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Autore: Ariel Lane    23/02/2010    1 recensioni
«Strinsi la mano in un pugno, e maledissi con tutta la rabbia che mi portavo dentro il maledetto che aveva inventato il “E vissero tutti e felici e contenti.” Perché in quel suo maledetto lieto fine aveva omesso me. » Avvolte credere nella fortuna è un bene, altre un male. C'è chi s'innamora, e chi invece ricade sempre nella stessa rete. Ma il destino fa sempre di testa sua, non guarda in faccia nessuno. Per questo esistono le fiabe, per portare un po' di speranza a chi non ne ha...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa:

Il point of view è un capitolo come tutti gli altri, l’unica differenza è che viene narrato in prima persona, descrivendo proprio la situazione dal punto di vista del personaggio scelto. *w*

 

˚Point of view˚

(Danny)

 

1

 

Non potevo credere a quello che avevo sentito, a quello che avevano fatto. Non potevo credere che fosse stata proprio Alicia, la ragazza minuta e dolce che avevo conosciuto un mese prima. Non riuscivo a darmi pace; dentro di me imprecavo e ribollivo di rabbia mentre in mano stringevo il cellulare che cercavo di stritolare seppur inutilmente.

Correvo a per di fiato, mandando al diavolo chiunque incrociasse il mio cammino.

Volevo stare da solo, e cavolo, ne avevo tutto il diritto.

Alicia me l’avrebbe pagata.

Nel frattempo correvo alla disperata ricerca di una meta. Non avevo idea di dove mi stessero portando le gambe, me ne accorsi solo quando percepii l’odore dell’erba bagnata, il fruscìo delle foglie degli alberi ed il sospiro del cielo.

Mi guardai attorno, avevo come la sensazione che il mondo stesse girando vorticosamente, trascinandomi in un turbine dal quale mi era impossibile scappare; i ricordi riaffioravano, gli odori ed i sapori tornarono ad inondarmi il naso e ad inumidirmi la lingua. I tratti di una ragazza familiare si delineavano sempre di più ogni volta che socchiudevo gli occhi, e che col pensiero tornavo indietro sino a quei giorni. Sino a quel giorno.

Mi lasciai cadere sull’erba di Hide Park, inspirai ed espirai più e più volte.

Come avevo fatto a nascondere a me stesso quelle emozioni per tutto quel tempo? Come avevo fatto a credere di poter stare bene, quando in realtà dentro ero un esplosione di amore ed odio?

Presi la testa tra le mani concentrandomi su una persona, incentrando la mia attenzione su di lei, cancellando il resto intorno a me. Mi sforzai di ritornare indietro nel tempo, di scavare dentro di me, dentro la mia testa- sebbene non vi fosse molto da cercare.

Ed eccoli lì infine, accucciati in un angolo della mia mente. Non li avevo dimenticati, solo accantonati; perché non avevo mai desiderato scordare, non avevo mai voluto scordare. E non l’avevo mai fatto.

Ricordavo ancora quel senso d’incertezza  che avevo provato nel vederla seduta su quella panchina-la stessa sulla quale si stavano abbracciando due innamorati di fronte a me in quel momento. Ero agitato, spaventato, confuso...

Mi tremavano le mani, eppure, non mi tiravo mai indietro quando si trattava di ragazze; ma il suo sguardo sfavillante e fiducioso  mi aveva creato un implosione allo stomaco. Un qualcosa di incontenibile destinato a degenerare.

Quando l’avevo conosciuta aveva i capelli corti, e quel giorno fra essi spiccava un cerchietto rosso; era seduta a gambe unite per via della gonna, con sopra la maglietta nera, Dio  quanto le stava bene!

Mi feci coraggio, ma la tremarella e la fifa che avevo non mi aiutavano affatto.

-C-ciao!-balbettai incerto, e sentii le guance bruciare.

Lena sorrise socchiudendo gli occhi. Era una sua caratteristica, sorrideva sempre in quel modo.

Le mani erano congiunte in grembo che stringevano i lembi di una borsa nera a scacchi bianchi.

-Ciao Danny…-di sicuro era stato faticoso dirlo. La vidi arrossire— per fortuna non ero il solo.

Mi sedetti accanto a lei, timidamente tentai di guardarla negli occhi, ma invano.

La sua bellezza mi metteva a disagio. Lena era troppo per me, ma io la volevo a tutti i costi. Sentivo che volevo stare con lei, proteggerla e stringerla a me. Avevo paura che le potesse succedere qualcosa. Era così fragile, così delicata; la pelle era di porcellana e quando arrossiva sulle sue gote si vedevano affiorare delle macchioline rosse.

Ero troppo nervoso, dovevo darmi una calmata; c’era troppa tensione nell’aria, o forse ero solo io. Ciò nonostante non era la prima volta che uscivo con una fan, ma qualcosa mi lasciava intendere che con lei tutto era diverso. Persino io.  

-Ero sicuro che non saresti venuta.-deglutii rumorosamente.

-Si vede che non mi conosci!-arrossì cercando di guardare altrove. Con una mano si tenne i capelli che il vento cercava di scompigliarle.

- Per questo voglio uscire con te.-al suono di quelle parole chinò la testa accennando un sorrisetto. Chissà dentro cosa stava pensando. Magari stava esultando.

-Anche io.-ammise strozzata.

Sospirai, mi feci coraggio e la presi per mano. La sentii sobbalzare, e la vidi girarsi di colpo verso di me.

-Troppo di corsa?-

Scosse la testa, –N-no…–

Perché avevo paura di sbagliare? Infondo anche lei lo voleva. Ma perché allora mi preoccupavo?

Lena era diversa, non riuscivo a capire cosa volesse esattamente, cosa provasse. Anche se potevo immaginarlo.

Ma non ero mai sicuro.

Tenevo la sua mano stretta nella mia mentre passeggiavamo per tutto Hide Park. Sentivo la sua debole presa, la sua candida mano fra le mie dita. Camminava al mio fianco parlando a bassa voce, interrompendosi e sorridendo di qualche sciocchezza che magari diceva credendo di essere ridicola, talvolta chiedendomi persino scusa e di dimenticare tutto.

Peccato che non sapesse che per me lei era perfetta.

Mi guardava di rado, cercava di non incontrare il mio sguardo. Forse la metteva in soggezione o qualcosa del genere; fatto sta che erano rare le volte in cui potevo guardarla in quei suoi occhi verde smeraldo.

I suoi occhi, quelli me li ricordavo eccome! Erano di un verde intenso, nitido, striati di un grigio perla.

Mi distesi infischiandomene dell’erba bagnata ma continuando a ricordare. Perdendomi nei miei pensieri, pensando che se non fossi stato tanto stupido avrei potuto averla accanto a me ancora una volta; avrei potuto sentire la sua timida risata e l’avrei anche vista arrossire. Avrebbe parlato per ore e ore, ed io l’avrei ascoltata pur non capendo ciò di cui stesse parlando, soltanto per vederla sorridere ed arrossire, per ammirare il suo sguardo nel quale potevo perdermi anche per tutta la vita.

Dopo quel appuntamento l’avevo vista solo cinque volte, dopodichè decisi di tagliare qualsiasi ponte con lei. Avevo paura di poterla ferire, ero spaventato solo all’idea di potermene stufare un giorno.

Ed io  non volevo illuderla.

Lena non se lo meritava; il modo in cui mi parlava, mi guardava mi faceva capire quanto fossi importante, mi faceva sentire apprezzato, non come il chitarrista di un gruppo emergente che spopola tra le ragazze. Lei mi faceva sentire speciale come Danny Jones il ragazzo di Bolton che tutti avevano visto correre da una parte all’altra del paese alla disperata conquista di un sogno.

Nessuno mi conosceva realmente. Chi diavolo ero io per gli altri se non un musicista qualunque?

Lena mi aveva dato una risposta, me l’aveva fatta leggere nei suoi occhi, l’aveva tralasciata ad ogni pausa, e l’aveva fatta risplendere ad ogni sorriso.

Con lei avevo capito chi ero.

E proprio per questo decisi di lasciarla. Mi conoscevo troppo bene ormai per capire che non sarebbe durata. Ero troppo capriccioso in quel periodo, volevo tutto e pur di riuscirci ero disposto a fare qualsiasi cosa.

Infondo avevo solo sedici anni. E tutti commettiamo degli errori. Chi più, chi meno.

Ma nonostante tutto avevo continuato a seguirla comunque. Sapevo tutto di lei. Ero a conoscenza del fatto che fosse iscritta a tutti i nostri fan club, in particolar modo ai miei. Ma la cosa che più di tutte mi aveva lasciato senza parole fu il fatto che lei negò davanti ai microfoni la nostra- sebbene breve- relazione.

 

«Danny è solo un amico. Si, siamo usciti due o tre volte, ma niente più. Siamo solo dei vecchi amici di infanzia. Fra di noi non c’è mai stato niente…»

 

Quelle parole ed il suono della sua voce mi fecero gelare il sangue, benché sapessi che avevano fatto lo stesso effetto anche a lei. Quando glielo vidi affermare sentii una rabbia ribollire dentro di me, un pugno nello stomaco.

Il suo sguardo non tradiva, era brava a mentire Lena, peccato che io non avessi dimenticato la sua espressione dopo averla “lasciata”: i suoi occhi avevano preso fuoco; con una mano le avevo sfiorato una spalla ma lei non ne aveva voluto sapere. Mi aveva allontanato dandomi una schiaffo sulla mano, con le lacrime che sgorgavano quasi fosse una fontana.  Mi aveva guardato dritto negli occhi, accusandomi di averle distrutto il cuore, di averglielo sbriciolato in mille pezzi; e mi aveva accusato anche di averla illusa per qualche giorno, di averle dato un motivo per odiarmi. 

Tutto senza proferire parola.  

Ero scappato come un vigliacco da lei. Me n’ero andato lasciandola sola.

Ed ora che io ero rimasto solo, ora che era lei ad essersene andata, avevo capito. Avevo capito come l’avevo fatta sentire. Avevo capito il perché del tono graffiante che aveva usato, avevo capito perché non aveva voluto più parlarmi.

Solo una cosa però non riuscivo ad afferrare ed era un chiodo fisso nella mia mente. Dopo tutto quello che le avevo fatto e dopo tutto quello che le avevo detto, ancora non riuscivo a trovare una spiegazione alla domanda che continuava a tormentarmi da tempo.

Perché continuava ad amarmi?

Oramai mi ero reso conto di non essere più il Danny che lei  adorava, perché senza lei non ero proprio nessuno; solo un essere capace di tenersi su due zampe e vacillare a malapena.

Mi passai una mano tra i capelli arruffati, e mi ricordai di quella volta che mi aveva aspettato per ore ed ore sotto la pioggia a causa di un’intervista.

E non se l’era nemmeno presa.

Aveva finto un sorriso disinteressato, ed aveva mandato giù tutto, se l’era tenuto dentro perché per lei l’importante era stare con me.

Ed io come l’ho ringraziata? Allontanandola. Facendola fuggire via da me.

 

Sei uno stupido Dan! Sei uno stupido!

 

E come se lo ero. Io non meritavo una come lei. Che scemo che ero stato.

Ma ormai non potevo piangere sul latte versato.

Il tempo passa,  molto lentamente, ma passa.  

 

Guardavo il lavandino della cucina perdere senza emettere un fiato, con l’orecchio sinistro poggiato sul dorso della mano. Fissavo le gocce succedersi una dopo l’altra, cadere velocemente sino a raggiungere lo scarico del lavandino e scomparire dalla mia portata. E così, esattamente nello stesso identico modo, svanivano anche le mie speranze, e piano piano sarebbero svaniti anche i ricordi. Ma per quello c’era ancora del tempo.

Il tempo. Lui si che se la prendeva comoda, mentre io avevo fretta. Troppa fretta.

Dall’altra parte della casa, nel soggiorno, sentivo gli schiamazzi di Harry e Tom che giocavano alla play; udivo Tom richiedere continuamente una rivincita che Harry proprio non voleva concedergli. Troppo competitivo per farlo.

-Basta! Io con te non ci gioco più!-un tonfo. Tom aveva lasciato cadere il joystick sul tavolino.

-Non sai perdere, non sai perdere!-Harry quando ci si metteva sapeva come essere fastidioso.

-Non ti sento, non ti sento…- e quell’altro sapeva come regredire di età in poco tempo.

 

Poppanti!

 

-Ehi, Tom...Dove vai? Dai che ti ridò la rivincita!-

-Ok… ‘Sta volta ti batto!-

-Aspetta e spera…-lo sentii ghignare maleficamente.

-Ti dico di no! No, no, no!-dal corridoio invece provenivano le continue discussioni di Dougie ed Alicia, che passavano al telefono gran parte del tempo quando non erano insieme. A mio parere potevano anche rimanerci tutto il giorno, tanto la bolletta la pagava Doug.

-No, scusa amore!! Si, si, si!- diedi una testata al tavolo-Cosa? No! Non ci credo…Non è possibile!-da un mese a questa parte Dougie si era veramente rincoglionito. Non faceva altro che parlare con lei, e quando Alicia non c’era, ne parlava con noi. Oramai l’unico che se lo filava era Tom.

Harry, quando Dougie cominciava a parlare, accendeva l’i-pod facendo passare le cuffie sotto la maglietta, in modo che Dougie credesse veramente di essere ascoltato.- ah, beh…Se lo dici tu mi fido!-e certo, se lei diceva che gli asini volavano lui le credeva di sicuro. Dougie era completamente andato.

Ripensai a quello che Alicia aveva detto, e non riuscivo a capacitarmi che avesse potuto fare una cosa simile. Eppure, quando le avevo chiesto la conferma lei aveva annuito senza tentennare, aveva chinato e sollevato la testa come si aspettasse già quella domanda.

Affondai la testa tra le braccia incrociate sul tavolo. Socchiusi gli occhi e sospirai.

 

Che stupido!

 

Estrassi il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Me lo rigirai tra le mani, chiedendomi se avrebbe risposto oppure mi avrebbe attaccato in faccia.

Valeva la pena provare, magari, se mi avesse attaccato me ne sarei fatto una ragione ed avrei lasciato perdere.

Macché! Ancora che mi illudevo? Non l’avrei mai lasciata stare. Prima volevo parlarci, io volevo parlare con Lena.

Composi il numero, e sul display comparve il suo nome.

 

«Siamo spiacenti ma il telefono della persona che sta cercando non è al momento raggiungibile, riprovi più tardi. Grazie.»

 

Ma certo! In Francia hanno altri operatori. Che idiota!

E l’unica persona ad avere il numero della nuova casa di Lena era Alicia, la quale non me l’avrebbe mai dato.

Intanto le ore passavano ed io mi sentivo a pezzi, distrutto, lacerato. Come se mancasse la parte più importante di me. Persino le mie canzoni ne risentivano, e negli ultimi tempi Tom si era accollato il peso di tutto.

Mi mancava qualcosa di importante, qualcosa che per me significava tutto. Un tutto indefinito.

Mi mancava la mia Musa, il mio Sole.

Dov’era lei? Dov’era lei?

Ero distrutto, sgretolato.

-Ok…Ti amo… A domani…-Doug stava sicuramente sorridendo come un cretino. Era innamorato perso, e magari neanche se ne rendeva conto. Sospirai, pregando che Alicia non lo stesse prendendo in giro così come aveva fatto con me, ormai da lei potevo aspettarmi qualsiasi cosa.

Diedi una testata al tavolo e socchiusi gli occhi, aprendo invece le orecchie. Udivo dei passi avvicinarsi. 

-Tutto bene Dan?-Doug fece capolino dalla porta.

Lo squadrai e la mia mente fu un fermento di domande, supposizioni.

Annuii mugugnando qualcosa di incomprensibile persino a me stesso, poi, nascosi ancora una volta il viso tra le braccia.

-Sicuro?-fece dubbioso.

-Lasciami in pace Doug…Vattene per favore…-e lui sparì senza fare tante storie.

Il lavandino continuava a perdere ed io tornai a guardarlo senza poter fare né dire niente. Era la cosa più brutta che potesse capitarmi.

Cosa fareste voi al posto mio? Cosa fareste voi se la persona che più volete è quella più lontana? Cosa fareste?

Io riuscii soltanto a starmene seduto su una sedia, rimuginando più e più volte. Cercando di trovare una risposta che solo il cielo-a quel punto-poteva darmi.

 

 

2

 

Erano le nove e mezzo. I ragazzi erano ognuno per i fatti propri, ed io- che avevo smesso da un pezzo ormai di fissare il lavandino-me ne stavo in camera mia davanti al computer, girovagando per le chat.

Non avevo voglia di parlare con nessuno, non volevo sentire nessuno. Nessuno tranne lei.

Ecco come si doveva sentire Dougie quando Alicia non poteva chiamarlo, ecco perché ogni qual volta capitava era nervoso.

Lui voleva solo lei. Nessun’altra.

Scossi la testa e sul mio viso si aprì un ghigno beffardo, saccente. E nemmeno me ne resi conto. Non all’inizio.

Le immagini e le foto sul computer scorrevano veloci; quelle ragazze erano tutte uguali.

Aprii qualche fan club, per vedere se ci era tornata, ma Lena non vi entrava da giorni ormai. Lo intuii dal fatto che le avevano lasciato continue scritte, richieste, e domande su dove fosse finita. La conoscevano tutti lì dentro, e tutti le volevano bene.

Tutti si domandavano dove si trovasse e perché fosse sparita così, all’improvviso.

 

«Lena ci manchi da morire…Dove sei finita? »

«Senza di te il fan club non va avanti! Che fine hai fatto?»

 

Più scorrevo i messaggi più avvertivo l’aria venir meno.

Le conversazioni a due erano diventate a tre, poi a quattro, ed infine un vero e proprio caos. Io leggevo soltanto. Scorrevo velocemente lo schermata con gli occhi.

Tutti volevano Lena.

Io in primis.

   

«Ragazzi, sapete niente di lei?»

«No, io non l’ho sentita…Sono quattro giorni che non si collega…»

«Cosa? Ha scollegato il computer? »

«Si...Ed è strano! Anche quando esce è sempre connessa…»

«Ma dov’è? »

«Non lo so. Solo Alicia lo sa. »

«Ma chi la ragazza di Dougie? »

«È vero…È la sua migliore amica…»

«Perché non lo vuole dire?»

«Non ne ho la più pallida idea... »

 

 

Io invece lo sapevo eccome. Poi, lessi il resto.

 

«Ragazze! La sapete l’ultima? »

«No...Spara! »

«Dicono che Danny si sia innamorato di Lena... »

«Finalmente il bello addormentato si è svegliato! Sono anni che lei gli va dietro ed ora si innamora? »

«Credo sia per questo che Alicia non parli. Credo voglia proteggere Lena…»

«Tu dici? »

«Lo sapete quando bene le vuole, gliel’avrà sicuramente detto. Credete che Lena non sappia che Danny la cerca? »

«Che fortuna che ha quella ragazza. Se solo fossi io al suo posto! Al diavolo il passato! »

«Adesso capisci perché tu non sei Lena? Scema! »

«Che ho detto di male? »

«Dovresti imparare a tenere la bocca chiusa ogni tanto! »

«Già! Non sai nemmeno quanto tutto questo faccia male a Lena…»

«Ma allora perché non va da lui? »

«Ha le sue buone ragioni, che a noi non ha detto! »

«Odio quando si tiene tutto dentro! »

«L’ha fatto per Danny! Vuole che la sua privacy rimanga tale.»

«Quindi è successo qualcosa tra lei e Danny… »

«Suppongo…Non ne sono sicura. Sai che Lena non ama parlare di quello che è successo qualche anno fa...

«Lo so bene ma…»

«… taci! Ed ora basta parlare di questa storia! »

«Già, l’importante ora è sapere dove si trova Lena... »

«E perché? »

«La vuoi smettere di impicciarti tu? »

«Uffa! Come siete ingiuste! »

 

Accidenti ma come cavolo facevano a sapere gli affari miei? Come diamine facevano a sapere di me e di Lena?

-Stupido internet!-ringhiai tra i denti.

Chiusi la finestra del sito cliccando sulla “x”. Mi alzai dalla sedia furibondo. Odiavo quel giro di parole, quel passaparola infinito capace di creare chissà quale casino.

Eppure, questa volta avevano fatto proprio centro.

Mi andai a sdraiare sul letto, portai le mani dietro la nuca e sospirai. Socchiusi gli occhi, cercando di non pensare a lei, ma era la cosa più difficile al mondo.

In casa era calato il silenzio, Harry e Tom  erano andati a dormire, Dougie, beh, lui sappiamo tutti cosa stava facendo. Era di nuovo al telefono con Alicia, e parlavano di cose senza senso- non che di solito i loro discorsi ne avessero uno, ma quel giorno mi sembrava stessero parlando una lingua diversa dalla mia.

Sentivo il mio amico ridere di cuore, non la finiva più. Da quando Alicia non era partita lui aveva ripreso a ridere a crepa pelle, e se poi era con lei, in quel caso il suo umore era alle stelle.

Sentii il cellulare vibrare e di conseguenza mi alzai di scatto.

Erano le undici passate, chissà chi era a quell’ ora.

Cercai il cellulare con lo sguardo, e lo trovai dissotterrato tra i fogli della scrivania che occupavano tutto lo spazio disponibile. 

Era un numero privato.

-Pronto?- feci con aria incerta.

-Danny?-una voce femminile e dolce mi fece sobbalzare, ed il primo nome che mi venne in mente fu:

-Lena?-

La voce rise.

-No, mi dispiace, sono la mamma.-

-Salve signora Johnson…Mi scusi…-

-Non fa niente, non ti preoccupare…-rise ancora-…Ti manca vero?-sospirai-…Lo prendo come un “si”. Comunque, scusa l’ora ma ti ho chiamato perché volevo lasciarti un numero…-

Corsi a prendere carta e penna, senza lasciarle il tempo di completare la frase.

-Ci sono…-raggiante prestai più attenzione possibile alla voce della donna che scandiva i numeri uno ad uno.

L’ultima volta che avevo visto la signora Johnson lei mi aveva sorriso ed accolto in casa sua quasi fossi un figlio. Ed ora, parlandole al telefono, mi sentivo in colpa come se l’avessi pugnalata alle spalle.

-Grazie tantissimo signora.-nella mia testa frullavano una marea di domande che avrei voluto farle, ma nessuna in quel momento sembrava la più adatta.

-Dan, dovresti farmi un favore.-il suo tono di voce s’indurì.

-Certo.-

-Non dirle che ti ho chiamato, non dirle niente. Se la prenderebbe.-

-Va bene.-annuii sebbene lei non potesse vedermi.

-Un’ultima cosa .-

-Mi dica…-

-Lena non sarebbe mai voluta andare via. Solo tu puoi riportarla a casa Dan. Lei vuole sentirselo dire da te, solo da te. Io ti ho lasciato il numero. La decisione ora sta a te e a ness…-la linea cadde.

-Pronto? Pronto?-

Guardai il foglio di carta spiegazzato di fronte a me. Volevo chiamarla sin dal primo momento, ma non ne avevo mai avuto l’occasione, tuttavia, proprio ora che potevo farlo avevo paura. M’irrigidii.

Chiamarla  o no?

Posai il cellulare sulla scrivania. Contrassi la mascella continuando a guardare quel foglietto raggrinzito.

Scossi la testa.

L’avrei chiamata.

-Doug?- uscii dalla camera per dirigermi verso il salone. Lo trovai a fare avanti ed indietro per tutta la stanza, zampettando come la più stupida delle ragazzine che parla con la  migliore amica del suo cantante preferito.

-Che c’è?- fece stupito.

-Mi serve il telefono.-mi guardò accigliato.

-E chi devi chiamare a quest’ora?-

-Non sono affari che ti riguardano! Saluta Giulietta e sgancia il telefono!-dissi tendendo il braccio nella sua direzione.

-Uff!-sbuffò guardando altrove-…Va bene…-

-Muoviti…-

-Ci sentiamo domani. Danny deve chiamare non so chi. Si, lo so, rompe sempre!-

 

Pure! Loro monopolizzavano il telefono ed io rompevo!?

 

-Doug? Ti vuoi muovere?-

-Si, si…-attaccò, mi porse il telefono ed io l’afferrai prima che ci potesse ripensare.

-Grazie.-mormorai.

Uscii in fretta e furia in balcone ed ammirai il cielo più bello che avessi mai visto. Certo, faceva freddo ma in compenso quello spettacolo di stelle era impagabile.

Composi il numero che la signora Johnson mi aveva lasciato, e con il cuore a mille mi portai la cornetta all’orecchio.

Squillava.

Uno, due, tre…

 

 

3

 

-Pronto?-quella voce, Dio quanto mi era mancata!

-L-Lena!-la sentì trasalire.

-C-Chi è?-

-Sai bene chi sono-mi sbottonai la camicia. Improvvisamente avevo cominciato a sudare e a sentire caldo.

-Già…-

Ci fu una pausa molto breve, ma  per me durò secoli.  Il suo respiro era irregolare, la sentivo ansimare lentamente.

-Mi manchi.-sospirai. Mi sentivo più leggero, come se mi fossi tolto un peso.

-Mi dispiace. Io n-non…-

-Lena, io voglio che torni!-

-Ormai ho preso la mia decisione Dan…-il tono della sua voce era deciso, come se fosse veramente sicura di quello che stesse dicendo. Ma io sapevo che non era vero.

-Se Alicia non me l’avesse tenuto nascosto, sarei venuto all’aeroporto per fermarti.-

-Alicia non te l’ha detto perché gliel’ho imposto io.-

-Cosa?-mi spiazzò.

-Avevo preso in considerazione l’idea che tu potessi venire. A dire il vero, Dan…- le scappò una timida risata-…Ne ero certa-

-Io non capisco.-

-Se noi ci mettessimo insieme e magari alla fine non andasse, Alicia e Doug ci rimetterebbero.-

-E loro cosa centrano? E se anche fosse, loro sarebbero gli unici che non si separerebbero mai. Non passano un solo istante lontani l’uno dall’altra.-

-Proprio per questo io non voglio rovinare niente…-

Non mi convinceva, Lena non si sarebbe mai fatta condizionare da una cosa così stupida. C’era qualcosa di più  personale sotto.

-Mi odieresti se io non ti credessi?*- le dissi provando a mantenere il controllo di me.

-No.-

-Ti fideresti di me se ti dicessi che ti amo?*-

Aspettò prima di rispondere.

-Ora non più.-il tono della sua voce era inflessibile, quasi un rimprovero.

-Cosa devo fare per riaverti qui con me? Per farti capire che senza te io non sono nulla?-

-La cosa più semplice che tu possa fare.-

-Cioè?-

-Indovina…-

E riattaccò.

4

 

Ed ecco che in dieci minuti il mondo mi era crollato addosso. Che cosa potevo fare? Che diavolo voleva che facessi Lena?

Rientrai in casa e rimisi a posto il telefono. Barcollando mi diressi in camera, gettandomi sul letto a peso morto.

-No, non è possibile! Ma si che ti credo, solo…Sono stupito!-

Mi sedetti sul letto, tesi l’orecchio. Non potevo crederci! Ancora che parlava con lei? Chinai la testa scuotendola. Non era possibile. Si sarebbero visti in non meno di dodici ore, giusto il tempo di dormire.

Quei due erano incredibili.

Sorrisi fra me e me, pensando che al suo posto potevo esserci io. E invece eccomi qui, seduto a gambe incrociate, rimuginando sulle cose che Lena mi aveva detto. Supponendo che non  avrei mai saputo la ragione per la quale se n’era andata.

Ero destinato a fallire. A perdere Lena. Per sempre.

Strinsi la mano in un pugno, e maledissi con tutta la rabbia che mi portavo dentro il dannato che aveva inventato il  «…E vissero tutti e felici e contenti.»

Perché in quel suo maledetto lieto fine aveva omesso me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Frasi entrambe riprese da Forget all you know di Danny *w* 

Rispettivamente:  would you hate me If I don’t believe you? E: Would you trust me if I said I love you?

   
 
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