Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Lhea    05/03/2010    6 recensioni
[Seguito de “Il gioco dello Scorpione”]
Sono passati due anni da quando lo Scorpione è finito dietro le sbarre, due anni da quando Irina è tornata a essere una ragazza normale e due anni da quando tutto nella sua vita ha iniziato a prendere la giusta piega… Ma si sa che il passato è sempre difficile da dimenticare, e lei lo sa meglio di tutti.
Il passato si può nascondere, si può rinnegare, si può anche cercare di dimenticarlo, ma non si può cancellare. Perché rimane lì, a ricordarti ciò che sei stata e ciò che sei diventata; rimane lì a farti capire cosa hai perso e cosa hai guadagnato… Il passato torna. E quando torna, un motivo c’è sempre.
E se all’improvviso Fenice tornasse? E se all’improvviso se le venisse offerta la possibilità di correre ancora per una giusta causa, di passare dalla parte “giusta” e coniugare due cose che non aveva mai pensato di poter riunire? E se all’improvviso si rendesse conto che alla fine il suo passato non lo hai mai dimenticato, che ha sempre vissuto all’ombra di ciò che era stata?
Questa volta Irina deve fare una scelta che può cambiare definitivamente il suo mondo, il suo modo di vedere e di vivere… Una scelta che la dividerà da tutto e da tutti, e che sarà la sua unica possibilità per lasciarsi veramente il suo passato alle spalle. Per poi scoprire che in due anni molte cose cambiano, comprese le persone che hanno fatto parte della sua vita.
Questa volta, il passato torna per sconvolgere tutti, per dimostrare che si cade e ci si rialza; per dimostrare che si perde e si vince; per dimostrare che il bene e il male sono solo due visioni relative… Per dimostrare che alle volte le parti si invertono, e ti mostrano quello che veramente c’è da vedere.
[Nota dell’autrice: lasciatemelo dire: questo non sarà il solito seguito. Se torno, torno per stupirvi… E’ una promessa]
POSTATO ULTIMO CAP + EPILOGO
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Gioco dello Scorpione'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo II

Capitolo II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Carcere di San Francisco

 

Duecentonovantasette…

 

Duecentonovantotto…

 

Duecentonovantanove…

 

Trecento.

 

William Challagher si tirò in piedi e stiracchiò il collo, fissando le sbarre di metallo che lo separavano dal corridoio, l’altra cella vicino alla sua ben visibile nella penombra. Il detenuto di fronte a lui, la barba incolta e il buco di un dente mancante, lo guardava fare le sue flessioni giornaliere per nulla impressionato. Fece una smorfia e poi disse, la voce gracchiante: << Scommetto che riesci ad arrivare anche a quattrocento, vero? >>.

 

<< Ne faccio quante ne vuoi >> ribatté William, voltandosi di spalle e afferrando l’asciugamano appoggiato sulla sedia sgangherata a poca distanza da lui. Il piccolissimo scrittoio nell’angolo della cella era illuminato dalla poca luce che filtrava dalla finestrella chiusa dalle inferriate, vicino alla porta scrostata del minuscolo bagno che gli era toccato. 

 

<< Lascia perdere il principino, Fred >> disse una voce che proveniva da uno dei due letti a castello della cella davanti a quella di William, << Lo sai che odia essere importunato quando si allena… >>.

 

William ignorò il commento dell’uomo che faceva di nome John e fissò il riflesso dello specchio appeso nel bagno, sopra il lavandino di ultima scelta che gocciolava ormai da due anni senza alcuna tregua.

 

Tutto sommato, era cambiato poco. Due anni di carcere duro non erano riusciti a piegare il suo fisico, tantomeno la sua anima. La sua bella faccia dai gelidi occhi verdi, conosciuta in tutta Los Angeles, era sempre la stessa, tranne per un piccolo particolare: una cicatrice bianchiccia che tagliava il suo sopracciglio destro in due, rimasta a ricordargli quel giorno sull’autostrada, quando tutto era stato distrutto esattamente come la sua Zonda… Indelebile segno della sconfitta, di tutto ciò che possedeva…

 

Aveva dovuto rinunciare a molto, per riuscire a sopravvivere la dentro. Se prima era abituato a una vita di agi, di lussi, di feste e donne, ora non aveva altro che un cigolante letto a castello, un plico di fogli e una penna per scrivere se ne aveva voglia, e un minuscolo televisore che prendeva un solo canale. E un’ora d’aria ogni giorno. Non era concesso nient’altro a William Challagher, lo Scorpione, uno dei criminali più pericolosi di Los Angeles, condannato all’ergastolo per tanti di quei crimini di cui aveva perso il conto.

 

Chiunque al suo posto, di fronte al pensiero di dover rimanere chiuso tra quelle quattro mura per il resto dei suoi giorni, si sarebbe lasciato andare, avrebbe abbandonato la speranza, il piacere di sentirsi almeno un po’ normale, di poter dare ancora un senso alla sua vita. Lui no, non si era permesso una caduta di stile come quella.

 

Aveva continuato a curarsi, a farsi regolarmente la barba, a fare tutti i giorni e a tutte le ore ginnastica con i pochi strumenti che gli erano concessi, per rimanere esattamente com’era stato fuori da lì. Lo Scorpione non si sarebbe lasciato piegare dalle sbarre e da una cella chiusa e oscura.

 

Si passò una mano sul mento, la pelle ancora liscia, e gettò un rapido sguardo alla W tatuata in nero sul collo. Infilò la maglia e si passò le dita tra i capelli: quelli avevano bisogno di una tagliata. Ci avrebbe pensato più tardi, quando sarebbe tornato dall’ora d’aria che gli era stata accordata.

 

Raggiunse il letto a castello e si sdraiò su quello di sopra, il soffitto freddo non troppo distante da lui, un leggero velo di umidità che bagnava l’intonaco. Si sistemò meglio il cuscino dietro il collo e guardò quello che con pezzo di scotch aveva appeso al muro, e che rappresentavano quasi una finestra sul mondo.

 

Alcuni erano articoli di giornale, ritagliati pochi giorni dopo la sua cattura, quando ancora poteva ricevere i quotidiani in cella. Uno riportava addirittura una foto in bianco e nero della sua Pagani Zonda distrutta, ferma in mezzo all’autostrada; mentre su un altro c’era l’elenco di tutti i piloti clandestini che erano stati arrestati nella retata di Los Angeles dalla quale lui era riuscito a fuggire. E poi ancora la cattura di suo padre, George Challagher, ora sepolto nel cimitero di San Francisco, dopo essersi sentito male tra le sbarre… Sopra a tutti quei ritagli di giornale, come a godere di una posizione privilegiata, c’era una foto a colori, una delle pochissime a cui tenesse, in quel momento.

 

Era l’immagine di una bella ragazza, dai lunghi capelli castani e smossi dal vento, le gambe snelle fasciate da un paio di jeans scuri, gli occhi rivolti alla sua destra. Dietro di lei, un’auto italiana, una Fiat Grande Punto bianca, l’aerografia di una fenice sulla fiancata.

 

Fece una smorfia e mise le braccia dietro il collo. Non gli serviva una foto per ricordare com’era fatta Irina, Fenice, la ragazza di cui si era innamorato e che poi lo aveva mandato in prigione. Ricordava a memoria tutte le sue espressioni, il suo odore dolce e piccante al tempo stesso, ogni lembo della sua pelle liscia e morbida, la consistenza e il profumo dei suoi capelli scuri. Come dimenticare il tono della sua voce, a volte provocatorio a volte insicuro, la luce di sfida nei suoi occhi, il modo con cui beveva dal suo bicchiere, in cui afferrava il volante della sua auto…

 

Ottocentotrentacinque giorni. Dall’ultima volta in cui l’aveva vista, che aveva sentito il suo respiro sul suo viso, che aveva ascoltato la sua voce mentre lui la implorava di darle una scusa per non ucciderla, erano passati ottocentotrentacinque lunghissimi giorni… Eppure sembrava ieri, sembrava ieri che le avesse puntato alla testa quella maledetta pistola, e che avesse esitato come uno stupido.

 

Lasciò vagare gli occhi sul volto di Irina, la bocca che si storceva in una smorfia.

 

“Mai, mai avrei pensato che arrivassi a tanto… Mai avrei pensato che avessi il coraggio di farmi una cosa del genere”.

 

Gli aveva tolto tutto, tutto quello che si era conquistato con la forza e la determinazione.

 

Aveva perso la sua città, aveva perso i suoi piloti, aveva perso la sua reputazione. In un attimo, gli aveva strappato tutto quello che era sempre stato suo di diritto, e che le aveva sempre offerto in cambio della sua fedeltà, e del suo amore.

 

Ora riconosceva che era stato lui stesso a firmare la sua condanna. Se non avesse lasciato Irina diventare la numero tre della Black List, se non l’avesse lasciata entrare nel loro giro, forse in quel momento non si sarebbe trovato lì. Se non si fosse lasciato intenerire da lei, forse sarebbe stato ancora libero.

 

Eppure non riusciva ad attribuirle tutta la colpa: Irina aveva avuto una parte, ma anche lo sbirro di nome Alexander Went aveva contribuito a farlo sbattere dietro le sbarre. E poi c’era Dimitri, l’unica persona di cui si era sempre veramente fidato, e che lo aveva tradito consegnandolo alla polizia.

 

Aveva sempre considerato il russo uno “spirito affine”, uno che la pensava allo stesso modo. Insieme a lui aveva messo su la Black List, aveva cominciato le sue scorribande per Los Angeles, in cerca di piloti validi da sfidare. E poi loro due stessi si erano affrontati in una gara senza esclusione di colpi, per guadagnarsi il primo posto della Lista.

 

Forse, però, avrebbe dovuto aspettarselo: da quando Went era arrivato da quelle parti, le discussioni riguardo al rischio di averlo tra loro erano aumentate, senza contare la sempre dichiarata ostilità di Dimitri verso Irina.

 

Per quale motivo avesse deciso di voltargli le spalle, non lo sapeva, ma c’era una cosa di cui era certo: il russo aveva i giorni contati, esattamente come Went.

 

E Irina…

 

Irina, ovunque fosse stata, ovunque si fosse nascosta, l’avrebbe trovata.

 

Ogni giorno, da quando lo avevano chiuso in quella lurida cella buia, aveva pensato a lei, libera di godersi la sua vita, libera di andare dove e con chi voleva… E lui invece era chiuso in quel buco di carcere, da solo.

 

<< Come hai detto che si chiama, quella ragazza? >>.

 

La voce di Fred arrivò gracchiante e fastidiosa alle sue orecchie. Gli rivolse un’occhiataccia e ringhiò: << Irina >>.

 

Tornò a guardare la foto della ragazza e rimase in silenzio. Odiava quando gli altri detenuti gli chiedevano di lei.

 

Se c’era un’altra cosa che in quei due anni non era cambiata, era quell’assurda voglia di riaverla davanti. Tutte le sere era andato a dormire con quel chiodo fisso, e tutte le mattine si era alzato con l’immagine di Irina nella testa.

 

La odiava. La odiava a morte per averlo tradito, per aver cospirato contro di lui, per averlo rinchiuso lì dentro, ma la odiava soprattutto per essersi innamorata di Went.

 

L’aveva amata, cazzo. L’aveva amata per davvero e lei era andata con lo sbirro dell’F.B.I. Come poteva averlo trattato così, quando si era addirittura umiliato, per lei?

 

Innervosito, scese dal letto e afferrò le sbarre della cella, fissando il pavimento. Lo voleva morto, voleva il suo cadavere davanti agli occhi, voleva piantargli una pallottola in testa e vederlo morire con la consapevolezza di aver fatto il più grande sbaglio della sua vita: portargli via tutto ciò che aveva.

 

<< Ehi, principino, come mai non ti è mai venuta a trovare? >> chiese Fred, maligno, << Avevano detto che era la tua ragazza… >>.

 

William alzò lo sguardo su di lui, fulminandolo con gli occhi.

 

<<Sta zitto… E quando ci daranno l’ora d’aria, vedi di non farti trovare >> ringhiò.

 

Fred sbiancò leggermente, e smise di guardarlo.

 

“Principino” era il soprannome che gli avevano rifilato quando era entrato in carcere i primi giorni, quando ancora nessuno lo conosceva per davvero. Per tutti era il figlio di papà pieno di soldi che per passare il tempo aveva messo su un gruppo di piloti clandestini e si divertiva a gettare un po’ di scompiglio per la città. Lo consideravano solo un ragazzino, e credevano sarebbe crollato già dopo il primo mese passato là dentro.

 

C’era una regola che valeva in ogni tipo di carcere: chi toccava donne o bambini aveva vita dura. Era destinato a doversi guardare le spalle in ogni istante, a dover temere le ore d’aria e la distribuzione dei pasti, possibile bersaglio di ogni genere di attacco da parte degli altri detenuti.

 

Lo avevano fatto anche con lui. O meglio, ci avevano provato. Avevano cercato di “fargli fare ammenda”, di “fargliela pagare per essersela presa” con qualcuno più debole di lui, salvo poi scoprire che rimaneva anche lì dentro lo Scorpione, il boss, quello contro cui non ci si doveva mettere.

 

Fare a botte, per uno come lui abituato alle risse, non rappresentava un problema, nemmeno se si trattava di vedersela con più persone insieme. Un paio erano finiti in infermeria, uno aveva perso tutti i denti e un altro si era ritrovato con un trauma cranico. Alla fine era stato anche un utile sfogo per la rabbia che aveva covato nei primi giorni.

 

E come succedeva sempre, quando non riuscivi a mettere i piedi in testa a qualcuno, dovevi fartelo amico. Con sommo fastidio, William aveva dovuto sopportare anche i tentativi di “stringere amicizia” degli altri detenuti, falsi esattamente come tutte le persone che aveva conosciuto in tutta la sua vita.

 

In diversi gli avevano chiesto di Irina, di chi fosse, e soprattutto come fosse fatta, ma lui non era mai stato troppo eloquente sull’argomento. Quando aveva scoperto che tra i suoi compagni di carcere girava una sua foto, quella che ora lui teneva appesa al muro, era andato su tutte le furie: aveva rotto il naso a quell’idiota di Daniel che si vantava di averla trovata, e le guardie avevano dovuto prenderlo di forza per evitare che lo ammazzasse per davvero. Se c’era qualcosa che detestava con tutto stesso era che qualche detenuto potesse avere fantasie su di lei.

 

Anche se Irina aveva contribuito a mandarlo in carcere, anche se rappresentava il suo errore più grande, anche se lo aveva odiato fino a tentare di ucciderlo, lui continuava a essere ossessionato da lei.

 

Avrebbe dovuto dimenticarla, lo sapeva; avrebbe dovuto rimuoverla completamente dalla sua testa, ma non ci riusciva. Soprattutto ora che Irina era libera, era felice, e stava con quello sbirro di Went. Sua e solamente sua.

 

Ogni giorno, dentro quella cella che assomigliava tanto a un buco, solo, a patire quello che avevano previsto per lui, si era chiesto cosa avrebbe fatto quando fosse uscito fuori di lì, cosa le avrebbe detto quando l’avrebbe trovata, e soprattutto cosa avrebbe provato avendola di nuovo davanti.

 

Se la gente credeva che sarebbe rimasto chiuso in carcere per il resto dei suoi giorni, zitto e buono, si sbagliava di grosso. Sarebbe uscito, in un modo o nell’altro, legalmente o illegalmente, soprattutto perché la fuori c’era qualcuno che poteva farlo fuggire. Qualcuno che tardava a farsi vedere, ma che sapeva essere ancora libero e che un giorno si sarebbe fatto rivedere. Tramite lui avrebbe organizzato la sua fuga, con i soldi che insieme a suo padre aveva nascosto in caso di bisogno.

 

E una volta libero, l’avrebbe cercata. Irina poteva anche nascondersi, scappare, cercare rifugio dal suo caro sbirro dell’F.B.I., ma lui l’avrebbe ritrovata, a qualsiasi costo. Le avrebbe dimostrato che nemmeno le sbarre potevano fermarlo, nemmeno chiudendolo in quella cella buia e spoglia, nemmeno togliendogli tutto potevano piegarlo. Le avrebbe fatto vedere che allo Scorpione non si fugge, mai.

 

“Potrai anche stare con Went, adesso, ma rimani comunque ancora mia. E lo sai meglio di me”.

 

Lui l’aveva trovata, lui l’aveva portata nel suo giro, lui l’aveva “svezzata” trasformandola in Fenice, lui aveva avuto fiducia in lei. Lui l’aveva vista salire sulla sua Punto bianca e scalare la Black List, lui l’aveva scelta come la sua preferita, lui le aveva sempre dato qualsiasi cosa volesse. Lui si era innamorato di lei, a tal punto da decidere di essere quello che lei voleva, a tal punto di implorarle di fare finta di amarlo…

 

Non si era mai perdonato quel cedimento, quella caduta così stupida e disonorevole. L’aveva implorata, le aveva chiesto di dirle cosa voleva in cambio del suo amore, in cambio del suo cuore. E lei aveva chiesto la vita di Went.

 

Eppure sentiva che una come Irina era destinata a lui, che alla fine non si fossero incontrati per caso. Fenice era esattamente quello che lo Scorpione cercava, quello che inconsciamente aveva cercato per tutta la vita: la persona che era in grado di tenergli testa, di sbattergli in faccia quello che pensava di lui, che non era falsa, che non lo compiaceva solo per interessi. Irina era quello: era l’unica persona che durante quei due anni era stata vera con lui.

 

“Puoi essere solo mia, Fenice… E lo sarai, anche se questo vuol dire ucciderti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.30 – Casa di Xander

 

<< Hai comprato un abito da sposa da 7.000 dollari a Sally, con la carta di credito che ti avevo regalato? >> ripeté Xander, un sopracciglio inarcato, la forchetta sospesa a mezz’aria e gli occhi azzurri puntati su di lei. Nella cucina ampia e spaziosa si sentiva solo la voce del mezzobusto del telegiornale.

 

Irina li lasciò andare a una smorfia dispiaciuta, allontanando impercettibilmente la sedia dal tavolo. Il suo sguardo percorse le ante lucide della cucina, poi tornò a soffermarsi su Xander. Forse avrebbe dovuto prima chiedergli il permesso…

 

<< Ehm… Sì >> rispose, << Dai, le stava troppo bene… E poi non si è mai permessa niente di lussuoso… Cavolo, si deve sposare! >>.

 

Xander mandò giù il boccone con deliberata lentezza, distogliendo lo sguardo da lei, forse cercando di non farsi scappare una parolaccia. Irina cercò di scrutare la sua espressione, ma lui sembrava totalmente concentrato sulla sua bistecca.

 

<< Ti sei arrabbiato? >> domandò, titubante.

 

Xander alzò il volto e poi la guardò per un istante, serissimo. Alla fine però sorrise e le diede un buffetto sulla guancia.

 

<< No, non mi sono arrabbiato >> disse, e Irina tirò un sospiro di sollievo, << Solo vorrei che ogni tanto pensassi anche a te stessa… Te l’avevo data per comprarti qualcosa per te. Ma comunque, se ti fa piacere, va bene >>.

 

Irina gli schioccò un bacio sulle labbra e poi sorrise. No, non era mai stata capace di pensare solo a se stessa, e non voleva farlo. Sally si meritava quel regalo, e rinunciare a qualcosa per se stessa non era un prezzo troppo grande da pagare.

 

<< C’è altro che devo sapere? >> chiese Xander, spostando il piatto e fissando il televisore, dove trasmettevano le immagini della Casa Bianca e del Presidente degli Stati Uniti.

 

<< Ho chiesto a Sally se mi lascia Tommy, quando lei e Dominic andranno in viaggio di nozze >> disse Irina, portando in tavola il cesto della frutta.

 

L’espressione di Xander mutò nel giro di un nanosecondo: per un istante sembrò che gli avesse parlato in giapponese. Irina però non si stupì della sua reazione: sapeva benissimo a cosa era dovuta.

 

Se Irina adorava i bambini, e naturalmente suo nipote era al primo posto, Xander non era dello stesso identico parere. Aveva sempre dimostrato una certa insofferenza verso i ragazzini al di sotto dei dieci anni, soprattutto quando distoglievano l’attenzione di Irina da lui, e se poteva cercava di evitarli. Non che odiasse Tommy, certo che no, solo che alla prospettiva di averlo in giro per casa per diversi giorni non lo rendeva proprio felice: Irina non sarebbe stata sempre tutta sua, e sapeva quanto suo nipote certe volte fosse inopportuno.

 

<< Dai, non fare così >> disse Irina, trattenendosi dal ridere di fronte alla sua faccia, << Non ti darà fastidio… Staremo a casa mia >>.

 

<< No, non è per quello… >> disse Xander, poco convinto, cercando il telecomando della tv, << Vabbè, lasciamo perdere. Venite qui da me, così fai felice pure Nichole… >>.

 

Irina gli schioccò un altro bacio sulle labbra, riconoscente. Era uno sforzo enorme, per lui.

 

<< Grazie. Ti amo >> sussurrò.

 

<< Anche io >> disse Xander, << Forse pure troppo… Ti lascio sempre fare quello che vuoi >>.

 

Irina sorrise e guardò l’orologio.

 

<< Lavo i piatti e poi torno a casa >> disse, << Domani ho lezione… Non venirmi a prendere per spaventare la gente, eh >>.

 

<< Ok… >> borbottò Xander, alzandosi e porgendole i piatti, << Mettili nella lavastoviglie, no? Ci penso io a toglierli, dopo >>.

 

Irina gli gettò un’occhiata. Su quello aveva qualche dubbio: se Xander aveva una domestica, una spiegazione c’era. Aveva una totale avversione per ogni faccenda di casa, soprattutto se si trattava di qualcosa che aveva a che fare con la cucina. Fece come lui aveva detto, ma solo perché sapeva che la mattina seguente ci sarebbe stata Nichole a mettere tutto a posto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.30 – San Francisco, Sede F.B.I.

 

<< Voleva vedermi, Vicepresidente? >>.

 

Xander varcò la soglia dell’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Howard McDonall, il Vicepresidente dell’F.B.I. americana, sedeva dietro alla sua bella scrivania di legno scuro, sfogliando un fascicolo rilegato in un cartoncino marrone. Le grandi finestre che davano sul parcheggio interno facevano filtrare la luce fioca di quel giorno uggioso di novembre, lasciando nella penombra il volto segnato dell’uomo. Alzò lo sguardo e sorrise.

 

<< Buongiorno, agente Went >> disse cordiale, << Venga, venga. Si sieda pure… Sono contento di rivederla, soprattutto dopo l’ultimo successo a New York. Ho ricevuto il suo rapporto. Sono molto contento di come ha sistemato la storia >>.

 

Xander sorrise compiaciuto, accomodandosi sulla sedia davanti alla scrivania. << Non è stato facile, ma me la sono cavata >> disse.

 

McDonall mise da parte il fascicolo e lo guardò con espressione quasi paterna. << Immagino abbia intenzione di prendersi qualche giorno di vacanza, vero? >> domandò.

 

<< Sono stato via un mese e mezzo, vorrei passare un po’ di tempo a casa >> rispose Xander, << Oltretutto, tra qualche settimana il fratello di Irina si sposa, e devo essere presente alla cerimonia >>. Non che fosse entusiasta, visto che Todd e il resto della sua famiglia continuavano a essergli poco simpatici, ma non andare sarebbe risultato inopportuno.

 

McDonall sorrise. << Capisco… Come sta Irina, tra l’altro? >> chiese, interessato << E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che l’ho vista >>.

 

<< Bene, anche se non è proprio contentissima del fatto che continui a rimanere a Los Angeles a mesi alterni… >> rispose Xander, << Per questo vorrei passare un po’ di tempo con lei >>.

 

McDonall si sedette più comodamente sulla sedia. << D’accordo, permesso accordato, per il momento >> disse, << Non era di questo che volevo parlare, però >>.

 

Xander drizzò le orecchie alla frase “per il momento”. Qualcosa gli diede l’impressione che anche questa volta le sue vacanze sarebbero andate a farsi benedire. << E sarebbe? >>.

 

McDonall tirò fuori un altro fascicolo dal cassetto della scrivania, questa volta rilegato in cartoncino nero. Assunse una strana espressione, glielo passò e Xander lo prese.

 

<< Abbiamo avuto contatti con i servizi segreti russi >> spiegò McDonall, << Ci hanno chiesto una mano per risolvere una questione piuttosto spinosa >>.

 

<< Di che si tratta? >> chiese Xander, sfogliando il fascicolo: dentro c’erano alcune foto e diverse schede che raccoglievano informazioni riguardo a una serie di bande che agivano nei pressi di Mosca e di San Pietroburgo.

 

<< Spaccio di droga, gare clandestine, furti di auto di lusso, cose del genere >> disse McDonall, << Niente che non sia nuovo… Sembra però che si siano anche immischiati negli affari di governo >>.

 

Xander smise di sfogliare il fascicolo, e si ritrovò davanti la foto di un volto che conosceva bene. Barba scura, espressione strafottente e dente d’oro in bella vista. Boris Goryalef, il russo che aveva conosciuto più di due anni prima a Las Vegas, e contro cui aveva corso in una gara.

 

<< Ma questo… >> mormorò, prendendo la foto e avvicinandola per esaminarla meglio.

 

<< Sì, è Goryalef >> concluse McDonall, << Pare sia invischiato in questa storia. Il governo russo ci ha chiesto di occuparcene >>.

 

<< Ma non possono pensarci loro? >> chiese Xander, sfogliando le pagine alla ricerca di ulteriori informazioni.

 

<< Ci hanno provato, ma non sono riusciti a infiltrare nessuno >> rispose McDonall, guardando il fascicolo, << I servizi segreti sanno che abbiamo avuto successo due anni fa con Challagher, e pare che la situazione sia molto simile, se non addirittura peggiore… Ci hanno chiesto una mano, nella speranza di riuscire ad arrestarli >>.

 

Xander finì di sfogliare rapidamente il fascicolo, poi alzò lo sguardo sul Vicepresidente. Era chiaro che il candidato per quella missione era lui, visto che era stato lui a occuparsi dello Scorpione.

 

<< Devo andare io >> disse, sapendo di aver colto nel segno.

 

<< No >> rispose McDonall, con uno strano tono di voce, << No, non andrà lei >>.

 

Xander rimase interdetto. << Perché? >>.

 

<< Goryalef la conosce, e anche a Mosca sanno che è invischiato nell’arresto di Challagher >> spiegò McDonall, << Non può infiltrarsi tra di loro, se la conoscono e sospettano che lavori per la polizia o per noi >>.

 

<< Allora chi dobbiamo mandare? Se non posso andarci io… >> iniziò Xander, cercando di capire bene la faccenda.

 

McDonall lo interruppe. << Aspetti. Non intendevo dire questo. Ciò che voglio dire è che lei non può sicuramente infiltrarsi nel giro di Goryalef, ma può comunque fare la sua parte. Dobbiamo trovare qualcuno da mandare a Mosca per scoprire come si muovono >>.

 

<< Allora io cosa c’entro, se non posso andare? >> domandò Xander.

 

<< Deve aiutarmi a trovare qualcuno che abbia i requisiti necessari per riuscire a entrare nel loro giro >> disse McDonall, << Non accettano nessuno che non conoscono, e da quel punto di vista sono ancora più chiusi della Black List e di Challagher. Per avere anche solo a che fare con loro bisogna avere un aggancio, di cui si fidano almeno un minimo… Dobbiamo trovare qualcuno che sia bravo con le auto e sappia muoversi senza destare troppi sospetti >>.

 

Xander strinse il fascicolo: c’era qualcosa in tutta quella storia che non gli piaceva.

 

<< Mi spieghi come dovremmo procedere >> disse.

 

McDonall tirò fuori un foglio con una lista di nomi. << Lei si potrà occuparsi del gruppo che sta a San Pietroburgo, che smercia droga e auto rubate provenienti dall’Europa… E’ gente rude, di cui persino la polizia ha paura, con metodi non proprio gentili. Non sappiamo altro, per il momento. L’altro nostro agente si occuperà di Mosca, e dovrà scoprire chi sono i membri del governo che stanno dalla parte di Goryalef, oltre che scoprire i loro traffici. I gruppi sono comunque tutti collegati tra loro, perché rispondono a un unico capo >>.

 

<< Chi è? >> chiese Xander.

 

<< Non lo sappiamo. Nessuno lo sa, a dir la verità >> rispose McDonall, << Potrebbe anche trattarsi di un gruppo di persone. Chi lo ha visto non è mai sopravvissuto per poterlo raccontare… Si è costruito una rete di intermediari che lo coprono e con i quali conduce i suoi, o i loro, affari. In questo modo nessuno entra mai direttamente in contatto con lui, e si può garantire una certa copertura >>.

 

<< Quindi l’altro agente dovrebbe scoprire di chi si tratta >> concluse Xander. << Trovare il loro capo e minarli dall’interno >>.

 

<< Esatto >>.

 

Era una missione pericolosa, difficile, fatta di gare clandestine… Perfetta per lui. Peccato che Goryalef lo conoscesse, altrimenti quella sarebbe stata pane per i suoi denti.

 

<< Non sarà facile trovare qualcuno che possa andare… >> mormorò, << Se è questa missione è davvero a livello di quella di Challagher, non sarà semplice >>.

 

Non avrebbe fatto lo stesso errore che aveva commesso quando era arrivato a Los Angeles, cioè quello di sottovalutare la cosa. Aveva creduto che la storia dello Scorpione fosse una passeggiata, ma si era sbagliato di grosso. Per le sue leggerezze, Irina ci aveva quasi rimesso la pelle… Chi sarebbe andato non doveva essere uno sprovveduto.

 

<< Dove lo troviamo qualcuno che sia in grado di non destare troppi sospetti… >> borbottò, << Che abbia un aggancio… >>.

 

Guardò McDonall, cercando di spremersi il cervello. A dir la verità, però, non stava cercando la persona da mandare a Mosca… Stava cercando un modo per andare lui, a Mosca. Credeva di essere l’unico abbastanza preparato e motivato per andare. Aveva ancora una pacca sul sedere di Irina da vendicare…

 

<< Agente Went, credo che dovremo avvalerci di una nuova leva >> disse McDonall all’improvviso, scrutandolo negli occhi.

 

Xander lo guardò, quasi aspettandosi che da un momento all’altro qualcuno varcasse l’ufficio, presentandosi come il suo nuovo sostituto. Fissò il Vicepresidente per un istante, in attesa, il sopracciglio inarcato, curioso di sapere chi si trattava, visto che McDonall sembrava avere le idee chiare.

 

Quando vide che il silenzio si prolungava, quasi il Vicepresidente volesse aumentare la sua curiosità, chiese: << E chi sarebbe? >>.

 

<< Esiste qualcuno che ha questi requisiti, ma non è uno dei nostri agenti >> spiegò calmo McDonall, e per un momento i suoi occhi si abbassarono. << Ha la giusta esperienza in fatto di gare clandestine, e saprebbe esattamente come muoversi e come agire… Non desterebbe nemmeno troppa attenzione >>.

 

Xander rimase di sasso. Spalancò la bocca senza riuscire a emettere alcun suono, fissando il suo capo con il cervello che lavorava a mille.

 

Serviva qualcuno che conosceva il modo di agire dei piloti clandestini, che sapeva come agivano, e che godeva di una certa fama anche in Russia per poter entrare senza troppi problemi nel loro giro…

 

E Xander sapeva a chi si stava riferendo, a chi corrispondeva quella descrizione.

 

Irina.

 

<< No >> sbottò, << No, non se ne parla nemmeno. Non manderò la mia ragazza laggiù solo per far arrestare un gruppo di trafficanti… Se lo tolga dalla testa >>.

 

Era un colpo basso che non si era aspettato da McDonall. Chiedergli una cosa del genere equivaleva a chiedergli di uccidere un’innocente. E poi non era nemmeno un’agente dell’F.B.I., e neanche una poliziotta… Cosa centrava lei?

 

<< Irina è perfetta >> disse il Vicepresidente, calmo, << Goryalef la conosce, non si insospettirà quando la vedrà arrivare. Oltretutto è una ragazza, nessuno penserà che lavora per noi… La considereranno troppo inoffensiva per dare qualche problema, potrà… >>.

 

<< No! >> ripetè Xander, arrabbiato, << Non mi interessa, e non ha alcun senso. Non ci penso proprio a mandare Irina in Russia… Non ha esperienza, non saprebbe cosa fare. E poi non voglio certo che rischi la vita >>.

 

Fissò McDonall per fargli capire che la questione era chiusa. Poteva anche dirgli che Irina era l’unica persona sulla faccia della terra a poter andare laggiù, ma non gliene fregava nulla. Non l’avrebbe mandata a farsi ammazzare.

 

Il Vicepresidente trasse un sospiro, poi incrociò le braccia.

 

<< Immaginavo avesse una reazione del genere… >> commentò tranquillamente, << Non posso costringere nessuno a fare qualcosa che non vuole, ma ci troviamo in una situazione in cui Irina sembra l’unica adatta a questa cosa… >>.

 

<< Cosa dovrebbe fare, eh? >> lo interruppe Xander, nervoso, << Andare lì e mischiarsi tra loro nella speranza che nessuno la noti? Lo ha già fatto una volta… L’hanno violentata e per poco non rimaneva uccisa! Ha chiuso con le corse clandestine, e non ci tornerà mai più. Non ho preso Challagher per vederla tornare tra loro! >>.

 

Per la prima volta McDonall lo stava facendo arrabbiare sul serio. Non avrebbe cambiato idea, nemmeno per sogno: non avrebbe messo in pericolo Irina solo perché non c’era nessuno più adatto di lei ad andare in Russia. Sicuramente qualcuno di più preparato c’era.

 

<< Non sto dicendo che deve andare, sto solo dicendo che Irina potrebbe essere una delle alternative… >> disse McDonall, il tono più accondiscente, forse sperando di riuscire a convincerlo.

 

<< Allora la scarti pure >> disse Xander, << Piuttosto vado io, ma lei non si muove da qui >>.

 

<< Dovremmo parlarne anche con Irina, non crede? >> chiese McDonall, serio, << Questo è il suo punto di vista, ma lei potrebbe pensarla diversamente… >>.

 

Xander spalancò gli occhi. No, Irina non avrebbe mai accettato. Aveva sempre odiato il mondo di cui aveva fatto parte, e di sicuro non ci sarebbe mai voluta tornare. Per di più, rischiare la vita non era certo un incentivo a fare la pilota clandestina… Non voleva tornare a esserlo…

 

Oppure no?

 

<< Non è necessario che lo sappia >> disse, gelido, << Non ha la preparazione adatta, è troppo giovane e non sono disposto a mandarla laggiù. Troviamo qualcun altro >>.

 

<< E se non ci riuscissimo? >> ipotizzò McDonall. Appoggiò le mani alla scrivania, come per apparire più convincente.

 

<< Ci andrò io >> ribatté Xander, e con quello aveva chiuso il discorso.

 

<< D’accordo >> disse il Vicepresidente, avvicinando la sedia, << Cercheremo qualcun altro. Abbiamo ancora tre settimane di tempo, poi dovremo mandare un’agente >>.

 

In tre settimane Xander era sicuro di poter trovare sicuramente qualcuno: aveva solo bisogno di una persona che fosse brava al volante, avesse dimestichezza con il mondo delle corse clandestine e fosse disposta a rischiare la vita per una missione come quella… Non esisteva solo Irina, con quei requisiti.

 

<< I servizi segreti russi ci forniranno un appoggio? >> chiese. Cercò di controllare la voce, ma lo sapeva che dal suo tono traspariva ancora molto nervosismo.

 

<< Sì, forse sarete anche affiancati da qualche loro agente >> rispose McDonall, << Questo è un punto su cui dobbiamo accordarci… Verrà il capo dei servizi segreti russi qui, tra un paio di settimane: studieremo meglio la strategia in quell’occasione >>.

 

Xander fece per alzarsi. << Bene. Le troverò la persona adatta >> disse.

 

<< Agente… >> lo chiamò McDonall, e Xander si bloccò sulla porta, << Pensi a quello di cui abbiamo discusso… Lo so che è una proposta inconcepibile per lei, ma non gliela farei se non fossi convinto di ciò che dico. Perlomeno ne parli con Irina >>.

 

Xander guardò il Vicepresidente, con un miscuglio di rabbia e di comprensione. McDonall era uno di cui si era sempre fidato, a cui portava rispetto non solo perché era il membro più importante dell’F.B.I., ma anche perché lo considerava una persona in gamba e dall’indiscussa intelligenza. Sapeva che non gli avrebbe mai chiesto una cosa del genere, ne non fosse stata necessaria, ma questa volta proprio non avrebbe sentito ragioni. Irina era l’unica cosa veramente degna di importanza, nella sua vita, e dopo tutto ciò che era successo non avrebbe permesso che la normalità che si era riguadagnata le venisse tolta.

 

<< No >> ribatté, << Meno sa di questa storia, meglio è >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Ti rendi conto? >> disse Xander, sorseggiando il suo caffè con aria irosa, seduto davanti alla scrivania dell’ufficio di Jess Stone, l’informatico suo migliore amico, << McDonall mi ha chiesto di mandare Irina in Russia… Pensava veramente che la lasciassi andare? >>.

 

Jess mise da parte il portatile e lo guardò, l’espressione seria e divertita al tempo stesso. Negli ultimi due anni aveva preso qualche chilo, merito della cucina di Jenny, e il suo viso appariva ancora più buffo.

 

<< Non ti sembra di essere iper-protettivo? >> chiese, << In questo caso ti capisco, ma mi pare che tu sia un po’ troppo possessivo, nei suoi confronti. Non le hai nemmeno chiesto cosa pensa… >>.

 

Xander accettò il commento solo perché si trattava del suo migliore amico, ma si sentì comunque punto sul vivo. Possessivo lui? Ma se le lasciava sempre fare quello che voleva…

 

, forse pensandoci bene, ogni tanto aveva il vizio di mettersi al suo posto quando era ora di prendere qualche decisione… Però non si era mai lamentata… Lo faceva per lei, per evitare che si cacciasse nei guai… Irina si fidava dei suoi giudizi, perché lo riteneva più esperto di lei…

 

<< Non fa parte dell’F.B.I. >> disse seccato, << Non centra niente… Perché dobbiamo metterla in mezzo? Non si tratta di mandarla per farle fare un giro turistico… Si rischia la vita, lo sai quanto me >>.

 

Jess diventò serio. << Se McDonall te lo ha proposto, significa che evidentemente non ha trovato alternativa migliore >> disse, << Non è uno che fa le cose tanto per farle. Quando è stata ora di lasciarti campo libero per arrestare Challagher, lo ha fatto. Non te lo avrebbe proposto se non ci fossero state altre persone adatte, non credi? >>.

 

Xander tacque. Si era sempre fidato di McDonall, perché il Vicepresidente gli aveva sempre dato fiducia. Nonostante una volta avesse persino insultato un suo superiore, la peggior punizione che gli aveva inflitto era stato far finta di essere finito fuori dall’F.B.I., per poi lasciargli fare quello che aveva in mente, consentendogli persino scavalcare la sua stessa autorità.

 

Sapeva che mandare Irina doveva essere la migliore cosa che si potesse fare in quel momento, ma quando si trattava di lei diventava tremendamente egoista. Finché si trattava di lasciarla a Los Angeles, lontana da lui ma pur sempre al sicuro, era un conto, ma spedirla in Russia era tutta un’altra cosa.

 

<< Non voglio che rischi la vita >> disse lentamente, << Lo ha già fatto una volta, e sappiamo tutti com’è finita… Perché costringerla a tornare a fare la pilota clandestina, quando l’unica cosa che voleva era tornare a essere una ragazza normale? No, non sarò io a proporle una cosa del genere, né nessun altro >>.

 

Jess sorrise. << Allora perché te la prendi così tanto? >> disse, << Se sei sicuro che Irina non accetterà, perché non ne parli con lei? Magari potrebbe darti una mano per sbrogliare la situazione… >>.

 

Anche questa volta Jess aveva intuito qual’era il suo problema, e gli aveva messo davanti la questione.

 

<< Perché non sono sicuro che risponderebbe di no >> disse Xander, sconfortato, << Lo so com’è fatta, e non è in grado di pensare a se stessa. Potrebbe anche accettare per senso del dovere: se dovessero dirle che è l’unica che può andare lì, direbbe di sì, ne sono sicuro >>.

 

In realtà, non era quella la verità. Non era sicuro che Irina non avrebbe accettato per un altro motivo: nonostante avesse chiuso con le corse clandestine, aveva voluto tenere la Grande Punto, e non aveva smesso di usarla, anche se lo aveva fatto saltuariamente. E non aveva nemmeno smesso di amare le gare: quante volte erano andati a provare qualche macchina in un circuito privato? Quante volte l’aveva vista sospirare davanti alla Punto bianca parcheggiata nel suo garage, ferma, eppure sempre così pronta a correre? Perché comportarsi in quel modo, se davvero non voleva più fare parte di quel mondo?

 

Forse, se gareggiare nelle corse clandestine non fosse stato contro la legge, e soprattutto se le gare clandestine ci fossero ancora state a Los Angeles, Irina ci sarebbe andata. Tante volte si era chiesto se per caso Irina desiderasse correre ancora, ma non aveva mai avuto il coraggio di domandarglielo. E se si fosse sentito rispondere che le manca un po’, quel mondo, come avrebbe reagito?

 

Era stato lui a trovarla, imprigionata tra le sbarre di quel bastardo di Challagher, e lui l’aveva vista sperare di poter chiudere veramente con quella vita… Lui l’aveva tirata fuori da lì, con l’anima lacerata e il cuore a pezzi, e lui l’aveva aiutata a ritornare quella di prima… E se si fosse reso conto che Irina si era pentita? Se avesse capito che lei voleva ancora continuare a essere Fenice? Challagher non c’era più, avrebbe potuto correre per il piacere di farlo…

 

Se Irina voleva davvero tornare a essere quello che era stata, allora c’era il rischio che le loro strade si separassero… Significava che si era pentita del suo aiuto, che se non fosse stato per la presenza di Challagher, lei sarebbe rimasta volentieri una pilota clandestina… Significava che fino a quel momento aveva mentito, e che magari era stata con lui solo per il senso di gratitudine…

 

Xander scosse il capo per scacciare quel pensiero, dandosi dello stupido. No, Irina non sarebbe stata in grado di essere così falsa, e sicuramente non voleva tornare a essere una pilota clandestina. E le loro strade non si sarebbero mai potute separare, nemmeno di fronte a quell’alternativa.

 

Ma in ogni caso era meglio che non sapesse niente di quella storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Casa

 

Irina infilò tutto il bucato nella lavatrice, cercando di chiudere lo sportello che non voleva saperne di andare al suo posto, e poi scese di sotto, dove suo padre stava guardando alla tv un programma che parlava di cucina.

 

<< Uhm, questo deve essere buono… >> stava dicendo, segnando su un blocchetto gli ingredienti per quella che doveva essere una sorta di zuppa di verdure con crostini, << Allora, carote, cipolla… >>.

 

Irina si avvicinò e sbirciò sul foglio, sorridendo. Era assurdo come fossero cambiate le cose, da due anni a quella parte, compreso il fatto che suo padre avesse scoperto di essere davvero bravo in cucina, tanto da andare addirittura a lavorare come cuoco in un ristorante. A cinquant’anni passati di ritrovava a scoprire finalmente in cosa era portato, ma meglio tardi che mai.

 

A un certo punto sbucò dal corridoio Dennis, uno dei suo fratelli, che si lanciò direttamente sul divano senza troppi complimenti.

 

<< Ancora programmi di cucina? >> sbottò, cercando di impossessarsi del telecomando, << Basta, non ne posso più… >>.

 

<< Aspetta, che devo finire di segnarmi gli ingredienti! >> gridò suo padre, strappandogli di mano il telecomando.

 

Irina si mise a ridere davanti alla scena, mentre Dennis borbottava qualcosa a proposito di diventare dei ciccioni, e Todd scriveva convulsamente sul suo blocchetto degli appunti. Avrebbe dovuto farci l’abitudine, ma tutte le volte che vedeva quanto i rapporti tra tutti loro fossero migliorati, le veniva sempre da sorridere. Dennis aveva persino diminuito il numero di parolacce che pronunciava mentre era in casa, il che era davvero un miracolo.

 

Il campanello suonò all’improvviso, e guardò l’orologio. Doveva essere Xander, perché gli aveva promesso che lo avrebbe accompagnato a prendere l’abito da cerimonia per il matrimonio di Sally. Raccolse la borsa e salutò tutti quanti.

 

<< Ci vediamo stasera a cena, papà >> disse, salutandolo con la mano, << Mi raccomando, mi aspetto quella zuppa, eh? Vediamo se è davvero buona come sembra >>.

 

<< Ciao tesoro. Non fare troppo tardi >>, disse Todd, la lingua tra i denti, mentre scriveva il procedimento della ricetta sul foglio e Dennis borbottava come una pentola di fagioli di fianco a lui.

 

Xander la aspettava davanti a casa, questa volta con la BMW M3 per non essere eccessivamente “vistosi”, e gli corse incontro sotto il tenue sole autunnale, che faceva scintillare la vernice bianca della macchina.

 

<< Ciao piccola >> la salutò lui, << Andiamo? >>.

 

Irina montò in auto, per poi stampargli un bacio sulle labbra. << Ciao… Sei andato a San Francisco, stamattina? >>.

 

<< Sì, ho anche visto Jess >> rispose Xander, ma qualcosa nel suo tono le fece capire che era più serio del solito. E in macchina c’era odore di sigaretta, riusciva a sentirlo, il che voleva dire che aveva fumato.

 

E lui fumava solo quando era nervoso.

 

<< Tutto bene? >> chiese, cercando di non dare a vedere che si era accorta della cosa. Con la coda dell’occhio lo guardò girare il volante, gli occhi puntati sulla strada.

 

<< Sì, tutto a posto… >> rispose Xander, avviandosi verso il centro città, << Mi prendo qualche giorno di vacanza, così lo passiamo insieme. Poi devo occuparmi di un nuovo incarico… >>.

 

Ecco forse da dove arrivava il problema che lo rendeva ombroso, anche se di solito non si comportava così al pensiero di una nuova missione.

 

<< No, di già? >> disse Irina, dispiaciuta, << Ma sei appena tornato… Ti mandano di nuovo via? >>.

 

Xander fermò la BMW al semaforo e sorrise, voltando la testa verso di lei. << Non vado già via >> disse, << Devo solo trovare la persona giusta che venga con me… La missione è programmata fra tre settimane, se non di più. Abbiamo ancora un po’ di tempo da passare insieme… Nemmeno io voglio già andarmene >>.

 

<< Dove vogliono mandarti? >> chiese Irina, sentendo già l’ansia crescere, al pensiero di vederlo di nuovo partire. Anche se mancavano ancora un po’ di settimane, sapere che se ne doveva andare non era per niente piacevole.

 

<< In Russia >> rispose atono Xander.

 

Ecco perché sembrava strano. La Russia era lontana, e di sicuro non era un posto tanto “tranquillo”. Doveva essere qualcosa di molto pericoloso e importante, anche perché se no non avrebbero scelto lui.

 

<< Ma non possono mandare qualcun altro? >> domandò Irina, spaventata.

 

Xander fece un sorriso amaro. << No, non questa volta >> rispose lui, << E’ qualcosa di davvero grosso, sembra. Non credo ci sia qualcuno di adatto, oltre a me… >>.

 

Si interruppe, e Irina lo guardò, concentrato, stringere il volante con aria nervosa. Aveva le sopracciglia aggrottate, come ogni volta che c’era qualcosa che lo preoccupava. Questa volta non era entusiasta della nuova missione, diversamente dalle altre volte.

 

<< Ma non sei obbligato ad andarci! >> protestò lei, vedendolo strano, << Ti sbattono sempre di qua e di là, per una volta puoi anche dirgli di no! >>.

 

Xander fece una smorfia. << Non è quello… >> borbottò, << E’ che… Non importa, piccola, lasciamo stare. Voglio solo che queste tre settimane passino molto lentamente… >>.

 

Irina gli strinse la mano appoggiata sul cambio, sentendo le sue dita sotto le sue. Era dura vederlo partire, saperlo lontano e in pericolo, e non era certa di poterlo sopportare ancora… Ma sapeva anche che Xander amava il suo lavoro, amava partire sprezzante del pericolo e amava la sensazione che provava quando andava in missione. In due anni lo aveva capito, e non gli aveva mai impedito di fare quello che voleva: si fidava ciecamente di lui, e sapeva che sarebbe sempre tornato. Ma la Russia era lontana…

 

<< Non ci pensare >> disse lui sorridendo, << Andiamo a prendere questo maledetto vestito… E non mi convincerai a comprarlo grigio, intesi? >>.

 

Irina sorrise, ma non era proprio felice. Avrebbe rinunciato a tutto, pur di evitare che partisse di nuovo, anche a farlo vestire di grigio che gli donava tantissimo… Ma sapeva com’era fatto Xander: non si sarebbe tirato indietro,perché non era proprio capace di farlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, ecco il ritorno del nostro Scorpione… Come vi è sembrato? E’ rimasto lo stesso, in effetti, o almeno così sembra. Ciò che credo sia più importante sottolineare è il fatto che continua a pensare a Irina, ed è palesemente confuso (anche se lui non lo ammetterebbe mai): la odia perché si è innamorata di Xander, ma non riesce a rassegnarsi; vuole vendetta, ma la considera ancora sua. Dice di volerla uccidere, ma non ne sembra ancora convinto. Ditemi le vostre impressioni.

E poi, la rivelazione di McDonall: vorrebbe mandare Irina in Russia, e farla tornare una pilota clandestina… Ora si capisce da dove arriva il titolo, almeno in parte. Chissà come ci arriverà, visto che Xander non sembra proprio disposto a farla muovere da Los Angeles.

Ditemi cosa ne pensate di questa faccenda, ma soprattutto se vi è piaciuto il ritorno di William. Per quello di Dimitri dovrete aspettare ancora qualche capitolo.

 

 

 

Mi scuso con tutti voi, ma non ho proprio la forza fisica di rispondere a tutte le recensioni, ma sono strafelice che abbiate commentato e vi prego di continuare a farlo. Questa settimana è stata orribile, anche perché intere giornate passate in facoltà e litigi fra “amiche” con amiche di vecchia data che hanno la testa più dura del marmo credo che sfinirebbero chiunque…

 

Ora, ho deciso che aggiornerò tutti i venerdì sera, salvo diverso avviso. Vorrei farlo di mattina o nel primo pomeriggio, ma indovinate dove sono? In facoltà. Ma che bravi, ci avete visto giusto! Quindi, a venerdì prossimo, miei amati lettori!

 

Lhea

 

 

 

 

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Lhea