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Autore: Elanor89    15/02/2010    2 recensioni
Elena Dumont è una bella vampira, una donna in carriera e di successo, ma la sua diffidenza l'ha sempre condotta per strade solitarie, lontana dai suoi simili nei quali non riesce più a riporre fiducia... Accadrà tutto in una notte: il destino mescolerà le carte in gioco e lei dovrà imparare a fidarsi di nuovo per sopravvivere... Ma quando la fiducia non sarà più sufficiente, quando ogni segreto verrà svelato, riuscirà a fuggire da un passato terribile che torna sempre a bussare alla sua porta?
Genere: Generale, Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Carissimi, ecco a voi il nuovo capitolo. Come al solito non ci sono molte recensioni... ;)
grazie mille a Giulia per i suoi preziosi consigli e a i miei lettori affezionati,
un bacio a tutti,

El <3 

 

 

*

 

 

Capitolo VI

 


Mi riebbi non senza difficoltà: la voce di Victor era vellutata, sensuale. Viscida.

- Cosa vuoi?- risposi, ostile, stringendomi nella coperta.

- Sai cosa voglio, piccola... E so che lo vuoi anche tu... Noi ci apparteniamo!- rispose, serio. Non c'era ironia nella sua voce, ne era realmente convinto. Quella sicurezza mi mandò in panico.

- Io non appartengo a nessuno, a te meno che mai...- risposi, tagliente.

- Sono il tuo creatore, il mio veleno scorre nelle tue vene...-

Era vero e ovviamente lo sapevo già, ma mi sconcertava come se ne avessi preso consapevolezza solo in quel momento. La verità era che sentivo un'apartenenza che non aveva niente a che vedere con lui.

- Lasciami in pace...- lo implorai.

- Torna a casa...-

- Sono già a casa...- lo contraddissi. Ero stanca di ripeterlo: forse pensava di prendermi per sfinimento, ma non avevo intenzione di cedere. Non adesso che sapevo cosa volevo da un compagno. Non adesso che avevo conosciuto Chris. La sua semplice esistenza era un motivo per andare avanti con la mia determinazione.

- Puoi negarlo anche con te stessa, ma io sono l'unica certezza nella tua vita...-

- Quanto hai bevuto, Vic?- lo apostrofai. Lui rise.

- Mi conosci così bene...- rispose, languido. Mi alzai in piedi, tentando di recuperare il controllo, lo sguardo perso oltre la finestra. Era l'alba.

Non mi accorsi subito di quelo che stava accadendo, ma dopo una frazione di secondo sentii decine di schegge di vetro conficcarsi nella pelle scoperta del mio piede sinistro. Imprecai sotto voce, mentre Victor mi chiedeva spiegazioni, allarmato.

- Ho calpestato dei vetri rotti...- risposi, esasperata.

- Vuoi che dia un'occhiata alla ferita?- mi chiese, improvvisamente sveglio e lucido.

- Non penso sia così grave...- declinai.

- Pensi di riuscire a guidare da sola fino al Pronto Soccorso?- mi chiese, ansioso.

- No...-

- Sono sotto casa tua, sto arrivando...-

Riagganciò prima che potessi rispondere altro. Non so perchè si comportasse così, ma sapevo che non dovevo assolutamente cadere in quella trappola. Lo conoscevo: era un egocentrico, non faceva nulla se non per un preciso tornaconto e se sperava di cavarsela con quelle sue odiose piccole premure, si sbagliava di grosso.

Suonò alla porta e zampettai per aprirgli, gocciolante di sangue. Lui mi fissò trasognato per un attimo, guardando la mia camicia da notte con un sorrisino. Si riebbe subito, prendendomi per la vita e sostenendomi fino al divano.

- Che ci facevano dei vetri sul tuo pavimento?- mi chiese, togliendosi il giubotto.

- Sono ancora lì, fa attenzione...- risposi, indicando la mia destra. Lui mi guardò severo, prendendo il mio piede ferito tra le mani ed esaminandolo con attenzione.

- Hai una pinzetta, vero?- domandò.

- Si, nell'armadio bianco in bagno, sul primo ripiano a destra...- risposi, rassegnata. Abbandonai la testa sul bracciolo del divano e chiusi gli occhi mentre lui si dirigeva verso il mio bagno. Lo sentii ritornare dopo pochi secondi e sedersi accanto a me, riprendendo il mio piede in grembo.

- Ho trovato anche garze e disinfettante...- mi informò. Cominciò ad estrarre i primi frammenti, i più superficiali, mentre il dolore mi mozzava il fiato. Procedeva velocemente, ma con accuratezza, guardandomi spesso in viso con una strana espressione. Sapevo di dovergli essere grata per quella cortesia perchè non sarei mai riuscita a guidare in quel modo, ma non riuscivo a non pensare che avrei desiderato qualcuno di diverso al suo posto, qualcuno che mi avesse curata da ferite ben più gravi per infliggermene una quasi mortale.

Quando Vic posò le pinzette mi sentii sollevata, mentre osservavo le scheggie insanguinate luccicare come rubini nel mio posacenere di vetro, cercando di ignorare i brividi causati dal contatto con le sue mani.

Mi medicò con cura, infine mi sorrise.

- Finito...-

- Grazie...- risposi, sospresa dalla sua amorevolezza. C'erano stati anni in cui una simile attenzione non avrebbe suscitato in me alcun sospetto. In cui quelle mani mi sarebbero parse gentili...

- Offrimi una vodka, ti prego...- mi disse, con gli occhi lucidi. Era ancora sotto l'effetto degli alcolici, ma era troppo sveglio per i suoi standard.

- Non ti dispiace prenderla da solo?- domandai.

- No, certo...- mi rassicurò...

- In frigo in cucina... i bicchieri sono nello sportello accanto, in alto...- lo istruii.

- Tu vuoi qualcosa?-

Volevo una macchina del tempo, oltre che un piede nuovo...

- Porta un bicchiere anche per me... di plastica!- risposi.

Ritornò poco dopo con due bicchieri pieni a metà di vodka con ghiaccio e metà fragola. Era sempre stato un tipo creativo. Sorrisi e afferrai il bicchiere.

- Grazie, Vic...- dissi – Per il piede e la vodka...- precisai.

Lui si sedette al mio fianco e trangugiò il contenuto del suo bicchiere in un lampo.

- Sai cosa mi farebbe felice...- rispose. Allungò una mano per accarezzarmi il viso. Mi guardava in modo strano, ma forse mi sembrava così per via dell'alcol... Era sincero, senza quell'aria da duro a tutti i costi che me lo rendeva così odioso. Senza l'arroganza che lo seguiva sempre come un'ombra. Ricordai l'ammirazione che provavo per lui quando ero stata sua allieva, la stima, il rispetto... A suo modo si era preso cura di me... Ma era riuscito a cancellare tutto in una sola notte, quella della mia fuga.

- Elena...- mi richiamò, sfiorandomi una gamba nuda con una mano. Si chinò su di me – Ti metto a letto prima che ti addormenti qui...-

- Penso di poter saltellare su un piede fino alla mia stanza...- risposi.

- Ho detto metterti a letto, non portarti a letto...- aggiunse lui, sorridendo.

- Mi stai offrendo un passaggio, quindi...-

- Assolutamente si...- rispose lui, alzandosi in piedi – Me ne andrò subito dopo aver controllato che tu sia a posto...-

Mi misi a sedere, mentre lui si sporgeva su di me per reggermi di nuovo per la vita, mentre io mi aggrappavo al suo collo. Mi lasciai sostenere, mentre varcavamo la porta della mia stanza. Mi adagiò fra le coperte, mettendomi un cuscino sotto il piede bendato.

- Cerca di riposare...-

Mi posò un bacio sull'angolo della bocca, pronto ad andare oltre se io glielo avessi concesso. Ma non ero in vena... La mia memoria mi pugnalò con l'immagine nitida di Chris quella mattina, sul prato, disteso sopra di me, le labbra sulle mie. All'appagamento di quel momento faceva fronte la sensazione di disagio che provavo con Victor... Il contrasto era nitido.

- Grazie...- risposi. Lui indugiò al mio fianco.

- Vuoi che rimanga?- domandò, teso.

- Non è necessario, sto bene...- declinai, sforzandomi di sorridere.

- Chiama per qualsiasi cosa...- concluse, avviandosi verso la porta.

Lo sentii infilarsi il giubotto, spegnere la luce e chiudere la porta alle sue spalle, mentre con un brivido realizzavo di essere rimasta per più di 30 minuti con la fonte dei miei incubi in casa mia. Era come se nelle ultime ore le parti si fossero improvvisamente invertite: Chris, il mio salvatore, colui che mi aveva curato e tenuto con sé per giorni, era un bugiardo; Victor, l'uomo che mi aveva costretta alla fuga e che tormentava i miei sogni, era corso in mio aiuto...

I motivi di quel comportamento rimanevano ancora ignoti, per me... Il motivo per cui consideravo quello di Cris un tradimento, invece, era molto chiaro: ero irrimediabilmente innamorata di lui. Tanto da non aver intuito, a dispetto del mio sopravvalutato fiuto per le trappole, che c'era qualcosa di torbido... Tanto da essermi affidata a lui, da avergli concesso tutta la mia fiducia...

Le sue parole mi erano sembrate sincere, ma non mi fidavo più della mia capacità di giudizio, né potevo dare per scontato che lui provasse ciò che provavo io...

Mi raggomitolai su me stessa, lasciando vagare la mente tra i pensieri meno dolorosi e ripercorsi con cura ogni momento con Melanie e Susan. Era la questione più seria e urgente al momento. Volevo assolutamente assicurarmi che la loro permanenza in istituto fosse la più breve possibile e che il tribunale le affidasse alle mie cure, ma non potevo impedirmi di valutare la questione da un'ottica più severa ed obiettiva: ero in grado di occuparmi di loro? Ero la persona adatta a crescere due bambine? Io ero un'assassina a piede libero, mi nutrivo di sangue umano per vivere, non ero capace di invecchiare... sarei mai potuto essere una buona madre?

Quelle domande mi ricordarono la mia scarsa propensione al matrimonio nella mia vita da umana... quella mattina avrei dato tutto per essere ancora una donna normale, per poter generare dei figli, per meritare di crescerli e non costituire per loro una minaccia... ma la mia sola esistenza era contro natura, così come il desiderio di avere dei figli dall'uomo che mi aveva tradita...

Lo desideravo esattamente come desidervavo che fosse al mio fianco in quel momento. Ma non potevo avere nessuna delle due cose. La felicità in quel momento era quanto di più irraggiungibile mi si prospettasse davanti.

Mi strinsi tra le coperte mentre il mio cellulare squillava impaziente. Il numero di Chris campeggiava sullo schermo a caratteri cubitali. Ogni squillo era una fitta di dolore inflitto dritto al cuore, distillato di malinconia e tradimento. Come un veleno mi toglieva consapevolezza e rendeva rarefatto tutto ciò che avevo intorno, imprimendo ogni cifra a fuoco nella mia mente. Lui insistè per un paio di volte, lasciò un messaggio in segreteria. Combattei con l'istinto di cancellarlo senza nemmeno ascoltarlo, ma non riuscii a evitare di desiderare quella voce. Il solo fatto di non rispondere era una violenza per me stessa... mi concessi la debolezza di ascoltare le sue labbra sussurrare il mio nome, abbozzare delle scuse.

Mi manchi...” aveva sussurrato.

Sentii il mio stomaco contrarsi, il mio respiro farsi più corto. Non potevo fare finta di nulla. La mia mente si oscurava di fronte al dolore per la sua assenza, ma non potevo permettere al mio bisogno di averlo di annullare qualsiasi istinto di sopravvivenza... trattenni le lacrime, stringendo le gambe al petto e rimasi così, incosciente, a fissare un raggio di sole riflettere uno spicchio di luce sempre più ampio sulla parete di fronte a me. Inerme e indifesa, mi sentivo esposta alla furia di un uragano con la mia sola pelle a proteggermi. Ero umana come non mai...

Non riuscivo a chiudere occhio, non riuscivo a spegnere la mente. Avrei voluto fuggire da tutto, lasciando la città e i miei tormenti lì, rifugiarmi in un posto a me caro, sentirmi di nuovo viva.

L'idea mi colse come una folgorazione. Mi misi in piedi con cautela, cercando di non appesantire il piede ferito, e presi una valigia dall'armadio. Scelsi i vestiti pesanti, abbondai con le quantità... Poi mi vestii e mi sistemai il trucco e i capelli. Dovevo andare via.

Veloce quanto mi era consentito dalla mia andatura zoppicante mi diressi all'auto. Indossai gli occhiali da sole, spinsi il piede sano sull'acceleratore e imboccai l'autostrada in direzione dell'aeroporto, mentre la mia mente faceva un veloce riepilogo del necessario per lasciare il continente. Finalmente sarei tornata a casa.

  
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