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Autore: Elanor89    24/02/2010    2 recensioni
Elena Dumont è una bella vampira, una donna in carriera e di successo, ma la sua diffidenza l'ha sempre condotta per strade solitarie, lontana dai suoi simili nei quali non riesce più a riporre fiducia... Accadrà tutto in una notte: il destino mescolerà le carte in gioco e lei dovrà imparare a fidarsi di nuovo per sopravvivere... Ma quando la fiducia non sarà più sufficiente, quando ogni segreto verrà svelato, riuscirà a fuggire da un passato terribile che torna sempre a bussare alla sua porta?
Genere: Generale, Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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*

 

Capitolo VII

(Christian)


Sentii la sua voce dall'altro capo del telefono, calda e rassicurante, e per un attimo mi ero persino illuso che avesse realmente risposto alla chiamata. Mi accorsi solo dopo una frazione di secondo di essermi sbagliato...

 

"Questa è la segreteria di Elena Scarlett Dumont. In questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e vi richiamerò appena possibile..."

 

Sapevo che non lo avrebbe mai fatto, non con me almeno. L'avevo ferita, le avevo mentito... e mi aveva chiesto di starle lontano, era ovvio che non rispondesse. Ma speravo che ascoltasse il messaggio.

Avevo lo strano presentimento che le fosse successo qualcosa, ma forse ero solo paranoico. A parte Victor, ed era improbabile che fossero insieme, io ero la persona che temeva di più in quel momento, perciò dubitavo che in ogni caso avrebbe chiesto il mio aiuto. Da parte mia, però, non riuscii a farne a meno. Sorvolai sulla ragione della sua chiamata, puntando a comunicarle l'essenziale.

 

"Mi manchi..."

 

Doveva saperlo. Più dell'aria, più del sangue, più di ogni altra cosa io avessi mai desiderato prima di allora, l'assenza di Elena mi distruggeva. Avevo ancora il suo profumo addosso, l'impronta della sua mano sul viso...

Lanciai il telefono sul divano, nervoso e ostile come non mai, ma sapevo che era solo colpa mia. Ero stato un idiota, aveva tutte le ragioni per essere furiosa con me, ma non avrebbe mai capito il motivo delle mie omissioni.

Non avrei mai potuto lasciarla a se stessa, non dopo averla osservata per settimane, aver impresso nella mia memoria l'esatta fragranza del suo profumo, il ritmo dei suoi passi, il suono del suo respiro. Non dopo aver conosciuto la sensazione di estasi che mi dava il semplice stringerla tra le mie braccia, sfiorare le sue labbra. Non dopo aver rischiato di perderla.

Avevo violato la regola numero uno del mio mestiere: mai, mai portarsi il lavoro a casa.

Come cacciatore, e l'idea di esserlo davvero mi ripugnava nel profondo, avevo cominciato a domandarmi i motivi del mio pedinarla, come se dovessi sforzarmi di trovare una ragione per portare a termine ciò per cui ero stato assunto o un suo lato oscuro che giustificasse ciò che stavo facendo. Non che ci fosse un'etica professionale in ciò che facevo, ma era ovvio che chiedermi cosa mai volesse Victor da quella donna era stato il primo dei tanti passi falsi che avevo compiuto in quella situazione. Nell'esatto momento in cui avevo scorto per la prima volta la luce del suo sguardo, in cui avevo sentito la sua voce con le mie orecchie, in cui avevo smesso di annusare la sua camicia da notte semplicemente per fiutare la sua scia... Nell'istante in cui avevo preso consapevolezza di guardarla con altri occhi... era stato allora che mi ero reso conto di aver perso ogni barlume del mio ordinario distacco, della mia ostentata freddezza. Stavo cambiando, senza potervi porre rimedio. Avevo persino lasciato a metà il mio lavoro... fino alla notte nel vicolo. Non volevo neanche pensare a quella notte.

Come medico l'avevo tenuta al sicuro, avevo curato il suo corpo ferito e contuso per cercare di strapparla alla morte... l'avevo accarezzata con lo sguardo, sotto l'effetto dei sedativi, pregando un dio in cui non credevo perchè rimanesse con me, perchè la lasciasse vivere.

Non mi pentivo di nulla, avrei mandato al diavolo ogni stupida regola che mi aveva imbrigliato per tutti quegli anni se fosse servito a qualcosa, ma avevo violato la più importante: mai abbassare la guardia. E tutto ciò che avevo miracolosamente ottenuto si era sgretolato tra le mie dita. Ero un idiota, un vero idiota. Di quello ero assolutamente certo.

 

Avevo chiamato Victor dopo averle strappato un altro bacio prima che salisse in auto, diretta all'ospedale. Ero ancora in piedi sulla soglia di casa. Mi aveva risposto al primo squillo, quasi non aspettasse altro.

"Che posso fare per te?" aveva detto, sarcastico.

"Lascia Elena in pace" avevo sussurrato a denti stretti. Lui aveva riso fragorosamente.

"Dimentichi chi di noi regge le sorti del gioco, Signor Hunter, o devo dire Grey?"

"Sei un bastardo! Cosa vuoi fare?" avevo sibilato. Il veleno mi aveva invaso la bocca a fiotti, caldo e letale.

"Sai esattamente cosa farò. Del resto mi sei stato di grande aiuto, sebbene non possa dire che tu sia esattamente il più economico sulla piazza..."

"Non oseresti torcerle un capello..."

"Su questo hai ragione... Non riuscirei mai a costringerla... ma posso sempre persuaderla, e ho molti argomenti... oltre a quello che tu mi hai appena servito su un piatto d'argento. Ieri sera, al locale, è stata un'illuminazione. Ero riuscito a fare due più due risalendo alle informazioni che avevo ricevuto da te... ma non avrei immaginato di ritrovarmela li... Ah, si, credo di doverti ringraziare anche per questo... Era ancora più sexy di come la ricordavo, spero tu l'abbia tenuta in caldo per me..."

Si era interrotto per godere della mia reazione. Ero scioccato! Volevo stringere le mie mani intorno al suo collo fino a impedirgli parlare ancora in quel modo della mia Elena...

"Non riuscirai ad avvicinarti..." lo minacciai.

"Il caso vuole che io sia già nel parcheggio dell'ospedale pediatrico, il che mi ricorda che devo lasciarti... ho da fare..."

Aveva riagganciato prima che potessi urlargli contro il mio disprezzo. E il panico si era impadronito di me. Avevo fatto il numero di Elena, una, due volte. Niente. Doveva avere lasciato il cellulare in macchina.

Non potevo permettere che lo sapesse da lui. No, no. Si sarebbe sentita tradita, avrebbe avuto paura...

Avevo inforcato la mia moto, l'avevo lanciata a velocità che per quanto inumane mi parvero sempre troppo limitate. Ero in ritardo, era troppo tardi. E quando avevo incociato lo sguardo di lei, ancora con il fiatone, avevo compreso che ciò che avevo costruito in quelle poche ore al suo fianco, nei mesi sulle sue tracce... era crollato, abbattuto dal peso di quella verità.

Ero un idiota.

 

 

Mi sentivo un idiota. La testa fra le mani, il sole a tormentare il mio viso, beffardo. Non ero molto più che un umano, di giorno. Potevo piangere... Volevo piangere.

Ma non l'avrei fatto. Mi alzai in piedi, caminando avanti e indietro in cerca di una soluzione.

Avevo passato la notte così, per inerzia, senza capacitarmi di ciò che era appena accaduto.

L'avevo persa, avevo tentato il tutto per tutto, ma l'avevo persa.

Eppure mi aveva baciato. Un bacio furente, che aveva fatto divampare un incendio dentro di me. Avevo creduto che sarei morto tra quelle fiamme prima che arrivasse la doccia fredda. Non credevo uno schiaffo potesse farmi tanto male. Male da morire.

Desiderai che non fosse mai andata in quel maledetto ospedale, che non fossimo mai stati in quello stupido pub la sera prima, che Victor non mi avesse mai offerto quell'impiego.

Avevo smesso di pensare a lei come ad un lavoro quasi immediatamente, avevo finto ancora per un pò prima di gettare il cellulare nella spazzatura, mandando a monte il mio contratto con Victor. Quell'uomo era un demonio. Sentivo l'odio per lui vibrare in ogni sigola fibra del mio corpo, attingendo al dolore e al disiderio di vendetta che avevo tenuto a bada fino a quel momento, mentre un ringhio mi riempiva il petto... per morire lì, ancora prima che gli dessi voce.

La verità era che ce l'avevo solo con me stesso: avrei dovuto dirle tutto, avrei dovuto trovare un modo. Adesso c'era ben poco che potessi fare.

Sicuramente non mi sarei dato per vinto, non così facilmente. Non potevo perderla, non potevo perdere anche lei, e finchè non si fosse lasciata avvicinare nuovamente avrei dovuto semplicemente vegliare su di lei, attendere un segnale, uno qualsiasi, che mi facesse sperare nel suo perdono.

E intanto avrei tenuto d'occhio Victor. Ormai persino il semplice pensare quel nome mi faceva tremare le mani. Indossai il mio giubotto, diretto a passo svelto verso il garage.

 

Il tragitto verso casa di Elena fu interminabile. Sapevo che avrei trovato entrambi li, in qualche modo. Quello che non mi aspettavo era di vedere lei uscire dal palazzo, zoppicante, con una valigia al seguito e gli occhiali da sole a nasconderle buona parte del viso.

Registrai Victor, appostato in un'auto russa poco distante. Bastardo! Avrei voluto rompergli una ad una le sue miserabili ossa asiatiche. Ma dovevo scoprire dove era diretta Elena, era la priorità.

Le diedi un pò di vantaggio, non volevo che mi vedesse dallo specchietto retrovisore.

La seguii fino all'entrata dell'ospedale. Si, zoppicava.

Non mi ero sbagliato, allora! Doveva aver avuto qualche incidente domestico... mi si chiuse lo stomaco al pensiero che si fosse fatta male... e che io non fossi lì con lei.

Ma non potevo seguirla, perciò attesi. I minuti scorrevano lenti e impietosi, riducendo al minimo la mia già scarsa attitudine alla pazienza. Tamburellavo con le dita sul cruscotto, il casco ancora indossato, con la sola visiera alzata. Era una lenta agonia. Ovviamente quella non era la sua meta, altrimenti non avrebbe portato una valigia. Voleva andarsene, allontanarsi da Victor e, temevo, allontanarsi da me. Sapere di essere la causa della sua partenza mi faceva sentire se possibile ancora più in colpa.

Cosa avevo fatto?

Cosa avevo messo in moto?

Avrei solo voluto proteggerla e il risultato era stato pessimo, catastrofico: l'avevo spinta a lasciare tutto, a scappare. Io, che tanto odiavo Victor Romenek per tutto ciò che le aveva causato, le avevo inferto una ferita che sapevo sarebbe stata difficile da guarire... che avrebbe riaperto con forza la porta di un passato che credeva dimenticato e che invece era tornato prepotentemente a sconvolgerle la vita.

In cosa ero tanto dissimile da lui? L'avevo ferita, esattamente come lui. L'avevo costretta a scappare, esattamente come lui. La volevo per me, esattamente come lui.

Ma io l'amavo e questo era sufficiente a rendermi per lei un compagno migliore di quanto lui non sarebbe mai stato. Anche se l'avevo ferita, anche se l'avevo costretta a scappare. Se solo mi avesse voluto ancora...

Pieno di segreti, pieno di difetti, ma se mi avesse accettato così, con i miei spigoli, sentivo che nulla mi avrebbe mai più potuto tenere lontano da lei. Perchè io la amavo.

Non ricordavo nemmeno più quella sensazioni di nodo allo stomaco, di respiro accelerato, di ansia che adesso sentivo distintamente dentro di me e che ricollegavo ad una sola spiegazione. Perchè ormai non avevo dubbi del fatto che mi fossi irrimediabilmente innamorato di lei.

Di lei che finalmente usciva dall'ospedale, ancora con passo incerto, e risaliva in auto, sferzando l'aria con i suoi lunghi capelli scuri catturati dal vento.

Di lei, che guidava veloce verso l'aeroporto internazionale e saliva sul primo aereo.

Di lei, che si allontanava da me, ferita.

Di lei, che dovevo proteggere, a tutti i costi. Con la mia stessa vita.

 

*

 

Carissime/i, spero il pov del nostro Chris sia stato di vostro gradimento!
A prestissimo,

Elanor

 

 

  
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