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Autore: aki_penn    07/03/2010    2 recensioni
Alberto poteva tollerare un sacco di cose. Poteva tollerare la filosofia yoga di suo zio, il fatto che trenta teppisti dormissero in soggiorno, o che la sua casa avesse un muro in meno del dovuto, di avere una cotta per la sua professoressa, e con un po' di camomilla poteva anche sopportare che il marito geloso tantasse di ucciderlo. Ma c'era una cosa che davvero non poteva tollerare: sbarellare per una ragazzina scialba e decisamente inutile, e per di più "grafocollerica". Non aveva idea di cosa significasse, ma di sicuro, quella era la goccia che faceva traboccare il vaso!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sono imperdonabile, scusatemi, ma l’ispirazione proprio non c’è stata fino ad oggi, chiedo umilmente perdono, e ringrazio tutti quelli che hanno letto, in particolare Tha Corpse Bride (mi sa che questa volta invece mi sono fatta attendere un po’ di più XD…ma proprio questo capitolo non ne voleva sapere di essere scritto!!  ç__ç) e Antinea (che entusiasmo! Sono felice che la storia ti piaccia! Spero di non deludere le aspettative con questo nuovo capitolo *.*)

 

Nel Dubbio Nega

Capitolo Terzo

Così giunsero gli agrumi

 

Paolo non aveva capito del tutto a cosa servisse starsene a casa di un russo a vedere tanti russi fumare. Perché era quello che stavano facendo, fumavano e basta, da quando era arrivato. Ah sì, e parlavano in russo. E lui il russo proprio non lo sapeva.

Morena accanto a lui se ne stava seduta un po’ troppo composta per essere a proprio agio.

Si maledisse per aver deciso di partire per la Russia.  

Perché nessuno lo fermava quando gli venivano quelle idee malsane? Perché nessuno gli aveva fatto notare che a lui il freddo faceva schifo? Che era cagionevole, e che non era neanche tanto socievole?

Perché? Perché sua madre era troppo impegnata a pensare agli inesistenti chili di troppo di tutta la famiglia , perché suo padre era troppo impegnato a lavorare a tutte le ore e perché Alberto era troppo impegnato alla facoltà di scienze motorie, ecco perché nessuno glielo aveva fatto notare!

E lui che aveva preso armi e bagagli ed era partito per la Russia perché si era sempre sentito il più piccolo, qualsiasi cosa facesse, Alberto l’aveva già fatta prima, e andare a studiare per qualche mese all’estero con un’iniziativa scolastica gli era sembrata l’idea migliore. Ma tutti stavano ignorando la sua impresa, e lui aveva vomitato per tutto il viaggio in aereo!

Sbuffò guardando Morena che accettava una sigaretta che le stavano offrendo, arricciò il naso, e si vide dopo pochi secondi un pacchetto sotto il naso.

Paolo stava per rifiutare , ma Morena disse in italiano, in modo che gli altri non capissero “Accetta, se no si offendono”.

Paolo sospirò prendendone una e cercando di accenderla. La scena suscitò l’ilarità dei presenti. Quando finalmente ci riuscì era ormai tutta nera, quasi carbonizzata.

Fu allora che il cellulare suonò, lo estrasse dalla tasca e lesse il nome di suo fratello sullo schermo.

“Ciao Alberto, come va?”pausa.

“Oh, sì qui tutto bene, abbiamo fatto amicizia con dei russi della nostra scuola… sì… sono simpatici…”lanciò un’occhiataccia alle sigarette dei presenti  e lasciò che la sua la consumasse l’ossigeno “…dei salutisti” aggiunse, Morena sorrise senza guardarlo.

“Piuttosto, cos’è quel rumore? Stanno trapanando tutta Bologna?”

Alberto stato guardò i muratori intenti a buttar  giù il muro del salotto che dava sul giardino, sospirò prima di rispondere “No, è la lavatrice, è un po’ vecchia e fa un rumore strano… ma è tutto a posto. Beh dai sono felice che lì in Russia vada tutto bene, ma ora devo andare, tra poco ho lezione, ho chiamato solo per salutare…” e chiuse la chiamata.

Sospirò dando un’ulteriore occhiata poco convinta ai manovali che stavano tirando giù la parete , ormai in salotto c’era un enorme buco.

Zio Mino si cimentava allegro nel mestiere del trapanatore. Alberto sbuffò e diede un morso al croissant che gli era stato messo nel piatto.

Chiuse gli occhi e ne gustò il sapore, poi guardò Oliveiro che ne stava mangiando un altro proprio dall’altra parte del tavolo.

“Li hai fatti tu?” chiese guardandolo sottecchi mentre lui leggeva distrattamente il quotidiano.

“Già, ti piacciono?” chiese senza dargli troppa importanza. Alberto annuì “Era da tanto che non si mangiava decentemente in questa casa” entrambi lanciarono un’occhiata depressa al padrone dell’Isteria Bianca.

“Allora poserai per Idris?”ovvero, il pittore dall’inspiegabile accento inglese. Alberto sperava per lui che quello fosse solo un nome d’arte.

Oliveiro alzò le spalle rassegnato “Naaa, ho scoperto che dipinge solo nudi…e sai… mi mette un poco in imbarazzo…” storse il naso piegando il giornale.

“Magari però se volessi potrebbe dipingere te” propose.

Alberto fece un sorrisetto un po’ tirato “Peccato che sarò impegnato con lo studio.. se no avrei fatto volentieri da modello” sbuffò sarcastico alzandosi.

“Vado in facoltà, ci sei per pranzo?”

Oliveiro annuì ricominciando a leggere il giornale “Oggi non lavoro…faccio del pollo, è carne bianca e può solo giovare alle tue maniglie dell’amore!” rispose con noncuranza.

“Ehi!” esclamò Alberto accigliato uscendo dal buco della parete invece che dalla porta.

L’unico lato positivo di tutta quella storia era poter uscire senza fare la fatica di aprire la porta.

Arrivò in facoltà con passo lento e svogliato, un po’ in anticipo. Meno tempo ci rimaneva in quella casa meglio era. Il più normale era quel cuoco spagnolo, un po’ indisponente forse, ma almeno era normale.

Lanciò un’occhiata alla bacheca di sughero dove stavano appesi tanti opuscoli colorati, iniziative, offerte di ripetizioni e qualche annuncio di stanze da affittare.

Per un secondo si chiese se non fosse il caso di trovarsi una stanza qualunque insieme a qualche universitario.

Sicuramente vivere con altri studenti , per quanto potessero essere festaioli o sconsiderati non poteva essere peggiore di vivere con suo zio Mino.

“Cerchi l’aula?” chiese una voce femminile alle sue spalle.

Alberto si destò dai suoi pensieri per voltarsi a guardare con chi gli stava parlando.

Era una ragazza mora con un sorriso gioviale, che con una cartella professionale stretta in mano lo guardava.

Doveva essere una studentessa dell’ultimo anno, doveva avere sicuramente qualche anno in più di lui.

“Oh, no” rispose poi lui con un sorriso. Lei era davvero carina. Non l’avrebbe notata se non si fosse fermata a parlare con lui, ma ora che era lì non riusciva più a staccarle gli occhi di dosso.

“So già in che aula sono, devo andare a Igiene” rispose sperando che lei dicesse qualche cosa d’altro.

“Anche io!” esclamò poi si rivolse a una bidella che le stava passando un pacchetto di fogli “Grazie” disse gratificando anche lei con un sorriso dolce.

“Beh allora ci vediamo in classe…” si fermò incerta come se stesse cercando di ricordarsi il suo nome.

“Io sono Alberto” esclamò in un moto di intraprendenza allungando la mano, che lei strinse “Elena”. E così dicendo se ne andò con i lucidi capelli fluttuanti, e un rumore ritmico di tacchi sul pavimento in pietra.

“Elena” esclamò d’impulso senza rendersene davvero conto. Lei si voltò stupita a guardarlo.

“Io il venerdì faccio colazione al Bar Mario…alle nove…”disse senza fiato.

Lei gli regalò un altro dei suoi sorrisi dolci e se ne andò inghiottita dalla folla di studenti.

Alberto sbatté un po’ le palpebre, non del tutto convinto di ciò che aveva fatto. Aveva invitato quella sconosciuta a fare colazione con lui? Così, su due piedi? Una più grande? E lei aveva accettato? Cioè, non sapeva esattamente se aveva accettato, più che altro aveva sorriso.

Guardò il soffitto sognante, appoggiandosi alla scrivania della reception, aveva sempre pensato che i colpi di fulmine fossero un’idiozia, ma quello doveva proprio esserlo, un colpo di fulmine.

I suoi pensieri gioiosi vennero interrotti da una specie di raglio proveniente dalle sue spalle.

“Allora signorino, questa è una reception, non un salotto, quindi se si vuole spostare dalla mia scrivania mi farebbe un favore!” fece una bidella obesa con i bigodini in testa e un modo di rivolgersi in terza persona decisamente sarcastico.

Alberto si scostò scocciato, lo poteva dire anche con un po’ più di gentilezza che si doveva spostare di lì.

Pazienza, da lì a poco avrebbe rivisto la ragazza appena conosciuta. Non era sicuro che fosse meglio essere entusiasta o ansioso. Cosa era meglio fare? Mettersi a sedere accanto a lei? O fare l’indifferente?

Il problema non si presentò, dato che pur setacciando con gli occhi tutta l’aula non notò nessuna ragazza mora con il sorriso dolce.

O meglio, non la notò finché non guardò in basso, vicino alla cattedra, si sedette accanto a un tizio con un orrida fascia per capelli fucsia che mordicchiava una penna, senza toglierle gli occhi di dosso, con una strana sensazione addosso.

Gli si gelò il sangue quando la vide afferrare un microfono e parlare.

“Buon giorno a tutti, io sono Elena Pagano, e sostituisco il professor Riva che ha avuto un brutto incidente con un’autobetoniera… oh, non preoccupatevi, tornerà in sesto, ma temo che la convalescenza durerà un bel po’ perciò, fino ad allora ci sarò io alle lezioni di Igiene al suo posto! Allora iniziamo!”esclamò entusiasta.

Il ragazzo con la fascia fucsia guardò distratto il biondino alto che si era seduto alla sua sinistra, per un secondo gli sembrò una rappresentazione vivente dell’urlo di Munch, alzò le spalle e ricominciò a mordicchiare la sua penna.

Alberto era decisamente sotto sopra, lo stomaco se ne stava in gola, il cuore nel basso ventre, la milza si era spostata per non essere coinvolta nella caduta irrefrenabile del muscolo cardiaco, in un groviglio di organi incomprensibile, o almeno così gli sembrava di essere messo.

Ci aveva appena provato con la sua professoressa di Igiene! Ci aveva appena provato con la sua professoressa di Igiene! Era morto!

 

Quando finalmente riuscì a tornare all’Isteria gli sembrava di essere passato sotto i cingoli di un carro armato. Ad accoglierlo c’era uno sfizioso odore di carne bianca e tre tizi pelati vestiti con tuniche dai colori caldi.

Si accigliò.

La giornata stava già andando abbastanza male, senza che degli Hare Krishna infestassero casa sua.

“Sentite ragazzi” cominciò “in questa casa abbiamo già abbastanza problemi senza bisogno di convertirci a Krishna e…”

“NON DIRE KRISHNA!!” urlò Guendalina uscendo dalla cucina con in braccio un vecchio vassoio argentato con sopra tre tazzine decorate con delle rose e una teiera della stessa specie.

“Loro sono degli adepti di …” si fermò fissandolo con aria assatanata, poi si voltò verso il pelato con la tunica arancione “Adepti di chi pure?”chiese.

“Siamo dei seguaci di Uni, ci siamo distaccati dalla compagnia di Tinia perché…”

“Vedi Alberto, non sono degli Hare Krishna!” esclamò con fare di rimprovero, come se ad Alberto potesse andare tanto meglio se erano seguaci di questo Uni.

“Guendalina…” cercò di dire, ma fu interrotto da suo zio spuntato da chissà dove.

“Oh, Alvin, vedo che hai conosciuto i nostri nuovi subaffittuari! Arancio” disse indicando il tizio in rosso “Limone” continuò indicando il tipo in giallo “e Mandarino” concluse col tizio in arancione.

“A dire il vero noi ci chiameremmo…”cercò timidamente di spiegare l’uomo in giallo, ma venne malamente ignorato da zio Mino che continuò “Staranno in camera con quell’adorabile pianista con gli occhiali…e così abbiamo affittato tutti i posti letto!”

“E’ già la terza volta che li chiama così!” esclamò Guendalina entusiasta da dietro a Mino.

“Così come?” sbottò Alberto che non vedeva l’ora di andarsene da quel caos.

“Arancio,Limone e Mandarino… credo che gli abbia affibbiato un soprannome fisso…sarebbe la prima volta…”affermò eccitata.

“Mildred? Cosa stai farneticando?” chiese zio Mino accigliato, mentre i tre pelati seduti sul divano li guardavano perplessi.

“Bene, io avrei fame, quindi se non avete altre cavolate da dirmi me ne andrei a mangiare” disse Alberto esasperato dirigendosi in cucina.

Guendalina si sedette sul tavolino sorridendo ai tre “Non badateci è un po’ nervoso, tea alla rosa? Stimola la diuresi!” disse affibbiando a tutti una tazza senza dare a nessuno il tempo di protestare.

Alberto si appoggiò sbuffando al bancone della cucina, dove Oliveiro lambiccava allegro.

“Come va chico?” chiese tranquillo indossando un grembiule bianco sporco di sugo.

Alberto sospirò “Da cani… ci ho provato con una che poi si è rivelata essere la mia professoressa di Igiene…”

Oliveiro alzò le sopracciglia come per dire Questa è grossa.

“In più mi mette un po’ l’ansia avere tre tipi appartenenti a una setta in casa… e se fossero satanisti?”

Lo spagnolo alzò le spalle “Sinceramente non credo che dei satanisti se ne andrebbero in giro vestiti d’arancione, sarebbe molto poco satanico… al massimo potrebbero essere degli Hare Kishna…”

“NON DIRE HARE KRISHNA!”urlò Guendalina dall’altra stanza.

Oliveiro sbuffò esasperato, probabilmente non era la prima volta in quella giornata che la psicologa lo riprendeva per quel motivo.

“Ti spiace se il pollo me lo porto in camera? Non mi va di stare in mezzo a questi pazzi…”chiese stancamente.

“Fai pure” fu la risposta distratta del cuoco, che probabilmente sperava di poter isolare la cucina dal resto della casa.

Alberto nella sua risalita incontrò il pittore con l’assurdo accento inglese che discendeva a testa bassa, con aria un po’ uggiosa in volto.

Si salutarono con un veloce cenno del capo, non c’era molto feeling, al pittore non piaceva che Alberto insultasse il suo accento, ed ad Alberto non piaceva che si tirassero in ballo le sue fantomatiche maniglie dell’amore.

Arrivato in cima alle scale  si ritrovò davanti l’arpione che il giorno prima aveva causato la tragedia, ancora a penzoloni, senza che nessuno si fosse degnato di sistemarlo come di dovere.

Attaccato c’era un foglietto giallo. Un post-it.

Alberto lo prese in mano e lesse cosa c’era scritto sopra.

 

E quest’arma è ancora qui? Questo attrezzo di morte?

Appeso in mezzo al corridoio!

Deve sparire!

Mi pare che se ci sono ospiti in casa bisognerebbe salvaguardarli, ma voi no!

Tenete un’arma di distruzione di massa nel bel mezzo dell’ androne, aspettando solo che qualcuno rimanga decapitato per la vostra incuranza!

Questo non è il modo di procedere!

Dovreste vergognarvi!!

 

Alberto sbatté le palpebre qualche volta perplesso. Era vero, non era esattamente la cosa più saggia tenere appesa quella sbarra di ferro al soffitto, ma chiamarla arma di distruzione di massa gli sembrava eccessivo.

Appallottolò il post-it e se lo mise nella tasca dei pantaloni dirigendosi in camera sua con l’intenzione di studiare.

Al piano di sotto intanto Idris si adagiava tristemente sul divano davanti a quello dove stavano i tre simil monaci, attirando la loro attenzione su di sé.

“E’ tutto a posto signore?” chiese gentilmente Mandarino.

Idris scosse la testa sconsolato “Il mio  modello non vuole posare per me… dice che non approva i nudi” pigolò.

I tre si intenerirono. “E chi sarebbe il suo modello, triste artista?”

Idris accennò alla cucina con un movimento quasi impercettibile del capo.

“Il cuoco spagnolo?” domandò Limone per conferma. Idris annuì infelice.  

Arancio alzò le spalle “Se vuoi potremmo provare a convincerlo noi… forse abbiamo ancora dell’incenso” disse mentre gli altri due annuivano convinti.

 

 

 

Verso sera Alberto aveva studiato così tanto da essersi momentaneamente scordato averci provato con la sua professoressa, l’unica cosa che voleva fare era una doccia, uscì da camera sua, attraversò il corridoio e appoggiò la mano sulla maniglia. Quando cominciò a spingerla verso il basso per schiudere l’uscio fu distratto da un urlo terribile.

“FERMO!” sbraitò una voce maschile, ma fu troppo tardi, perché la porta del bagno si aprì con un colpo,e Alberto fu sopraffatto da qualche cosa di furioso e primordiale.

Nella penombra serale non capì subito di che cosa si trattasse, e urlò appena sentì un dolore lancinante salirgli dalla caviglia fino al cervello.

Subito anche una nuvola di tela color del sole gli fu addosso in un turbinio inquietante di tuniche sgargianti.

Si strinse le ginocchia al petto mentre i tre monaci parevano lottare con una belva proveniente dagli inferi.

Alberto si guardò la caviglia colpita.

C’era il segno di un morso, esattamente sullo stinco, non faceva sangue, non si era ferito, sembrava il morso di un uomo, come quando da piccolo si mordeva il polso e diceva a suo fratello di avere un orologio indelebile.

Quando la nube arancione si dissolse e Rebecca in vestaglia, attirata dall’urlo fu uscita dalla sua camera per vedere, Alberto riconobbe la sagoma di un uomo nudo che si divincolava tra le braccia dei tre uomini.

“Oliveiro?” esclamò.

“Cosa gli è successo?” sussurrò Rebecca coprendosi gli occhi con le mani, un po’ perché lo spagnolo era nudo, un po’ perché sbavava e aveva gli occhi iniettati di sangue.

“Legalo, legalo!” urlava Arancio a Mandarino, mentre Limone rischiava di prendersi un calcio in faccia.

“Abbiamo cercato di convincerlo a posare nudo per il vostro pittore triste, ma qualche cosa deve essere andato storto… perché al momento pare posseduto da qualche creatura infernale…”spiegò Arancio ansante prendendosi una gomitata sulla mandibola.

“Forse abbiamo esagerato con l’incenso” fece eco Limone.

La bocca di Alberto si contorse in una u rovesciata. “Era l’unico normale! L’unico normale!” sbraitò fuori di sé.

“Tranquillo, troveremo il modo di scacciare il demone, promesso!”esclamò poco convinto Mandarino, prendendosi una testata in piena faccia.

“Posso guardare o è ancora nudo?” chiese Rebecca ancora sulla porta guardando attraverso le dita.

Alberto se ne tornò in camera sbattendo la porta. Se non avesse trovato in fretta una soluzione avrebbe avuto un esaurimento nervoso.

 

 

   
 
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