I see nothing in your
eyes, and the more I see the less I like.
Is it over yet? I can’t
win.
So sacrifice yourself,
and let me have what’s left.
I know that I can find
the fire in your eyes
I’m going all the way,
get away, please.
You take the breath
right out of me.
You left a hole where
my heart should be.
You got to fight just
to make it through,
‘cause
I will be the death of you.
I’m waiting, I’m
praying, realize, start hating.
(Breathe, Breaking
Benjamin)
La stanza è buia, silenziosa.
Dalla finestra socchiusa entra
l’aria della sera. Una brezza sottile anima la tenda, un lembo di stoffa ti
sfiora il viso. Non l’allontani, non ti disturba. Niente può più farlo.
Mi avvicino con passo lieve, quasi
furtivo, ma i tempi in cui le mie improvvise apparizioni ti sorprendevano sono
finiti: io non posseggo più un simile potere e tu...
“Ciao Dean” annuncio finalmente,
sedendomi al tuo fianco.
I tuoi occhi restano lontani,
distanti. Vorrei illudermi che si siano persi nella magnificenza dei marroni e
dei rossi autunnali, ma neppure prima sarebbe accaduto: le corte uniformi delle
infermiere avrebbero senza dubbio catalizzato tutta la tua attenzione,
lasciando poco spazio al resto.
Sorrido, a modo tuo sei sempre
stato bravo a trovare bellezza nelle piccole cose, fossero esse ragazze
graziose e disponibili o il disgustoso menù di una tavola calda. Ed è proprio
in una di queste che si è tenuta la nostra ultima conversazione.
“Te la ricordi?” domando retorico,
sfiorandoti le dita. Sono immobili, gelide. Le stringo fra le mie, cercando di
comunicarti parte del loro calore; le osservo con rabbia, maledicendo
silenziosamente l’immacolato candore della tua pelle. Queste non sono, non
possono essere le tue mani! Dove sono il grasso della tua auto e l’olio delle
tue pistole? La terra dei cimiteri e lo zolfo dei demoni? Il sangue delle
creature cacciate ed uccise, il ketchup e le salse di quell’ultimo
cheeseburger?
L’avevi divorato con avidità,
gustandolo fino all'ultimo boccone, per poi ordinarne immediatamente altri due.
“È la tua ultima cena, tesoro?”
aveva commentato una cameriera di mezza età, prendendo nota delle tue
richieste.
“Beh, tesoro, non si può mai
dire” avevi risposto, sorridente. “Dopotutto, credo che un’indigestione sia
l’ultimo dei miei problemi al momento” avevi aggiunto, una volta rimasti soli.
“Già” avevo commentato, asciutto.
“Uao, stai rendendo il mio addio
al celibato un vero spasso, Cas.”
“Addio al celibato? Questo
renderebbe Michael la tua sposa, Dean? Mi chiedo cosa faccia di me...”
“Ehi, non
rendiamola una cosa perversa. E lascia perdere il sarcasmo, non ti si
addice. Tu ovviamente sei il testimone dello sposo” avevi
concluso con un ghigno, alzando la tua birra verso di me. “Sei l’unico a
cui possa chiederlo” avevi aggiunto a mo’ di scusa.
Una furia gelida mi aveva invaso
a quelle parole: non potevi chiedere aiuto a Sam, ma
quell’idiota del tuo angelo doveva sostenerti mentre programmavi il suicidio...
Che importa se avevo tradito i miei fratelli solo per salvarti?
“Non sai cosa
stai chiedendo, Dean: Michael è assoluto, terribile. Non
resterà nulla di te” avevo cominciato, ragionevole.
“E se non lo faccio, non resterà
nulla del mondo!” avevi ribattuto, deciso.
“Dio non resterà a guardare
mentre...”
“Perché, finora che ha fatto?”
avevi domandato senza alcuna traccia di ostilità. Rassegnato.
Questo più di ogni altra cosa mi
aveva convinto a tacere:
avevi preso la tua decisione.
Ti eri alzato, riversando sul
tavolo l’intero contenuto del tuo portafogli. Niente di eccezionale, ma quasi
sicuramente la mancia più lauta mai lasciata qui dentro.
“Dean...”
avevo mormorato, colpito.
Avevi fatto
spallucce, minimizzando il gesto: “Serviranno di certo più a lei. Non
credo che Michael avrà il
tempo di darsi allo shopping, e poi ho deciso di accordarmi con lui, prima:
niente tunichette.”
Il sorriso ti aveva abbandonato
solo nel parcheggio.
“Vuoi farlo qui?” avevo chiesto,
guardandomi intorno.
“Un posto vale l’altro.” Una
pausa, poi: “Castiel, occupati di lui.”
Già, Sam.
“Te lo prometto” avevo
assicurato.
Avevo portato una mano alla
tasca, offrendoti il tuo amuleto. Avevi scosso la testa: “No,
continua la tua ricerca, Cas. E quando trovi Dio, digliene quattro da
parte mia...”
“Sai, quel giorno ho smesso di cercarlo”
dico, mettendo fine alla mia storia. “La mia fede era meno forte di quanto
credessi.”
* * *
Il sole filtra attraverso un
frusciante soffitto verde, creando sulla tua pelle intricati disegni di luci e
ombre. I suoi raggi sfiorano il tuo amuleto, ora nuovamente al suo posto. Non
merito di portarlo, ho fallito.
“Mi dispiace” mormoro, “non sono
riuscito a salvarlo.”
Resti impassibile, incurante.
Scuoto la testa, deluso. È stupido, probabilmente non senti neppure la mia
voce, eppure mi aspettavo una reazione: è di Sam che si parla!
“Non sei furioso, Dean?” provo
ancora una volta.
Prendo il tuo viso fra le mani,
costringendoti a guardarmi: “È colpa mia se ha detto sì” aggiungo, sperando di
abbattere il muro che ti imprigiona.
Niente. Rimani in silenzio, lo
sguardo fisso.
Suppongo di meritarmelo: mi avevi
chiesto di vegliare su tuo fratello ed io l’ho usato per i miei scopi. Sapevo
che Michael non avrebbe mai affrontato Lucifero fintanto quest’ultimo avesse
abitato un corpo così debole e provato. Chiamalo onore o lealtà, amore se
preferisci, ma Michael voleva che suo fratello avesse una chance. Io che tu
fossi libero.
Non era stato difficile
convincere Sam, ricordava sin troppo bene gli orrori della possessione:
l’essere intrappolato dentro la tua stessa carne, la sensazione di un corpo
estraneo che ti controlla e consuma, la fame, la sete… Non ti avrebbe lasciato
in quello stato, non conoscendo l’alternativa.
Sapeva di condannare entrambi a
morte certa, ma sperava che almeno per te dall’altra parte ci fosse qualcosa di
buono; credeva di meritare le fiamme dell’Inferno, ma non ha esitato un attimo
prima di sacrificarsi.
Quando Lucifero si era trovato
dinnanzi il suo vessel solo e collaborativo, deve aver pensato che il Natale
fosse arrivato in anticipo per lui, almeno fino a che Sam non aveva aperto
bocca.
“Saresti stato davvero fiero di
lui, Dean” dico, con un sorriso. “Quel giorno Lucifero avrà trovato il suo vero
tramite, ma per ottenerlo ha dovuto fare un vero e proprio bagno d’umiltà.”
Non l’avevo mai visto così
furioso, neppure quando Michael si era schierato contro di lui. Avrebbe ucciso
Sam, se avesse potuto, ma come tuo fratello gli aveva fatto notare era Lucifero
ad aver bisogno di lui, non il contrario: per vincere la sua personalissima
crociata contro l’umanità, doveva sfruttare uno di voi. Decisamente poco
grandioso per una creatura tanto superiore…
Al sì di Sam era comparso
Michael. Senza una parola aveva estratto la spada, preparandosi allo scontro.
Restava muto alle accuse del fratello; il suo sguardo non tradiva emozione
alcuna e sono sicuro che in quel momento non potesse provarne.
Gli angeli sono semplici agenti
del Fato, strumenti atti a compiere la volontà di Dio. Michael era nato per
adempiere quella missione e tutto il suo essere tendeva a quell’unico
obiettivo. Il dolore e la rabbia, la pietà e il rimorso avrebbero spianato la
strada al dubbio, diminuendo le sue possibilità di vittoria. Una singola
breccia nella corazza e tutta l’armatura sarebbe crollata. Pensavo che Lucifero
volesse far leva su questo, che cercasse di assicurarsi il successo con la sua
lingua velenosa, ben presto però mi ero reso conto che era semplicemente
confuso e ferito.
Michael attaccava con gelida
furia, i suoi affondi erano precisi, letali; Lucifero si difendeva, per poi
rispondere col minimo slancio. Il primo voleva uccidere, forte della sua fede e
del suo valore; il secondo voleva spiegarsi, pronto a riaccogliere il fratello
dopo secoli di lontananza. Ironico come fra i due il meno umano fosse proprio
il vostro campione…
Alla lunga l’atteggiamento di
Michael si era rivelato vincente: un attimo d’esitazione, un rapido movimento
della lama e la lotta era finita. Lucifero era scivolato in avanti e suo
fratello l’aveva stretto fra le braccia, lasciando cadere la spada. Poi aveva
urlato.
Le sue grida avevano squarciato
il cielo e distrutto qualsiasi cosa nel raggio di chilometri; la terra si era
aperta e mi ero convinto che l’Inferno si sarebbe spalancato, ingoiando il
mondo intero, quando Michael si era calmato.
Aveva attirato un’ultima volta a
sé il corpo di suo fratello, per poi deporlo gentilmente al suolo. Gli aveva
liberato la fronte dai lunghi capelli e aveva posato le labbra sulle sue in un
casto bacio.
Era stata una scena intima,
straziante: Michael aveva ucciso la creatura che amava più di ogni altra per
lealtà ad un padre che l’aveva abbandonato.
Un verso soffocato di compassione
e pietà e aveva sollevato lo sguardo su di me. Ero sicuro che mi avrebbe ucciso, quanta superbia da parte mia… I suoi
occhi si erano immediatamente riempiti di disgusto e disprezzo. Michael è un
principe, un guerriero; io uno spregevole paria, un dalit: sporcarsi le mani
col mio sangue sarebbe stato un disonore per lui.
La sua attenzione era tornata al
fratello; gli aveva sfiorato il viso, sussurrando parole a me sconosciute.
Aveva poi disteso le ali e abbandonato il tuo corpo.
Eri crollato su Sam, il suo
sangue che si allargava sotto di voi…
“È così che sarebbe dovuta
finire” mormoro, salutandoti.
* * *
La stanza profuma di fresco, è
stata rigovernata da poco. Il pavimento è ancora leggermente umido, la finestra
spalancata.
Tu sei a letto, sepolto sotto
vari strati di plaid e coperte. La testa abbandonata contro i guanciali, le
palpebre pesanti, stai per addormentarti. Se fossi cinico, penserei che almeno hai risolto il problema dell’insonnia…
Ti osservo riposare e l’ombra di
un sorriso mi sfiora le labbra. Quando dormi, il tuo viso perde l’aspetto
freddo e morto del marmo; i tuoi occhi non sfiorano, spenti e distanti, ciò che
ti circonda. Sei immobile, ma di un’inerzia che,
finalmente, imita la vita.
Per favore, non svegliarti.
Ironico quando solo qualche mese
fa ti supplicavo del contrario.
Mi ero chinato sui vostri corpi,
deciso a darvi una degna sepoltura. Poco importa che questi fossero ormai
involucri vuoti, io avevo conosciuto e amato le anime che fino a pochi attimi
prima li avevano abitati e non avrei permesso che marcissero a terra come
carogne.
Vi avevo disposti l’uno accanto
all’altro, augurandomi che, ovunque foste in quel momento, le vostre posizioni
non fossero dissimili.
Ti avevo preso fra le braccia. Il
tuo volto era una maschera di sporco e sangue. L’avevo terso con cura, per poi
chinarmi a sussurrare una preghiera per l’anima dei morti. In quel modo mi ero
accorto che respiravi ancora. Era un suono flebile, stentato. Anche il cuore
continuava a battere, debole e disperatamente attaccato alla vita. Non avrebbe
resistito a lungo però.
Mi ero riscosso e avevo fatto
l’unica cosa in mio potere per aiutarti, ti avevo portato da qualcuno in grado
di farlo.
Ci eravamo ritrovati in un pronto
soccorso affollatissimo, così affollato che due esseri umani comparsi dal nulla
potevano passare completamente inosservati.
“Aiuto! Vi prego, ho bisogno d’aiuto” avevo gridato, attirando l’attenzione
di tutti.
Un’infermiera era subito accorsa:
“Cosa gli è successo?” aveva chiesto, strappandoti dalla mia presa.
“Era posseduto, un arcangelo…”
La donna aveva scosso la testa,
perplessa.
“Codice rosso, gente: maschio
bianco, sui 30 anni, incosciente, bradicardico, presenta difficoltà
respiratorie” aveva urlato e a bassa voce “gran modo del cazzo di cominciare la
serata…”
Un allarme aveva cominciato a
suonare, ossessivo. Due uomini ti avevano disteso su una barella e portato via.
Vi avevo seguiti.
“Epistassi, sanguinamento
oculare… è decisamente esploso qualcosa lì dentro” aveva affermato qualcuno.
“Sappiamo qualcosa?”
L’infermiera di prima aveva fatto
segno di no: “È arrivato qui con quel tizio” aveva
detto, indicandomi “ma è evidentemente sconvolto… o strafatto.”
“Ce ne occuperemo dopo,
altrimenti rischiamo di perdere quest’altro… Preparate la sala operatoria.”
Poi eravate spariti dietro una
porta e io ero rimasto ad aspettare.
Non avevo contato il tempo come
fate voi, misurandolo in ore, minuti o secondi, mi ero concentrato su ogni
singolo battito del tuo cuore, temendo fosse l’ultimo. Avevi invece resistito
con una forza e una tenacia che ormai credevo non ti appartenessero più.
“Perché hai lottato così
strenuamente, Dean?” domando. “Perché lotti ancora?”
È come se il tuo corpo si
ribellasse ad una verità che la tua anima conosce già da tempo: qui non c’è
nulla per te, nessun motivo per restare.
Vedi, io
ho una certezza. Non è difficile da ammettere, nonostante invidia e rabbia mi
rodano come un cancro: ti sveglieresti, se solo ci fosse lui al tuo fianco. In
qualche modo sai che il tuo Sammy non c’è più e non vuoi altro che
raggiungerlo.
“Sai, a lui non importa di te”
incomincio, tranquillo. “Non ora, non più. Adesso è felice, in pace, incurante
delle tue sofferenze.”
Mi siedo accanto a te,
continuando a parlare: “Il Paradiso non è altro che un dolce, eterno oblio e
tuo fratello ti ha dimenticato, Dean…”
Mi interrompo di colpo, disgustato.
Come posso essere tanto meschino? Come oso sperare che ti riprenda, quando sono
consapevole che la vita per te non varrebbe più nulla?
Sento le prime lacrime rigarmi le
guance: sei l’unica creatura in cielo e in terra che ancora conti qualcosa per
me, eppure devo lasciarti andare; mi hai insegnato a decidere per me stesso e
ora mi costringi alla scelta più gravosa di tutte.
Mi chino su di te e ti sfioro
delicatamente le labbra. Vorrei tanto averlo fatto quando ancora, volendolo,
avresti potuto corrispondere. Chiudo gli occhi, assaporandone il leggero aroma
di pesca. Confettura, omogeneizzato forse.
Il tuo profumo è buono, caldo.
Credo sia talco.
Mani estranee che ti toccano, ti
vestono. Spugnature, piaghe, cambi. Non accetteresti mai qualcosa di simile,
preferiresti morire. E io l’ho ignorato anche troppo a lungo.
Metto fine al bacio. Quando le
nostre bocche si allontanano, una tenue elettricità mi attraversa. Che
diavolo…? Poi l’avverto, sottile e potente, quasi impalpabile: è grazia, la
mia. Era dentro di te dal momento in cui ti ho riportato in vita?
È soltanto una piccola fiammella
che lasciato il tuo corpo comincia immediatamente a svanire, a dissiparsi,
sarebbe però sufficiente a guarirti. Devo agire in fretta.
Ti prendo il viso fra le mani e
apri gli occhi: è l’ultima volta in cui li vedrò così spenti ed opachi, vuoti.
Sento il tuo cuore rallentare
sotto le mie dita; poi smette di combattere, finalmente vicino alla sua
ricompensa.
“Riposa,
Dean” ordino, la voce tremante.
Sollevi lo sguardo fino ad
incontrare i miei occhi; nei tuoi risplende un allegro barlume di sfida. Un
sorriso ti distende le labbra. Batto le palpebre, sorpreso, e l’immagine
scompare. Che l’abbia immaginato?
Il viso mollemente affondato nel cuscino, la bocca socchiusa, sembra che tu stia dormendo. Osservandoti, non posso fare a meno di pensare che almeno tu abbia trovato quello che cercavi e, mio malgrado, sento rinascere la fede: sei felice, Dean?
Note: Allora, cominciamo dalla dedica: questa storia è per Axia, uno dei pochi esseri viventi che apprezzerebbe una simile svolta. Spero ti piaccia, bella <3
Il titolo è invece un omaggio alla mia Bride, ti voglio bene <3
Veniamo alle note dolenti: secondo voi sto esagerando con l’angst e l’hurt!Dean? Una mia amica mi ha consigliato di cambiare genere… e protagonisti. Non credo ci riuscirò XD
Mi scuso per eventuali errori, ultimamente pare che sfuggano sia a me che alle mie beta! Temo che anche la parte “medica” non sia riuscitissima: sto a lettere, non a medicina!
Insomma, spero vi piaccia,
nonostante non ne sia convintissima io stessa. Fatemi sapere ^^