11.
Istinto
Un sole
caldo illuminava il grande giardino, donando sfumature diverse alle foglie
verdi degli alberi bagnati dalla pioggia della notte precedente e facendo
brillare le gocce d’acqua che erano rimaste tra le fronde.
Tutto
sembrava prendere vita, dopo un temporale.
Sorrideva
serena, sfogliando le pagine di quel libro ormai consumato, avvertendo accanto
a sé il movimento degli altri ragazzi, intenti a svolgere i propri compiti con
dedizione e grande forza di volontà. Tutt’intorno, le risate, le urla e i
lamenti dovuti a litigi dei bambini, finalmente liberi di uscire dopo una
serata di pioggia, allietavano l’atmosfera.
Era felice
che potessero svagarsi: avevano trascorso un intero inverno rinchiusi dentro le
loro camere senza poter uscire, attendendo la primavera e l’estate con
quell’impazienza e irruenza tipica dei bambini. Finalmente il loro desiderio di
giocare poteva essere appagato.
E Yagami
Hikari si sentiva irrazionalmente in pace, tra quei suoni così gioiosi che
sapevano di famiglia, di quella famiglia che lei mai avrebbe abbandonato.
Scosse la
testa, alzando, finalmente, lo sguardo sulla piccola figura china ad osservare
la sua attività di ricerca. Sulle sue labbra apparve un sorriso di scusa. “Mi
dispiace tanto, Naoko-chan: nemmeno qui c’è qualcosa di nuovo.” Le disse.
La bambina
dai capelli biondo scuro si rattristò, guardandola con occhi supplichevoli.
“Nemmeno una storia nuova? Anche piccola!” implorò.
Hikari
sospirò, cingendo la bambina in un abbraccio. “Dai, non preoccuparti: ci sono
ancora altri libri che non sono riuscita a controllare. Vedrai che qualcosa la
troveremo.” La rassicurò, dandole un bacio sul capo.
Ogni sera
la giovane si fermava nella stanza dei bambini, per raccontare loro alcune
fiabe per farli addormentare. Era il momento per loro di lasciar correre la
fantasia, di immaginarsi al posto di quei personaggi di cui parlavano le storie
nei libri, di essere allegri e sognatori, di continuare a sperare in un futuro
radioso: nessuno di loro avrebbe mai rinunciato a questo momento di svago, chi
per un motivo, chi per un altro.
Nemmeno
Hikari. Lei era convinta che quei bambini avessero un gran bisogno di non
perdere le speranze, e voleva donare quel pizzico di magia che serviva loro per
condurre un’esistenza serena quanto possibile, per non fare in modo che si
sentissero soli e abbandonati. Ne aveva ogni giorno la conferma osservando
Keiji, che più di tutti voleva ribellarsi alle ingiustizie che credeva gli
fossero toccate.
Il problema
consisteva nel fatto che l’appuntamento era giornaliero, e ben presto le storie
finivano. I bambini amavano stupirsi delle novità: storie ripetute più volte
non sarebbero state speciali come quelle che loro si aspettavano. E Hikari non
voleva deluderli: sapeva quanto ci tenessero.
Era per
questo che stava trascorrendo la mattinata sfogliando libri, ma era al quarto
volume e non era cambiato nulla.
“Allora
stasera ce ne racconti un’altra?” domandò Naoko, con la speranza negli occhi
color caramello.
Hikari
rise, guardandola negli occhi come a farle capire che non voleva prenderla in
giro. “Promesso. Fidati: non ti mentirei mai.”
Naoko
sorrise, abbracciandola forte. Era sempre stata una bambina molto affettuosa.
“Grazie, Hikari!” esclamò, contenta. Poi il suo viso si fece imbronciato. “Lo
dici tu a Shinji-kun che le tue storie non sono da piccoli, e sono belle?”
“Ti prende
ancora in giro?” le chiese in risposta Hikari, scuotendo la testa con aria
rassegnata. Naoko e Shinji, i due gemelli, non sarebbero mai andati d’accordo,
a quanto sembrava: sebbene fossero stati trovati insieme quando sua madre era
ancora in vita, lui era un bambino molto insicuro, che non riusciva a tirar
fuori i suoi sentimenti, mostrandosi sempre superiore a tutto e a tutti. E
Naoko spesso piangeva per questo.
Quanto
avrebbe dato la giovane per vederli andare d’accordo, perché sapeva
perfettamente che i due dovevano volersi molto bene.
Vide la
piccola annuire con una sorta di solennità, e un moto di affetto per lei la
colse.
Le
accarezzò dolcemente il viso, con un sorriso. “Glielo dirò, ma cercate di non
litigare, d’accordo? E’ più bello se giocate insieme.”
“Va bene!”
Naoko corse
via, probabilmente per raggiungere il gruppo di bambini che la stava
aspettando, e Hikari rimase seduta sotto quell’albero nel giardino, sopra un
telo per non bagnarsi, il libro ancora aperto tra le mani e un sorriso
affettuoso sul viso.
Non si
sarebbe mai abituata alla semplicità del bambini, neanche trascorrendo una vita
intera a contatto con loro.
Si guardò
intorno, respirando il profumo del giardino bagnato dalla pioggia e
riempiendosi i polmoni della freschezza dell’aria. Pareva che lei non fosse
l’unica a godere di quella pace e tranquillità: tutti, nessuno escluso, erano
usciti in giardino, e ognuno di loro aveva qualcosa da fare.
Poco
distante, circondato da tanti bambini e da Mimi, che sedeva con loro, c’era
Taro, intento a inscenare un altro spettacolo tipico di lui trascinando con
decisione e spirito pratico un riluttante Shinji, evidentemente contrario a
partecipare a “cose stupide”, mentre Ichiro, concentrato e serio, imitava i
suoni di una batteria o canticchiava motivetti di accompagnamento che aveva
sentito alla tv.
Sora, poco
distante, era intenta a stendere i numerosi panni appena lavati dei bambini,
che avevano questa particolare tendenza ad abbandonarsi a giochi pericolosi e
decisamente a rischio di sporcarsi senza preoccuparsi minimamente delle
conseguenze. Rimproverava dolcemente suo fratello Taichi, poco distante: Hikari
intuì che, come al solito, Sora desiderasse da lui un aiuto nel suo lavoro, e
sapeva che Taichi non doveva essere particolarmente felice, vista l’aria
supplichevole che aveva assunto parlando con lei.
La giovane
non poté fare a meno di sorridere, osservando la ritrosia del maggiore dei due
Yagami. Avrebbe fatto di tutto per salvare le sorti dell’orfanotrofio, sarebbe
stato pronto ad affrontare ogni genere di imprevisto, ma dedicarsi alla pulizia
–di qualunque tipo si trattasse- sicuramente non era il suo forte. Ma non
poteva farci nulla, contro Sora.
Taichi
aveva qualche limite, dopotutto.
Spostando
lo sguardo verso destra, Hikari scorse il gruppo di bambini più grandi
–accompagnati, come sempre, da Asami, che non voleva essere esclusa nonostante
avesse solo otto anni a discapito dei loro dieci- che ascoltavano attentamente
le spiegazioni in campo informatico fornite loro da Koushiro, e notò con
piacere che sembravano tutti interessati, e che domandavano chiarimenti al
ragazzo dai capelli rossi con una vivacità incuriosita che la inteneriva.
Accanto a loro c’era anche Jyou, e persino lui, pur non facendo parte del
pubblico infantile di cui Koushiro si era circondato, annuiva alla fine di ogni
sua frase, con aria concentrata e gli occhi fissi sullo schermo del computer.
Non
bisognava mai fermarsi, considerò, chiudendo il libro di favole che teneva in
mano. C’era sempre qualcosa da fare, e l’importante era dedicarsi alle proprie
attività con serenità, gioia e quel pizzico di spensieratezza che avrebbe
permesso ai bambini di non sentirsi estranei a loro.
Anche
quando non erano solo loro a tenersi impegnati in un’attività.
“E allora,
Keiji-chan, hai deciso di lasciar perdere?” domandò divertita, alzando lo
sguardo sui rami dell’albero sotto il quale si stava riposando.
Conosceva
la risposta ancora prima che venisse pronunciata, ma il suo tono di voce mentre
lo diceva era così buffo da farle venire sempre voglia di domandarglielo
ancora.
Uno sbuffo.
“No: non è ancora arrivato. Io non scendo finché non lo vedo.”
Hikari
sorrise, osservando la sua piccola figura aggrappata al ramo e con gli occhi
castani fissi in un’altra direzione. Sapeva che Keiji sarebbe potuto rimanere
tra le fronde degli alberi per giorni interi, ma non aveva senso che si
preoccupasse tanto per un problema che non c’era e non ci sarebbe mai stato.
Le sembrava
semplicemente troppo sull’attenti, e se ne chiedeva il motivo.
“Dai, non
fare il testardo: lo sai che non verrà” ribatté, cercando di farlo ragionare.
“Non avrebbe nessun motivo per farlo… e in ogni caso, se qualcuno sapesse di
essere sgradito a tal punto, non si farebbe mai vivo. E tu non vuoi che venga,
giusto?”
Un rumore
di foglie smosse, e il viso di Keiji apparve alla luce, osservandola
imbronciato.
“Non lo
voglio qui” affermò, indignato. “Ci spia, lo so.”
“Keiji-chan,
stai attento, per favore!” Hikari scattò in piedi, allarmata dalla posizione
apparentemente instabile del bambino dai capelli viola. Capiva come si sentiva
Jyou quando si preoccupava per lui: il pensiero del pericolo che correva era
troppo vivido, e Keiji era spericolato abbastanza da fare mosse avventate.
Un sorriso
birichino apparve sul suo viso da bambino. Non era affatto preoccupato. “A te
non piace questo, Hikari: a me non piace quel
biondo. Se io mi siedo di nuovo, tu lo mandi via?”
Hikari
rimase senza parole per un secondo, sorpresa. Poi scoppiò a ridere, osservando
gli occhi fin troppo seri del piccolo. Non avrebbe mai smesso di stupirla:
sembrava capace di contrattare la sua voglia di fare pazzie con la promessa di
scacciare qualcuno che non credeva sarebbe più tornato.
Scosse la
testa, cercando di calmarsi. “Puoi spiegarmi perché ce l’hai tanto con lui?”
“Perché
viene ogni giorno, e ci spia.” Replicò Keiji, tornando a scrutare il cancello
grigio come se si aspettasse di veder sbucare qualcuno all’improvviso. “Tu non
lo vedi, ma io sì: che vuole da noi?”
La notizia
la sorprese: per riflesso seguì lo sguardo del bambino, scoprendo che nessuno
era lì. Era probabile che Keiji stesse esagerando? Era possibile che quel
ragazzo chiamato Takaishi Takeru li guardasse ogni giorno, o era solo quella
strana antipatia che il piccolo provava per lui a renderlo apprensivo e quindi
ad esagerare?
Considerò
per un attimo l’idea di riuscire a scorgere quei capelli biondi tra i cespugli
accanto al cancello, con il cuore in gola, per poi scuotere la testa e tornare
a guardare la figura sull’albero.
“Tutti i
giorni, dici?” domandò, aggrottando le sopracciglia.
“Sì, tutti.
Credo che sia un ladro.” Rispose Keiji, offeso e sicuro della sua ipotesi.
Hikari rise
ancora, incredula. Per quanto quel ragazzo si fosse comportato in maniera che
non riusciva a capire, essere paragonato ad un ladro le pareva una grossa
esagerazione.
“Keiji-chan!
Non è bello dire queste cose, lo sai?” lo rimproverò dolcemente, sentendolo
sbuffare subito dopo. “Ricordati che ha aiutato Naoko-chan a tornare da noi
quando mi sono distratta… E poi non si sarebbe mai avvicinato per parlarmi, se
avesse avuto cattive intenzioni.”
No, non
poteva essere un malintenzionato, considerò la giovane, assorta per un momento
nei suoi pensieri. Takaishi Takeru l’aveva turbata con il suo tormento e le sue
domande inusuali, ma Hikari sapeva che lo sguardo sofferente del giovane che le
si era presentato era autentico, sincero.
Oltretutto,
cosa avrebbe potuto volere da un umile orfanotrofio come il loro?
“Ti stai
preoccupando troppo, te lo assicuro.”
Keiji non
replicò, continuando a tenere il broncio e a puntare lo sguardo fisso sul luogo
dove fu abbandonato, sette anni prima.
Hikari alzò
le spalle, tornando a sedersi sull’erba con un sorriso. “Va bene, non ti
rimprovero più. Puoi restare lì, se preferisci. Contento?” domandò.
Non era da
Keiji rimanere in silenzio per così tanto tempo. La giovane aggrottò le
sopracciglia, sollevando ancora lo sguardo. Possibile che fosse così offeso da
decidere di non risponderle? Forse c’era qualcosa che lui non le aveva detto,
per qualche motivo.
Non le era
del tutto chiara la diffidenza del piccolo verso Takeru.
“Keiji-chan,
ti prego: vorrei saperlo, se c’è qualcosa che non va.” Gli disse, preoccupata.
“Lo sai che puoi dirmi tutto: non riderò di te, né farò commenti. Voglio solo
sapere cosa…”
“Mandalo
via, per piacere.”
“Eh?” La
domanda supplichevole lo spiazzò: tradiva un’impazienza che non sembrava da
lui, e Hikari non riusciva a spiegarsene il motivo. Anche perché quella
richiesta poteva essere attuata solo se…
“E’ qui, e
ci spia di nuovo. Mandalo via, Hikari!”
Hikari
sussultò, volgendo nuovamente lo sguardo verso il cancello.
Non impiegò
molto tempo per scorgere una figura seminascosta dai cespugli, di cui erano
chiaramente visibili solo i capelli biondi. Era immobile, rivolto verso di
loro: probabilmente stava davvero osservando loro, come aveva detto Keiji.
Una strana
sensazione si impossessò di lei, senza che potesse far nulla per evitarla.
Aveva
riflettuto molto sulle parole che Takaishi Takeru le aveva rivolto qualche
pomeriggio prima, sempre consapevole della tristezza e del senso di impotenza
che l’aveva colta dopo il loro discorso. Si era domandata più volte quale
potesse essere il motivo di tanto intestardirsi, di tanto cercare di parlare
con qualcuno privo di problemi, o che sa come risolverli. Era arrivata persino
a chiedersi, rattristata, perché la sua voglia di conoscere la risposta avesse
dovuto porla davanti alla sua fragilità, a quella dell’orfanotrofio, a quella
di tutti loro senza Yagami Yuuko.
Ma poi
aveva capito, rimproverandosi per non esserci arrivata prima.
Era logico
che volesse trovare una sorta d’eroina: nel momento in cui si è scoraggiati, ci
si crede senza via d’uscita, il primo istinto è quello di trovare qualcuno che
possa sopportare il carico di disperazione che si porta sulle spalle.
Takaishi
Takeru doveva essere davvero triste. E aveva visto in lei, in tutti loro
ragazzi che si occupavano dei bambini, il qualcuno che cercava.
Hikari
aveva ricordato con un sorriso quante volte aveva fatto lo stesso con Taichi,
quando era piccola, e a quante volte era successo anche poco tempo prima. Era
strano pensare, però, che Takeru avesse visto in lei il suo Taichi.
Sospirò,
alzandosi in piedi con lentezza. Keiji voleva che lo scacciasse, perché era
spaventato. Ma lei non riusciva a provare timore per lui.
Nemmeno
sapendo che li aveva spiati, che li spiava e che avrebbe, con tutte le
probabilità, continuato a spiarli.
Piuttosto,
sentiva un grande senso di compassione per lui, perché aveva intuito il suo
dolore, ma non sapeva da cosa fosse stato causato.
E Hikari
sapeva che non poteva scacciarlo senza aver conosciuto il motivo di queste
osservazioni silenziose e misteriose. Takeru avrebbe continuato a fermarsi
dietro ai cespugli, in attesa di risposte che non avrebbe mai avuto, se
qualcuno non fosse intervenuto.
Lei sapeva
di essere fragile, di avere dei limiti, di avere paura, a volte. E, essendo
anche lei umana in questo senso, avrebbe fatto luce sul mistero.
Con un rumore
attutito, sentì Keiji scendere dall’albero. Le prese la mano. “Stai andando
lì?” chiese, con tono quasi speranzoso.
Hikari
annuì, sfiorando una guancia del suo fin troppo serio interlocutore. Keiji
distolse lo sguardo, a disagio. “Non ti preoccupare: vedrò di risolvere questa
faccenda, una volta per tutte.”
Quando lo
vide sorridere di nuovo, chiaramente soddisfatto, ebbe la conferma che il
giovane dai capelli biondi doveva averlo spaventato a morte, per indurlo a
supplicare Hikari che lo mandasse via. Si sforzò di non ridere solo per non
ferirlo.
Gli lasciò
la mano, puntando lo sguardo verso la figura ancora immobile che li osservava e
chiedendosi cosa avrebbe scoperto durante quella conversazione.
Quello che
sapeva per certo, però, era che voleva parlargli da sola. Senza Taichi, Sora o
chiunque altro.
Perché
sapeva che, alla presenza di chiunque altro, non sarebbe riuscita a parlare in
tutta sincerità del suo desiderio di conoscere il tormento di quello
sconosciuto. Avrebbero anche potuto convincerla a cambiare idea, e lei voleva
approfittare dell’occasione senza altri indugi.
No, si
disse, scuotendo la testa. Era una faccenda che doveva risolvere lei, e se ne
sarebbe presa la totale responsabilità.
***
Non si era
nemmeno accorto della sua presenza, a pochi metri di distanza.
Aveva la
mano destra protesa verso il fogliame ancora umido dopo pioggia della sera
prima, e scostava delicatamente i cespugli per poter osservare meglio.
Portava lo
stesso cappello grigio che gli aveva visto sul capo qualche giorno prima, come
se fosse una sorta di tratto costante nel suo aspetto fisico. Era chiaramente
attento a non far rumore: era in posizione rigida, ferma, ma stabile per non
cadere e, quindi, far rumore.
I suoi
occhi azzurri erano completamente presi da una qualche scena che doveva aver
attirato la sua attenzione, anche se lei non riusciva a scegliere tra le tante
che erano sotto i suoi occhi scuri ogni giorno.
Hikari
ricordava il viso di chi le aveva rivolto la parola senza un senso apparente,
ma fu sorpresa di notare un sorriso sereno sulle sue labbra.
L’ultima
volta che aveva chiacchierato con lui, il suo volto era serio, fin troppo,
forse. Quanto era diverso, adesso, notare che Takaishi Takeru poteva gioire
delle cose più semplici e pure.
La sua
determinazione a parlargli crebbe. Nessun ladro avrebbe sorriso a quel modo
semplice e appagato, osservando la villa che avrebbe dovuto rapinare.
Doveva
essere solo un ragazzo come altri. Come lei.
Si avvicinò
timidamente, sempre attenta a non far rumore. Sebbene fosse ormai certa di
quella scelta improvvisa, si sentiva in imbarazzo a distoglierlo dai suoi
pensieri, anche se quello che Takeru stava facendo non era certo legale.
Non poté
far nulla per impedire alle sue guance di infiammarsi.
“Takaishi-san?”
tentò a bassa voce, con le mani strette tra loro.
E il
giovane sussultò bruscamente, come fa ogni bambino colto di sorpresa dalla
mamma mentre commette qualche azione che non dovrebbe.
Vide lo
sguardo di lui saettare verso il suo viso, per poi sgranare gli occhi, imbarazzato,
e fissarla come se fosse atterrito da lei.
Era normale
che si comportasse così, in fondo: se li stava spiando da giorni, come
sosteneva Keiji, trovarsi a guardare negli occhi la proprietaria
dell’orfanotrofio non poteva essere di certo piacevole.
L’imbarazzo
gli impedì di dire alcunché.
Ora o mai più, si disse Hikari, a disagio anche
lei.
“Mi fa
piacere rivederti” continuò, con un sorriso incerto. Gli occhi di Takeru si
spalancarono maggiormente: forse si aspettava delle grida indignate. “Ti serve
qualcosa?”
Seppe di
averlo sorpreso osservando la sua espressione attonita.
Hikari
rimase ad aspettare una sua risposta, esitando sul da farsi. Non sapeva come
fargli capire che non lo avrebbe denunciato per il suo osservare.
I secondi
passarono, ma le parole sembravano congelate sulle labbra del giovane.
Era ormai
chiaro che lui non sarebbe riuscito a discolparsi in nessun modo: decise di
riprovare con un altro approccio, tentando di alleggerire l’atmosfera.
Fece un
piccolo cenno con la testa verso la villetta bianca, ben attenta a mantenere il
suo sorriso ben fermo sul suo volto. “Naoko-chan ti è molto grata per quello
che hai fatto qualche giorno fa” riprese, sempre più consapevole dell’imbarazzo
del giovane. “Ha un bel ricordo di te: ti ha nominato l’altro giorno, mentre
parlavamo di ragazzi gentili che aiutano le persone.”
Finalmente,
con grande sollievo di Hikari, l’altro parve rendersi conto che doveva dire
qualcosa.
“Yagami-san…
Mi dispiace molto, io non ero qui per… Non volevo spiarvi, ecco” disse Takeru,
e lei colse un certo imbarazzo e biasimo per se stesso nel suo tono colpevole. Esitò,
prima di continuare, con una breve risata: “Immagino cosa dovrai aver pensato,
vedendomi qui dietro al vostro cespuglio. Posso assicurarti che, almeno, non ho
cattive intenzioni. Lo giuro. Ho… ho sentito i bambini ridere e giocare a voce
alta, ed ero solo curioso. Volevo vedere con i miei occhi…”
Si
interruppe, il viso in fiamme, e parve trovare molto interessanti alcuni
passanti che chiacchieravano tranquillamente sul marciapiede opposto.
Hikari lo
osservò, curiosa, e non poté fare a meno di sorridere, rassicurata. Ancora una
volta, aveva avuto una conferma della mancanza di doppi fini in quel ragazzo:
uno sguardo del genere non poteva essere frainteso.
“Io credo
che tu non abbia nulla di cui vergognarti” rispose serenamente, tentando di
rassicurarlo. Sembrava che Takeru volesse sparire dalla faccia della Terra
seduta stante. “E’ bello sapere che qualcuno riesce ancora a fermarsi al suono
di una risata di bambino. Credo sia uno dei suoni più dolci e innocenti del
mondo, e può fare miracoli.”
Takeru
incontrò i suoi occhi per un istante ancora, e Hikari riuscì a scorgervi tante
domande senza risposta, e un’enorme, intollerabile confusione che non gli
riusciva di nascondere. Di nuovo, la voglia di conoscere il motivo di tanta
insicurezza la colse.
Takeru
annuì piano. “Sento spesso le loro risate” ammise, con un lieve sorriso ad
incurvargli le labbra. “Sono tanti bambini, e si fanno sentire. E poi, io abito
qui vicino.”
“E’ per
questo che ti sei interessato a questo orfanotrofio?” domandò Hikari
cautamente, cercando di non essere invadente. Era felice di star parlando con
lui senza quell’amarezza che aveva colto la volta precedente, e non era
intenzionata a rompere quella quiete.
Ancora un
momento di silenzio. Takeru parve rifletterci per un istante, aggrottando
leggermente le sopracciglia, come se non ne fosse sicuro nemmeno lui; il suo
sguardo si perse lontano, come a cercare la risposta dentro di sé.
Poi sollevò
nuovamente gli occhi su di lei, con aria triste. “Credo di sì” rispose
lentamente, soppesando le parole. “Non so. Forse quelle risate infantili avrei
dovuto ascoltarle molto tempo fa: mi avrebbero fatto capire molte cose.”
Il sorriso
sul volto di Hikari si spense.
Aveva
sentito chiaramente la voce del giovane dai capelli biondi tremare, mentre
pronunciava quell’ultima frase. Aveva scorto quella smorfia dolente che aveva
attraversato il suo viso, e l’amarezza che quell’affermazione aveva portato con
sé si era solidificata nell’aria, rendendogliela quasi percepibile al tatto.
Era un dolore reale, nascosto da un volto falsamente rassegnato.
Forse
Takeru non aveva mai incontrato qualcuno che potesse essere come suo fratello
Taichi: forse non c’era mai stato nessuno pronto ad aiutarlo, nel momento del
bisogno. Probabilmente era per questo, che appariva così smarrito.
“Non
capisco” ammise semplicemente, osservandolo con aria di scusa.
Takeru
sospirò profondamente, ricambiando la sua occhiata.
“Ti è mai
capitato di mettere in discussione tutto quello che fai, Yagami-san?”
La giovane
rimase a fissarlo, con aria di sorpresa, inizialmente spiazzata. Non sapeva
come reagire ad una frase del genere. Avrebbe avuto la risposta pronta in un
istante, ma non aprì bocca, lasciando che lui continuasse a spiegarsi.
“Quello che
intendo è un continuo arrampicarsi sugli specchi. E’ un tentare di fare di
tutto, continuando ad essere incerti e dubbiosi, senza poi ottenere nulla. Mi
capita spesso di trovare un motivo momentaneo di gioia, una meta provvisoria,
ma poi questa diventa insignificante nel momento in cui sono vicino al
raggiungimento dell’obiettivo. E’ terribilmente frustrante notare come potrei
rendermi utile in tanti modi, ma non sapere assolutamente quale sia quello
giusto e vero per me. Tu hai mai provato sensazioni del genere?”
Il suo
volto era di nuovo grave. Con quei capelli dorati e occhi azzurri, alla luce
del sole, sembrava un angelo. Un angelo sofferente, che ha perso le ali.
E Hikari si
sentì triste per lui. Come poteva non esserlo, dato che conosceva quei momenti
di sconforto?
“Qualcosa
del genere sì, qualche volta” ammise sinceramente, e puro stupore si manifestò
sul viso del suo interlocutore. Lei sorrise alla sua occhiata. “Ne abbiamo
parlato la scorsa volta: gestire un orfanotrofio non è una scelta facile, e non
sempre abbiamo la risposta giusta o sappiamo quale sia la strada giusta per
noi. Credo di capire in qualche modo, Takaishi-san.”
Sembrava
sconcertato dall’aver trovato qualcuno che riuscisse a comprendere quello di
cui stava parlando, e fu il suo turno di ammutolire. Forse cercava domande più
specifiche da rivolgerle.
“Però non
ci riesco fino in fondo” continuò Hikari, aggrottando le sopracciglia. “Quando
si è sconfortati e ci si sente persi, ci si aggrappa sempre a qualcosa che sia
fonte di speranza. Possibile che tu non ne abbia nemmeno una? Un tuo sogno
speciale, un amico, un parente, un fratello o una sorella? Nulla?”
Sperò di
non essersi spinta troppo oltre, mentre notava i pugni di lui stringersi e le
sue labbra assottigliarsi fino a formare una linea sottile. Forse aveva
esagerato, era stata invadente. Ma Takeru aveva ogni diritto di non rispondere,
d’altra parte, se lo avesse ritenuto necessario.
Per un
motivo o per un altro, però, la risposta arrivò.
“No, nulla
di così grandioso. Il problema è che niente riesce a farmi sentire fiero di me
stesso, al momento: non so davvero più cosa fare. Vorrei rendermi utile in
qualche modo, ma la maniera per farlo è sempre più sfuggente.”
Hikari ebbe
l’impressione di cominciare a vederlo meglio, dopo quest’ultima affermazione.
“Vuoi renderti utile? Utile per chi?” Volle sapere, spronandolo a chiarire.
Rimase
interdetta osservando l’incertezza sul volto del suo interlocutore. Cosa c’era
di così strano nella sua domanda?
“Cosa
penseresti di me, se ti dicessi che non lo so?” rispose con un sorriso
imbarazzato lui, lasciandola sbigottita. “So che devo rendermi utile, ma non so
dove, come, né quando. Comincio a pensare che ci sia qualcosa che non va, nella
mia testa.”
Le risate dei
bambini dentro il giardino fu l’unico rumore udibile in quel momento.
Hikari
sbatté le palpebre più volte, non sapendo come reagire ad una frase tanto
incredibile. Pensò, in un primo momento, che il giovane stesse scherzando, ma
dovette ricredersi quando vide la sua occhiata diretta e seria, che non
lasciava ombra di dubbio.
Era questo,
allora, il suo tormento? Era per questo che le sembrava così abbattuto, così
disilluso, così smarrito?
“Forse non
dovresti affrettare i tempi” gli suggerì, tentando di essergli d’aiuto. “Forse
stai attraversando un momento difficile, e hai solo bisogno di schiarirti le
idee….”
Un sospiro
rassegnato in risposta la fece zittire improvvisamente. “Sono anni che va
avanti, Yagami-san. Ogni giorno che passa mi sento sempre più inutile, come se
qualcuno avesse portato via il mio futuro senza intenzione di restituirmelo.
Sinceramente, non credo sia un periodo, se capisci cosa intendo.”
Takeru le
sembrava scoraggiato più che mai, mentre tornava a guardarsi le mani.
Poi, un
sorriso di scusa. “E’ per questo che vi osservo: vedo in voi quella
determinazione che mi manca da tanto tempo, e riesco a scordare i miei problemi
per qualche istante. Ma dopo avervi osservati, è solo peggio. Ancora non riesco
a capire come abbiate deciso di prendervi questa grande responsabilità senza
paura di non esserne in grado, di cambiare idea.”
Hikari non
seppe come, ma all’improvviso la scena davanti ai suoi occhi si fece più
nitida, più chiara e comprensibile. Non c’erano più dubbi, tristezza per Takeru
o per la sua situazione: solo una grande sorpresa per la risposta che sentiva
nascere spontanea dalle sue labbra.
Aveva la
soluzione.
Era
irrazionale, forse insensata, forse inutile, ma era forte e sicura nella sua
mente.
In fondo,
qual era il segreto del successo di tutti loro con i bambini che accudivano?
Solo uno.
Ma sapeva
quanto fosse efficace.
Lo guardò
dritto negli occhi, sorridendo della sua apparentemente insensata decisione.
“Takaishi…
Takeru-san, se tu guardassi ogni giorno gli occhi dei bambini non avresti il
coraggio di essere incerto, o dubbioso.” Si stupì della serenità delle sue
parole, rendendosi conto di non aver mai preso un’iniziativa del genere senza
interpellare gli altri. “La loro semplicità è sufficiente per farti superare
momenti di crisi, per farti crescere più responsabile e protettivo e, al
contempo, per farti tornare alla loro innocenza. Riesci a capire perché non
possiamo arrenderci, con loro da proteggere?”
Aspettò,
immobile, che le sue parole fossero ben assimilate dal ragazzo, senza dire
altro.
Takeru
aggrottò le sopracciglia, sorpreso. “Vuoi dire… I bambini sono la vostra
maniera per andare avanti?” chiese, e nel suo tono di voce c’era tutta
l’incredulità possibile.
Hikari
annuì semplicemente.
“Ma i
problemi restano” obiettò ancora il giovane, non convinto. “Davanti ai bambini
si può solo mascherare l’incertezza, per non allarmarli o rattristarli. Dov’è
la guarigione, allora?”
Non ebbe
bisogno di pensarci nemmeno per un momento, prima di parlare.
“Vieni con
me in giardino dai bambini, Takeru-san.”
“… Che
cosa?”
Ora era
semplicemente sconvolto, come se avesse assistito ad un fenomeno paranormale.
Hikari
sorrise ancora, sicura. “Non riesco a spiegarti a parole tutte le qualità dei
bambini, per cui è meglio che tu venga a parlarci di persona. Credo che li
troveresti adorabili, e che capiresti cosa intendo, quando dico che loro sono
l’unica cosa che ci fa restare in piedi nonostante tutto.”
C’erano
buone probabilità che questa strana idea potesse aiutare il giovane. Doveva
aver perso la fiducia in se stesso, la speranza nel futuro, ogni certezza:
forse era soltanto cresciuto troppo, e nella maniera sbagliata.
Non era
troppo tardi per ricominciare a sorridere.
E poi, lui
le aveva detto che voleva rendersi utile. Chissà: forse avrebbe potuto unirsi a
loro, se l’avesse voluto. Sora, Mimi, Koushiro e Jyou avevano iniziato quasi
allo stesso modo.
Sentiva che
poteva tentare, anche se non aveva domandato il parere a nessuno.
Takeru
sembrava titubante. “Non… Io non credo di potere…” Balbettò, osservando con
aria strana i giochi dei bambini dietro i cespugli.
Gli si
avvicinò di un passo, lentamente. Lo vide accorgersi del movimento, per poi
voltarsi nuovamente a guardarla. Nei suoi occhi c’erano tante domande.
“Se il
problema è il nostro consenso, te l’ho appena dato” gli rispose. “Coraggio: si
tratta solo di parlare loro per un momento.”
“Vi ho
spiati” obiettò Takeru, cercando di essere ragionevole.
Hikari
scoppiò a ridere. Come poteva pensare ad una cosa del genere quando non aveva
fatto nulla di male?
“Va tutto
bene, sul serio. Se ti va di venire con me, ti assicuro che non sarai giudicato
da nessuno.” Rispose, divertita. “Andavi di fretta?”
Lo guardò
ancora, piena di aspettative, chiedendosi quale sarebbe stata la risposta
definitiva. Chissà se sarebbero cambiate alcune cose, a seconda dell’esito di
quel discorso.
Infine,
Takeru sospirò, con un sorriso. “No, non avevo nulla da fare. Grazie tante per
l’invito, Hikari-san.”
Suonava
tanto come un sì.
Lei si
illuminò. “Naoko-chan sarà tanto felice di vederti di nuovo.” Disse,
rallegrata.
Sperò
vivamente di aver trovato la giusta soluzione, mentre faceva a Takeru segno di
seguirla e apriva nuovamente il cancello grigio, per poi entrare nel giardino.
Sperò che
quello strano istinto a fidarsi di quel giovane solo e triste non fosse da
biasimare, mentre con lo sguardo scorgeva le tanto familiari figure dei suoi
amici e di suo fratello, ignari dell’ospite inaspettato che si guardava
intorno, a disagio.
Sperò di
non aver sbagliato tutto, mentre Naoko, al suono del cancello aperto, si
voltava incuriosita, per poi riconoscere il suo accompagnatore silenzioso, e
quindi sorridere felice.
“Takeru-san!”
esclamò, scattando in piedi e allontanandosi dal cerchio di Taro e del suo
piccolo teatro.
E mentre
tutti i presenti si voltavano nella loro direzione, e i loro occhi si
spalancarono per la sorpresa, Hikari si morse il labbro inferiore, cercando di
prevedere quale sarebbe stato l’esito della sua decisione.
Era
impossibile immaginarlo.
Ma sperava
con tutto il cuore che Taichi e gli altri ne avrebbero capito il motivo, mentre
rimaneva a osservare quel momento di silenzio attonito che pareva inglobarli
tutti in una dimensione senza alcun suono.
Nemmeno quello dei loro respiri.
Buon pomeriggio a tutti voi! Proprio non ce l'ho fatta a non lasciare in sospeso gli avvenimenti, come ho già fatto precedentemente: il capitolo sarebbe diventato troppo lungo, e preferisco trattare tutto in maniera accurata. Perciò, non me ne vogliate! ^^ E spero che quest'ulteriore -ma più importante- incontro tra Hikari e Takeru riesca a soddisfarvi. Posso solo dirvi che è stato compiuto un grande passo avanti... Per il seguito degli avvenimenti, però, vi invito ad aspettare ulteriori aggiornamenti.
Grazie, Mystery Anakin, per esserti impegnata a recensire appena possibile: mi commuove tutto questo interesse! ** E' molto interessante ascoltare le tue opinioni riguardo al diario di Miyako, pur dovendo restare assolutamente neutra... E sono felice che la parte del flash-back di Osamu e Ken si sia letta tanto facilmente! Che vuoi che ti dica... Osamu non si aspettava certo che un inesperto fratello minore riuscisse laddove lui aveva fallito per otto anni! Per un investigatore come lui è un grave colpo... u.u Oh, vuoi vedere che ti sto facendo appassionare alle Kenyako? xD Spero che gli ulteriori sviluppi tra loro ti piacciano come nel cap precedente! Per intanto, aspetto tuoi pareri appena possibile! Alla prossima, e grazie!
Shine, ti confesso che mi piace tantissimo leggere le emozioni che i miei aggiornamenti ti evocano, e perciò ti ringrazio di essere così accurata! :) Lo sai che mi piace sperimentare tipi di capitoli diversi, per questo sono contenta che la trovata del diario all'inizio ti sia piaciuta! Ho sempre voluto scrivere una storia dove fosse trattato il confronto tra i due fratelli Ichijouji... Insomma, cerco di renderli al meglio! ^^ Temo che al momento tra i due le cose non siano messe bene, ma non disperare, che tutto può cambiare in meglio! E se sono riuscita a emozionarti alla scena finale tra Ken e Miyako, posso dirmi davvero felice! xD Grazie di tutto, aspetto tuoi pareri al più presto!
Sono davvero contenta di aver letto la tua recensione, NanahoBerlitz: fa sempre piacere leggere pareri di nuovi lettori, soprattutto se così positivi! Sono lusingata, sul serio! :) Davvero il tuo personaggio preferito è Miyako? Ammetto che è anche il mio! ^^ E ti ringrazio per i complimenti sul capitolo introspettivo, così come quelli sulla storia in generale! Spero di leggere tuoi commenti anche per i capitoli a venire, e che la storia continui a piacerti tanto... Io ce la metterò tutta per non deluderti! Grazie ancora!
Roe, non sai che sollievo scoprire che la mia storia non ti sembri un plagio -sempre non voluto, come sai- : d'altronde, quando ho scritto questo cap non avevo ancora letto la tua storia! xD Sono contenta che questo aggiornamento ti sia piaciuto, piuttosto. L'idea di una sorta di competizione tra Osamu e Ken, in effetti, mi affascinava: diciamo che avevo voglia di recuperare qualche altro elemento dall'anime! Anche lì il maggiore si mostra freddo con Ken, in fondo ;) I fratelli di Miyako non hanno abbandonato la madre, semplicemente non le fanno visita così spesso... E non è nel carattere di Miyako essere fredda, soprattutto se si tratta di Ken! Quindi, tranquilla :) E spero che questo cap ti piaccia! Grazie per i tuoi commenti, le tue impressioni e tuoi complimenti, aspetto pareri! ^^
Come al solito, opinioni, consigli e critiche saranno benaccetti! ^^ Al prossimo aggiornamento!
Padme Undomiel