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Autore: _Sihaya    27/02/2010    6 recensioni
"L’espressione nei suoi occhi era simile al disappunto di chi, con orecchio esperto, individua una nota stonata nell’esibizione di un’orchestra.
Perché lì, a porgerle la chiave inglese, doveva esserci Edward, non Alphonse."

Una one-shot collocata alcuni anni dopo la fine della prima serie animata di Fullmetal Alchemist. Alphonse ha terminato l’apprendistato e ha recuperato la memoria; da qualche mese è tornato a Resembool e vive con Winry e zia Pinako…
ATTENZIONE: Death-fic.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è una breve one-shot collocata alcuni anni dopo la fine della prima serie animata di Fullmetal Alchemist. Non tiene conto del manga, né della serie Brotherhood, né del film Il conquistatore di Shamballa. Alphonse ha terminato l’apprendistato e ha recuperato la memoria. Da qualche mese è tornato a Resembool e vive con Winry e zia Pinako…

 

Prima di lasciarvi alla lettura vi ricordo che il genere è drammatico/angst e si tratta di una death-fic, quindi c’è qualcuno che muore.

 

Per il resto… boh… forse avrei dovuto mettere OOC, non so ditemi voi…

 

* * *

 

Veleno

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Di tutti i veleni, l’anima è il più forte.

Novalis

 

* * *

 

A volte capitava che Alphonse s’incantasse osservando Winry collaudare Automail.

Era come tornare indietro nel tempo a quando giocavano spensierati, quando con loro c’era ancora Ed, quando s’arrabbiava se gli dicevano che era basso o impallidiva perché Winry lo stava rimproverando.

 

Era come tornare ad essere felici.

 

All’improvviso Winry, senza voltarsi, tese la mano dietro la schiena e fece un cenno impaziente per intimargli di muoversi: « Passami la chiave inglese, Ed. »

 

Non si accorse dell’errore.

 

Ma quando si voltò verso di lui sussultò lievemente.

 

L’espressione nei suoi occhi era simile al disappunto di chi, con orecchio esperto, individua una nota stonata nell’esibizione di un’orchestra.

 

Perché lì, a porgerle la chiave inglese, doveva esserci Edward, non Alphonse.

 

« Sei bianco come un cencio, » disse Winry, « che hai? »

 

Alphonse sentì un nodo stringersi in gola. Non fu capace di rispondere.

 

Meccanicamente, le allungò la chiave inglese.

 

*

 

« La cena è pronta da un pezzo! » esclamò Winry entrando di sorpresa nella stanza di Alphonse.

 

Il ragazzo sobbalzò voltandosi di scatto, immaginando d’incrociare il suo sguardo focoso e di dover sostenere la classica sfuriata, ma gli occhi di Winry guardavano oltre, sondavano la stanza dietro di lui come attraverso un vetro trasparente.

Non era ancora riuscita a rassegnarsi a quello spettacolo, né intendeva provarci.

Ogni volta che varcava la soglia, era come se la camera le vomitasse addosso miriadi di dolorosi ricordi. Dalla morte di Edward, l’arredamento era rimasto quasi immutato. Le sembrava di poter sentire la sua voce ed il suo profumo sollevarsi dai volumi della libreria e dalle coperte dei letti, come nugoli di polvere da un vecchio ritratto.

 

Alphonse passava ore chiuso lì dentro, in solitudine, a fissare fuori dalla finestra con sguardo perso nel passato. Farsi chiamare più volte per scendere a cena era diventata un’abitudine.

Winry saliva ogni sera ad urlargli, attraverso la porta, quanto fosse ingrato a disprezzare il cibo che sua zia preparava per lui. Poi, quando Alphonse appariva sulla soglia con gli occhi arrossati e quell’espressione di dolore che non si era mai allontanata dal suo volto, si ammansiva, e infilando un braccio attorno al suo, l’accompagnava al piano terra.

 

Quella volta, però, Winry aveva trovato la porta socchiusa ed era entrata nella stanza, sorprendendo Alphonse seduto alla scrivania, davanti ad un grosso libro di alchimia aperto ed un mucchio di fogli pasticciati d’inchiostro; vecchie carte con l’inconfondibile calligrafia di Edward.

 

Oltre all’angoscia dei ricordi, un terribile presagio le strinse lo stomaco.

 

Smise di lamentarsi della cena che andava raffreddandosi e si avvicinò al tavolo cercando di sbirciare fra i fogli; lo fece in modo scherzoso, provocatorio, infantile.

 

« Che stai facendo? » domandò. Il tono di voce tradì tutta la sua preoccupazione.

 

Alphonse colse inconsciamente quel disagio e vide in lei una minaccia; svelto, raccolse tutti i fogli e li nascose fra le pagine ingiallite del pesante volume, che chiuse ponendovi sopra il braccio destro.

 

Senza rendersene conto, aveva assunto un’espressione di sfida che a lei non piacque affatto.

 

Offesa, con incedere felino, lo ingannò. Si spostò sulla sinistra ed allungò una mano, lui si alzò in piedi spostando il libro dietro la schiena. Lei di sorpresa ritirò la mano e scivolò dalla parte opposta, spintonandolo. Alphonse s’aggrappò alla scrivania e lei allungò la mano di nuovo, questa volta afferrando con successo un lembo di carta e sfilando un foglio che sporgeva in parte dal libro.

 

Appena lo guardò, il suo viso perse ogni colore.

 

Era colmo di formule scritte e riscritte, cancellate, barrate, rivedute e corrette.

 

Erano formule alchemiche.

 

Lei non sapeva nulla d’alchimia, ma l’istinto la fece rabbrividire. Si portò una mano a coprire naso e bocca, per evitare di respirare quell’odore di stantio e menzogna che all’improvviso sembrava aver invaso la stanza.

 

« Che cosa stai facendo? » mormorò spaventata.

 

« Niente. »

 

« Non mentirmi, non sono stupida. Questa è la calligrafia di Ed e queste sono… » un nodo alla gola spezzò la frase. « …Cos’hai in mente, Al? »

 

« So quello che faccio Winry, » fu la risposta.

 

Fredda, elusiva.

 

Inutile.

 

Lei aveva già capito: « No che non lo sai! »

 

E lui aveva letto nei suoi occhi quella consapevolezza, quella paura, nel momento stesso in cui aveva spalancato la porta della stanza.

 

« Ti sbagli. Ho la soluzione, Winry, posso farlo. Torneremo ad essere felici, noi tre, insieme. »

 

Era certo d’essere nel giusto eppure la sua voce tremava insicura, come in una supplica vigliacca. Ma faceva così male vedere il disgusto che le curvava gli angoli delle labbra socchiuse, le rughe sulla sua fronte aggrottata, gli occhi azzurri velati da una pietà tanto simile alla presunzione.

 

« Al, io capisco quello che provi, ma… »

 

« No. Tu non puoi capire! » la rabbia e la frustrazione gli bruciavano la gola come liquido bollente, « non puoi sapere cosa significa perdere un fratello, non puoi sapere cosa significa vivere nel senso di colpa… perché… perché lui ha fatto tutto questo per me mentre io non sono stato capace di fare nulla per lui! »

 

Lei sentì il petto dolere forte e, spaventata, si portò una mano al cuore in pezzi da lungo tempo, come se esso potesse ridursi in frammenti ancora più piccoli.

 

« Può darsi… » mormorò impotente, con le lacrime che scottavano agli angoli degli occhi, « ma so cosa significa perdere un amico… So cosa significa perdere… dannazione Al, io l’amavo! »

 

« Se è per questo, anche io l’amavo! E non lo dimenticherò così facilmente come avete fatto voi! »

 

Lei scosse vigorosamente la testa. « Io non ho mai dimenticato Ed, e non lo dimenticherò mai! »

 

« E allora perché cerchi di fermarmi? Io posso ridarti la felicità. Quello che voglio fare - »

 

« È sbagliato, Al! » l’interruppe.

 

Alphonse non le diede ascolto: « Non questa volta. Mio fratello aveva commesso un errore, io ho corretto le formule... »

 

Winry continuava a scuotere la testa, ritmicamente, per non cedere alla rassegnazione e alla sconfitta: « L’unico errore che ha commesso Ed è quello d’aver creduto d’essere onnipotente e quest’errore l’avete pagato entrambi! Non ti è bastato?! »

 

« Se Ed fosse qui, farebbe la stessa cosa per me, e direbbe che tu lo stai soltanto ostacolando! »

 

« Ed non c’è più, capisci? Non c’è più! » supplicò lei nell’ultimo tentativo di fargli capire quanto il suo comportamento rasentasse la follia, « io sto solo cercando di ricominciare e dovresti farlo anche tu! »

 

« Non posso. Devo pagare il mio debito. »

 

Winry andò su tutte le furie: « Questa è solo una scusa! » urlò, « la realtà è che sei uguale a loro! Sei come tuo padre e come Ed, schiavi del desiderio di sapere e accecati dall’onnipotenza! Siete sangue dello stesso sangue, ma in realtà è veleno quello che avete in corpo! Veleno! » Gridò correndo fuori dalla stanza e sbattendo furiosamente la porta, affinché lui non avesse il tempo nemmeno di sospettare che stava per scoppiare in lacrime.

 

*

 

C’era la luna piena, quella notte. Una delle classiche notti estive, calde e silenziose.

Winry si era addormentata con difficoltà, rigirandosi più volte nel letto. Le lenzuola giacevano accartocciate in fondo ai suoi piedi e lei dormiva di schiena, con braccia e gambe allargate sul materasso, quasi volesse accogliere in un abbraccio ogni singolo soffio di vento proveniente dalla finestra aperta. Le palpebre serrate ed il respiro regolare custodivano il suo sonno senza sogni, conquistato con fatica.

Fu una serie di lampi e stridii assordanti a svegliarla nel cuore della notte. Provenivano dal piano terra, dalla rimessa degli Automail.

Spalancò gli occhi, ancora assonnata, in bilico fra il sonno e la veglia. Poco dopo un violento frastuono la fece balzare a sedere sul letto.

Poi un grido straziante le fece schizzare il cuore in gola.

 

Non cercò di indovinarne l’origine. Inconsciamente, l’aveva riconosciuta.

 

S’alzò in piedi e si precipitò a rotta di collo giù per le scale, chiedendosi se c’erano state altre grida prima del suo risveglio.

 

Conosceva già anche questa risposta.

 

Mise piede al piano terra e la prima cosa che incontrò fu un lezzo nauseante, seguito dal sapore amaro di lacrime che avevano iniziato a scorrere ben prima che gli occhi potessero vedere, come se sapessero ciò che lei non era in grado di accettare.

 

Vide il volto pallido di Pinako...

 

E poi l’orrore.

 

C’era sangue ovunque, sulle pareti, sul pavimento, ai vetri delle finestre. Il suo odore intossicava l’aria.

 

I soccorsi erano già lì, chiamati – forse - da zia Pinako; un uomo robusto la trattenne afferrandola alla vita, ponendosi come ostacolo fra lei e quello scempio.

 

Winry iniziò a dimenarsi e a gridare disperata, tradita, abbandonata.

 

Le braccia possenti la trascinarono lontano per impedirle di vedere il corpo mutilato di Al che giaceva al centro della stanza, ma lei riuscì ugualmente a scorgerne il viso.

 

Gli occhi sbarrati erano immobili e privi di vita; i capelli sporchi e fradici.

 

Le labbra insanguinate erano rigide e senza voce…

 

Eppure, nel silenzio, parlavano.

 

 

Se è vero quello che hai detto, Winry, se è vero che nel nostro sangue scorre veleno…

 

Di cosa ti sorprendi?

 

È naturale che conduca alla morte.

 

 

 

Fine

 

* * *

 

N. d. A.

Ho fatto una fatica tremenda a scrivere questa fic perché sia il genere che lo stile non mi appartengono. Inizialmente volevo dividerla in più capitoli, ma ho finito per limarla così tanto da ridurla all’essenziale.

Mi è sembrato il modo più efficace per trasmettere la sensazione che volevo. Quella sensazione di vuoto ed incompletezza che si prova di fronte ad eventi che non possiamo controllare, e che travolgendoci, si portano via un pezzo della nostra anima.

 

   
 
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