Capitolo II
Ore 16.00 –
Carcere di San Francisco
Duecentonovantasette…
Duecentonovantotto…
Duecentonovantanove…
Trecento.
William Challagher si tirò in piedi e stiracchiò il collo, fissando
le sbarre di metallo che lo separavano dal corridoio, l’altra cella vicino alla
sua ben visibile nella penombra. Il detenuto di fronte a lui, la barba incolta
e il buco di un dente mancante, lo guardava fare le sue flessioni giornaliere
per nulla impressionato. Fece una smorfia e poi disse, la voce gracchiante:
<< Scommetto che riesci ad arrivare anche a quattrocento, vero? >>.
<< Ne faccio
quante ne vuoi >> ribatté William, voltandosi di spalle e afferrando
l’asciugamano appoggiato sulla sedia sgangherata a poca distanza da lui. Il
piccolissimo scrittoio nell’angolo della cella era illuminato dalla poca luce
che filtrava dalla finestrella chiusa dalle inferriate, vicino alla porta
scrostata del minuscolo bagno che gli era toccato.
<< Lascia perdere il principino, Fred >> disse una voce
che proveniva da uno dei due letti a castello della cella davanti a quella di
William, << Lo sai che odia essere importunato quando si allena…
>>.
William ignorò il
commento dell’uomo che faceva di nome John e fissò il riflesso dello specchio
appeso nel bagno, sopra il lavandino di ultima scelta che gocciolava ormai da
due anni senza alcuna tregua.
Tutto
sommato,
era cambiato poco. Due anni di carcere duro non erano riusciti a piegare il suo
fisico, tantomeno la sua anima. La sua bella faccia dai gelidi occhi verdi,
conosciuta in tutta Los Angeles, era sempre la stessa, tranne
per un piccolo particolare: una cicatrice bianchiccia che tagliava il
suo sopracciglio destro in due, rimasta a ricordargli quel giorno
sull’autostrada, quando tutto era stato distrutto esattamente come la sua Zonda… Indelebile segno della sconfitta, di tutto ciò che
possedeva…
Aveva dovuto
rinunciare a molto, per riuscire a sopravvivere la dentro. Se prima era abituato
a una vita di agi, di lussi, di feste e donne, ora non aveva altro che un
cigolante letto a castello, un plico di fogli e una penna per scrivere se ne
aveva voglia, e un minuscolo televisore che prendeva un solo canale. E un’ora
d’aria ogni giorno. Non era concesso nient’altro a William Challagher,
lo Scorpione, uno dei criminali più pericolosi di Los Angeles, condannato
all’ergastolo per tanti di quei crimini di cui aveva perso il conto.
Chiunque al suo
posto, di fronte al pensiero di dover rimanere chiuso tra quelle quattro mura
per il resto dei suoi giorni, si sarebbe lasciato andare, avrebbe abbandonato
la speranza, il piacere di sentirsi almeno un po’ normale, di poter dare ancora
un senso alla sua vita. Lui no, non si era permesso una caduta di stile come quella.
Aveva continuato a
curarsi, a farsi regolarmente la barba, a fare tutti i giorni e a tutte le ore ginnastica con i pochi strumenti che gli erano
concessi, per rimanere esattamente com’era stato fuori da lì. Lo Scorpione non
si sarebbe lasciato piegare dalle sbarre e da una cella chiusa e oscura.
Si passò una mano
sul mento, la pelle ancora liscia, e gettò un rapido sguardo alla W tatuata in
nero sul collo. Infilò la maglia e si passò le dita
tra i capelli: quelli avevano bisogno di una tagliata. Ci avrebbe pensato più
tardi, quando sarebbe tornato dall’ora d’aria che gli era stata accordata.
Raggiunse il letto
a castello e si sdraiò su quello di sopra, il soffitto freddo non troppo
distante da lui, un leggero velo di umidità che bagnava l’intonaco. Si sistemò
meglio il cuscino dietro il collo e guardò quello che con pezzo di scotch aveva
appeso al muro, e che rappresentavano quasi una finestra sul mondo.
Alcuni erano
articoli di giornale, ritagliati pochi giorni dopo la sua cattura, quando
ancora poteva ricevere i quotidiani in cella. Uno riportava addirittura una
foto in bianco e nero della sua Pagani Zonda
distrutta, ferma in mezzo all’autostrada; mentre su un altro c’era l’elenco di
tutti i piloti clandestini che erano stati arrestati nella retata di Los
Angeles dalla quale lui era riuscito a fuggire. E poi ancora la cattura di suo
padre, George Challagher, ora sepolto nel cimitero di
San Francisco, dopo essersi sentito male tra le sbarre… Sopra a tutti quei
ritagli di giornale, come a godere di una posizione
privilegiata, c’era una foto a colori, una delle pochissime a cui tenesse, in
quel momento.
Era l’immagine di
una bella ragazza, dai lunghi capelli castani e smossi dal vento, le gambe
snelle fasciate da un paio di jeans scuri, gli occhi rivolti alla sua destra. Dietro di lei, un’auto italiana, una Fiat Grande Punto bianca,
l’aerografia di una fenice sulla fiancata.
Fece una smorfia e
mise le braccia dietro il collo. Non gli serviva una foto per ricordare com’era fatta Irina, Fenice, la ragazza di cui si era innamorato
e che poi lo aveva mandato in prigione. Ricordava a memoria tutte le sue
espressioni, il suo odore dolce e piccante al tempo stesso, ogni lembo della
sua pelle liscia e morbida, la consistenza e il profumo dei suoi capelli scuri.
Come dimenticare il tono della sua voce, a volte provocatorio
a volte insicuro, la luce di sfida nei suoi occhi, il modo con cui beveva dal
suo bicchiere, in cui afferrava il volante della sua auto…
Ottocentotrentacinque
giorni. Dall’ultima volta in cui l’aveva vista, che aveva sentito il suo
respiro sul suo viso, che aveva ascoltato la sua voce mentre lui la implorava
di darle una scusa per non ucciderla, erano passati ottocentotrentacinque
lunghissimi giorni… Eppure sembrava ieri, sembrava
ieri che le avesse puntato alla testa quella maledetta pistola, e che avesse
esitato come uno stupido.
Lasciò vagare gli
occhi sul volto di Irina, la bocca che si storceva in una smorfia.
“Mai, mai avrei pensato che arrivassi a tanto… Mai avrei
pensato che avessi il coraggio di farmi una cosa del genere”.
Gli aveva tolto
tutto, tutto quello che si era conquistato con la forza e la determinazione.
Aveva perso la sua
città, aveva perso i suoi piloti, aveva perso la sua
reputazione. In un attimo, gli aveva strappato tutto quello che era sempre
stato suo di diritto, e che le aveva sempre offerto in cambio della sua
fedeltà, e del suo amore.
Ora riconosceva che
era stato lui stesso a firmare la sua condanna. Se non avesse lasciato Irina
diventare la numero tre della Black
List, se non l’avesse lasciata entrare nel loro giro,
forse in quel momento non si sarebbe trovato lì. Se non si fosse lasciato
intenerire da lei, forse sarebbe stato ancora libero.
Eppure non riusciva
ad attribuirle tutta la colpa: Irina aveva avuto una parte, ma anche lo sbirro
di nome Alexander Went aveva contribuito a farlo
sbattere dietro le sbarre. E poi c’era Dimitri, l’unica persona di cui si era
sempre veramente fidato, e che lo aveva tradito consegnandolo alla polizia.
Aveva sempre
considerato il russo uno “spirito affine”, uno che la
pensava allo stesso modo. Insieme a lui aveva messo su
la Black List, aveva
cominciato le sue scorribande per Los Angeles, in cerca di piloti validi da
sfidare. E poi loro due stessi si erano affrontati in
una gara senza esclusione di colpi, per guadagnarsi il primo posto della Lista.
Forse, però,
avrebbe dovuto aspettarselo: da quando Went era
arrivato da quelle parti, le discussioni riguardo al rischio di averlo tra loro
erano aumentate, senza contare la sempre dichiarata ostilità di Dimitri verso
Irina.
Per quale motivo
avesse deciso di voltargli le spalle, non lo sapeva, ma c’era una cosa di cui
era certo: il russo aveva i giorni contati, esattamente come Went.
E Irina…
Irina, ovunque
fosse stata, ovunque si fosse nascosta, l’avrebbe trovata.
Ogni giorno, da
quando lo avevano chiuso in quella lurida cella buia, aveva pensato a lei,
libera di godersi la sua vita, libera di andare dove e con chi voleva… E lui
invece era chiuso in quel buco di carcere, da solo.
<< Come hai
detto che si chiama, quella ragazza? >>.
La voce di Fred
arrivò gracchiante e fastidiosa alle sue orecchie. Gli rivolse un’occhiataccia
e ringhiò: << Irina >>.
Tornò a guardare la
foto della ragazza e rimase in silenzio. Odiava quando gli altri detenuti gli
chiedevano di lei.
Se c’era un’altra
cosa che in quei due anni non era cambiata, era quell’assurda voglia di
riaverla davanti. Tutte le sere era andato a dormire con
quel chiodo fisso, e tutte le mattine si era alzato con l’immagine di Irina
nella testa.
La odiava. La
odiava a morte per averlo tradito, per aver cospirato contro di lui, per averlo
rinchiuso lì dentro, ma la odiava soprattutto per essersi innamorata di Went.
L’aveva amata, cazzo. L’aveva amata per davvero e lei era andata con
lo sbirro dell’F.B.I. Come poteva averlo trattato
così, quando si era addirittura umiliato, per lei?
Innervosito, scese
dal letto e afferrò le sbarre della cella, fissando il pavimento. Lo voleva
morto, voleva il suo cadavere davanti agli occhi,
voleva piantargli una pallottola in testa e vederlo morire con la
consapevolezza di aver fatto il più grande sbaglio della sua vita: portargli
via tutto ciò che aveva.
<< Ehi,
principino, come mai non ti è mai venuta a trovare? >> chiese Fred,
maligno, << Avevano detto che era la tua ragazza… >>.
William alzò lo
sguardo su di lui, fulminandolo con gli occhi.
<< ‘Sta zitto… E quando ci daranno l’ora d’aria, vedi di non
farti trovare >> ringhiò.
Fred sbiancò
leggermente, e smise di guardarlo.
“Principino” era il
soprannome che gli avevano rifilato quando era entrato
in carcere i primi giorni, quando ancora nessuno lo conosceva per davvero. Per
tutti era il figlio di papà pieno di soldi che per passare il tempo aveva messo su un gruppo di piloti clandestini e si
divertiva a gettare un po’ di scompiglio per la città. Lo consideravano solo un
ragazzino, e credevano sarebbe crollato già dopo il primo mese passato là
dentro.
C’era una regola
che valeva in ogni tipo di carcere: chi toccava donne o bambini aveva vita dura. Era destinato a doversi guardare le spalle
in ogni istante, a dover temere le ore d’aria e la distribuzione dei pasti,
possibile bersaglio di ogni genere di attacco da parte degli
altri detenuti.
Lo avevano fatto
anche con lui. O meglio, ci avevano provato. Avevano cercato di “fargli fare
ammenda”, di “fargliela pagare per essersela presa” con qualcuno più debole di
lui, salvo poi scoprire che rimaneva anche lì dentro lo Scorpione, il boss, quello contro cui non ci si doveva mettere.
Fare a botte, per uno come lui abituato alle risse, non rappresentava un
problema, nemmeno se si trattava di vedersela con più persone insieme. Un paio erano finiti in infermeria, uno aveva perso tutti i denti e
un altro si era ritrovato con un trauma cranico. Alla fine era stato anche un
utile sfogo per la rabbia che aveva covato nei primi giorni.
E come succedeva
sempre, quando non riuscivi a mettere i piedi in testa a qualcuno, dovevi fartelo
amico. Con sommo fastidio, William aveva dovuto sopportare anche i tentativi di
“stringere amicizia” degli altri detenuti, falsi esattamente come tutte le
persone che aveva conosciuto in tutta la sua vita.
In diversi gli
avevano chiesto di Irina, di chi fosse, e soprattutto come fosse fatta, ma lui
non era mai stato troppo eloquente sull’argomento. Quando aveva scoperto che
tra i suoi compagni di carcere girava una sua foto, quella che ora lui teneva
appesa al muro, era andato su tutte le furie: aveva
rotto il naso a quell’idiota di Daniel che si vantava di averla trovata, e le
guardie avevano dovuto prenderlo di forza per evitare che lo ammazzasse per
davvero. Se c’era qualcosa che detestava con tutto sé
stesso era che qualche detenuto potesse avere fantasie su di lei.
Anche se Irina
aveva contribuito a mandarlo in carcere, anche se rappresentava il suo errore
più grande, anche se lo aveva odiato fino a tentare di ucciderlo, lui
continuava a essere ossessionato da lei.
Avrebbe dovuto dimenticarla,
lo sapeva; avrebbe dovuto rimuoverla completamente
dalla sua testa, ma non ci riusciva. Soprattutto ora che Irina era libera, era
felice, e stava con quello sbirro di Went. Sua e solamente sua.
Ogni giorno, dentro
quella cella che assomigliava tanto a un buco, solo, a patire quello che
avevano previsto per lui, si era chiesto cosa avrebbe fatto quando fosse uscito
fuori di lì, cosa le avrebbe detto quando l’avrebbe
trovata, e soprattutto cosa avrebbe provato avendola di nuovo davanti.
Se la gente credeva
che sarebbe rimasto chiuso in carcere per il resto dei suoi giorni, zitto e
buono, si sbagliava di grosso. Sarebbe uscito, in un modo o nell’altro,
legalmente o illegalmente, soprattutto perché la fuori c’era qualcuno che
poteva farlo fuggire. Qualcuno che tardava a farsi vedere, ma che sapeva essere
ancora libero e che un giorno si sarebbe fatto rivedere. Tramite lui avrebbe
organizzato la sua fuga, con i soldi che insieme a suo padre aveva nascosto in
caso di bisogno.
E una volta libero,
l’avrebbe cercata. Irina poteva anche nascondersi, scappare, cercare rifugio
dal suo caro sbirro dell’F.B.I., ma lui l’avrebbe
ritrovata, a qualsiasi costo. Le avrebbe dimostrato che nemmeno le sbarre
potevano fermarlo, nemmeno chiudendolo in quella cella buia e spoglia, nemmeno
togliendogli tutto potevano piegarlo. Le avrebbe fatto vedere che allo
Scorpione non si fugge, mai.
“Potrai anche stare con Went,
adesso, ma rimani comunque ancora mia. E lo sai meglio di
me”.
Lui l’aveva
trovata, lui l’aveva portata nel suo giro, lui l’aveva “svezzata”
trasformandola in Fenice, lui aveva avuto fiducia in lei. Lui l’aveva vista
salire sulla sua Punto bianca e scalare la Black List, lui l’aveva scelta come la sua preferita, lui le
aveva sempre dato qualsiasi cosa volesse. Lui si era innamorato di lei, a tal
punto da decidere di essere quello che lei voleva, a tal punto di implorarle di
fare finta di amarlo…
Non si era mai
perdonato quel cedimento, quella caduta così stupida e disonorevole. L’aveva
implorata, le aveva chiesto di dirle cosa voleva in cambio del suo amore, in cambio del suo cuore. E lei aveva chiesto la vita di Went.
Eppure sentiva che
una come Irina era destinata a lui, che alla fine non si fossero incontrati per
caso. Fenice era esattamente quello che lo Scorpione
cercava, quello che inconsciamente aveva cercato per tutta la vita: la persona
che era in grado di tenergli testa, di sbattergli in faccia quello che pensava
di lui, che non era falsa, che non lo compiaceva solo per interessi. Irina era quello: era l’unica persona che durante quei due anni era
stata vera con lui.
“Puoi essere solo mia, Fenice… E lo sarai, anche se
questo vuol dire ucciderti”.
Ore 19.30 –
Casa di Xander
<< Hai comprato
un abito da sposa da 7.000 dollari a Sally, con la carta di credito che ti
avevo regalato? >> ripeté Xander, un
sopracciglio inarcato, la forchetta sospesa a mezz’aria e gli occhi azzurri
puntati su di lei. Nella cucina ampia e spaziosa si sentiva solo la voce del
mezzobusto del telegiornale.
Irina li lasciò
andare a una smorfia dispiaciuta, allontanando impercettibilmente la sedia dal
tavolo. Il suo sguardo percorse le ante lucide della
cucina, poi tornò a soffermarsi su Xander. Forse
avrebbe dovuto prima chiedergli il permesso…
<< Ehm… Sì
>> rispose, << Dai, le stava troppo bene… E poi non si è mai
permessa niente di lussuoso… Cavolo, si deve sposare! >>.
Xander mandò giù il
boccone con deliberata lentezza, distogliendo lo sguardo da lei, forse cercando
di non farsi scappare una parolaccia. Irina cercò di scrutare la sua
espressione, ma lui sembrava totalmente concentrato sulla sua bistecca.
<< Ti sei
arrabbiato? >> domandò, titubante.
Xander alzò il volto e
poi la guardò per un istante, serissimo. Alla fine però sorrise e le diede un
buffetto sulla guancia.
<< No, non mi
sono arrabbiato >> disse, e Irina tirò un sospiro di
sollievo, << Solo vorrei che ogni tanto pensassi anche a te
stessa… Te l’avevo data per comprarti qualcosa per te. Ma
comunque, se ti fa piacere, va bene >>.
Irina gli schioccò
un bacio sulle labbra e poi sorrise. No, non era mai stata capace di pensare
solo a se stessa, e non voleva farlo. Sally si meritava quel regalo, e
rinunciare a qualcosa per se stessa non era un prezzo troppo grande da pagare.
<< C’è altro
che devo sapere? >> chiese Xander, spostando il
piatto e fissando il televisore, dove trasmettevano le immagini della Casa
Bianca e del Presidente degli Stati Uniti.
<< Ho chiesto
a Sally se mi lascia Tommy, quando lei e Dominic
andranno in viaggio di nozze >> disse Irina, portando in tavola il cesto
della frutta.
L’espressione di Xander mutò nel giro di un nanosecondo: per un istante
sembrò che gli avesse parlato in giapponese. Irina però non si stupì della sua
reazione: sapeva benissimo a cosa era dovuta.
Se Irina adorava i
bambini, e naturalmente suo nipote era al primo posto, Xander
non era dello stesso identico parere. Aveva sempre dimostrato una certa
insofferenza verso i ragazzini al di sotto dei dieci
anni, soprattutto quando distoglievano l’attenzione di Irina da lui, e se
poteva cercava di evitarli. Non che odiasse Tommy, certo che no, solo che alla
prospettiva di averlo in giro per casa per diversi giorni non lo rendeva proprio
felice: Irina non sarebbe stata sempre tutta sua, e sapeva quanto suo nipote
certe volte fosse inopportuno.
<< Dai, non
fare così >> disse Irina, trattenendosi dal ridere di fronte alla sua
faccia, << Non ti darà fastidio… Staremo a casa
mia >>.
<< No, non è
per quello… >> disse Xander, poco convinto,
cercando il telecomando della tv, << Vabbè, lasciamo perdere. Venite qui da me,
così fai felice pure Nichole… >>.
Irina gli schioccò
un altro bacio sulle labbra, riconoscente. Era uno sforzo enorme, per lui.
<< Grazie. Ti
amo >> sussurrò.
<< Anche io >> disse Xander,
<< Forse pure troppo… Ti lascio sempre fare quello che vuoi >>.
Irina sorrise e
guardò l’orologio.
<< Lavo i
piatti e poi torno a casa >> disse, << Domani ho lezione… Non
venirmi a prendere per spaventare la gente, eh >>.
<< Ok…
>> borbottò Xander, alzandosi e porgendole i
piatti, << Mettili nella lavastoviglie, no? Ci penso io a toglierli, dopo
>>.
Irina gli gettò
un’occhiata. Su quello aveva qualche dubbio: se Xander
aveva una domestica, una spiegazione c’era. Aveva una totale avversione per
ogni faccenda di casa, soprattutto se si trattava di qualcosa che aveva a che
fare con la cucina. Fece come lui aveva detto, ma solo perché sapeva che la
mattina seguente ci sarebbe stata Nichole a mettere
tutto a posto.
Ore 9.30 –
San Francisco, Sede F.B.I.
<< Voleva vedermi, Vicepresidente? >>.
Xander varcò la soglia
dell’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Howard McDonall,
il Vicepresidente dell’F.B.I. americana, sedeva dietro
alla sua bella scrivania di legno scuro, sfogliando un fascicolo rilegato in un
cartoncino marrone. Le grandi finestre che davano sul parcheggio interno
facevano filtrare la luce fioca di quel giorno uggioso di novembre, lasciando
nella penombra il volto segnato dell’uomo. Alzò lo sguardo e sorrise.
<<
Buongiorno, agente Went >> disse cordiale,
<< Venga, venga. Si sieda pure… Sono contento di rivederla, soprattutto
dopo l’ultimo successo a New York. Ho ricevuto il suo rapporto. Sono molto
contento di come ha sistemato la storia >>.
Xander sorrise
compiaciuto, accomodandosi sulla sedia davanti alla scrivania. << Non è
stato facile, ma me la sono cavata >> disse.
McDonall mise da parte il
fascicolo e lo guardò con espressione quasi paterna. << Immagino abbia
intenzione di prendersi qualche giorno di vacanza, vero? >> domandò.
<< Sono stato
via un mese e mezzo, vorrei passare un po’ di tempo a casa >> rispose Xander, << Oltretutto, tra qualche settimana il
fratello di Irina si sposa, e devo essere presente alla cerimonia >>. Non
che fosse entusiasta, visto che Todd e il resto della
sua famiglia continuavano a essergli poco simpatici, ma non andare sarebbe
risultato inopportuno.
McDonall sorrise. <<
Capisco… Come sta Irina, tra l’altro? >> chiese, interessato << E’
passato un po’ di tempo dall’ultima volta che l’ho vista >>.
<< Bene,
anche se non è proprio contentissima del fatto che continui a rimanere a Los
Angeles a mesi alterni… >> rispose Xander,
<< Per questo vorrei passare un po’ di tempo con
lei >>.
McDonall si sedette più
comodamente sulla sedia. << D’accordo, permesso accordato, per il momento
>> disse, << Non era di questo che volevo parlare, però >>.
Xander drizzò le orecchie
alla frase “per il momento”. Qualcosa gli diede l’impressione che anche questa
volta le sue vacanze sarebbero andate a farsi benedire. << E sarebbe?
>>.
McDonall tirò fuori un
altro fascicolo dal cassetto della scrivania, questa volta rilegato in cartoncino
nero. Assunse una strana espressione, glielo passò e Xander
lo prese.
<< Abbiamo
avuto contatti con i servizi segreti russi >> spiegò McDonall,
<< Ci hanno chiesto una mano per risolvere una questione piuttosto
spinosa >>.
<< Di che si
tratta? >> chiese Xander, sfogliando il
fascicolo: dentro c’erano alcune foto e diverse schede che raccoglievano
informazioni riguardo a una serie di bande che agivano nei pressi di Mosca e di
San Pietroburgo.
<< Spaccio di
droga, gare clandestine, furti di auto di lusso, cose
del genere >> disse McDonall, << Niente
che non sia nuovo… Sembra però che si siano anche immischiati negli affari di
governo >>.
Xander smise di sfogliare
il fascicolo, e si ritrovò davanti la foto di un volto
che conosceva bene. Barba scura, espressione strafottente e dente d’oro in
bella vista. Boris Goryalef, il russo che aveva
conosciuto più di due anni prima a Las Vegas, e contro cui
aveva corso in una gara.
<< Ma questo… >> mormorò, prendendo la foto e
avvicinandola per esaminarla meglio.
<< Sì, è Goryalef >> concluse McDonall,
<< Pare sia invischiato in questa storia. Il governo russo ci ha chiesto
di occuparcene >>.
<< Ma non possono pensarci loro? >> chiese Xander, sfogliando le pagine alla ricerca di ulteriori informazioni.
<< Ci hanno
provato, ma non sono riusciti a infiltrare nessuno
>> rispose McDonall, guardando il fascicolo,
<< I servizi segreti sanno che abbiamo avuto successo due anni fa con Challagher, e pare che la situazione sia molto simile, se
non addirittura peggiore… Ci hanno chiesto una mano, nella speranza di riuscire
ad arrestarli >>.
Xander finì di sfogliare
rapidamente il fascicolo, poi alzò lo sguardo sul Vicepresidente. Era chiaro
che il candidato per quella missione era lui, visto che
era stato lui a occuparsi dello Scorpione.
<< Devo
andare io >> disse, sapendo di aver colto nel segno.
<< No
>> rispose McDonall, con uno strano tono di
voce, << No, non andrà lei >>.
Xander rimase interdetto.
<< Perché? >>.
<< Goryalef la conosce, e anche a Mosca sanno che è
invischiato nell’arresto di Challagher >>
spiegò McDonall, << Non può infiltrarsi tra di
loro, se la conoscono e sospettano che lavori per la polizia o per noi
>>.
<< Allora chi
dobbiamo mandare? Se non posso andarci io… >> iniziò Xander,
cercando di capire bene la faccenda.
McDonall lo interruppe.
<< Aspetti. Non intendevo dire questo. Ciò che voglio dire è che lei non
può sicuramente infiltrarsi nel giro di Goryalef, ma
può comunque fare la sua parte. Dobbiamo trovare qualcuno da mandare a Mosca
per scoprire come si muovono >>.
<< Allora io
cosa c’entro, se non posso andare? >> domandò Xander.
<< Deve
aiutarmi a trovare qualcuno che abbia i requisiti necessari per riuscire a
entrare nel loro giro >> disse McDonall,
<< Non accettano nessuno che non conoscono, e da
quel punto di vista sono ancora più chiusi della Black
List e di Challagher. Per
avere anche solo a che fare con loro bisogna avere un aggancio, di cui si fidano almeno un minimo… Dobbiamo trovare qualcuno che sia
bravo con le auto e sappia muoversi senza destare troppi sospetti >>.
Xander strinse il
fascicolo: c’era qualcosa in tutta quella storia che non gli piaceva.
<< Mi spieghi
come dovremmo procedere >> disse.
McDonall tirò fuori un
foglio con una lista di nomi. << Lei si potrà occuparsi del gruppo che
sta a San Pietroburgo, che smercia droga e auto rubate
provenienti dall’Europa… E’ gente rude, di cui persino la polizia ha paura, con
metodi non proprio gentili. Non sappiamo altro, per il momento. L’altro nostro
agente si occuperà di Mosca, e dovrà scoprire chi sono i membri del governo che
stanno dalla parte di Goryalef, oltre che scoprire i
loro traffici. I gruppi sono comunque tutti collegati tra loro, perché
rispondono a un unico capo >>.
<< Chi è?
>> chiese Xander.
<< Non lo
sappiamo. Nessuno lo sa, a dir la verità >>
rispose McDonall, << Potrebbe anche trattarsi
di un gruppo di persone. Chi lo ha visto non è mai
sopravvissuto per poterlo raccontare… Si è costruito una rete di intermediari che
lo coprono e con i quali conduce i suoi, o i loro, affari. In questo modo
nessuno entra mai direttamente in contatto con lui, e si può garantire una
certa copertura >>.
<< Quindi l’altro agente dovrebbe scoprire di chi si tratta
>> concluse Xander. << Trovare il loro
capo e minarli dall’interno >>.
<< Esatto
>>.
Era una missione
pericolosa, difficile, fatta di gare clandestine… Perfetta per lui. Peccato che
Goryalef lo conoscesse, altrimenti quella sarebbe
stata pane per i suoi denti.
<< Non sarà facile
trovare qualcuno che possa andare… >> mormorò, << Se è questa
missione è davvero a livello di quella di Challagher,
non sarà semplice >>.
Non avrebbe fatto
lo stesso errore che aveva commesso quando era arrivato a Los Angeles, cioè
quello di sottovalutare la cosa. Aveva creduto che la storia dello Scorpione
fosse una passeggiata, ma si era sbagliato di grosso. Per le sue leggerezze,
Irina ci aveva quasi rimesso la pelle… Chi sarebbe andato non doveva essere uno
sprovveduto.
<< Dove lo
troviamo qualcuno che sia in grado di non destare troppi sospetti… >>
borbottò, << Che abbia un aggancio… >>.
Guardò McDonall, cercando di spremersi il cervello. A dir la verità, però, non stava cercando la persona da
mandare a Mosca… Stava cercando un modo per andare lui, a Mosca. Credeva di
essere l’unico abbastanza preparato e motivato per andare. Aveva ancora una
pacca sul sedere di Irina da vendicare…
<< Agente Went, credo che dovremo avvalerci di una nuova leva
>> disse McDonall all’improvviso, scrutandolo
negli occhi.
Xander lo guardò, quasi
aspettandosi che da un momento all’altro qualcuno varcasse l’ufficio,
presentandosi come il suo nuovo sostituto. Fissò il Vicepresidente per un
istante, in attesa, il sopracciglio inarcato, curioso di sapere chi si trattava,
visto che McDonall sembrava avere le idee chiare.
Quando vide che il
silenzio si prolungava, quasi il Vicepresidente volesse aumentare la sua
curiosità, chiese: << E chi sarebbe? >>.
<< Esiste
qualcuno che ha questi requisiti, ma non è uno dei nostri agenti >>
spiegò calmo McDonall, e per un momento i suoi occhi
si abbassarono. << Ha la giusta esperienza in fatto di gare clandestine,
e saprebbe esattamente come muoversi e come agire… Non desterebbe nemmeno
troppa attenzione >>.
Xander rimase di sasso.
Spalancò la bocca senza riuscire a emettere alcun suono, fissando il suo capo
con il cervello che lavorava a mille.
Serviva qualcuno
che conosceva il modo di agire dei piloti clandestini, che sapeva come agivano,
e che godeva di una certa fama anche in Russia per
poter entrare senza troppi problemi nel loro giro…
E Xander sapeva a chi si stava riferendo, a chi corrispondeva
quella descrizione.
Irina.
<< No
>> sbottò, << No, non se ne parla nemmeno. Non manderò la mia ragazza laggiù solo per far arrestare un gruppo di
trafficanti… Se lo tolga dalla testa >>.
Era un colpo basso
che non si era aspettato da McDonall. Chiedergli una
cosa del genere equivaleva a chiedergli di uccidere un’innocente. E poi non era
nemmeno un’agente dell’F.B.I., e neanche una
poliziotta… Cosa centrava lei?
<< Irina è
perfetta >> disse il Vicepresidente, calmo, << Goryalef
la conosce, non si insospettirà quando la vedrà
arrivare. Oltretutto è una ragazza, nessuno penserà che lavora
per noi… La considereranno troppo inoffensiva per dare qualche problema, potrà…
>>.
<< No!
>> ripetè Xander,
arrabbiato, << Non mi interessa, e non ha alcun
senso. Non ci penso proprio a mandare Irina in Russia… Non ha esperienza, non
saprebbe cosa fare. E poi non voglio certo che rischi la vita >>.
Fissò McDonall per fargli capire che la questione era chiusa.
Poteva anche dirgli che Irina era l’unica persona sulla faccia della terra a
poter andare laggiù, ma non gliene fregava nulla. Non l’avrebbe mandata a farsi
ammazzare.
Il Vicepresidente
trasse un sospiro, poi incrociò le braccia.
<< Immaginavo
avesse una reazione del genere… >> commentò tranquillamente, << Non
posso costringere nessuno a fare qualcosa che non vuole, ma ci troviamo in una
situazione in cui Irina sembra l’unica adatta a questa cosa… >>.
<< Cosa dovrebbe fare, eh? >> lo interruppe Xander, nervoso, << Andare
lì e mischiarsi tra loro nella speranza che nessuno la noti? Lo
ha già fatto una volta… L’hanno violentata e per poco non rimaneva
uccisa! Ha chiuso con le corse clandestine, e non ci tornerà mai più. Non ho
preso Challagher per vederla tornare tra loro!
>>.
Per la prima volta McDonall lo stava facendo arrabbiare sul serio. Non avrebbe
cambiato idea, nemmeno per sogno: non avrebbe messo in pericolo Irina solo
perché non c’era nessuno più adatto di lei ad andare in Russia. Sicuramente
qualcuno di più preparato c’era.
<< Non sto
dicendo che deve andare, sto solo dicendo che Irina potrebbe essere una delle alternative… >> disse McDonall,
il tono più accondiscente, forse sperando di riuscire
a convincerlo.
<< Allora la
scarti pure >> disse Xander, << Piuttosto
vado io, ma lei non si muove da qui >>.
<< Dovremmo
parlarne anche con Irina, non crede? >> chiese McDonall,
serio, << Questo è il suo punto di vista, ma lei potrebbe pensarla
diversamente… >>.
Xander spalancò gli
occhi. No, Irina non avrebbe mai accettato. Aveva sempre odiato il mondo di cui
aveva fatto parte, e di sicuro non ci sarebbe mai voluta tornare. Per di più,
rischiare la vita non era certo un incentivo a fare la pilota clandestina… Non
voleva tornare a esserlo…
Oppure no?
<< Non è
necessario che lo sappia >> disse, gelido, << Non ha la
preparazione adatta, è troppo giovane e non sono disposto a mandarla laggiù.
Troviamo qualcun altro >>.
<< E se non
ci riuscissimo? >> ipotizzò McDonall. Appoggiò
le mani alla scrivania, come per apparire più convincente.
<< Ci andrò
io >> ribatté Xander, e con quello aveva chiuso
il discorso.
<< D’accordo
>> disse il Vicepresidente, avvicinando la sedia, << Cercheremo
qualcun altro. Abbiamo ancora tre settimane di tempo, poi dovremo mandare
un’agente >>.
In tre settimane Xander era sicuro di poter trovare sicuramente qualcuno:
aveva solo bisogno di una persona che fosse brava al volante, avesse
dimestichezza con il mondo delle corse clandestine e fosse disposta a rischiare
la vita per una missione come quella… Non esisteva solo Irina, con quei
requisiti.
<< I servizi
segreti russi ci forniranno un appoggio? >> chiese. Cercò di controllare
la voce, ma lo sapeva che dal suo tono traspariva ancora molto nervosismo.
<< Sì, forse
sarete anche affiancati da qualche loro agente >> rispose McDonall, << Questo è un punto su cui dobbiamo
accordarci… Verrà il capo dei servizi segreti russi qui, tra un paio di
settimane: studieremo meglio la strategia in quell’occasione >>.
Xander fece per alzarsi.
<< Bene. Le troverò la persona adatta >> disse.
<< Agente…
>> lo chiamò McDonall, e Xander
si bloccò sulla porta, << Pensi a quello di cui abbiamo discusso… Lo so
che è una proposta inconcepibile per lei, ma non gliela farei se non fossi
convinto di ciò che dico. Perlomeno ne parli con Irina >>.
Xander guardò il
Vicepresidente, con un miscuglio di rabbia e di comprensione. McDonall era uno di cui si era sempre fidato, a cui portava rispetto non solo perché era il membro più
importante dell’F.B.I., ma anche perché lo considerava una persona in gamba e
dall’indiscussa intelligenza. Sapeva che non gli avrebbe mai chiesto una cosa
del genere, ne non fosse stata necessaria, ma questa
volta proprio non avrebbe sentito ragioni. Irina era l’unica cosa veramente
degna di importanza, nella sua vita, e dopo tutto ciò
che era successo non avrebbe permesso che la normalità che si era riguadagnata
le venisse tolta.
<< No
>> ribatté, << Meno sa di questa storia, meglio
è >>.
<< Ti rendi
conto? >> disse Xander, sorseggiando il suo
caffè con aria irosa, seduto davanti alla scrivania dell’ufficio di Jess Stone, l’informatico suo migliore amico, << McDonall mi ha chiesto di mandare Irina in Russia… Pensava
veramente che la lasciassi andare? >>.
Jess mise da parte il
portatile e lo guardò, l’espressione seria e divertita
al tempo stesso. Negli ultimi due anni aveva preso qualche chilo, merito della
cucina di Jenny, e il suo viso appariva ancora più buffo.
<< Non ti
sembra di essere iper-protettivo? >> chiese, << In questo caso ti capisco, ma mi pare che tu sia un po’ troppo possessivo, nei
suoi confronti. Non le hai nemmeno chiesto cosa pensa… >>.
Xander accettò il
commento solo perché si trattava del suo migliore amico, ma si sentì comunque
punto sul vivo. Possessivo lui? Ma se le lasciava
sempre fare quello che voleva…
Bè, forse pensandoci
bene, ogni tanto aveva il vizio di mettersi al suo posto quando era ora di
prendere qualche decisione… Però non si era mai lamentata… Lo faceva per lei,
per evitare che si cacciasse nei guai… Irina si fidava dei suoi giudizi, perché
lo riteneva più esperto di lei…
<< Non fa
parte dell’F.B.I. >> disse seccato, << Non
centra niente… Perché dobbiamo metterla in mezzo? Non si tratta di mandarla per
farle fare un giro turistico… Si rischia la vita, lo
sai quanto me >>.
Jess diventò serio.
<< Se McDonall te lo ha
proposto, significa che evidentemente non ha trovato alternativa migliore
>> disse, << Non è uno che fa le cose tanto per farle. Quando è
stata ora di lasciarti campo libero per arrestare Challagher,
lo ha fatto. Non te lo avrebbe proposto se non ci
fossero state altre persone adatte, non credi? >>.
Xander tacque. Si era
sempre fidato di McDonall, perché il Vicepresidente
gli aveva sempre dato fiducia. Nonostante una volta avesse persino insultato un
suo superiore, la peggior punizione che gli aveva inflitto era stato far finta di essere finito fuori dall’F.B.I., per poi
lasciargli fare quello che aveva in mente, consentendogli persino scavalcare la
sua stessa autorità.
Sapeva che mandare
Irina doveva essere la migliore cosa che si potesse fare in quel momento, ma quando
si trattava di lei diventava tremendamente egoista.
Finché si trattava di lasciarla a Los Angeles, lontana da lui ma pur sempre al
sicuro, era un conto, ma spedirla in Russia era tutta un’altra cosa.
<< Non voglio
che rischi la vita >> disse lentamente, << Lo ha
già fatto una volta, e sappiamo tutti com’è finita… Perché costringerla a
tornare a fare la pilota clandestina, quando l’unica cosa che voleva era
tornare a essere una ragazza normale? No, non sarò io a proporle una cosa del
genere, né nessun altro >>.
Jess sorrise. <<
Allora perché te la prendi così tanto? >> disse,
<< Se sei sicuro che Irina non accetterà, perché non ne parli con lei?
Magari potrebbe darti una mano per sbrogliare la situazione… >>.
Anche questa volta Jess aveva intuito qual’era il suo
problema, e gli aveva messo davanti la questione.
<< Perché non
sono sicuro che risponderebbe di no >> disse Xander, sconfortato, << Lo so com’è fatta, e non è in
grado di pensare a se stessa. Potrebbe anche accettare per senso del dovere: se
dovessero dirle che è l’unica che può andare lì, direbbe di sì, ne sono sicuro
>>.
In realtà, non era
quella la verità. Non era sicuro che Irina non avrebbe accettato per un altro
motivo: nonostante avesse chiuso con le corse clandestine, aveva voluto tenere
la Grande Punto, e non aveva smesso di usarla, anche se lo aveva fatto
saltuariamente. E non aveva nemmeno smesso di amare le gare: quante volte erano
andati a provare qualche macchina in un circuito privato? Quante volte l’aveva
vista sospirare davanti alla Punto bianca parcheggiata nel suo garage, ferma,
eppure sempre così pronta a correre? Perché comportarsi in quel modo, se
davvero non voleva più fare parte di quel mondo?
Forse, se
gareggiare nelle corse clandestine non fosse stato contro la legge, e
soprattutto se le gare clandestine ci fossero ancora state a Los Angeles, Irina
ci sarebbe andata. Tante volte si era chiesto se per caso Irina desiderasse
correre ancora, ma non aveva mai avuto il coraggio di domandarglielo. E se si
fosse sentito rispondere che le manca un po’, quel mondo, come avrebbe reagito?
Era stato lui a
trovarla, imprigionata tra le sbarre di quel bastardo di Challagher,
e lui l’aveva vista sperare di poter chiudere veramente con quella vita… Lui
l’aveva tirata fuori da lì, con l’anima lacerata e il cuore a pezzi, e lui
l’aveva aiutata a ritornare quella di prima… E se si fosse reso conto che Irina
si era pentita? Se avesse capito che lei voleva ancora continuare a essere
Fenice? Challagher non c’era più, avrebbe potuto
correre per il piacere di farlo…
Se Irina voleva
davvero tornare a essere quello che era stata, allora c’era il rischio che le
loro strade si separassero… Significava che si era pentita del suo aiuto, che
se non fosse stato per la presenza di Challagher, lei
sarebbe rimasta volentieri una pilota clandestina… Significava che fino a quel
momento aveva mentito, e che magari era stata con lui solo per il senso di
gratitudine…
Xander scosse il capo per
scacciare quel pensiero, dandosi dello stupido. No, Irina non sarebbe stata in
grado di essere così falsa, e sicuramente non voleva tornare a essere una
pilota clandestina. E le loro strade non si sarebbero mai
potute separare, nemmeno di fronte a quell’alternativa.
Ma in ogni caso era
meglio che non sapesse niente di quella storia.
Ore 16.00 –
Casa
Irina infilò tutto
il bucato nella lavatrice, cercando di chiudere lo sportello che non voleva
saperne di andare al suo posto, e poi scese di sotto, dove suo padre stava
guardando alla tv un programma che parlava di cucina.
<< Uhm,
questo deve essere buono… >> stava dicendo, segnando su un blocchetto gli
ingredienti per quella che doveva essere una sorta di zuppa di verdure con
crostini, << Allora, carote, cipolla… >>.
Irina si avvicinò e
sbirciò sul foglio, sorridendo. Era assurdo come fossero cambiate le cose, da
due anni a quella parte, compreso il fatto che suo
padre avesse scoperto di essere davvero bravo in cucina, tanto da andare
addirittura a lavorare come cuoco in un ristorante. A cinquant’anni passati di ritrovava a scoprire finalmente in cosa era portato, ma
meglio tardi che mai.
A un certo punto
sbucò dal corridoio Dennis, uno dei suo fratelli, che
si lanciò direttamente sul divano senza troppi complimenti.
<< Ancora
programmi di cucina? >> sbottò, cercando di impossessarsi del
telecomando, << Basta, non ne posso più… >>.
<< Aspetta,
che devo finire di segnarmi gli ingredienti! >> gridò suo padre,
strappandogli di mano il telecomando.
Irina si mise a
ridere davanti alla scena, mentre Dennis borbottava qualcosa a proposito di
diventare dei ciccioni, e Todd scriveva convulsamente sul suo blocchetto degli
appunti. Avrebbe dovuto farci l’abitudine, ma tutte le volte che vedeva quanto
i rapporti tra tutti loro fossero migliorati, le
veniva sempre da sorridere. Dennis aveva persino diminuito il numero di
parolacce che pronunciava mentre era in casa, il che era davvero un miracolo.
Il campanello suonò
all’improvviso, e guardò l’orologio. Doveva essere Xander,
perché gli aveva promesso che lo avrebbe accompagnato a prendere l’abito da
cerimonia per il matrimonio di Sally. Raccolse la borsa e salutò tutti quanti.
<< Ci vediamo
stasera a cena, papà >> disse, salutandolo con la mano, << Mi
raccomando, mi aspetto quella zuppa, eh? Vediamo se è davvero buona come sembra
>>.
<< Ciao
tesoro. Non fare troppo tardi >>, disse Todd, la lingua tra i denti,
mentre scriveva il procedimento della ricetta sul foglio e Dennis borbottava
come una pentola di fagioli di fianco a lui.
Xander la aspettava
davanti a casa, questa volta con la BMW M3 per non essere eccessivamente “vistosi”, e gli corse incontro sotto il tenue sole
autunnale, che faceva scintillare la vernice bianca della macchina.
<< Ciao piccola >> la salutò lui, << Andiamo?
>>.
Irina montò in
auto, per poi stampargli un bacio sulle labbra. << Ciao… Sei andato a San
Francisco, stamattina? >>.
<< Sì, ho
anche visto Jess >> rispose Xander,
ma qualcosa nel suo tono le fece capire che era più serio del solito. E in
macchina c’era odore di sigaretta, riusciva a sentirlo, il che voleva dire che
aveva fumato.
E lui fumava solo
quando era nervoso.
<< Tutto
bene? >> chiese, cercando di non dare a vedere che si era accorta della
cosa. Con la coda dell’occhio lo guardò girare il volante, gli occhi puntati
sulla strada.
<< Sì, tutto
a posto… >> rispose Xander, avviandosi verso il
centro città, << Mi prendo qualche giorno di
vacanza, così lo passiamo insieme. Poi devo occuparmi di un nuovo incarico…
>>.
Ecco forse da dove
arrivava il problema che lo rendeva ombroso, anche se di solito non si
comportava così al pensiero di una nuova missione.
<< No, di già? >> disse Irina, dispiaciuta, << Ma sei appena
tornato… Ti mandano di nuovo via? >>.
Xander fermò la BMW al
semaforo e sorrise, voltando la testa verso di lei. << Non vado già via >> disse, << Devo solo trovare la
persona giusta che venga con me… La missione è programmata fra tre settimane,
se non di più. Abbiamo ancora un po’ di tempo da passare insieme… Nemmeno io
voglio già andarmene >>.
<< Dove
vogliono mandarti? >> chiese Irina, sentendo già l’ansia crescere, al
pensiero di vederlo di nuovo partire. Anche se mancavano ancora un po’ di settimane,
sapere che se ne doveva andare non era per niente piacevole.
<< In Russia
>> rispose atono Xander.
Ecco perché
sembrava strano. La Russia era lontana, e di sicuro non era un posto tanto
“tranquillo”. Doveva essere qualcosa di molto pericoloso e importante, anche
perché se no non avrebbero scelto lui.
<< Ma non possono mandare qualcun altro? >> domandò
Irina, spaventata.
Xander fece un sorriso
amaro. << No, non questa volta >> rispose lui, << E’ qualcosa
di davvero grosso, sembra. Non credo ci sia qualcuno di adatto, oltre a me…
>>.
Si
interruppe,
e Irina lo guardò, concentrato, stringere il volante con aria nervosa. Aveva le
sopracciglia aggrottate, come ogni volta che c’era qualcosa che lo preoccupava.
Questa volta non era entusiasta della nuova missione, diversamente dalle altre
volte.
<< Ma non sei obbligato ad andarci! >> protestò lei,
vedendolo strano, << Ti sbattono sempre di qua e di là, per una volta
puoi anche dirgli di no! >>.
Xander fece una smorfia.
<< Non è quello… >> borbottò, << E’ che… Non importa,
piccola, lasciamo stare. Voglio solo che queste tre settimane passino molto
lentamente… >>.
Irina gli strinse
la mano appoggiata sul cambio, sentendo le sue dita sotto le sue. Era dura
vederlo partire, saperlo lontano e in pericolo, e non era certa di poterlo
sopportare ancora… Ma sapeva anche che Xander amava
il suo lavoro, amava partire sprezzante del pericolo e
amava la sensazione che provava quando andava in missione. In due anni lo aveva
capito, e non gli aveva mai impedito di fare quello che voleva: si fidava
ciecamente di lui, e sapeva che sarebbe sempre tornato. Ma
la Russia era lontana…
<< Non ci
pensare >> disse lui sorridendo, << Andiamo a prendere questo
maledetto vestito… E non mi convincerai a comprarlo grigio, intesi? >>.
Irina sorrise, ma
non era proprio felice. Avrebbe rinunciato a tutto, pur di evitare che partisse
di nuovo, anche a farlo vestire di grigio che gli donava tantissimo… Ma sapeva
com’era fatto Xander: non si sarebbe tirato indietro,perché non era proprio capace di farlo.
Spazio Autrice
Allora, ecco il
ritorno del nostro Scorpione… Come vi è sembrato? E’ rimasto lo stesso, in
effetti, o almeno così sembra. Ciò che credo sia più importante sottolineare è il fatto che continua a pensare a Irina, ed è
palesemente confuso (anche se lui non lo ammetterebbe mai): la odia perché si è
innamorata di Xander, ma non riesce a rassegnarsi;
vuole vendetta, ma la considera ancora sua. Dice di volerla uccidere, ma non ne
sembra ancora convinto. Ditemi le vostre impressioni.
E poi, la
rivelazione di McDonall: vorrebbe mandare Irina in
Russia, e farla tornare una pilota clandestina… Ora si capisce da dove arriva
il titolo, almeno in parte. Chissà come ci arriverà, visto che Xander non sembra proprio disposto a farla muovere da Los
Angeles.
Ditemi cosa ne
pensate di questa faccenda, ma soprattutto se vi è piaciuto
il ritorno di William. Per quello di Dimitri dovrete aspettare ancora qualche
capitolo.
Mi scuso con tutti
voi, ma non ho proprio la forza fisica di rispondere a tutte le recensioni, ma
sono strafelice che abbiate commentato e vi prego di continuare a farlo. Questa
settimana è stata orribile, anche perché intere giornate passate in facoltà e
litigi fra “amiche” con amiche di vecchia data che
hanno la testa più dura del marmo credo che sfinirebbero chiunque…
Ora, ho deciso che aggiornerò tutti i venerdì sera, salvo
diverso avviso. Vorrei farlo di mattina o nel primo pomeriggio, ma indovinate dove sono? In facoltà. Ma
che bravi, ci avete visto giusto! Quindi, a venerdì
prossimo, miei amati lettori!
Lhea