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Autore: Akrois    02/03/2010    0 recensioni
01. [Trincea][Un Nibbio] [Prussia;N.Italia]
02. [Calore][Una Gabbia][Oc!Siberia;Oc!Alaska]
03. [Riflesso][Per un milione d'anni -amata- maledetta][Oc!Terni;Oc!Perugia]
04. [Cravatta][Mrs. Bitch][Genderbender!Francia;Genderbender!Spagna]
05. [Mura][Secchi di sassi][Lituania;Polonia;Russia;Oc!Siberia]
Sai quante lingue parlano queste mura?- domandò. Lituania scosse la testa e Siberia lo guardò – Ne parlano più di cinquanta.
- Davvero?
- Già.- Siberia si voltò, dandogli la schiena – Riescono ad urlare anche in lituano, a quanto pare.
Lituania abbassò il capo, osservandosi le scarpe. – Non smetteranno di gridare in lituano finché non smetteranno di farlo anche in polacco.
- Allora grideranno per molto tempo.-
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Autore: Akrois
- Titolo: Girotondo ~
- Titolo del Capitolo:Per un milione d’anni amata maledetta.

- Personaggi:  Oc!Perugia (Augusta Baglioni), Oc!Terni (Tiro Valentini)

- Genere: Storico (?), romantico (?)
- Rating: Arancione.
- Avvertimenti: One-short, AU,

- Conteggio parole:
- Note:  Perugia. Ah, amore mio! *Perugia schiva l’abbraccio e la fissa un po’ schifata*. Si, okay.

Bene, altra storia ambientata nella seconda guerra mondiale. Terni fu bombardata dagli alleati in maniera consistente (108 bombardamenti) che la rasero quasi al suolo. Perugia, dal canto suo, subì la maggior parte dei suoi bombardamenti nel contado e nelle zone del comune, mentre il Centro Storico fu lasciato quasi intatto. Nota bene qui si parla di Bombe al fosforo bianco. Erano bombe incendiarie che in genere erano sganciate dagli aerei (ma va là?).

Teranma era uno degli antichi nomi di Terni, Aperusia lo era per Perugia. Augusta è derivato dal nome “Augusta Perusia”, affidato alla città dall’imperatore Augusto, mentre Tiro è derivato da Thyrus, il drago sullo stemma di Terni. Secondo alcuni dati la nascita di Terni come città risale circa al 627 a.C, mentre Perugia era formata come città nel 400 a.C. Di conseguenza Perugia tratta Terni come un “fratellino” per la prima parte della loro vita.

Tuva è una parola etrusca e significa “Fratello”.

Il Chiton è una veste greca (la classica, i due rettangoli di stoffa appuntati sulle spalle e legati in vita) molto usata dalle etrusche. La càstula era un corpetto.

Che il re e la regina ti scelgano come genero, che le fanciulle ti rapiscano, che tutto quel che calpesta diventi una rosa” le fonti la citano come ninna-nanna etrusca.

 

E la etero è andata!*-*

 

 

 

Prompt: Riflesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per un milione d’anni amata maledetta.

 

 

 

 

 

Il sibilo delle bombe che cadevano andava mescolandosi col rombo dei motori degli aerei, il fragore delle macerie che cadevano e le urla della gente. Tiro gridò coprendosi le orecchie mentre correva forsennatamente per le strade, cercando di non inciampare in un calcinaccio o (peggio) in qualche cavo scoperto.

Una donna gridava, da qualche parte. Per risposta, Tiro urlò più forte, continuando a correre con i palmi premuti sulle orecchie e le lacrime che scorrevano sul viso.

L’unica cosa che lo costrinse a fermarsi fu l’improvvisa comparsa di un uomo in mezzo alla polvere. Tiro si fermò boccheggiando, fissando con occhi sgranati la torcia umana che gli si agitava davanti, osservando l’uomo correre agitando le braccia in tondo per qualche secondo e poi accasciarsi a terra tra i rantoli. Tiro rimase immobile a guardare le fiamme vermiglie che consumavano la carne, prima di aprire la bocca e lasciarsi andare a un forte urlo. Riprese a correre, cercando di scappare da quell’inferno di fiamme e polvere bianca.

Si nascose dietro ad una lastra di cemento, sedendosi tremante fra i calcinacci. Togliendosi le mani dal volto notò che i dorsi erano coperti da grosse bruciature corredate da vesciche giallastre. Storse il naso, allontanando di scatto la testa dalle mani quando sentì l’odore delle ferite.

Controllò le braccia, strappando il tessuto leggero della camicia nera. Sull’avambraccio destro si allargava un’altra bruciatura maleodorante, che scavava nella pelle ormai morta e nerastra fino a mostrare il luccichio dell’osso bianco. Osservò a lungo la ferita, senza trattenersi dal piangere disperato.

Morirò” pensò passandosi le mani tra le ciocche bruciacchiate dei capelli “morirò qua solo come un cane!”, inarcò la schiena all’indietro, battendo più volte la nuca contro il muro, mentre urlava in preda alla rabbia e al dolore. Un’altra bomba cadde fischiando dietro di lui, rilasciando nell’aria la polvere bianca che andava rimbalzando sulla strada. Tiro seguì con lo sguardo un’altra carica di calcinacci che volavano qua e là, cominciando a tremare violentemente.

Era sicuro di morire. Quel giorno per lui rappresentava l’anticamera dell’inferno e quello era solo un’affettuosa anteprima delle pene che avrebbe sofferto in mezzo alla lava bollente che gli Alleati gli regalavano. Avrebbe dovuto ringraziarli. “Domani chiederò alla mia segretaria di segnarmelo” pensò stringendosi le ginocchia al petto “se ci arrivo, a domani” un sorrisino sghembo comparve sul suo volto “e se ci arriva anche lei.”

Terni non poteva far altro che guardare i frutti del suo lavoro andare in frantumi. In un istante i sacrifici di una vita erano andati perduti e lui si ritrovava solo con dei calcinacci. E anche delle ustioni.

Avvertì il bruciore di un’altra ferita che ci apriva lungo una gamba “Cos’altro hanno fatto saltare? Un altoforno?Una fabbrica? Un condominio? Il duomo?” si lasciò sfuggire un risolino acuto mentre strappava la stoffa dei calzoni, cercando di limitare i danni.

Le mani sembravano non voler seguire le direttive del cervello e impedirgli così di pulire la ferita. Terni strinse i denti e si obbligò a tenere le mani ferme, pulendo alla meno peggio lo squarcio rossastro.

Si ritrovò a ridacchiare da solo intervallando le risatine stridule con le frasi – Augusta, dove sei, dannata baldracca?- balbettò, lamentandosi per il dolore alla gamba procurato dall’eccessiva energia con cui stava strofinando la ferita – Dove sei stronza? Ho bisogno di te, maledetta. - ridacchiò di nuovo, disgustato dalla propria vocina acuta e dalle mani tremolanti – Non lo vedi? Ho davvero bisogno di te, stronza!

 

 

 

- Teranma?- sentiva la sua voce vicina, un sussurro lieve e caldo che sfiorava le sue guancie –Teranma, svegliati, è l’alba.

Aprì lentamente gli occhi, ritrovandosi a doverli subito chiudere per la luce abbagliante. La donna rise.

- Teranma, forza, è mattina- disse la donna, scuotendolo con un tintinnio di metallo – forza, tuva, è mattina e dobbiamo andare da Roma. Lo sai che quel bel fusto odia che lo facciamo aspettare, no?

La donna rise di nuovo. Aveva una bella risata, alta e cristallina, che scivolava nell’aria come un rivolo dorato. Socchiuse nuovamente gli occhi, trovandosi davanti al viso abbronzato della donna -Aperusia...?- sussurrò debolmente, sfiorando con una mano uno dei riccioli biondi che cadevano sul suo viso – Sorella, ho fatto un brutto sogno- disse strofinandosi gli occhi – ho sognato che stavo soffrendo da morire e che ero solo. Non c’era nessuno, neanche te.

Lei corrugò le sopracciglia scure – Che sogno orribile, tuva. – si chinò, baciandolo sulla fronte e lasciando un segno rosso a forma di labbra sulla sua pelle – Ops, ti ho sporcato- disse poi ridacchiando – scusami, tuva.

Lui sorrise, sedendosi e pulendosi con una mano – Non è nulla, sorella.- disse – Dov’è la mia tunica?

- Appesa fuori, tuva. Tra poco gli schiavi la porteranno di qua- disse lei – come sto?- fece un giro su se stessa, lasciando volteggiare il chitom azzurro stretto con vita dalla càstula blu.

- Sei bellissima- assicurò lui, deliziato sia dalla vestitura sia dall’abbondante parte di pelle che restava scoperta. Uno schiavo entrò silenziosamente nella stanza, porgendo alla donna la tunica verde. Lei prese l’abito fra le mani e lo fece allontanare con un tintinnio di bracciali.

- Forza, sbrigati tuva, faremo tardi, tardi, tardi!- esclamò tirandogli la tunica e ridendo di nuovo. Lui annuì, scivolando via dal letto, trovandosi lo sguardo della donna fisso sul suo corpo – Complimenti, sei proprio cresciuto bene ultimamente, eh tuva?

Imbarazzato, il ragazzo si coprì con le mani – Ma dove guardi, sorella?

Lei rise di nuovo (lo stava prendendo in giro, ma era impossibile irritarsi per una risata così bella) e gli si avvicinò, sfiorandolo con le mani sulle spalle, sovrastandolo in altezza.

- Tuva, mi viene il dubbio che qualche fanciulla possa volerti rapire– disse sorridendo sardonica, mentre il ragazzo inalava il forte profumo di fiori della donna –In tal caso sarei costretta a rapirti io e farti mio per l’eternità, non credi?- aggiunse allargando il sorriso.

Lui tremò da capo a piedi, stringendo le braccia attorno alla vita della donna – Fallo.- sussurrò poggiandosi a lei – Fallo. Portami via, sorella, portami via.

Stringeva le dita sulla stoffa e alzando lo guardo cercò gli occhi verdi di sua sorella. Cercò il suo riflesso, in quegli occhi, ma non lo trovò.

Non c’era il suo viso riflesso in quegli amati occhi e non ci sarebbe mai stato. Lei si staccò lentamente da lui, allontanandosi di un paio di passi. Lui cercò di dire qualcosa, ma lei sorrise – Manderò gli schiavi ad aiutarti per vestirti e pettinarti, va bene tuva?- disse arretrando – Ti aspetto. Fai in fretta, che il fustacchione ci aspetta!

La sua allegria suonava forzata e al ragazzo non restò altro che guardarla mentre spariva fuori della stanza. Scivolò a terra, stringendosi al petto la tunica. – Stronza- mormorò debolmente nella stoffa – lo sai che ti amo, maledetta- una lacrima rigò il viso – e tanto continui a trattarmi come un bambino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Terni!- gridò una voce nell’oscurità – Terni, dannato cretino, apri gli occhi!

Tiro aprì piano le palpebre, trovandosi davanti ad un viso abbronzato di donna. L’unico occhio verde lo fissava preoccupato, mentre la solita brutta benda di pelle copriva l’altro. I capelli castani cadevano sulla fronte, finalmente dello stesso colore delle sopracciglia. Terni sorrise leggermente.

- Sorella- sussurrò alzando le mani verso il suo viso – ho fatto un bel sogno. Ho sognato che ero felice da morire e c’eri tu. Poi però mi hai spezzato il cuore.

Perugia lo guardò un po’ storto – Che cosa stai vaneggiando, cretino? Guarda come sei ridotto… Dio santo, puzzi d’aglio marcio!- Perugia prese una delle sue mani, esaminando le bruciature – Oh, Signore, cosa ti hanno fatto.

Terni sorrideva ancora. Un lieve rossore gli dipinse le guancie – Non ho idea di quanti anni ho passato a maledirti, sorella.- Perugia borbottava, estraendo da una valigetta delle strisce bianche e bagnandole con dell’acqua –Tu non mi amavi. Non mi hai mai amato- la guardò mentre lo fasciava, borbottando ancora ingiurie contro vari santi che di sicuro si stavano agitando sui loro scranni – i tuoi occhi non mi hanno mai riflesso, sorella.

Perugia alzò lo sguardo. I suoi occhi, anzi, l’occhio non rifletteva niente e nessuno, rifletteva solo il ferro e l’acciaio.  Tiro sospirò.

- Ti ho detto mille volte che ti amo, ma tu forse non lo ricordi neanche. – si lasciò scivolare con la schiena contro la lastra di cemento (che aveva retto eroicamente durante la notte) – Però le mie maledizioni te le ricordi, te le ricordi di sicuro tutte.

Augusta lo guardò mentre scivolava nel sonno. Finì di fasciarlo, canticchiando fra se e sé - Che il re e la regina ti scelgano come genero,- sussurrava carezzandone i capelli - che le fanciulle ti  rapiscano, che tutto quel che calpesti diventi una rosa- lo baciò sulla fronte, non badando alla sporcizia che si era accumulata sul suo viso.

- Certo che ricordo, tuva.- , Augusta non amava Tiro, ma poteva capirlo. Aveva passato così tanti anni al fianco di Roma da riuscire a capire come ci si sente quando gli occhi della persona che ami non riflettono te.

 

 

 

 

 

   
 
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