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Autore: Lucy Farinelli    26/02/2010    5 recensioni
Una scommessa di Naruto, un gioco tra amici. Chi riesce a reggere quindici bicchieri di sakè? Forse gli altri, ma lui, Shikamaru, no di certo. Sua madre lo spellerebbe vivo. E allora, che si fa quando ti ritrovi un po' troppo alticcio e non puoi assolutamente tornare a casa in quelle condizioni?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4.
Kurenai


Da quattro lunghissimi giorni, Shikamaru era intrappolato in casa propria.
Yoshino, che non gli rivolgeva la parola dal momento del rientro, gli aveva permesso di uscire solo per percorrere un preciso itinerario prestabilito – da lei – che collegava casa Nara al palazzo dell’Hokage. Niente uscite con gli amici, niente visite al mercato, niente capatine in città o nella foresta di famiglia: solo lavoro. Shikamaru non l’avrebbe mai detto, ma non vedeva l’ora che madamigella Tsunade gli affibbiasse anche la più seccante delle missioni, anche perché, quando era a casa, sua madre lo costringeva ad accollarsi tutti i lavori di casa più pesanti. Mentre Yoshino spadellava in cucina o leggeva un libro, Shikamaru lavava il pavimento, scartavetrava le finestre, riparava i fusuma. Il tutto in religioso silenzio. Yoshino gli faceva trovare già pronti al suo ritorno stracci o martelli, a seconda dell’occasione, e lui si limitava a prenderne atto e ad eseguire i compiti. Sua madre era così fuori di sé che neppure Shikaku aveva osato emettere un solo fiato in difesa di Shikamaru: nessuno dei due l’aveva mai vista tanto inferocita.
Persa ogni speranza di assaporare nuovamente la libertà prima del sopraggiungere della vecchiaia, Shikamaru, anche quel tardo pomeriggio, stava lavando il pavimento della veranda sul cortiletto interno, alternando lo sguardo tra le nuvole sopra di lui e i pesciolini sotto la superficie dell’acqua del laghetto che aveva di fronte. Senza un suono, Yoshino comparve alle sue spalle proprio mentre lui si stava rimboccando le maniche e si passava un braccio sulla fronte sudata.
“C’è una ragazza che ti cerca,” gli disse la madre con espressione strana. “La sorella del Kazekage di Suna.”
“Temari?”
Shikamaru rimase di stucco, ma abbandonò all’istante scopettone e straccio e seguì Yoshino fino all’ingresso, cercando di darsi una sistemata veloce. Sapeva di essere in condizioni indecenti.
La ragazza era nell’ingresso ad agitarsi nervosamente sul posto, l’enorme ventaglio ondeggiante sulle spalle.
“Shikamaru,” esalò non appena lo vide. “Mi manda madamigella Tsunade: devi andare subito in ospedale, Kurenai è entrata in travaglio e ha chiesto di te.”
Fu come se un mattone gli avesse appena compresso le viscere, ma lo scrollone di sua madre lo riportò alla realtà in un battibaleno.
“Muoviti, Shikamaru,” gli disse, spingendolo verso la porta. “Cosa aspetti?”
Senza pensare, Shikamaru mise le scarpe e precedette Temari fuori di casa, dritto sulla via dell’ospedale, correndo il più velocemente possibile a zig zag tra le persone. Temari gli stava dietro senza sforzo e, ad un certo punto, lo affiancò, per poter comunicare a occhiate quando era ora di cambiare direzione.
Arrivarono nel giro di qualche minuto, fecero una brevissima sosta al banco dell’accettazione per sapere a che piano dovevano recarsi e ripresero la corsa forsennata, facendo gli scalini a due a due.
Shizune li aspettava a metà corridoio del quarto piano, fuori dalla camera operatoria.
“È già – ?“ disse Shikamaru senza fiato, frenando in scivolata.
“Non ancora,” rispose Shizune. “Madamigella Tsunade mi manda a dirvi che il parto si prevede un po’ più complicato del previsto e che se ne sta occupando personalmente. Anche Choji Akimichi e Ino Yamanaka sono stati mandati a chiamare, ma sono fuori in missione e non sappiamo quando rientreranno.”
“E noi cosa dovremmo fare allora?” chiese Shikamaru con una nota di disperazione nella voce.
“Sedere qui e aspettare,” replicò con calma Shizune. “A Kurenai farà piacere sapervi qui con lei.”
Shikamaru inghiottì a vuoto e si passò una mano sul viso, mentre Temari gli metteva una mano sul braccio.
“Andrà tutto bene, Shikamaru,” continuò Shizune. “Kurenai è nelle mani di madamigella Tsunade, puoi stare tranquillo.”
Shizune fece un breve sorriso, poi scomparve nella sala operatoria. Shikamaru si guardò intorno e crollò sulla prima poltroncina che riuscì a individuare, prendendosi la testa fra le mani. Temari sedette poco dopo accanto a lui.
“Senti, Shikamaru…” cominciò, esitante. “So che non è il momento adatto, ma pare che dovremo restare qui per un po’, così ne volevo approfittare per dirti una cosa.”
“Che c’è?” mugugnò, sempre con la testa fra le mani.
Temari trasse un profondo respiro. “Mi dispiace di averti svegliato a randellate, l’altro giorno. Non te lo meritavi.”
Shikamaru si lasciò sfuggire un sorriso. “Mi stai chiedendo scusa per avermi dato del pervertito?”
Lanciò un’occhiata di sottecchi a Temari e la vide assottigliare la linea delle labbra.
“Sì.”
“Acqua passata,” disse Shikamaru. “Avrei reagito anche io allo stesso modo.”
Stavolta toccò a Temari sorridere. “Non credo proprio. Tu avresti fatto tutti i tuoi soliti calcoli mentali e avresti tratto conclusioni meno affrettate.”
Temari sganciò il ventaglio e sedette più comodamente sul divanetto.
“Ci tenevo a scusarmi solo perché ho visto che tua madre ti ha – come dire – “
“Mi sta torturando in maniera esemplare? Sì.”
Si scambiarono un’occhiata e sorrisero contemporaneamente.
“Grazie,” disse Shikamaru. “E non c’è bisogno che tu stia qui con me. Immagino che dovrai tornare a Suna al più presto.”
“I miei fratelli sanno cavarsela benissimo anche senza di me,” replicò pragmatica Temari. “Non ti lascio qui da solo, piagnucolone. Chissà che disastri finiresti per combinare senza di me.”
“Ino e Choji non tarderanno.”
“Ma ora non ci sono.”
Temari gli fece un gran sorriso. Shikamaru abbassò lo sguardo a terra e cominciò a tormentarsi le mani in grembo, senza sosta.
“Me l’ha chiesto Asuma, sai?” mormorò. “Di tener d’occhio quel bambino.”
“Andrà tutto bene, Shikamaru.” Temari gli passò una mano sulla schiena. “Non so cosa intendano loro con complicazioni, ma anche mia madre ha avuto dei problemi quando sono nata io. L’ho fatta dannare parecchio prima di decidermi ad uscire.”
“Ma non mi dire,” ridacchiò Shikamaru. “Fin da piccola eri una seccatura.”
“Taci, piagnucolone.”
Shikamaru tornò a tormentarsi le mani.
“Non posso perdere anche loro.”
“Non li perderai, non è successo niente.”
“Ho giurato che quel bambino sarà mio allievo.”
“E così sarà.” Temari posò le proprie mani sulle sue per arrestarne il tremito. “Shikamaru, piantala di tormentarti. Andrà tutto bene.”
Shikamaru strinse la presa sulle dita, ma solo quando alzò la testa, Temari si accorse che il ragazzo stava piangendo.
Cazzo.
Lei odiava quando le persone le piangevano davanti. Non sapeva mai come comportarsi, né cosa dire. Quel tipo era proprio un piagnucolone. Istintivamente, cercò di tirarsi indietro, ma Shikamaru non la lasciava andare. Incurvando sempre più le spalle nel tentativo di trattenersi, le stritolava la mano in una presa ferrea, ma profondi tremiti lo scuotevano suo malgrado, intervallati da singhiozzi sempre più frequenti e incontrollabili. Temari si guardò intorno, non sapeva nemmeno lei se per cercare aiuto o per allontanare eventuali scocciatori, poi, mossa da uno strano istinto di compassione, si avvicinò un po’ di più a Shikamaru e gli circondò le spalle con le braccia, facendogli appoggiare il capo sulla propria spalla. Shikamaru le si aggrappò disperato, affondandogli le dita sul retro del kimono, lasciandosi finalmente andare ad un pianto disperato. Temari gli accarezzò piano i capelli, come faceva a volte quando Kankuro era piccolo e la supplicava di non lasciarlo solo con Gaara, e si accorse che quei gesti funzionavano da calmante sui singulti del ragazzo. Seguendo il metodo imparato da bambina, Temari si appoggiò allo schienale del divanetto e continuò a stringere Shikamaru a sé.
Tsk, pensò tra sé e sé, guardandolo con occhi gentili. Che piagnucolone. E mi usa pure come cuscino.

“Shikaku?”
“Vedo, Yoshino.”
Erano ormai le otto di sera e i genitori di Shikamaru, non vedendo tornare a casa il figlio, avevano deciso di seguirlo all’ospedale per sapere cosa stesse succedendo, ma appena erano giunti al corridoio del quarto piano, si erano bloccati sull’entrata, troppo stupiti per muovere un altro passo.
Shikamaru e la sorella del Kazekage di Suna, sonnecchiavano su un divanetto a metà corridoio, uno addosso all’altra. Shikamaru abbracciava la ragazza come se fosse stata un pupazzo, con la testa reclinata sulla sua spalla, mentre Temari aveva le braccia abbandonate sulla sua schiena e la testa poggiata su quella del ragazzo.
Tsunade uscì dalla sala operatoria proprio in quel momento, svegliando i due che si destarono con un sobbalzo. Shikamaru e Temari si guardarono confusi e imbarazzati, prima che la ragazza si scostasse bruscamente per rialzarsi in piedi con la scusa di sgranchirsi le gambe anchilosate.
Solo allora Shikaku e Yoshino si avvicinarono a loro, dopo essersi scambiati un sorrisetto complice.

“Il bambino era in una posizione difficile, ma ora stanno bene entrambi e Kurenai non vuole riposare finchè non ti vede,” disse Tsunade a Shikamaru. “Anzi, vorrebbe tutto l’ex Team 10 qui, ma dal momento che Akimichi e la Yamanaka non sono ancora tornati, pretende che almeno tu conosca suo figlio.”
“È un – “ Shikamaru si alzò in piedi.
“ – maschio, sì,” rispose Tsunade con un sorriso stanco. “Un bellissimo maschietto.”
“Shikamaru.”
“Mamma.” Il ragazzo si voltò di scatto. “Papà. Cosa fate qui?”
“Siamo venuti a vedere perché tardavi così tanto,” ripose Shikaku, sorridendo a Temari che si era addossata alla parete per non dare fastidio.
“Svelto, Shikamaru,” lo incoraggiò Tsunade. “Vai da Kurenai, ti sta aspettando.”
“Sì.” Shikamaru si rivolse a Temari. “Vieni?”
“No,” rispose lei, scuotendo il capo. “Io cosa c’entro? Non faccio parte di questa storia. Vai tu.”
Shikamaru esitò un momento, poi si affrettò a raggiungere Shizune che era appena comparsa sulla soglia della camera operatoria. La ragazza lo condusse nel corridoio dietro l’angolo e gli indicò la stanza di Kurenai.
Shikamaru schiuse la porta, entrò e li vide.
Nella penombra della stanzetta singola e accogliente, ogni cosa acquistava una sfumatura ambrata grazie alle persiane socchiuse della finestra. Kurenai era a letto, con il bambino in braccio e una foto di lei e Asuma sul comodino. Lo sguardo che alzò su Shikamaru per vederlo avanzare cautamente nella sua direzione era colmo di gioia e tenerezza, mentre cullava il fagottino immobile sul suo petto. Shikamaru si immobilizzò ai piedi del letto, consapevole solo del silenzio ronzante nelle sue orecchie.    
“Kurenai… come stai?”
“Shikamaru,” rispose la donna, facendogli cenno di avvicinarsi con la mano libera. “Vieni, devo presentarti una persona.”
Kurenai era il ritratto della felicità. Il viso non recava traccia di stanchezza e la voce non tradiva alcun accenno di malinconia. Shikamaru obbedì e avvicinò la sedia al letto dalla parte del comodino, proprio accanto alla foto del maestro. Anche se era lì solo da qualche ora, Tsunade aveva provveduto a rendere la stanza il più accogliente possibile, osservò il ragazzo, studiando con occhio critico tende e armadietti.
Kurenai si sporse verso di lui, scostando le coperte che avvolgevano il bambino, e gli mise il figlio tra le braccia.
“Ti presento Kichirou Sarutobi,” gli disse Kurenai. “No, Shikamaru, aspetta. Tienigli la testa un po’ più sollevata… ecco, bravo, così.”
“Kichirou,” ripetè sottovoce Shikamaru. “Figlio fortunato*.”
“Sarà fortunato ad avere un maestro come te,” spiegò semplicemente Kurenai. “Ed è stato molto fortunato ad essere nato in una famiglia come questa.”  
Shikamaru teneva cautamente il bambino, incapace di distogliere lo sguardo da quella minuscola creatura che agitava i pugnetti ed emetteva versetti a labbra socchiuse.
“Secondo te, gli assomiglia?” chiese Kurenai, inclinando la testa di lato e osservando Kichirou.
“Ad Asuma?” si riscosse Shikamaru. “Non è un po’ presto per dirlo?”
Lei scrollò le spalle. Il bambino si agitava piano tra le braccia di Shikamaru, che non riusciva a smettere di sorridere.
“Non è giusto che ci sia io e non lui, qui, in questo momento,” disse dopo qualche momento di silenzio.
“Oh, Shikamaru, no,” lo riprese Kurenai. “Invece io so che lui è contento di sapere che tu sei con noi, adesso. Non siamo soli.”
Shikamaru deglutì, ma il groppo che gli si era appena formato in gola non si mosse di un millimetro.
“E lui non se ne è andato, Shikamaru,” continuò Kurenai, accarezzandogli una guancia. “Asuma vive ancora: in te, in me, in questo bambino. Non morirà mai finchè ci saremo noi a ricordarlo.”
“È così piccolo,” riuscì soltanto a dire Shikamaru.
“Mai quanto te. Tu eri davvero minuscolo, eppure hai impiegato il doppio del tempo prima di deciderti a uscire, pigrone che non sei altro,” disse Yoshino sulla porta. “Scusate. Volevo dirvi che sono arrivati Ino e Choji.”
“Fateli entrare,” si illuminò Kurenai, tirandosi su a sedere. “Entrate tutti!”
Shikamaru restituì il bambino alla legittima madre, mentre gli altri entravano in camera e li accerchiavano con gridolini entusiasti.
“Maestra Kurenai!” esclamò Choji, correndole incontro. “Siamo tornati non appena abbiamo saputo.”
“È lui?” chiese Ino con timore reverenziale.
“Si chiama Kichirou,” disse Shikamaru.
Kurenai annuì e, appena le mise il bambino tra le braccia, la ragazza scoppiò in lacrime.
“S-s-scusate,” singhiozzò disperata. “È che in questi momenti non riesco a – a –“
Choji le andò vicino e le cinse le spalle con un braccio, approfittandone per toccare la guancia di Kichirou con un dito. Ino fu costretta a dare il bambino a Shikamaru a causa del pianto incontrollabile e Kurenai gli fece cenno di allontanarsi un poco, perché Kichirou si stava agitando.
Shikamaru lasciò gli altri attorno al letto e si voltò verso la porta, accorgendosi solo in quel momento che Temari era l’unica ad essere rimasta in disparte, appoggiata allo stipite della porta.
“Tu non entri?” Shikamaru le si avvicinò con il bambino in braccio.
Temari scosse la testa, aggiustandosi un codino con gesto nervoso. “Non sono affari miei.”
Shikamaru le scoccò un’occhiata esasperata. “Avanti. Prendilo in braccio.”
Temari sgranò gli occhi e agitò le mani davanti al viso. “No, preferisco di no. Davvero.”
“Avanti. Se ce l’ho fatta io, puoi farlo anche tu.”
“Non è questo,” replicò Temari. “Ho due fratelli più piccoli, so come si tiene un bambino. È che – sì, insomma, Shikamaru: io non faccio parte di questa faccenda. È la tua, la vostra storia, la storia della tua squadra.”
“Guarda che ho capito quello che vuoi dire.”
Temari lo guardò confusa.
“Ma io voglio che tu conosca il figlio del mio maestro Asuma Sarutobi.”
Temari osservò prima il sorriso di Shikamaru e la sua espressione categorica, poi il bambino che stringeva a sé. Tese le braccia e lo prelevò da quelle di Shikamaru, senza rendersi conto che l’espressione che le si era appena dipinta sul viso era identica a quella del ragazzo a pochi centimetri da lei.

Shikaku tamburellò piano sulla spalla di Yoshino e le indicò la coppia sulla porta.
“Ho notato una cosa,” le bisbigliò all’orecchio. “Avete tutte e due lo stesso sorriso.”
La moglie voltò solo la testa per guardarlo e sorrise.




SPAZIO DELL’AUTRICE
 
Eccoci arrivati al penultimo capitolo. Come vi avevo preannunciato all’inizio, non era una così long fic ^^'.
Mosche nere, non temete: alcune cose devono ancora essere sistemate e nell’epilogo avrete la risposta a tutte le vostre domande (si fa per dire XD).
Ma ora, passiamo ai ringraziamenti!   
Ops, no, stavo per dimenticare una cosa:
*Kichirou = figlio fortunato. Non posso garantire sulla veridicità di questo significato: non studio il giapponese (quindi se c’è qualcuno più esperto di me, si faccia pure avanti) e faccio affidamento sul sito in lingua inglese in cui l’ho trovato.

E adesso, i ringraziamenti ^^.

blablaba ---> Caro ammiratore segreto, lasciamo perdere, che è meglio *Puffo Quattrocchi mode on*. Grazie per la recensione a questo capitolo e alle altre vecchie fic (Megs, rassegnati!!! XDXD).

_Sumiko_ ---> Ma sotto sotto (molto sotto, sotto tutta quella scorza da ragazza del deserto) Temari è dolce. Anche la donna più gelida, si scioglie con l’uomo che ama, disse una volta un padre molto saggio (io sto parafrasando perché non ricordo le parole esatte ^^'). E ho detto tutto.
Anzi, no: i segnali che Kishi-sensei (in tutta la sua follia xD) ci manda in continuazione nel manga sono innegabili!

Kimiko_93 ---> Sono davvero contenta che la mia storia ti piaccia così tanto! *.* Io sono sempre più contenta di ricevere le vostre recensioni ;-)

x Saretta x ---> *stappa per la sua entrata nel mondo delle mosche nere*
Sì, ventagli e grida, cose di ordinaria follia in casa Nara ù.ù Povero Shikamaru, lui si era persino alzato nel cuore della notte per andarla a prendere dal divano e lei non esita a randellarlo di mazzate XDXD. Però Temari è una ragazza dolce e comprensiva (… ogni tanto), quindi sa riconoscere i propri errori (*Temari si interroga se sia davvero così esagerato prendere a bastonate qualcuno di prima mattina, senza neanche chiedere spiegazioni*).
Ah, Shikaku the best, è uno dei miei personaggi preferiti. E la tripletta Shika/Shika/Yoshi è fantastica, sembra di stare a casa mia XDXD.   

Alla prossima,
Lucy Farinelli

  
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