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Autore: Freya Crystal    07/03/2010    6 recensioni
"- Edward Cullen non ti piace? Come mai? – gli chiesi. - Quel ragazzo è strano. Non mi ispira fiducia. Voglio che tu gli stia lontana. - "
Lei è una studentessa del liceo di Forks. Lui un avvocato.
Lei ha 17 anni. Lui 47.
Ma soprattutto... lei ama lui.
Bella Swan non è attratta dai suoi coetanei, anzi, li teme. E’ forse per questo motivo che a far breccia nel suo cuore è un uomo molto più maturo di lei. Acerba, insicura, fragile, e facilmente manipolabile, la nostra Bella Swan è costretta a fronteggiare la nascita di un amore impossibile.
A scuola evita qualsiasi forma di contatto con i suoi compagni di classe: con le ragazze non parla mai; con i ragazzi mantiene la distanza assoluta. Nessuno riesce a spiegarsi il motivo di questo suo comportamento, nemmeno suo padre.
E come se non bastasse, c'è Edward Cullen, splendido e irraggiungibile, che prova un odio profondo e immotivato verso Bella sin dal primo istante in cui i suoi occhi hanno incrociato quelli di lei.
Con il passare del tempo il silenzio fa sempre più male. Il dolore diventa sempre più forte. Le ferite scavano sempre più in profondità dentro Bella, incapaci di richiudersi da sole. Suo inseparabile compagno è il segreto che porta con sé e che la uccide a poco a poco.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Twilight
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The beginning  of my story...

 

 

 

 

Lisciai le pieghe del grembiule rosso e diedi un rapida occhiata alla mia immagine riflessa nello specchio. Il viso a forma di cuore era più pallido del solito,la luce color cioccolato dello sguardo era spenta,le palpebre erano cerchiate da lievi ombre scure. Legai i capelli in una semplice coda e uscii dal bagno del personale.  Non ero in ottima forma fisica,ma perlomeno ero presentabile.

Sospirai quando fuori dalle vetrate vidi la pioggia dirompente che cadeva fitta in strada. Proprio non era la mia giornata.

Mi avviai dietro al bancone,controvoglia. Ogni sabato mattina,appena la sveglia suonava e la dolorosa consapevolezza di dovermi separare dal letto m’investiva,chiedevo ai muri il perché avessi scelto di lavorare come barista anche il venerdì sera. Spesso dimenticavo la risposta: guadagnare soldi per il college e mettere da parte dei risparmi senza dover contare su Charlie.

-Bella,io vado.Ricordati di buttare il sacchetto della spazzatura quando vai via.-

La madre di Jessica ciondolava sulla porta con il sorriso sulle labbra,felice di aver finito il suo turno e di potersene tornare a casa.

-Certo. Ci vediamo martedì pomeriggio.- la salutai educatamente. La donna più pettegola dell’intera cittadina uscì dal bar lasciandosi dietro una folata di aria fredda.

Come minimo entro la fine della serata sarebbe arrivato un ciclone,data la mia immensa fortuna. Quanto detestavo la pioggia.. Influiva inevitabilmente sul mio umore.

Guardai l’orologio fissato sulla parete. Erano le sette di sera. Davvero sarebbe venuto qualcuno con quel tempaccio? Durante l’attesa,decisi di sistemare le paste esposte in vetrina e di spazzare il pavimento.

I primi clienti furono un gruppo di studenti pressappoco della mia età inzuppati e ridenti. Entrarono dentro gocciolando per terra e impiastricciando le mattonelle di terra. Imprecai silenziosamente tra me e me. Mi sarebbe toccato ripulire tutto da capo.

-Buonasera.-mi rivolsi a loro.

Il ragazzo moro mi sorrise. -Vorremo restare qui a mangiare qualcosa.-

-Perfetto,cosa prendete?-

Appoggiai la scopa al bancone e mi avvicinai al tavolo dove i cinque ragazzi si erano seduti, armata di penna e agendina.

La ragazza bionda osservava le paste esposte in vetrina con aria tormentata. –Vorrei qualcosa che non contenga grassi,carboidrati e zuccheri,se possibile.-

Rimasi senza parole. Incredibile,perfino nell’uggiosa cittadina di Forks vivevano le oche con le quali avevo avuto a che fare a Phoenix.

Inarcai un sopracciglio con aria seccata. –Ehm,l’acqua è di tuo gradimento?-

I tre ragazzi e l’altra sua amica ridacchiarono divertiti. La bionda mi lanciò un’occhiata torva che imbruttì il suo viso di porcellana.

-Prendo un’insalata,se c’è.-

Dopo che anche gli altri ebbero ordinato,mangiato e pagato,rimasi nuovamente sola. Per tre ore non arrivò più nessuno. Ma con mio piacere smise di piovere.

Fu allora,dentro quel piccolo bar,in una fredda serata autunnale di una comunissima giornata d’ottobre,che la mia vita cambiò radicalmente.

Due uomini sbucarono dall’angolo della strada,le mani infilate nelle tasche delle loro giacche di pelle nera e lucida,e si avviarono verso il bar. D’istinto guardai l’orologio,avevo una strana sensazione. Erano le dieci e un quarto.

Infilai la mano nella tasca del grembiule per toccare il cellulare. Sapevo che sarebbe bastata una telefonata se avessi avuto bisogno di aiuto. “Non esitare a chiamarmi per qualsiasi problema. Correrò immediatamente da te.”,mi ripeteva Charlie ogni venerdì pomeriggio,fino ad esasperarmi.

Rimasi immobile come uno stoccafisso dietro al bancone,in attesa che i due individui entrassero. Quando il primo aprì la porta,trattenei il respiro,e feci finta di scrivere qualcosa sull’agenda. Non dovevo farmi delle paranoie,ma mantenere la calma

-Buonasera.- li accolsi con un sorriso gentile alzando la testa come se li avessi notati solo allora.

-Sera a te,ragazza.-

Fortunatamente fui rapida a ricomporre la mia faccia in un’espressione rilassata. L’uomo che mi aveva rivolto la parola aveva usato una voce aspra,che mi aveva fatto male alle orecchie,tipica dei fumatori incalliti. Era altissimo,probabilmente gli sarei arrivata a metà spalla se mi fossi avvicinata. Al solo pensiero mi venne voglia di infilarmi dentro il registratore di cassa e sigillarne l’apertura con lo scotch.

-Due birre le hai,vero piccola?-

Se non altro,il secondo aveva un aspetto curato. Era poco più basso del suo amico,abbronzato,biondo,con due occhi azzurri e penetranti. Tuttavia quando mi soffermai su di essi,il mio momentaneo senso di sollievo andò a farsi friggere. Quegli occhi non gli conferivano affatto un’aria bonaria e un po’ ingenuotta,anzi,facevano paura.

-S-si. Le volete nel bicchiere o in bottiglia? –

-In bottiglia. Ti dispiace se ci sediamo?-

-Oh no. Prego,fate pure.- li esortai.

Che fare? Tremavo al solo pensiero di sgusciare  da dietro il bancone e di avviarmi al tavolino per portare loro da bere.

Presi due birre dal piccolo frigo sotto la cassa e mi avvicinai. Il tragitto fu più lungo e sofferto di quanto avessi mai potuto immaginare.

Rapidamente tornai alla mia postazione. Mi sentii gelare quando,costretta a dar loro le spalle,sentii quello più alto ridacchiare sommessamente. Mi accorsi di avere la pelle d’oca e abbassai le maniche della maglia perché non se ne accorgessero. Finsi nuovamente di avere delle cose da scrivere,finché non mi venne la brillante idea di cambiare canale alla televisione e di lasciare su quello dello sport. Chissà,forse sarebbe servito a distratte quei due loschi individui. Amai lo sport come non avevo mai fatto in vita mia,quando tra una risata e l’altra il moro e il biondo presero a commentare la gara di nuoto.

Decisi di non chiamare Charlie. Mi avrebbe sicuramente proibito di lavorare di sera se gli avessi chiesto di venire a controllare,inoltre,non era detto che i miei sospetti fossero fondati:se così fosse stato,avrei fatto una pessima figuraccia sia con lui che con i clienti. La piccolina che chiama il papà poliziotto perché ha paura. Dio,era meglio se non lo immaginavo neanche.

Il rumore della porta che si riapriva mi fece sobbalzare. Ero in ipertensione.

Ciò che vidi scatenò in me una serie di reazioni fisiche irrefrenabili.

Lo stomaco fece una brusca capriola nel petto e si ribaltò completamente,cominciando a friggere. Un brivido intenso e repentino mi scosse tutta,dalla punta delle scarpe alla punta dei capelli. Il sangue prese fuoco nelle vene. 

Incrociai due occhi verdi e vigili che mi mozzarono il respiro. Una chioma leonina color castano scuro incorniciava un volto dai tratti virili e regali:naso diritto,mascella quadrata ma stretta,fronte alta e sopracciglia folte. Attraverso gli spessi occhiali scuri da uomo intelligente e maturo,le pupille scintillavano di una luce cupa e intrigante. Il giornale che teneva stretto al petto con un braccio gli schermava il collo.

Il fuoco all’interno del mio corpo si affievolì quando il nuovo arrivato distolse lo sguardo. Recuperai fiato. Era come se fossi riemersa da un’ora di apnea,nonostante il suo sguardo si fosse soffermato su di me solo per un misero istante.

Fissò più a lungo di quanto aveva fatto con me i due uomini seduti al tavolo di fronte a lui. Non riuscii a decifrare bene l’espressione che assunse,poiché una ciocca arruffata di capelli scuri gli era ricaduta morbidamente sull’occhio destro schermandoglielo per metà.

-Buonasera.-

Anche la sua voce,causa la rumorosità dei due loschi individui che se la ridevano sguaiatamente,non giunse chiara alle mie orecchie. Il nuovo arrivato,dopo avermi rivolto un saluto distratto,si sedette a un tavolo e accavallò le gambe iniziando a leggere il giornale. Continuai a fissarlo furtivamente,spinta da un impulso irrefrenabile. Vedevo solo i suoi occhi,scorrere veloci e liberi sulle parole in cui s’imbattevano. Il modo in cui il sopracciglio sinistro gli rimaneva leggermente più sollevato rispetto a quello destro,gli donava ulteriore fascino. Le palpebre erano ristrette,l’espressione seria e concentrata,lo sguardo,se possibile,ancor più profondo e penetrante. Quell’uomo mi metteva soggezione,non avevo neppure il coraggio di avvicinarmi e chiedergli se volesse ordinare qualcosa. Solitamente non mi sentivo in imbarazzo con i clienti.

-Ehi piccola,vorremmo due tost. Ti dispiace?-

La voce aspra e fastidiosa dell’uomo con le guance incavate mi disincantò. Lo guardai smarrita. –Subito.-  Presi due tost dalla vetrina,li avvolsi accuratamente in un tovagliolo e glieli portai. Di nuovo,quando dovetti dar loro le spalle,si misero a ridere.

-Sai che hai un bel sederino?-

Rimasi a bocca aperta. Ma come si permette questo fumatore incallito? Non si è accorto che lui e il suo amico non sono soli?

Mi voltai per rispondergli a tono,il sangue che per la rabbia mi era affluito alle guance.

-Se dici un’altra parola,ti sbatto fuori assieme al tuo amico.-

-Uuuuh,Sam,la ragazzina ha grinta! Attento,potrebbe tenerti testa.- sghignazzò il biondo.

Quello che si chiamava Sam mi lanciò un’occhiata impudica-Dio,ma mi aveva vista bene?- e poi si rivolse all’amico. –Scommettiamo.-

Ci misi due secondi di tempo in più per capire il senso di quella parola. Una nuova ondata di rabbia m’investì. Il biondo si lasciò andare ad una risata. –Anche con questa? Eddai,dopotutto la signorina è stata gentile con noi. Non mi sembra il caso di importunarla.- Ma capii che dal suo tono di voce intendeva il contrario e che mi stava prendendo in giro.

Tuttavia non avevo paura,sapevo che quei due non sarebbero stati in grado di concludere nulla,non li credevo così stupidi da molestare una ragazza in presenza di qualcun altro nel bar.

Ignorai i loro commenti e mi infilai nuovamente dietro al bancone. Notai che l’affascinante sconosciuto aveva alzato gli occhi dal giornale e li aveva spostati su di me,poi su Sam e il suo amico. A quel punto mi venne un dubbio atroce: lui poteva essere complice degli altri due. Mi sentii sbiancare. Cercai di dissimulare indifferenza e mi passai una mano sulla fronte imperlata di sudore freddo. No,non poteva essere. Non mi dava quell’impressione,nel mio inconscio sentivo di avere quella convinzione inspiegabile. Eppure ciò che mi era successo due anni prima doveva avermi insegnato che non ci si poteva fidare di nessuno,specie dall’apparenza. Scacciai quei brutti pensieri dalla mente. Non potevo essere così sfortunata,non fino a quel punto.

-Ci porti altre due birre?-

Irritata,eseguii l’ordine,e per la terza volta mi avvicinai ai due uomini che avrei voluto sbattere fuori a calci se ne avessi avuto la forza.

Sentii gli occhi del biondo sul mio corpo e vacillai leggermente su me stessa nel voltarmi. In quel momento,percepii qualcosa che sperai essere stato il frutto della mia sciocca immaginazione. Ma lo sapevo che era successo veramente. M’irrigidii all’istante.

-Bello e anche morbido.- sentenziò Sam.

-Bastardo…- mormorai a denti stretti. Benché la paura si fosse impossessata di me,non mi spostai. Non avevo la minima intenzione di andarmene con la coda tra le gambe dopo averli sentiti scommettere sul mio comportamento.

Un’altra volta. Ancora quel tocco orrendo sul mio sedere. Quasi uno schiaffo lanciato all’improvviso.

Mi voltai di scatto e sferrai uno schiaffo alla guancia di Sam. L’elettricità mi pulsava nelle dita,accaldate per la rabbia e il dolore che si erano procurate nel colpire quel volto emaciato.

-Ora basta.-

Una voce limpida,sonora,tremendamente sensuale. Sussultai nell’udirla. L’affascinante sconosciuto aveva posato il giornale sul tavolo e stava fissando con aria seccata il moro e il biondo. Solo allora notai la barba sottile sotto il mento e attorno alle labbra. Dio,doveva avvicinarsi sicuramente ai quarant’anni. Gli occhi verde prato lampeggiavano pericolosamente,ma i tratti del viso erano distesi in un’espressione di calma perfetta.

-Parli con me?-

-Parlo con te e col tuo amico.-

Ancora scossa da quell’intervento,estrassi il cellulare dalla tasca del grembiule con l’intenzione di chiamare Charlie.

-E’ lecito sapere cosa diavolo vuoi?-

-Andiamo Tray,sii ducato.- Sam roteò gli occhi con finta aria di rimprovero.

-La signorina vi ha educatamente servite. Pagatela e lasciatela in pace.-

-Ho capito,tu devi essere l’avvocato difensore.- sghignazzò Tray passandosi una mano tra i corti e ispidi capelli dorati.

-Andatevene. O chiamo la polizia. E vi assicuro che non ci metterà molto ad arrivare.- minacciai. M’infastidiva il fatto che Mister Verde Prato parlasse per me.

Sam e Tray si lanciarono un’occhiata divertita,poi,lentamente,si alzarono in piedi e si avviarono verso l’uscita.

- Mi dovete pagare.- ordinai con tono sostenuto.

-Hai detto che dovevamo andarcene,quindi adesso ti accontentiamo. Non scocciare,piccola.-

Piccola…Piccola…E’ l’unica parola che sapete dire. Poveri idioti.

Sam stava già posando la mano sulla maniglia della porta,quando il rumore di una sedia che scricchiolava lo fece fermare. Capii che non aveva aspettato altro che veder reagire il suo avversario. Un ghigno compiaciuto comparve sul volto di Tray.

-Tirate fuori i soldi che le dovete.-

Di nuovo fui pervasa da un’ondata di brividi incontrollabili in tutto il corpo.

-Altrimenti?-

Mister Verde Prato  avanzò imperioso verso Tray e si fermò poco prima di scontrarsi col suo petto. Era poco più basso di lui,ma l’aura che emanava lo faceva sembrare un gigante,a confronto. Okay,non stava scherzando,era davvero arrabbiato.

Tray provò a sferrargli un calcio,ma lui fu più veloce. Con una mano gli fermò la gamba muscolosa prima che potesse raggiungere il suo petto. Fu altrettanto rapido nel sferrargli un pugno sul naso,mezza frazione di secondo dopo.

Sussultai allarmata. Non volevo che si scatenasse una rissa all’interno del bar.

Sam era livido,tuttavia non alzò un dito contro l’aggressore del suo amico. –Forse te lo sei meritato,Tray. Lasciamo i soldi a questo bastardo e andiamocene.- sputò con astio,ed estrasse un paio di banconote dai pantaloni. Mister Verde Prato li prese in mano tranquillamente,come se non fosse successo nulla poco prima. Sam e Tray,la mano premuta sul naso,uscirono dal bar sferrandogli un’ultima occhiata carica di odio.

Dentro il bar c’era solo il tintinnio del cartello appeso alla porta appena richiusasi.

Ero imbarazzata,ma sollevata e grata allo sconosciuto. Mister Verde Prato mi rivolse un sorriso che mi fece nuovamente ribaltare lo stomaco.

-Non dovrebbe lavorare sola fino a quest’ora.- disse posando i soldi sul tavolo. –Forks è piccola,ma i delinquenti sono dappertutto. C’ è la possibilità che quei due individui l’avessero osservata da giorni prima di presentarsi qui.-

Annuii lievemente,stordita dalla sonorità e dalla limpidezza della sua voce. –La ringrazio per l’aiuto.-

-Si figuri. Le do un consiglio,vada subito a casa. Non verrà più nessuno qui dentro.-

Spalancai gli occhi,stupita. L’idea che quell’uomo si stesse preoccupando per me mi piaceva. Un momento,che razza di viaggi mentali mi sto facendo? Sta solo facendo il gentile.

Diedi una rapida occhiata all’orologio. –Dovrei chiudere tra dieci minuti.-

-Mi dispiacerebbe se lei andasse a casa da sola. C’è qualcuno che può venire a prenderla?-

Questo non è un suo problema. Non sono una bambina che ha paura del buio.

-Ho la macchina,non si preoccupi.-

Mister Verde Prato mi scrutò con espressione indecifrabile. Quell’uomo mi metteva in soggezione.

-Faccia presto,mi raccomando. Se dovessero verificarsi episodi simili,non esiti a chiamare la polizia.-

Si sistemò la giacca di jeans e riprese il suo giornale in mano. –Arrivederci,signorina.-

Per un inspiegabile motivo,l’idea che stesse per andarsene mi spaventò. Non perché temessi di rimanere sola o che potesse accadermi qualcosa di male,ma perché avevo la sensazione di perdere un’occasione importante-quale fosse era un mistero-se fosse uscito da quella porta.

-A-aspetti!- mormorai incerta quando la sua mano si posò sulla maniglia. Lui si rivoltò,gli ondulati capelli che gli ricadevano elegantemente sul viso. – Un giorno dovrà tornare,gradirei offrirle qualcosa da bere per sdebitarmi.-

Sorrise educatamente. –Lo farò senz’altro.-

Quando se ne fu andato mi ci volle un po’ per ricominciare a respirare e per decidermi a muovermi. Pensare che l’avrei rivisto mi elettrizzava. Tuttavia mi faceva anche vergognare di me stessa. Non avrei dovuto essere felice. La mia voce interiore,quella assolutamente razionale e critica,stava tentando di dirmi perché fosse sbagliato. Ma il mio inconscio predominava,soffocando quella voce fastidiosa.

Mi spicciai a ripulire il pavimento,misi i soldi dentro alla cassa,staccai le spine dei frigoriferi,spensi la tivù e abbassai le serrande. Il pattume lo avrebbe buttato la madre di Jessica,per una volta tanto.

Rapidamente andai nel camerino,mi tolsi il grembiule e mi guardai allo specchio. Quegli occhi…I miei occhi,anziché incupirsi ulteriormente per la stanchezza accumulata durante il giorno,erano più luminosi che mai,come non li avevo più visti dopo-

Scossi la testa con vigore per scacciare quei ricordi dolorosi e ancora vivi dentro di me. Non avrei mai dimenticato,purtroppo. Quel fardello me lo sarei portata dietro per tutta la vita.

Mi passai stancamente una mano tra i capelli,tremavo. Mi lasciai andare ad un sospiro. Poi il mio cuore sobbalzò. Due iridi verdi e penetranti scintillarono nello specchio,accanto al mio viso. Sobbalzai per lo spavento,il cuore in gola.

Basta,ho davvero bisogno di dormire. Mi infilai velocemente la giacca,afferrai la mia borsa e spensi tutte le luci.

Quando uscii dal bar mi precipitai dentro al pick-up e misi subito in moto. L’indomani avrei dovuto trascorrere un’altra mattinata d’inferno a scuola,fra gente con cui non avrei voluto condividere nemmeno il banco.

Aveva una voglia assurda di tornare a casa,da Charlie.

Quelle notte,prima di sprofondare nel mondo degli incubi,rimasi a lungo sveglia a farmi delle domande. 

Quale sarà il suo nome?Quanti anni avrà?

Allora non sapevo che quella curiosità inopportuna mi avrebbe generato una nuova ferita,ancora più dolorosa della prima. La mattina seguente sarebbe cominciata la mia seconda vita.

*******

 

Spazio dell’autrice: ebbene,ho postato il primo capitolo. Sono felice di sapere che la storia vi intriga. Ma a quanto sembra due persone su sette,riferendomi a coloro che hanno recensito,hanno capito una cosuccia XD Forse mi sono spiegata male io nella introduzione,forse voi avete letto di corsa,ma…il prossimo capitolo vi darà una risposta certa!

Ringrazio immensamente le persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite e tra le seguite,è importante per me,davvero *_* *_*

Do una risposta alle vostre recensioni:credo che nel prossimo capitolo non vi interesserà più di tanto il divario di età XDXDXD Se siete curiosi di scoprire il perché,non vi resta altro da fare che leggere il prossimo capitolo ;)

  
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