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Autore: _Pulse_    24/02/2010    6 recensioni
Entrarono in galleria e la coda dell’occhio gli cadde sulla figura quasi evanescente di Franky, tanto che sembrava attraversata dai raggi di luce giallastra, seduto sul sedile accanto a lui.
Non sapeva quando era arrivato, né se era sempre stato con loro, ma a vederlo, così assorto nei suoi pensieri con lo sguardo perso fuori dal finestrino, gli si strinse il cuore e un sottile strato di lacrime si impadronì dei suoi occhi.
Franky fece un sorrisino e si voltò verso di lui: «Qualcosa che non va, Thomas?»
«Non cambi mai, eh? Fai sempre certe domande stupide…»
{Sequel di "Nothing to lose"}
Genere: Triste, Sovrannaturale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lose and Gain'
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Buona sera a tutti!
Avevo detto che avrei postato questo sequel a breve ed eccolo qui, in pasto ai leoni! xD
Spero vi piaccia, davvero *-* In questo momento ho la pelle d’oca perché riprendere Franky è un’emozione davvero indescrivibile: come già sapete, mi sono affezionata tantissimo a lui e ci tengo, per questo motivo oltre che ad essere felice ed emozionata, sono anche un po’ in angoscia.
Il motivo è semplice: non voglio deludere le aspettative! Non voglio rovinare Nothing to
lose, quindi spero vivamente di aver fatto un buon lavoro e che lo apprezziate :D
Questo primo capitolo è un po’ d’introduzione: è un po’ un modo per riambientarci nella storia, ecco.
Bene, direi che ho detto tutto per ora. Le altre novità le scoprirete man mano, non c’è nessuna fretta! State tranquilli u.u

Voglio ringraziare brevemente chi ha recensito l’ultimo capitolo di Nothing, ossia Big Angel_Dark, PhaNtoMriDerJK, Gemi_Black, Isis 88 e quella stupenda persona, Utopy, l'oracolo ( xD ) che come al solito è riuscita a far stringere il mio cuore di pietra e a farmi commuovere ( Ti voglio troppo bene, è questa la verità! *-* Grazie di tutto © ). Sostienimi sempre, mi raccomando! *-*
Inoltre, ringrazio ancora chi ha messo questa FF fra le preferite e le seguite e chi è sempre stato accanto a me leggendo solamente.
Vi ringrazio davvero di cuore, non so come altro spiegarmi; ci vorrebbe un capitolo intero solo per ringraziarvi tutti e questo mi rende orgogliosa *-* Mi raccomando, state sempre con me!
Ora vi lascio davvero xD Buona lettura! ;D Con affetto, vostra _Pulse_

____________________________________________

Ad Ales

1. Go forwards
[Di sotto]

«Non puoi andartene Franky, non puoi! Come farò senza di te? Come farò?!»
«Piccola, io sarò sempre al tuo fianco, ok?»
«Franky… Franky no…»

Si svegliò di soprassalto nella notte e si trovò a stringersi le gambe al petto, appoggiata con la schiena alla testata del letto.

«Franky», mormorò cercando inutilmente di trattenere le lacrime. «Franky…»

Un singhiozzo le scappò dalle labbra, poi un altro, e un altro ancora, fino a trovarsi accasciata sul cuscino, scossa dai fremiti.

Perché se n’era andato? Perché?

Quella mattina si era svegliata presto, tormentata da quel sogno che la perseguitava incessantemente da molte notti ormai, e come un automa aveva fatto colazione con sua mamma, l’aveva accompagnata al lavoro e poi era andata a scuola.

Senza di lui tutto era diventato così grigio e spento dentro di lei e intorno a lei che a volte dubitava fortemente della sua esistenza, del motivo per il quale lei era lì, da sola, e non con lui.

Durante le lezioni che trascorrevano lentamente, aveva ricevuto un messaggio di Tom, il quale le chiedeva se quel pomeriggio voleva passare da loro, per cambiare un po’ aria. Lei aveva accettato, senza nemmeno pensarci: quei due strambi gemelli, assieme ai loro amici, riuscivano ancora a regalarle dei sorrisi, quei sorrisi simili a quelli che Franky le aveva confessato più volte di amare.

«Zoe», la richiamò Susan, guardandola apprensiva.

«Scusi prof», mormorò tornando al libro di letteratura di fronte ai propri occhi, ma ciò che vide furono solo le scritte disordinate lasciate in matita sul bordo della pagina: era la sua scrittura, l’avrebbe riconosciuta fra un milione…

Ciao Zoe!
Non possiamo
parlare, altrimenti
chi la sente la
nuova fidanzatina
di zio David!
Non ti fa strano? xD
Nemmeno un pochino?
Beh, ora meglio se
torniamo a seguire.
Ti amo piccola!
Sempre.

Chiuse gli occhi come ad evitare di vedere, ma sapeva che era tutto inutile: la sua immagine era impressa molto bene nella sua testa oltre che a caldo nel suo cuore graffiato e che soffriva di solitudine, nonostante fosse sempre in mezzo a tanta gente che le voleva bene. Chiuse gli occhi come a proteggersi dal dolore, al buio dietro le palpebre. Una scarna protezione, inefficace.

Non poteva cercare di non pensarci e allo stesso tempo non poteva dimenticarlo, questo mai. Era destinata a soffrire per sempre? Perché a ricordarlo con un sorriso ancora non ci riusciva.

Il suono della campana la fece tornare al mondo reale di colpo e il segno che vedesse appannato voleva dire che aveva gli occhi lucidi.

Ficcò in fretta e furia il libro, il quaderno e l’astuccio nello zaino e schizzò fuori da quella prigione, fino a quando non sentì la voce di Susan dietro di lei e dovette fermarsi in mezzo al corridoio, fra gli studenti che parlavano tra di loro, ridevano e scherzavano senza accorgersi minimamente della sua presenza.

«Zoe, tutto bene?», le chiese con un velo di compassione negli occhi. Lei non voleva far pena a nessuno, non voleva compassione, ma non poteva di certo costringere le persone a non intristirsi: non erano affari suoi.

«Sì, sto bene.» Spudoratamente falsa.

«Chi ti accompagna a casa?»

«Tom. Non si preoccupi, sto bene davvero.» Spudoratamente falsa un’altra volta.

«Ok, va bene. Allora ci vediamo domani.»

«Sì, a domani», salutò mogia con un movimento della mano, per poi girarsi e incamminarsi più veloce di prima verso l’uscita, con una maledetta voglia di piangere che represse velocemente dentro di sé.

La relazione fra David e Susan andava a gonfie vele, lui dopo un periodo di semi-mutismo aveva rincominciato a respirare e la causa di questa veloce ripresa era soprattutto Susan, che capiva e condivideva il suo dolore e lo sosteneva ogni giorno con il suo amore. Zoe chi aveva a sostenerla, chi le dava amore?

Raggiunse finalmente il cortile e trovò una delle molteplici e plausibili risposte alla domanda. Corse verso l’Audi che conosceva ormai bene e si fiondò fra quelle braccia forti che l’accolsero senza esitazioni: lui era una delle poche persone che aveva al proprio fianco e che riusciva a farla sentire se non bene, qualcosa di molto simile.

«Ciao Sea

Sea, uno dei tanti soprannomi che le aveva affibbiato Tom per gioco e che alla fine le era rimasto, perché era vero, i suoi occhi erano azzurri come il mare.

«Ciao Tom.»

Si infilarono in macchina e rimasero un attimo in silenzio a fissarsi, poi Tom diede gas al motore e Zoe infilò un cd nel lettore, come d’abitudine.

«Com’è andata a scuola?»

«Come vuoi che sia andata?», si appoggiò al finestrino freddo con la testa, concentrandosi sulla strada che scorreva silenziosa sotto le quattro ruote.

Le piaceva andare in auto con Tom, sapeva guidare così bene che era anche più rilassante di un massaggio. Poi era sciolto, sicuro di ogni sua mossa… era bello anche da guardare.

«Sai che non ci voglio più andare.»

«Oh no, tu ci vai bella mia.»

«Perché dovrei? Non capisco niente, ho preso più insufficienze in questo periodo che in tutta la mia vita…»

«E la colpa di chi è?»

«Non è colpa mia se… se…»

«Non scaricare le colpe su Franky, Zoe», disse duro, stringendo saldamente le mani intorno al volante.

«Cosa ne vuoi capire tu», mormorò lei girandosi di nuovo verso il finestrino.

«Credi che non sappia cosa vuol dire? Lo pensi davvero? Non sto male quanto te, questo no, però sto male anch’io, cazzo! Ma non per questo mi arrendo, io combatto, io –»

«Io non ce la faccio Tom, io non sono abbastanza forte!»

Un silenzio pesante e carico di malinconia scese su di loro e Tom in uno scatto d’ira spense il lettore cd con un pugno, grugnendo.

Arrivarono all’appartamento dei ragazzi e il primo a scendere dall’auto fu proprio lui, che fece il giro e aprì la portiera ad una Zoe di nuovo cupa e seria, che lo aggirò e si incamminò da sola per le scale; lui invece prese l’ascensore.
Si incontrarono di fronte alla porta, Tom si fermò a cercare le chiavi di casa ed incrociò il suo sguardo: vide la stanchezza in quegli specchi azzurri, una stanchezza dovuta al dolore della perdita, una stanchezza compresa da tutti. Zoe lo abbracciò d’impeto e nascose il viso e le occhiaie nel suo petto, stringendo i pugni sulla sua schiena. Poi ebbe la forza di staccarsi e di ricomporsi, guardandolo in viso.

«Scusa», mormorò.

«Scusa di cosa? È stata una giornata pesante per tutti e due, non ti preoccupare», sorrise e le fece un buffetto sulla guancia, per poi aprire la porta e trovare il salotto insolitamente deserto.

«Dove sono i ragazzi?», chiese Zoe con la fronte increspata.

«Georg e Gustav sono usciti, mi pare. Ma non mi ricordo dove sono andati.» Si tolse la giacca e la lanciò sul divano.

«E Bill?»

«Magari è di sopra.»

«Vado a controllare?»

«Vai in missione segreta, dai. Io intanto preparo qualcosa di caldo», sorrise.

Zoe annuì e si avviò verso le scale che portavano al piano superiore, dove si trovava la camera di Bill.

***

Tom andò in cucina e si mise ai fornelli per preparare tre tazze di cioccolata calda.

In quel momento avrebbe tanto preferito non pensare a niente, ma, anche se fosse sua precisa volontà, non riusciva a schiodarsi dall’immagine sorridente di Franky, quel ragazzino rompiscatole con cui già dal primo giorno si era sempre scontrato.

Erano sei mesi che non c’era più, le loro vite erano andate avanti, come non poteva essere altrimenti, ma c’erano giorni in cui si sentiva fermo, sentiva la sua vita ferma in un punto e non sembravano esserci speranze per il suo regolare svolgimento, per la sua normale continuità.

Se lui stava così, non voleva nemmeno pensare come potesse stare Zoe, quella piccola ragazzina per la quale Franky aveva lottato, difendendola da tutto e da tutti, tentando in ogni modo di farla sempre sorridere, fino alla fine, fino all’ultimo respiro.

Perché ora che non c’era più aveva quella maledetta voglia di vederlo, di litigarci, di prenderlo in giro e di ridere e scherzare assieme a lui? Proprio come prima.

Avevano iniziato decisamente con il piede sbagliato, loro due, ma con il tempo in lui aveva visto non solo un quindicenne arrogante e chiuso in se stesso, ma anche la figura di un amico, un amico vero, come pochi ce n’erano stati nella sua vita. Un migliore amico. Un fratello minore.

Nemmeno Franky aveva accettato di buon grado di trasferirsi da loro, all’inizio, ma dopo essersi abituato li aveva sempre sostenuti, li aveva incoraggiati prendendoli in giro, li aveva fatti sorridere quando le cose sembravano andare male, mettendo se stesso sempre all’ultimo posto, con il sorriso sempre accesso sulle labbra, un sorriso che ora come ora faceva male ricordare.

Ricordare, perché non lo avrebbero più visto di nuovo.

Avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lui ora, avrebbe tanto voluto dirgli semplicemente grazie per quello che aveva fatto, e si sentiva in colpa per averlo lasciato andare via da loro in quel modo che poteva essere evitato.
Se magari fossero stati più attenti ai primi sintomi, se fossero intervenuti prima, magari lui sarebbe stato ancora fra loro…
Ma era tardi ormai, e piangere non serviva a niente, lo sapeva bene.

Nonostante tutto non riuscì ad impedire ad una lacrima di lasciare un solco sulla sua guancia.

***

Pioveva, in quel giorno di giugno. Bill era sempre stato un tipo solare e pieno di vita, ma quel giorno si identificava bene con la pioggia, anche se lui non sarebbe mai riuscito a lavarsi di dosso la malinconia che lo assaliva ogniqualvolta pensasse a Franky.

Gli mancava. Tanto.

Appoggiò la testa al vetro freddo della sua finestra e chiuse gli occhi, stringendo fra le mani quello skate rotto a metà, rimasto sempre in camera sua per chissà quale motivo.

Com’era possibile che quel ragazzino che ne aveva passate di cotte e di crude nella sua giovane vita, avesse avuto pure la sfortuna di prendersi il cancro e di morire così, lasciando la ragazza che amava e che finalmente lo ricambiava?

Non riusciva ancora a credere che fosse successo davvero… Ma doveva farsene una ragione: Franky era morto e non sarebbe più tornato da loro.

Abbassò lo sguardo e fissò con gli occhi colmi di lacrime le parti divise dell’oggetto forse più caro a lui, l’oggetto che riusciva a ricordarglielo maggiormente, che lo rappresentava in tutto e per tutto: nonostante Franky sapesse che era spezzato ormai, non l’aveva mai buttato, proprio come aveva fatto col suo corpo quando aveva scoperto che gli si stava ritorcendo contro. Aveva lottato fino alla fine, facendo vedere a tutti chi era il vero Franky, una delle persone più belle che avesse mai conosciuto, con la sua schiettezza e la sua voglia di vivere, anche contro al suo stesso destino; forte e testardo, tanto quanto il suo gemello, con il quale si era sempre stuzzicato.

Quanto gli mancava assistere ai loro battibecchi…

Continuare a pensarci e piangere però, non li avrebbe aiutati, li avrebbe fatti sentire solo peggio.

Bill aveva sempre creduto ad una vita dopo la morte e sperava ardentemente, ora più che mai, di aver ragione, perché non poteva immaginare una fine netta per lui, sarebbe stato ingiusto.
Voleva che fosse felice, ovunque lui si trovasse in quel momento.

Qualcuno bussò alla sua porta, riscuotendolo dai suoi pensieri, e si passò un braccio sugli occhi prima di biascicare un «avanti».

Immaginava chi potesse essere, quindi cercò di farsi trovare il più presentabile possibile, anche se era un’impresa davvero ardua, se non addirittura impossibile.

«Ehi», sussurrò con un piccolissimo sorriso che a stento riusciva a vivere sulle sue labbra rosse.

«Ciao Zoe.»

Zoe era stata la migliore amica di una vita di Franky e successivamente anche la sua ragazza, lo era tutt’ora, e non riusciva nemmeno ad immaginare come potesse essersi sentita o come si sentisse ricordando ogni volta che la persona che amava si era rifiutata di prendere quelle maledette medicine ed era morta fra le sue braccia.

I capelli neri come la pece le ricadevano mossi sulla schiena e gli occhi azzurri come il mare limpido erano velati dalla stessa malinconia che avvolgeva un po’ tutti quel giorno. Erano sei mesi esatti che non c’era più…

Stretta in quella maglietta nera a collo alto, con quelle borse sotto gli occhi, come al solito contornati da matita e ombretto nero, e il viso pallido e stanco, sembrava ancora più fragile di quanto in realtà non lo fosse già.

Fra loro non era stata simpatia a prima vista, con le sue frecciatine sulla sua identità sessuale, ma dopo averla conosciuta meglio l’aveva trovata subito amabile e aveva capito come Franky potesse essersi affezionato e alla fine anche innamorato così tanto di lei.
Vederla in quelle condizioni per lui in quel momento era doloroso quasi quanto la scomparsa dell’amico, perché le voleva bene.

Chiedere come stavano era stupido, visto che erano nella stessa situazione, e Bill non sapeva come avviare una conversazione con lei.

«Che… che fai qui tutto solo?», gli chiese piano lei, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, gettando una rapida occhiata distratta allo skate rotto che teneva sulle gambe, come se non le si fosse aperta una ferita vedendolo.

«Niente», lo appoggiò piano a terra. «Guardavo la pioggia.»

«In effetti è rilassante…»

«Sì», mormorò tornando a fissare la pioggia fitta che da quella notte non cessava di cadere dal cielo coperto di nuvole.

«Questa sarà la mia prima estate senza di lui», mormorò Zoe senza nemmeno rendersene conto. Si accorse di aver parlato e non di aver pensato fra sé e sé, solo quando sentì gli occhi tristi di Bill puntati sulla sua figura, in piedi di fronte a lui.

Abbassò lo sguardo e lo stesso fece Bill, prima di alzarsi e di raggiungerla a passo incerto. Zoe alzò il viso e dal suo metro e sessanta guardò il metro e novanta di fronte a sé, dicendogli che un abbraccio era proprio quello di cui aveva bisogno.

Bill la abbracciò dopo aver avuto il suo permesso, il tutto in silenzio, e la strinse a sé avvolgendole la schiena con le lunghe braccia, facendole nascondere il viso nel proprio petto e posandole un bacio fra i capelli profumati.

La tranquillità che provava quando era accanto a lei era… inspiegabile.

Dopo qualche minuto di religioso silenzio, stretti l’uno nelle braccia dell’altro, Zoe si schiarì la voce alzò gli occhi, incontrando quelli nocciola di Bill.

«Meglio se andiamo giù da Tom, che ne dici?»

Bill annuì e le prese la mano, lasciandosi alle spalle la pioggia e lo skate di un passato che sentiva anche fin troppo lontano, ma incancellabile.

   
 
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