-Ho notato dei guanti viola in vetrina. Mi chiedevo se è possibile guardarli meglio-.

-Ma certo-, disse, sorridendo e dirigendosi verso la vetrina per prendere i delicati guanti violacei.

Li adagiò piano sul bancone e li osservai attentamente.

La stoffa morbida e vellutata era davvero ottima e la piccola ametista del cinturino era veramente bellissima e sfolgorante, nonostante le dimensioni.

-Quanto vengono?-, domandai.

-Sedici euro-.

Il prezzo era buono. A mia madre sarebbero piaciuti di sicuro. In caso contrario, me li sarei tenuti per me.

Sorrisi.

-Li prendo. Potrebbe incartarmeli, per piacere?-, chiesi.

La commessa annuì e prese una piccola scatola violacea, in cui adagiò i guanti.

Poi la mise dentro una borsa nera di cartone, dove era impresso a caratteri eleganti il nome del negozio.

Estrassi dal portafoglio una banconota da venti e la porsi alla donna, attendendo il resto.

-Ecco a te…Grazie e a presto-, disse, increspando le labbra in un sorriso.

-Arrivederci-.

Uscì dal negozio soddisfatta. Il regalo per la mamma era perfetto.

Mi diressi verso la fermata dell’autobus, attendendo pazientemente. L’autobus sarebbe passato tra poco.

Non c’era più freddo come stamattina. Un pallido sole sostava nel cielo.

L’aria era fresca e piacevole.

Erano quasi le quattro. La scuola era finita ormai da un ora, ma c’era ancora qualche studente che girava per la città, in compagnia o da solo.

Ad un tratto sentii vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni neri attillati.

Lo presi svogliatamente e lessi velocemente il messaggio ricevuto: “Sabato c’è la mia festa di compleanno: ci troviamo alle 9 al Gold Garden. Ti aspetto. Baci. Jessi”. 

Sorrisi e scrissi un messaggio di risposta: “Ci sarò. Ci vediamo al Gold Garden fra tre giorni. Baci. Lily”.

Oh. Festeggiava il suo compleanno il giorno di Hallowen. Bene. I vampiri non sarebbero mancati.

Finalmente l’autobus arrivò e mi accomodai in fondo al mezzo, gettando subito lo sguardo fuori dal finestrino e cercando di pensare a cosa avrei fatto appena tornata a casa. Dovevo distrarmi. O sapevo benissimo dove mi avrebbero condotta i miei pensieri: verso quello stupido e insulso essere umano che mi tormentava in continuazione. Ma cosa voleva? Perché non mi lasciava in pace? Se era veramente un Cacciatore non avrebbe dovuto farsi notare così tanto.

Non volevo essere costretta a eliminarlo per la sua sfacciataggine. Doveva lasciarmi stare.

Riuscivo a ricordarne l’odore: dolce e delicato, ma abbastanza forte da indurmi a desiderarlo troppo…e abbastanza violento da rovinare la facciata ben costruita in tutto questo tempo di permanenza qui. Ma perché era venuto qui in Inghilterra a tormentarmi? Perché non se ne tornava in Italia? Già, in Italia. Avevo qualche parente nei pressi di Venezia e qualche volta passavo la mia estate là. Mi piaceva. Ma ora che sapevo che lui proveniva da là, cominciavo a provare una specie di ribrezzo per quel luogo. E io non volevo odiare niente e nessuno. Perché dovevo rovinarmi la vita a causa di quello sciocco individuo?

 Comunque per ora non stava facendo nulla di veramente preoccupante. Speravo solo che la situazione non precipitasse.

Dovevo cercare di comportarmi normalmente e non agitarmi. Era importante che non dessi nell’occhio.

Suonai il campanello e scesi dall’autobus.

Camminai lungo il piccolo viale che mi avrebbe condotta fino a casa mia. Questa via infatti si snodava per circa un kilometro fino a perdersi in un boschetto, dove in uno spiazzo erboso spiccava una casa dall’intonaco rosa pallido.

La bella moto di Matteo era parcheggiata vicino al garage chiuso.

Tirai fuori le chiavi dallo zaino e aprii la porta di casa.

Mi diressi verso la mia stanza e gettai la cartella sul pavimento. Poi misi la giacca nera sull’attaccapanni e nascosi il regalo per la mamma dentro l’armadio.

I miei non sarebbero tornati prima di sera, quindi avrei avuto la casa libera per un po’.

Sapevo che Matteo non era qui, altrimenti l’avrei sicuramente sentito aggirarsi per la casa.

Probabilmente era uscito a cacciare: stamattina aveva detto che non ne aveva bisogno, ma la precauzione non era mai troppa.

Decisi di fare i compiti per il giorno seguente e non appena li finii, scesi in salotto e aprii la finestra: avevo bisogno di aria fresca. Poi accesi la tv e mi sdraiai sul divano rosso.

Guardai le previsioni meteo: preannunciavano piogge e maltempo per i prossimi due giorni.

Bene. La pioggia mi piaceva. E comunque era sempre meglio della nebbia fitta di stamattina.

Ripensai alla mattinata trascorsa con un brivido e cacciai subito il pensiero.

Cercai di concentrarmi sul televisore. Ora c’era la pubblicità.

All’improvviso qualcuno scavalcò la finestra aperta e si catapultò all’interno della casa.

- Com’è andata la caccia?-, chiesi, senza staccare gli occhi dal televisore.

Matteo fece una smorfia e si gettò sul divano, di fianco a me.

-Non avevo voglia di cacciare così mi sono fatto un giro... Tu piuttosto hai preso il regalo per la mamma?-, domandò.

Sorrisi, mostrando la chiostra di denti bianchi e affilati.

-Certo-, mormorai, soddisfatta.

-E come è andata col tuo amichetto?-.

Tornai a fissare il televisore.

Il mio viso divenne una maschera di granito.

-Non mi ha dato nessun fastidio-. Udii la sfumatura fredda nella mia voce.

Lui parve non accorgersene.

-Lo spero-. La voce ridotta ad un sussurro appena percepibile.

Restammo così, immobili, a guardare la tv in silenzio, finché i nostri genitori arrivarono.

-Ciao, ragazzi. Com’è andata oggi a scuola?-, domandò mia madre, facendo ondeggiare i suoi bei boccoli castani e appoggiando la borsa e il cappotto su una sedia.

Mia madre mi somigliava molto, -avevamo gli stessi occhi verdi-, tranne per i capelli, che portava appena un po’ più corti dei miei e, a differenza dei suoi, i miei erano lisci, molto lisci.

Mio fratello invece aveva preso tutto dal padre: alto e biondo, differiva solo per gli occhi castano-dorati.

-Bene-, risposi automaticamente.

Matteo s’intromise.

-C’è un nuovo arrivato a scuola-, disse.

-Ah davvero? -. Mio padre sembrò interessato.

-Già…un Cacciatore-, continuò mio fratello.

-Cosa??-. La mamma si girò di scatto, gli occhi ridotti a due fessure.

-Non ne siamo ancora certi…Potrebbe non esserlo, d’altronde non ha fatto ancora niente di male-. Lanciai un occhiataccia a Matteo.

-Non dobbiamo preoccuparci. Basta che non diate nell’occhio, ma nel frattempo sorvegliatelo. Non si sa mai-, disse mio padre, guardandoci attentamente.

Annuii.

La mamma sembrò tranquillizzarsi, anche se una ruga di preoccupazione continuò a solcarle la fronte.

Mi avvicinai a lei.

-Mamma…non c’è nulla da temere, fidati-.

Mi sorrise. La ruga non accennò a scomparire.

-Bè, oggi è un giorno speciale, non guastiamolo con queste preoccupazioni inutili-, esclamò mio padre, dirigendosi in cucina e aprendo una bottiglia di spumante, appositamente comprata per l’occasione.

Ne versò il liquido dorato in quattro bicchieri che ci porse sorridendo.

-Perché mai dovremo brindare?-, domandò mia madre.

-Ma cara, oggi è il tuo compleanno…Non ti ho preso la torta solo perché sarebbe stata troppo piccola per contenere tutte le candeline che occorrevano-, rispose, bonario.

-Vogliamo ricordare quanti anni hai tu, caro?-.

-Ne ho ben 650, e ti ho aspettata per 80 anni, mia cara-.

Lei sorrise.

-Un brindisi alla mamma, dunque. Che possa vivere felice per molti anni ancora-.

Detto questo, quattro bicchieri scintillanti si scontrarono all’unisono, tra la gioia generale.

Avvicinai il calice alle labbra, cercando di mandar giù quel liquido dorato, ben sapendo con cosa l’avrei compensato in seguito.

Lo spumante ci piaceva. Era una delle poche cose degli umani che non ci disgustava e potevamo permetterci di berne un sorso, senza conseguenze.

Il cibo invece era orribile. Certo, potevamo mangiarlo, ma solitamente più di qualche boccone non potevamo mandar giù. Disgustoso. E gli umani ne andavano pazzi.

D’un tratto mi ricordai del regalo e sgusciai velocemente in camera mia, tirandolo fuori dall’armadio e scendendo subito in cucina.

Un umano non si sarebbe accorto di nulla. Troppo veloce per i suoi occhi deboli.

-Mamma, questo è per te…lo so che non ti piacciono i regali, ma non ho resistito-, dissi, sorridendole.

Lei prese il pacchetto, increspando le labbra scarlatte in un sorriso.

-Grazie-, disse, aprendo la confezione e guardandone il contenuto.

-Sono bellissimi…-.

-Sapevo ti sarebbero piaciuti-.

Mio fratello ammiccò. –Ottima scelta…ma il mio le piacerà di più-, sussurrò. Solo io lo sentii.

Gli feci una piccola linguaccia.

-Ehi mamma, ti ho comprato qualcosa anch’io-. Le porse una scatolina rossa.

-Oh, ragazzi…non dovevate disturbarvi-, disse, leggermente commossa, aprendo il regalo di Matteo.

Erano due orecchini d’argento a forma di rosa, ornati da fregi d’oro.

La mamma sorrise e se li mise subito.

-Grazie, tesoro-, sussurrò.

Matteo era visibilmente compiaciuto.

Io ero senza parole. Possibile che trovasse sempre il modo per farsi apprezzare più di me?

Mio padre sorrise. –Ho anche io qualcosa per te, cara-. Dalla tasca del suo gilet grigio estrasse una piccola scatolina nera.

Si trattava di una collana d’argento, con un ciondolo a forma di rosa che pendeva graziosamente.

-Ah vi siete messi d’accordo voi due-, esclamò la mamma sorridendo.

Mio padre ammiccò a Matteo.

-Vi ringrazio molto. Tutti i regali sono stupendi-, disse lei, guardandoci con i suoi brillanti occhi verdi, screziati di rosso. Aveva sete. E mio padre l’aveva sicuramente notato, infatti disse:

-Io e vostra madre usciamo. Rientreremo presto. Voi intanto preparatevi perché domani c’è scuola-.

Ma certo. Avevamo una nottata intera per prepararci, quindi potevamo anche prendercela con calma.

I miei intanto uscirono nella fredda aria della notte, chiudendosi piano la porta alle spalle.

Io ne approfittai del momento e accesi lo stereo, tenendo il volume non troppo alto, perché sapevo che i miei potevano lo stesso sentirlo, per quanto lontano fossero.

Matteo sbuffò e mi avvicinai a lui, cantando e costringendolo a ballare un po’ con me.

Così ci scatenammo sulle note di una canzone rock, aggiungendovi la nostra voce melodiosa e muovendoci a ritmo.

 

***

ciaooooo :) eccomi ritornata con una nuova fic :) fatemi sapere :)

baci

giuly

   
 
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