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Autore: Mapi D Flourite    27/02/2010    2 recensioni
[Gojyo/Sanzo]
«Visto che non abbiamo nessuna pressione, direi che possiamo andare verso il sole, a questo punto.»
[...] «Quindi torniamo indietro?»
«In realtà è un concetto relativo. Dipende tutto da dove tu creda che sorga il sole, non è così?»
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sha Gojio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Following the path of the sun
Pairing: Accenni a Gojyo/Sanzo
Rating: G
Conteggio  Parole: 1410
Warnings: Shounen-ai, tendente lievemente all'Angst
Spoiler: Saiyuki Reload 7

Note: Scritta per la challenge Meme di San Valentino indetta da Michiru-kaiou7 con il prompt "The morning light has the scent of hope". (Scritta ottomila anni fa, è che pubblicare su EFP mi scoccia. ù__ù LJ è molto più facile da usare, da questo punto di vista!)
Altra Gojyo/Sanzo, più o meno, questa volta vista completamente dal punto di vista di Gojyo. Vi avverto: ci sto prendendo seriamente gusto a scrivere su questo fandom.

Disclaimer: Saiyuki e i suoi personaggi appartengono alla Minekura, io non ci guadagno un centesimo a scrivere su di loro, lo faccio perché mi diverto.

-:-:-

Si accasciò contro un muricciolo, seduto in terra, il viso nascosto da una cascata di capelli rossi appoggiati alle sue spalle ricurve.
La pioggia torrenziale che si era abbattuta sulle loro teste fino a poche ore prima non aveva lasciato altra traccia di sé se non l'odore di legno marcito e ampie pozzanghere che si stendevano sulla terra battuta a macchia d'olio.
Si cacciò una mano in tasca, nervoso, e strattonò fuori dalle pieghe dei suoi calzoni un pacchetto di sigarette martoriato e mezzo accartocciato su se stesso. Era veramente pietoso, pensò, non del tutto certo di starsi riferendo al mucchietto di carta e tabacco che stringeva possessivamente tra le dita.
Le labbra gli si curvarono in una smorfia di disgusto. Non aveva voglia di fumare.
In realtà, non aveva voglia di fare niente.
Solo di restarsene lì fuori col sedere sulla terra umidiccia, mentre aspettava che i due derelitti che aveva trascinato fin lì iniziassero a dar segno di riprendersi o si decidessero a morire, una volta per tutte.
Si appoggiò una mano in fronte, affondando le dita nei capelli lunghi per scostarseli appena dal viso, e sbuffò, digrignando i denti. Era successo tutto così velocemente che, in quel momento, mentre cercava di fare mente locale, le immagini gli si accavallavano nel cervello ed emergevano, prepotenti, con particolari sempre nuovi, sempre diversi, mentre tutto nella sua testa si tingeva di rosso sangue.
Alzò il mento e appoggiò la nuca contro il muricciolo, scivolando in avanti col sedere fino a che non riuscì a puntellarsi sui calcagni.
Più di tutto, ricordava distintamente la paura e la rabbia, la sensazione di impotenza e quel prurito nelle dita che ancora le faceva fremere dal desiderio di sbattere le nocche arrossate sul suo zigomo, di restare immobile a guardare la follia e la rabbia che si mescolavano nei suoi occhi e di colpirlo, ancora, fino a rimettergli il sale in zucca.
Perché non era bravo con le parole, non lo era mai stato, e sapeva per esperienza che, comunque, le parole servivano fino ad un certo punto, quando si trattava di avere a che fare con lui.
Sanzo era bravo a fare discorsetti, il suo era un talento naturale, così radicato in profondità nella sua anima che le parole gli scivolavano via quasi senza talvolta passare nemmeno dal suo orecchio, se non c'era altro ad accompagnarle che riuscisse ad appiccicargliele addosso con la forza del calcio o dello schiaffo.
Era una contraddizione vivente, lui, con quella sua anima inavvicinabile e quel corpo troppo sensibile al mondo esterno, al sangue, alla lentezza esasperante dei polpastrelli e delle labbra che gli scivolavano sulla pelle.
Ributtò la testa sulle ginocchia, mentre la notte umidiccia gli si incollava alla pelle per restargli addosso anche quando la luce abbagliante del sole ne avrebbe spazzato via il torpore dall'aria e avrebbe guidato le nuvole cieche della tempesta che ancora si attardavano nel buio a veleggiare lontano, leggere, e a rischiarare il cielo che sembrava infetto.
Si strinse la giacca sulle spalle, richiudendosi in sé stesso, le palpebre abbassate.
Forse avrebbe dovuto colpirlo per davvero.
Forse avrebbe dovuto lasciare Hakkai e Goku da parte e gettarsi su di lui con tutta la rabbia che gli ostruiva il petto per picchiarlo con quanta forza aveva in corpo fino a costringerlo a ricominciare ad usare il cervello come aveva sempre fatto; forse, in quel caso, lui sarebbe rimasto.
Forse, schiacciato contro la terra umida dal suo peso, avrebbe capito che il suo posto non era con quei due buffoni comparsi da chissà dove, ma lì con loro. Con lui.
Si grattò dietro la nuca con un gesto nervoso, mentre cercava di non ridacchiare come un idiota.
Bingo. Lo sapeva benissimo da solo che era quello a non avergli lasciato tregua, annidandosi nel fondo del suo cervello dall'esatto momento in cui gli era stato chiaro che non lo avrebbe seguito e che, invece, se ne sarebbe andato via, lasciandolo indietro.
Solo sperava di non essere così patetico da arrivare addirittura al punto di dirlo ad alta voce, anche se solo nei suoi pensieri. Perché era stato chiaro fin dal principio che quella cosa non sarebbe mai dovuta diventare altro, anche se entrambi sapevano benissimo che, quando avevano posto idealmente quei paletti, dopo essersi avventati quasi con rabbia l'uno sull'altro ed aver consumato tutta la forza, la voce e il fiato che avevano in corpo, i limiti erano già stati abbondantemente superati e non c'erano più ancore a riva in grado di riportarli indietro.
Inspirò e l'odore della pioggia gli si infilò nel naso come una stilettata. Faceva schifo. Faceva tutto veramente schifo. Si infilò a tentoni una mano in tasca, come prima, e sfilò un accendino che si fece oscillare sotto gli occhi, come se non lo avesse mai visto in vita sua.
E, mentalmente, si diede ancora dell'idiota.
«Gojyo.»
Voltò la testa e raddrizzò la schiena, colto alla sprovvista e non si rilassò nemmeno quando vide che ad accoglierlo erano gli occhi gentili e il sorriso compassionevole di Hakkai. Rimase immobile e sbatté le palpebre fino a che l'altro uomo non gli fu abbastanza vicino da riuscire perfino a sentirne l'odore, mischiato a quello del disinfettante e delle bende.
«Hakkai,» boccheggiò e rimase a guardargli una guancia mentre il demone sollevava gli occhi al cielo. «Dovresti,» iniziò, abbassando nuovamente la testa. «Dovresti riposarti ancora un po', hai preso una bella batosta.»
«Credo di aver riposato abbastanza, non preoccuparti.» Gojyo si irrigidì di nuovo: conosceva quel tono – pacato, razionale, quello che usava per chiudere le discussioni senza importanza – e sospirò, in attesa di quello che sarebbe arrivato.
«Quando mi sono svegliato non ho trovato Sanzo.» Una pausa e si sentì come se i suoi occhi verdi gli si fossero appoggiati direttamente sulla nuca. «Dov'è, Gojyo?»
«Non ne ho la più pallida idea.» Si stupì da solo del tono neutro che aveva assunto la sua voce. «Non lo so,» ripeté, come ad accertarsi di aver sentito male la prima volta. Non aveva sbagliato, eppure era strano come quelle parole gli uscissero così naturali dalle labbra quando dentro il solo pensarle gli faceva bruciare le tempie.
Hakkai annuì e si strinse nelle braccia quando un venticello frizzante si sollevò, quasi ad annunciare la nascita del sole. «Capisco. È andato via con loro?»
«Credo di sì. Non mi sono fermato a chiedergli i suoi programmi per il week-end, avevo altro da fare.»
Un sospiro. «Immagino che sia così,» disse, semplicemente. «Ho dato un'occhiata a Goku,» aggiunse poi, a voce più alta, «e le sue condizioni non mi paiono critiche, anche se ritengo che avrà bisogno di almeno un altro paio di giorni, o forse tre, per riprendersi del tutto.»
Gojyo fece roteare l'accendino tra le dita e si strinse nelle spalle, con non curanza. «Be', ok. Tanto non dobbiamo andare da nessuna parte.»
La brezza gli accarezzò i capelli e lui sollevò il mento, lasciando che lo sguardo vagasse verso l'orizzonte e le cime dei monti ancora coperte di neve e nuvole. Sembrava pacifico, il paesaggio, abbarbicato sotto un cielo che iniziava a tingersi di celeste e rosa pallido fin dove i raggi tiepidi riuscivano a stendersi e dissipare le ombre.
«Non hai come la sensazione che tutto assuma una prospettiva diversa, alla luce del sole?»
Spostò un secondo gli occhi su di lui e tornò a guardare la cima delle montagne in lontananza, come se non potesse farne a meno. Le nuvole che riempivano il cielo sembravano meno minacciose, ora che riusciva a distinguerne i contorni. «Forse.»
«In realtà non me n'ero mai accorto nemmeno io. Forse perché viaggiando sempre lungo la sua scia ne siamo sempre a contatto, tanto da non riuscire ad immaginare un mondo che non sia immerso nella sua luce, non sei d'accordo?»
«Mh.» Le parole riecheggiavano familiari nella sua testa e lui sbuffò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Bene!» esclamò Hakkai, battendo le mani l'una contro l'altra. «Direi che abbiamo deciso.»
Gojyo sbatté le palpebre e lo guardò con la bocca socchiusa. «Cosa abbiamo deciso?»
«Che quando Goku si sarà ripreso ci metteremo in marcia.»
«E verso dove?»
Hakkai si prese il mento tra le dita, riflettendo. «Visto che non abbiamo nessuna pressione, direi che possiamo andare verso il sole, a questo punto.»
Gojyo si alzò, a fatica e si scostò i capelli dal viso mentre cercava di schiarirsi le idee. «Quindi torniamo indietro?»
«In realtà è un concetto relativo. Dipende tutto da dove tu creda che sorga il sole, non è così?»
E Gojyo rimase a guardarlo con gli occhi spalancati, mentre il suo cuore mancava un battito e nella sua testa si formava l'idea che, forse, quel pugno che fremeva ancora sulle sue dita era proprio il caso di consegnarlo.


  
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