Devo ringraziare mine, Kumiko_Chan_ e Simona_Cullen per le recensioni che mi hanno lasciato ed inoltre tutte le persone che hanno aggiunto la storia tra i seguiti ed i preferiti!!!Grazie grazie grazie!!!!!
Con gli abiti stretti in mano
arrivai allo spogliatoio. Sentivo la presenza di Jasper nel corridoio vicino.
Me l’aveva detto che sarebbe rimasto in zona e al momento giusto mi avrebbe
inflitto la sensazione di dolore che avevo sperimentato poco prima. Ne avrei
volentieri fatto a meno, ma era necessario per la buona riuscita del piano.
Pregavo che buona parte dei
miei compagni di classe fossero già usciti dallo spogliatoio, ma la quantità di
pensieri che si sovrapponevano dietro la porta mi confermava il contrario.
“Secondo me non si presenterà alla lezione”.
“Chissà quale scusa avrà in serbo oggi”.
“È solo un coniglio, neanche verrà” Mike Newton. Ancora mi stupivo
di quanto nervosismo mi potessero infondere i suoi stupidi e infantili
pensieri.
Determinato a smentire quei
pensieri aprii di scatto la porta dello spogliatoio e mi ritrovai davanti alla
scena che mi ero immaginato. Tutti i ragazzi se ne stavano fermi e in silenzio
nello spogliatoio, chi si stava infilando le calze, chi restava a torso nudo
con la maglietta tra le mani e chi stava discutendo animatamente e all’improvviso
si era fermato con le mani a mezz’aria.
Tutti fissavano me. Se non
avessi avuto la certezza che li avrei potuti disintegrare in pochi secondi mi
sarei sentito in imbarazzo. Subito un flusso di pensieri mi travolse, fu come
ricevere una gran botta in testa, decine di voci mi entrarono nella mente
pressoché contemporaneamente.
“Oh
guarda chi c’è, il principino si è deciso”
“Cavolo
ho perso la scommessa”
“Tyler
ha perso! Ho vinto 10 Dollari!”
“
Voglio proprio vedere se è così malato come dice di essere…”
Sbuffai piano e mi incamminai
verso una panca libera. Il più lontano possibile da tutti gli altri: mi sentivo
i loro occhi addosso e non potevo fare a meno di evitare i loro sguardi, poiché
lo spogliatoio era un unico spazio aperto. Intercettai con lo sguardo l’unico
volto amico in mezzo alla marmaglia dei miei compagni: Ben. Mi avviai verso di
lui e incrociai il suo sguardo mentre ignaro del mio arrivo si stava
allacciando le scarpe.
“Ehi Edward, ti unisci a noi
oggi?” mi chiese sorridendo.
“Già, il professore dubita dei
miei certificati medici, forse dovrebbe parlare con mio padre” mi sembrò una
risposta sensata, che un ragazzo di diciassette anni avrebbe potuto fornire
come spiegazione.
“Beh, sono sicuro che hai delle
valide motivazioni per non seguire le lezioni di educazione fisica” affermò il
ragazzo.
“Ah sì, su quello hai proprio
ragione!” e accennai una risata inspirando a pieni polmoni e ritrovando un po’
di rilassatezza. Mi bloccai a metà respiro interrompendolo bruscamente. Oh che
schifo! Non mi ero accorto di quanto puzzasse quel luogo. Entrando una scia di
odori mi aveva colpito le vie respiratorie ma non ci avevo fatto troppo caso.
Era un letale mix di polvere, sudore, mobili vecchi, scarpe sporche, calzini
dimenticati sotto gli armadietti, briciole di cibo, indumenti sudici,
asciugamani bagnati e riposti nelle sacche, bagnoschiuma, palloni e bibite
energetiche ad alto contenuto chimico. Non sapevo se per gli altri ci fosse la
stessa sensazione di sporco che mi sentivo addosso, così indagai ingenuo “C’è
sempre questa puzza qui dentro?”
“Quale puzza?” rispose Ben
inspirando brevemente un paio di volte per testare l’aria.
Ottimo! Passavano ore delle
loro giornate in un posto pieno di batteri e maleodorante e non se ne rendevano
conto. “No, nessuna, mi era sembrato, ma mi sono sbagliato”.
Durante il nostro piccolo
scambio di parole la situazione alle mie spalle non era mutata. Tutti i
compagni se ne stavano lì ad aspettare una ed una sola cosa: volevano vedere
quanto fossi malato, gracile e ammirare il mio povero corpo segnato dalla
sofferenza. Non se ne sarebbero andati finché non mi avessero visto in mutande
davanti a loro per poter constatare con i loro occhi che non stessi mentendo. A
nessuno di loro sarebbe importato nulla se si fosse trattato di qualsiasi altro
studente, ma nel mio caso tutti volevano “sapere”, non sopportavano l’idea che
fossi così bello, bravo e perfetto.
Dovevo trovare un modo per ritardare e
lasciarli uscire tutti. Proprio mentre mi trovavo impegnato in quelle riflessioni,
tra tutte le voci che udivo nelle mie orecchie una mi colpì in pieno come la
punta di una freccia. Sempre lui, Mike Newton, coglieva l’occasione per darmi
sui nervi. Sentivo chiaramente che aveva accostato la mano alla bocca e sussurrava
al suo compagno “Forse il principe ha vergogna di cambiarsi davanti a noi…
povero scemo!”
Un meccanismo perverso scattò
dentro di me ed agì cancellando i miei timori di essere giudicato per il mio
fisico perfetto. Quello stupido ragazzino stava per innervosirmi seriamente. Se
non avessi saputo controllare perfettamente il mio umore l’avrei scagliato
dall’altra parte della stanza con una manata, frantumandogli buona parte delle
ossa e rovinandogli per sempre il faccino arrogante. Decisi che non mi
importava del loro giudizio, non sarebbero mai andati a dire al professore che
il mio fisico era pari a quello di un atleta professionista, anche perché dopo
la mia performance in palestra mi sarei trovato nell’impossibilità di
partecipare alle lezioni.
“Forse è meglio che mi cambi i vestiti, non vorrei fare tardi alla lezione” dissi a Ben con un sorriso benevolo. Mi sfilai lo zaino dalla spalla e lo appoggiai alla panca, di fianco a quello di Ben. Lui intanto continuava a vestirsi. Sentivo i pensieri di quei curiosi pettegoli dietro le mie spalle, così mi levai la felpa e la piegai. Rimasi in maglietta a maniche corte e già sentivo come i loro pensieri si concentravano sulla possenza delle mie braccia pallide. Scalciai le scarpe con i talloni e le lasciai vicine ai miei piedi. Mi levai la maglietta.
Vidi Ben
sgranare gli occhi per un secondo, da quella prospettiva era l’unico a potermi
vedere e si limitò a pensare un “Cavolo!” osservando i miei addominali scolpiti
e i pettorali definiti. I pensieri e i commenti alle mie spalle aumentavano
vertiginosamente, così d’improvviso mi girai con noncuranza, piegando con cura
la maglietta. Un silenzio improvviso calò nella stanza, interrotto dal cigolare
di un’anta degli armadietti metallici che sbatteva contro la parete. Il mio ego
si trovava a livelli di massima soddisfazione, osservando le espressioni di
stupore di quei ragazzini e, soprattutto, di Mike Newton che mi fissava con la
bocca mezza aperta scuotendo leggermente la testa. Ghignavo soddisfatto nella
mia mente, accennando un piccolo sorrisino sul mio volto perfetto. Per
completare l’opera mi sfilai i pantaloni e rimasi in boxer davanti a tutti,
pieno di soddisfazione. Lasciati passare un paio di secondi, infilai i
pantaloni della tuta e la maglietta della divisa scolastica, infilai le scarpe
senza slacciarle, riposi i miei abiti nello zaino e mi rivolsi a Ben “Io sono
pronto, andiamo?”
Lo vidi scuotersi un attimo e
ritornare con la mente nello spogliatoio e rispondermi “O-ok, andiamo” e si
alzò avviandosi. Io lo imitai e lo seguii passando in mezzo agli altro
compagni, troppo meravigliati per muoversi.
Non appena toccai la maniglia
della porta fui assalito da un vortice di pensieri, tutti con un’unica
tematica: il mio corpo assolutamente perfetto.
Risi, contento di aver dato una
lezione a quei ragazzini, che avrebbero dovuto pensare ai fatti loro e non
interessarsi dei miei affari privati.
Un pensiero di divertiva in
particolare, ovviamente quello di Mike che scuoteva la testa muto e dentro di
sé ripeteva “Non è possibile, non è possibile, non è… umano avere un fisico del genere!”