Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |      
Autore: releuse    08/03/2010    10 recensioni
Dopo il ryokan, la litigata, il ritiro... come affronteranno Ken e Jun il loro rapporto alla luce del sole? In fondo, una cosa mancava: il primo appuntamento!
"Ken... sembra di essere a un omiai..."
Dicasi Omiai: incontri a scopo matrimonialeXDDDD di quelli tanto di moda in Giappone ^_^ Diretto seguito de "Il cuore e il pallone"
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Shun Nitta/Patrick Everett, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Evviva, e anche il primo appuntamento di Ken & Jun è finito! Sono felice di aver scritto e concluso questa ff, ci tenevo molto!!  I miei figlioli fanno tanto gli adulti e i duri... ma vogliamo vedere come si comportano in pubblico? Facile vedersi solo nelle camere di ryokan e alberghiXDD Hihihi!! Scrivere di Jun e Ken è una cosa che amo, mi emoziono da sola, davvero! (neuropsichiatria Mod ON), ormai il loro mondo è parte di me e mi frullano sempre in testa nuove idee!
Un grazie millissime a Berlinene, per il super rapido betaggio ^__^ A lei è dedicata questa ff, con un augurio di rapida guarigione!! Non fare troppo la Wakabayashi!!!
Grazie anche alla mia oneechan Ichigo, che attendeva i suoi figliocci!! Eccoli di ritorno, finalmente!! Grazie per avermi delucidato sul... cardiganXD Ken ringrazia!!
Grazie a Haley che so attede con ansia questa ff e con la quale, ogni volta, ci perdiamo in pensieri idilliaci sul nostro amato principe del calcio!!

Grazie a tutte voi che leggete e che apprezzate questa coppia non proprio Canon, ma che per me è la più bella di tutto CT XDD

Buona lettura!



Come un omiai








Era solo da poche ore che non ci vedevamo, ma sentivo già la sua mancanza. Quello sguardo enigmatico ancora impresso nei miei occhi.  Il principe del calcio si era avvicinato alla porta della camera condivisa durante il ritiro, aveva allungato la mano verso la maniglia, finendo però per accarezzare il vuoto. Il borsone che teneva sulla spalla gli era scivolato lungo il braccio, cadendo in terra con un tonfo sordo, mentre lui si voltava: gli occhi castani fissi nei miei, quelle iridi fiere, la cui luce tradiva una velata tensione. Uscire dalla stanza significava affrontare il mondo al di là di essa, immergersi ancora una volta nel fluire della quotidianità, stavolta senza temerla.

Ne eravamo coscienti, sia io, sia Jun.  Ma lui non avrebbe fatto alcun passo, non prima che ne facessi uno io. Perché nonostante ci fossimo chiariti, nonostante avessimo passato le ultime notti a ripeterci in maniera quasi ossessiva i nostri sentimenti, come se avessimo previsto quel momento, era ancora aperta e dolorosa la ferita che gli avevo provocato, lo avvertivo. Misugi aveva paura di sentire nuovamente quei suoni uscire dalle mie labbra:

“Non potremo continuare questa storia…”

Con un breve passo avevo azzerato le distanze, abbracciandolo, e Jun aveva fatto lo stesso. No, non le avrebbe più udite quelle parole, perché non avrei sopportato ancora una volta il lacerante senso di vuoto che ti divora, quando lasci svanire qualcosa a cui tieni in modo profondo, senza poterci fare assolutamente nulla. Poi lo avevo stretto ancora, sussurrandogli all’orecchio: “Ti chiamo quando sono a casa, ok?”



Rientrare in città era stato come essere proiettato in un’altra dimensione. Ero in casa, la mia casa, lo sapevo bene. Ma qualcosa non andava. Non riuscivo a seguire mamma e papà che mi accoglievano sorridenti e soddisfatti, non avevo dato gran peso alla pacca sulla spalla di mio fratello che si complimentava per la vittoria, né al cane che scodinzolava intorno. Mi sentivo… estraniato. La sensazione era simile a quella che si prova dopo una notte insonne, magari passata con gli amici in qualche locale: il giorno dopo ti appare tutto troppo frenetico e agitato per i tuoi ritmi rallentati. E tu sembri osservarti da lontano, hai le orecchie che fischiano e non afferri bene le parole di chi tenta di comunicarti qualcosa.

Solo dopo una bella doccia rigenerante cominciai pian piano a riprendere confidenza con i miei spazi, la mia camera, i miei ritmi. Eppure c’era sempre una strana sensazione di vuoto, di mancanza.

E, sapevo bene, ciò che mancava era Jun.

Così stavo seduto sul letto, fissando il cellulare come se avesse un potere ipnotico, le dita immobili sulla tastiera, indeciso sul da farsi. Non che non volessi sentirlo, anzi, non vedevo l’ora di parlargli, di chiedergli del viaggio di rientro… di sentirne la voce. Ma ero emozionato. Tremendamente emozionato. Come un ragazzino alla prima cotta, anche se, in effetti, era la prima volta che frequentavo un ragazzo. Cominciavo anche a sentirmi un poco stupido, ma la cosa non aiutava. Feci un profondo respiro per rilassarmi, poi scrollai le spalle e, facendomi coraggio, chiamai.

Non era ancora terminato il secondo squillo che subito lo udii rispondere: “Pronto, Ken?”
E l’agitazione sfumò: quella risposta così veloce mi fece immaginare che Jun fosse davanti al telefono da chissà quanto tempo, come lo ero stato io.

“Ciao, Jun.”

Per alcuni istanti ascoltai il suo respiro sovrapporsi al mio, scandendo quei secondi di silenzio.

“Com’è andato il viaggio?” Chiesi all’improvviso.
Jun inspirò profondamente. “Mah, bene! Solo che quando ho messo piede in casa i miei genitori mi hanno travolto con domande sulle mie condizioni, sul cuore… che ossessione! Quando non ci penso, stai sicuro che loro me lo ricordano!” Sbuffò il mio principe.
Io scoppiai a ridere, sapevo bene quanto Misugi odiasse sentirsi ricordare i suoi problemi cardiaci. Però… “Stai bene comunque, no?” Gli domandai, mio malgrado.
“Ken…” Sospirò lui, in tono di dolce rimprovero. “Certo che sto bene!”

Sorrisi fra me, rilassandomi. Un peso che scivolava via.

“In ogni caso…” Continuò Misugi. “Ho detto loro che il mio cuore non è mai stato bene come in questo momento…”

Per un istante rimasi senza parole, con un sorriso beota stampato sulle labbra. “Ne sono felice.”

Il resto della telefonata fu un continuo scambio di battute, riflessioni sul ritiro, sull’amichevole e le previsioni sul rientro a scuola. A poco a poco la voce di Jun si faceva più sicura e pensai che forse ero riuscito a scacciare i suoi timori.

“Allora domenica ci vediamo?” Mi chiese improvvisamente, buttandola lì, sorprendendomi. Anche se non poteva vedermi, abbozzai un sorrisetto ironico. Mi stava mettendo alla prova?
“Mh…” Tergiversai. “Mi sta chiedendo un appuntamento, signor Misugi?”
“Mh, sì, signor Wakashimazu.” Rispose Jun, stando al gioco. “Ha l’onore di uscire con il rinomato Principe del calcio. Non sa quante ragazzine desidererebbero poter essere al suo posto!”
“Oh, sì, immagino! Peccato che queste ragazzine non sanno che il loro beniamino è occupato col sottoscritto!”

Scoppiammo entrambi a ridere, come solo fra noi riuscivamo a fare.

Subito dopo fissammo ora e luogo dell’appuntamento: mezzogiorno e mezzo in un locale in centro noto a entrambi. Continuammo poi a parlare del più e del meno. Quando sentii mia madre chiamarmi per la cena, ci salutammo senza smancerie, ma con un tono di voce molto confidenziale, dal quale trapelava il forte desiderio che arrivasse presto il week end.

Con espressione soddisfatta e fiduciosa scesi dal letto, avviandomi al piano di sotto. Dal giorno dopo sarei tornato a scuola e avrei ripreso i ritmi della vita quotidiana. Pensai così che a poco a poco tutto sarebbe tornato normale… tutto come prima.
*****

“Buongiorno, portiere! Ti auguro una buona giornata, non dormire sul banco, eh!
Jun.”


Ero ancora mezzo addormentato, quando lessi questo messaggio. Destato dalla sveglia, gli occhi che ancora faticavano ad aprirsi, per un brevissimo attimo avevo avvertito sulla pelle e fra le lenzuola la stessa sensazione di mancanza e vuoto che mi aveva turbato il giorno prima. Di certo istanti trascurabili, rispetto all’angoscia provata quando Jun aveva abbandonato il ryokan senza dirmi nulla. Stavolta, però, lui c’era e ci sarebbe stato.
Mi sedetti poi sul letto, passandomi una mano fra i capelli che cadevano selvaggi sul viso, diedi poi una scrollata di spalle e feci schioccare il collo, levando un sospiro, mentre scuotevo la testa con rimprovero. La sera prima stavo per fare ancora una volta lo stesso errore, quello che mi aveva portato a negare Jun e il sentimento che mi legava a lui. Era ricominciata la vita normale, è vero. Ma in questa quotidianità ora c’era anche Misugi. Svegliarsi in un letto vuoto e trovare il messaggio di qualcuno che ti considera il primo pensiero della giornata era un’emozione nuova e speciale, che non avevo mai provato prima d’allora. Nulla a che vedere con il tutto come prima. Sorrisi, forte di una nuova sensazione che, sentivo, avrebbe dato energia all’intera giornata.

No, d’ora in poi sarebbe stato decisamente tutto diverso!
*****

Il rientro a scuola fu meno traumatico del previsto, anzi, divenne un modo per distrarmi e far passare il tempo il più velocemente possibile, evitando così di pensare a quanto mi mancasse Jun. Ok, ci sentivamo tutti i giorni, ma non era la stessa cosa. Ogni mattina lanciavo uno sguardo al calendario, scalando un giorno dalla data dell’appuntamento. Non vedevo l’ora fosse domenica. Non vedevo l’ora di vederlo e stare con lui!

Anche gli allenamenti erano ricominciati con regolarità, in vista del prossimo campionato, ma c’era qualcosa di… diverso. Il vociare delle ragazze si era fatto più forte e avevo l’impressione che fossero anche cresciute di numero. “Quante ammiratrici, Wakashimazu!” Mi disse un pomeriggio Takeshi, dopo che si erano uditi un paio di “Keeeen!” gridati fra la confusione. Io abbassai lo sguardo, lievemente imbarazzato. Perché diavolo avevo smesso di usare il cappellino, da un po’ di tempo a quella parte? Avrei potuto coprirmi il viso più facilmente!
“Continua così e supererai quelle di Misugi!” Scherzò il mio amico, ridacchiando, provocandomi un tuffo al cuore. Guardai Sawada con un sorriso sforzato che, probabilmente, a lui parve normalissimo. “Non ne avrò mai tante così…” Dissi poi, pensando a quanto Jun fosse bello. Era normale essere affascinati da lui, era capitato anche a me. Con quel viso gentile, dietro al quale si nasconde invece una personalità forte e determinata, il principe del calcio mi aveva ammaliato e io non ero più riuscito a fare a meno di lui. Se era successo con me, figuriamoci con quelle ragazzine che affollavano gli spalti e che assordavano giocatori e pubblico con le loro vocette stridule. M’infastidiva un po’ questa cosa… gelosia? Forse. Ma non potevo farci nulla. Sospirai così, un po’ rassegnato.

“Ehi, Ken, dai, non abbatterti…” Takeshi mi poggiò una mano sulla spalla, con il suo solito fare comprensivo e un po’ consolatorio. “La bravura di un giocatore non si vede di certo dalle sue fan…”
“Eh?” Guardai Takeshi spalancando gli occhi e feci un enorme sforzo per non scoppiare a ridere. “Grazie, Sawada!”

Anche con Hyuga le cose andavano meglio. Il capitano sembrava essersi lasciato alle spalle la discussione avuta durante il ritiro e a poco a poco la sua freddezza nei mie confronti era andata svanendo, facendoci tornare ai soliti rapporti di amicizia e complicità. Anche sul campo eravamo tornati in sintonia. Dovevo comunque tenere a mente di evitare le scazzottate con Kojiro, perché se il suo rancore era scomparso completamente, lo stesso non si poteva dire del livido che avevo sul mento, causato dal suo potente pugno*. Domenica Misugi mi avrebbe preso in giro per quel ‘trofeo’, ne ero sicuro!

“Si fa qualcosa domenica?”

Era venerdì, finalmente e anche l’ultimo allenamento era appena finito. E la domanda di Hyuga era l’ultima cosa che avrei voluto sentire e anche l’ultima cui avrei voluto rispondere.
“Dai, sì!” Esordì Takeshi. “È una bella idea!”
“Bisogna festeggiare la vittoria contro la Francia! Alla fine non essendoci né Tsubasa né Wakabayashi, chi ha portato la squadra alla vittoria siete stati voi!” Esclamò Sorimachi, rivolgendosi a me e il capitano.
“Già.” Sorrise beffardo Kojiro.

Avrei voluto evitare, ma non potei farne a meno. “Ho un impegno, domenica.” Esordii, un po’ scostante. Nello spogliatoio, l’attenzione si concentrò tutta sul sottoscritto.

“Cosa devi fare?” Chiese innocentemente Takeshi.
“E con chi?” Meno innocente, invece, era la voce del capitano.

Cercando di richiamare gli insegnamenti di mio padre riguardo a calma e perseveranza, alzai lo sguardo e li osservai con aria tranquilla: “Devo vedermi con Misugi.”

L’espressione allusiva di Hyuga mutò improvvisamente. Di certo non si sarebbe aspettato una simile risposta. “Misugi…Jun? Jun Misugi?” Domandò un po’ confuso.
“Tsk, capitano, ti si è incantato il disco?” Lo derisi, in maniera forse un po’ eccessiva. Ma quello era il tipico modo che avevo di mettermi sulla difensiva. “Comunque sì, Jun Misugi.”

Il capitano, una volta tanto, non diede seguito al tono di scherno, lasciando scivolare via la sfida. “E cosa diavolo esci a fare con Misugi?” Era davvero stupito e diffidente.
“Mah, bo?” Scrollai le spalle. “ Mi ha chiesto di vederci, lo accompagno a fare delle commissioni e ne approfittiamo per fare due chiacchiere.” Dentro di me chiesi mille volte scusa a Misugi per avergli dato la ‘colpa’, ma non sapevo che altro rispondere. “Magari mi presenta qualche fan!” Aggiunsi, evidentemente divertito.

Il capitano s’incupì. “Mi pare che tu avessi subito una sconfitta da lui…” Mi ricordò, caustico.  E lì strinsi i denti, facendo mente locale: per quanto ricordassi, Hyuga non aveva mai avuto grande simpatia per Jun Misugi. La cosa non mi avvantaggiava.

“Beh, avranno legato durante il ritiro, in fondo sono stati compagni di stanza!” Intervenne Takeshi Sawada il paciere, sentendo odore di pericolo. Pericolo uguale rissa. Rissa uguale Sawada che deve farsi in mille pezzi per mediare.
“Vedi?” Dissi con un sorriso, indicando il nostro acuto centrocampista, ma rivolto sempre al capitano . “Non ci vuole molto a capirlo!”

“Mi era sembrato di capire che lo considerassi un tuo rivale…” Ringhiò Kojiro.

“Mah…” Sospirai, ostentando una certa noncuranza, ignorando l’asprezza dei suoi toni. “Si impara tanto dai rivali!”

Il capitano fece un profondo respiro, rassegnandosi. “Ma ti hanno attaccato la tsubasite acuta?” Commentò. “Fatti prendere dalla Nankatsu, va’! Che lì il buonismo abbonda!”

Scoppiammo tutti a ridere, e la tensione calò.

“Ma scusa, capitano…” Dissi poi, ormai rilassato, ma un po’ col dente avvelenato. “ anche tu hai legato molto con Hikaru Matsuyama o mi sbaglio? Solo che sta a Hokkaido! Probabilmente se lui fosse stato qui vi sareste visti di più volte e sareste usciti spesso, no?”

Kojiro mi fissò. Non c’era più rimprovero nel suo sguardo, solo quell’espressione di resa ma comunque ferma e orgogliosa, di quando la Tigre sa che hai ragione, però fatica ad ammetterlo. Il discorso cadde poi lì e slittò su altri argomenti.
A lungo mi domandai perché Hyuga l’avesse presa a quel modo. Pensai fosse la sua solita smania di protagonismo, una sorta di possesso eccessivo e un po’ infantile, quel diritto che lui reclamava in molte occasioni. Temetti anche che avesse intuito la verità. Invece i suoi motivi erano altri. La sua era semplice e profonda paura di perdere il proprio migliore amico. Ma non l’avevo capito e non l’avrei compreso ancora per molto tempo, troppo preso dall’entusiasmo e dalla curiosità per la storia con Jun, ancora acerba e tutta da vivere.
*****


Domenica. L’agognata domenica che avevo atteso per tutta la settimana. Una giornata limpida, con un sole brillante e la temperatura mite. Perfetto, no?Allora perché diavolo io e il principe del calcio stavamo fermi, immobili, davanti all’entrata del locale?
Cos’era quella tensione che sentivo frapporsi fra me e Jun? Quando Misugi sollevava lo sguardo, inevitabilmente distoglievo il mio, abbassandolo.

“Ciao…” Riuscimmo almeno a pronunciare, con un filo di voce. Intanto, la campanella collegata alla porta del locale suonò per non so quante volte, segno che le persone andavano e venivano, mentre noi continuavamo a rimanere lì, gelati sul posto. Non mi riconoscevo, così teso e imbarazzato. E Jun non era da meno! Possibile che dopo quello che c’era stato fra noi, le parole che c’eravamo detti, ora ci trovassimo in una situazione paradossale come quella? Non credevo che stare in mezzo alla gente potesse avere un effetto simile!
“Entriamo?” Lo sentii domandare di getto, riacquistando un po’ del suo tipico autocontrollo. In queste cose, Jun era di sicuro più bravo di me. Annuii con la testa e mormorai un incomprensibile ‘sì’.

Il locale era molto bello e accogliente, con ampie vetrate che scacciavano la sensazione di chiuso tipica di quegli ambienti. Inoltre era suddiviso in varie sale e noi ci accomodammo in quella adibita per il pranzo, scegliendo un tavolo vicino all’enorme finestra. C’erano già diverse persone sedute. Mentre Jun si toglieva la giacca rimasi incantato. Era da un pezzo che non lo vedevo in ‘borghese’ e potevo constatare come l’eleganza della sua figura venisse risaltata dagli abiti che indossava: una camicia azzurro chiaro tendente al ghiaccio e dei pantaloni di tela dello stesso colore della giacca. Mi sentii a disagio anche per quello: io indossavo qualcosa di più informale, una camicia bianca, un paio di jeans e…

Improvvisamente, lo sguardo interrogativo di Misugi incontrò il mio. “Ahem…” Balbettai imbarazzato, colto in flagrante. “Bella quella giacchetta beige…” Farfugliai.
Jun portò lo sguardo sull’indumento steso sul divanetto, poi mi guardò ancora. “Ah, il cardigan!” Esclamò con un sorriso. E io volli sprofondare sempre di più. Ok, che era un tipo preciso l’avevo capito da un pezzo.
“Anche tu stai bene…” Jun espresse quell’osservazione con sincerità, lo sentivo, anche se non riuscivo a guardarlo negli occhi.
“G… grazie!”
“E anche quel livido che ancora non è andato via… ti dona!”

Ecco, lo sapevo che me l’avrebbe fatto notare! “Se lo dici tu…” Sospirai.
 
“Allora com’è andata la settimana?” Esordì lui, la voce tesa da apparire formale. Gli sguardi fissi di entrambi a contemplare il tavolino e le tovagliette di carta poggiate sopra.
“Bene, sì. “Risposi nello stesso modo, naturalmente senza volerlo.  “E tu?”
“Molto bene. Gli allenamenti?”
“Mh, forse un po’ faticosi, ma sai… il prossimo campionato…”
“Idem…”
“Non affaticarti troppo, però…”
“Sì, lo so…”
“Ma come stai oggi?”
“Bene, tranquillo…”

“Prego?” La voce della cameriera ci fece sussultare. Con l’abilità di un grande attore, Jun sfoggiò la sua tipica faccia di bronzo e con un sorriso angelico riuscì a cavarsi d’impaccio, mentre io ebbi bisogno di alcuni secondi in più per riprendermi. Comunque ordinammo due piatti combinati di riso e carne, io una coca cola, Jun un tè e una bottiglia d’acqua per entrambi. La cameriera prese le ordinazioni e si allontanò alquanto perplessa, mentre fra noi scese ancora una volta il silenzio.
Mi sentivo un idiota, come mai prima di allora.

“Ken…” Mi chiamò Misugi, l’imbarazzo che imperversava. “Sembra di essere… a un omiai*!”
Spalancai gli occhi, sollevando finalmente lo sguardo, notando il sorrisetto che aleggiava sulle sue labbra. “Porca miseria…”Esclamai, mettendomi una mano sulla fronte. “… hai ragione!” E non potei fare a meno di sbuffare dal ridere, sentendomi ancora più idiota. E il nervosismo cominciava ad attenuarsi. “Scusami, davvero, Jun. “ Dissi con la faccia di chi ha appena fatto la più magra delle figure.
“Non devi scusarti, anche io mi sono sentito, e mi sento… un po’ imbarazzato.” Ammise il principe.
“Beh, è che… è diverso da quando stavamo al ryokan e al ritiro…”
“Ti dispiace…?”
“No… sono felice, davvero. Quello che mi dispiace è… il non poterti salutare come vorrei!” Vuotai d’un fiato, arrossendo lievemente.
“Eh, lo so. Niente baci in pubblico… che ci vuoi fare…” Jun liberò un lungo e deliberato sospiro, “le altre tappe le abbiamo bel che bruciate, in effetti il primo appuntamento ci mancava!”

Ironico. Volutamente ironico e beffardo. Caratteristica tipica di Jun Misugi, che si confondeva meravigliosamente con quella sua aria da ragazzino per bene, e mi piaceva da impazzire, dovevo ammetterlo. Ci fu soltanto uno scambio di sguardi complici e subito scoppiammo a ridere, cancellando una volta per tutte quell’assurda agitazione che ci aveva frenato fino a un attimo prima. Nello stesso istante ci servirono le ordinazioni. “Beviamoci su!” Esclamai sempre ridendo, non appena la cameriera si era allontanata, ma nell’attimo in cui afferrai la bottiglia d’acqua Jun fece lo stesso e le nostre mani si trovarono l’una sull’altra. E la sensazione fredda della condensa, unita al calore del palmo di Misugi, generarono una sorta di brivido  che mi scosse, così come accadde al principe. Ma nessuno dei due osò togliere la propria mano, non subito, almeno. Quello era il primo contatto avuto da quando c’eravamo visti.
“Sarà difficile per noi…” Jun pronunciò quelle parole guardandomi dritto negli occhi, serio come quando scendeva in campo.
Sapevo che sarebbe stato difficile, non mi ero mai illuso del contrario. Se pensavo al futuro lo vedevo carico di difficoltà, è vero, ma per quanto fosse pressante questa consapevolezza, volevo in ogni caso stare con Misugi.

“Lo so, ma non m’importa…” Risposi. Avremmo giocato questa partita fino in fondo.

E negli occhi di Jun scorsi una luce soddisfatta. Le nostre mani si separarono, andando ad afferrare bicchieri e bacchette. “Allora buon appetito!” Esclamai strizzando un occhio.
“Grazie, altrettanto!” Rispose educatamente Misugi, ridacchiando. Con l’atmosfera finalmente rilassata aprimmo un’animata conversazione sulla settimana strascorsa, sugli impegni scolastici e di quelli calcistici, sulle nostre giornate e… su di lei. Tasto dolente.

“Devi vedere Yayoi, sembra un’altra persona!” Esclamò Jun, entusiasta. Io, di certo, lo ero di meno. “Sta sempre al telefono con Misaki, non si può neanche mangiare in santa pace: la pausa pranzo per lei è diventata la pausa telefonata!” L’espressione di Jun era sinceramente felice, mentre io, anche se sapevo che fra lui e Yayoi Aoba non c’era mai stato nulla e che lei ora frequentava Taro Misaki, non potevo che infastidirmi nel sentirla nominare. Infatti non replicai e Jun se ne accorse subito. “Non sarai ancora geloso di lei?” Domandò, con aria da finto tonto. Io trasalii alzando la voce, indispettito. “E quando mai sono stato geloso di lei?” Naturalmente mi ero messo nel sacco da solo.
“Mah…” Jun fece spallucce, ignorando bellamente la mia reazione. “Da quando ci conosciamo! Ti ricorda nulla la chiacchierata nel bosco, al ryokan*?” Tremendamente allusivo. Certo che la ricordavo! Quella volta gli avevo chiesto di lei, proprio perché temevo il loro rapporto. Ed era stato lì che Misugi mi aveva raccontato tutto, di come Yayoi lo avesse messo spalle al muro, costringendolo a guardare in faccia la sua vera natura. In un certo senso le dovevo essere anche grato. Ma... “… è vero, sono un po’ geloso!” Ammisi, ridendo per coprire l’imbarazzo.
“Non ne hai motivo…” Sorrise Jun.
“Lo so.”
“Comunque non l’ho mai vista così felice, e sono contento per lei! Ora potremo forse costruire una vera amicizia” Lo disse piano, dando un rapido sguardo oltre la vetrata, quasi soprappensiero. Forse Jun si era sentito in colpa nei confronti di Yayoi, per averla illusa in quegli anni, usandola come copertura. Quindi, il saperla felice con un altro, in qualche modo grazie a noi, gli toglieva un peso dallo stomaco e dal cuore.

“E Hyuga? Come va? Fatto pace con lui?”
“Eh?” Ebbi un attimo di confusione per l’improvviso cambio di discorso. “Ah, il capitano! Oddio, non parlarmene! Di male in peggio!” Sbuffai. Così raccontai a Jun la discussione avuta con Kojiro giusto il venerdì  prima.
 “Ahi, ahi, credo che Hyuga mi odierò ancora di più d’ora in poi!” Sbuffò sconsolato Jun.
“Ma noooo, non ti odia, che dici!” Lo rassicurai, ridendoci su.
“Mh, sarà. Speriamo in bene… ma credo che la Tigre vorrà marcare bene il suo territorio!” Esclamò ironico.
“Ah, ah, ah! Stai tranquillo! Il capitano è meno terribile di quello che sembra!”
“Speriamo. Ah, invece i miei genitori erano molto sorpresi che uscissi con un amico… che non è il pallone!” Esclamò il principe, facendo dell’ironia.
“Uh, davvero?” Domandai perplesso.
“Sì, non sono abituati a vedermi uscire con qualcuno che non sia la squadra. O Yayoi. Ma anche lì era sempre per questioni calcistiche o mediche.”

Era vero. In quei mesi che conoscevo Jun non mi aveva mai parlato di eventuali amici. Migliori o meno. Io, invece, gli avevo raccontato molte cose sui miei: Sawada, Hyuga, Sorimachi… che Misugi non avesse amici? Quasi certamente era così. Eppure la cosa sembrava non essere un problema per lui, ne parlava tranquillamente, come se fosse logico e normale nella sua vita. Una promessa del calcio come Jun Misugi, sicuramente all’inizio aveva suscitato solo invidie, con conseguente allontanamento dei compagni che si sentivano inferiori. Poi con la malattia, probabilmente, era stato lui a isolarsi dagli altri, per il timore di creare legami nati dalla compassione. Mah. Alla fine le mie erano solo riflessioni, basate sulla conoscenza che avevo avuto di Jun in quel periodo, ma preferii non indagare oltre.

“Cos’è questa musica?”

La domanda di Jun unita a una musica che sentivo nell’aria mi distrasse da quei pensieri. “Dev’essere il Karaoke!” Ipotizzai, ricordandomi che in quel locale c’era una sala adibita a quel gioco.
“Davvero?!” Gli occhi di Misugi s’ illuminarono come quelli di un bambino, sorprendendomi. Lo vidi poi alzarsi, prendere il cardigan e sorridere impaziente “Dai, allora andiamo!”
“Eh? Andare… dove?” Balbettai perplesso.
“A cantare! Io adoro il karaoke!”
 “Cosa? Jun, ma cosa…” Niente. A nulla servirono le mie lamentele: Jun mi afferrò un braccio, per trascinarmi poi senza pietà nella sala dove gruppi di ragazze e ragazzi si alternavano al microfono, scegliendo la base musicale su cui cantare.
“Misugi… non vorrai…”
“Certo!!” Lo vidi esultare gioioso. Pochi minuti dopo stava già cantando davanti a tutti “Daybreak’s bell” del gruppo L’Arc~en~Ciel*. Roba rock che avevo sentito da Hyuga. Ero davvero meravigliato, Jun sembrava un’altra persona: cantava, ridendo fra una strofa e l’altra – accidenti, era bravo pure in quello!- , si divertiva come non lo avevo mai visto fare e il suo entusiasmo diventava contagioso, anche se non riuscì a convincermi a unirmi a lui e agli altri pazzi esaltati che cantavano a squarciagola. Mi tornò alla mente la prima volta che uscimmo insieme, alla festa tradizionale, quando stavamo al ryokan. In quell’occasione, Misugi aveva gareggiato al kingyosukui* con scarsi risultati, ed ero rimasto sorpreso dalle sue buffe manifestazioni di rabbia e dall’ostinazione con cui cercava, invano, di pescare i pesci rossi. Lì avevo cominciato a rendermi conto di quanto il principe del calcio fosse diverso dall’immagine che avevo, e che probabilmente avevano anche gli altri compagni, di lui. Mi era sempre apparso come un ragazzo determinato e inflessibile, forse troppo severo con se stesso. Invece… era un ragazzo come gli altri.

‘Sul campo ho troppi pensieri e responsabilità per essere me stesso’.  Le ricordavo, le sue parole. Quella sera, alla festa, avevo conosciuto il lato più umano del principe del calcio, nonché la sua piacevole compagnia. Ora venivo a conoscenza di una parte parecchio allegra e un po’ infantile.

Quante sfaccettature non conoscevo ancora di Jun Misugi?

Forse era per questo che non riusciva a legare sinceramente con qualcuno? Perché difficilmente mostrava il vero se stesso? Erano tante le cose che avrei voluto sapere di lui. Ma, in fondo, non c’era alcuna fretta. Avremmo avuto tutto il tempo per parlare e conoscerci, di questo n’ero certo.
**********

Usciti dal locale, avvertivo la testa pesante e le orecchie fischiare. “Accidenti, ce n’è di gente stonata, mi hanno rotto i timpani!” Mi lamentai, facendo pressione sulle orecchie con le mani, per alleviare il fastidio.
“È vero! Però è divertente!” Jun rideva ancora, davvero felice. E quella espressione pagava tutti i patimenti, rendendomi più che sereno e soddisfatto.

Camminammo per un po’ con meta indefinita, lungo una via piena di negozi, fra il viavai di gente sui marciapiedi e le auto in fila ai semafori Di tanto in tanto davamo un’occhiata a qualche vetrina, soprattutto a quelle d’abbigliamento sportivo, soffermandoci per qualche minuto. Fu proprio durante una di queste soste che udii una voce conosciuta avvicinarsi.

“Non starmi così appiccicata!”
“Ma dai, Shun, siamo una coppia!”

Mi voltai verso la strada. Sì, quella voce apparteneva proprio a…
“Nitta!” Mi anticipò Jun. Il piccolo attaccante spalancò gli occhi, stupito. “Misugi! Wakashimazu!” E io fui ancora più stupito di lui, nel vederlo conciato in quel modo: capelli tirati indietro con non so quanto gel, camicia amaranto acceso col colletto alzato e jeans aderenti all’ultima moda. Al collo, un ciondolo a forma di pallone da calcio, sostenuto da una cordicella nera. Se non gli risi in faccia fu solo perché si trattava di un compagno di squadra, peraltro uno che mi stava particolarmente simpatico. Al suo fianco, e avvinghiata al braccio, una tipa ossigenata sorretta da tacchi vertiginosi. Ma, anche con quelli, raggiungeva Nitta per un pelo.
“Anche tu da queste parti?” Domandò Jun, amichevole.
“Ah, sì…” Rispose Shun, in evidente imbarazzo. “Eheh, ho un appuntamento!” Come se non si capisse. “Lei è Shiori!”
“Piaceeeere!” Esclamò la ragazza con un sorriso da far paura. “E chi sarebbero?” Domandò a Shun, indicandoci con scarsa eleganza.
“Beh, come…” Nitta era indubitabilmente a disagio,  “il capitano della Musashi e il portiere del Toho. Compagni di Nazionale!”
“Aaaaaah! Vabbè, io non seguo il calcio, comunque piacere lo stesso!” Cinguettò Shiori, lasciandoci basiti.

Che ci facesse Nitta con una che non segue il calcio è ancora un mistero.

“E voi?” L’hayabusa fighter deviò il discorso, guardandoci sempre con sorpresa “Non sapevo usciste insieme!” Probabilmente l’allusione non era voluta, ma io m’irrigidii comunque. Misugi, però, non si fece cogliere impreparato, obiettando. “Ehi… detto così sembra che anche noi abbiamo un appuntamento, Nitta.” Scandì, con sguardo severo.
Allarmato, lanciai un’occhiata a Jun, incredulo di ciò che avevo appena sentito. Era impazzito tutto d’un colpo? Tuttavia, dovetti ricredermi, poiché le sue parole ottennero un effetto inaspettato, almeno per me: lui, di certo, aveva calcolato tutto.
“Come?” Shun Nitta diventò più rosso delle labbra laccate della tipa che si trascinava dietro. “No, scusate, non intendevo affatto, non volevo dire una cosa del genere, assolutamente! Intendevo che non sapevo foste amici…” Balbettò.
“Figurati!” Rispose Jun, con un finto sorriso del tipo ‘vorrei ben vedere’. Ok, non avrei mai accettato quel suo modo di prendere le cose di petto e in maniera tanto diretta, ma non potevo negare che funzionava. Jun Misugi riusciva proprio a essere gentile e terribile allo stesso tempo!
“Nemmeno noi pensavamo di poter essere amici, ma al ritiro abbiamo legato!” Terminò Jun.
“Ah, sì, sì, è vero! Siete stati compagni di stanza!” Annuì Nitta, con un sorriso impacciato. Ormai avrebbe asserito, e creduto, a qualsiasi cosa.
“Comunque nulla di che, Wakashimazu aveva bisogno di un consiglio!” Continuò il principe del calcio, suscitando la curiosità mia e quella di Shun. “Uh? Consiglio?” Domandò infatti quest’ultimo.
Misugi accennò con la testa alla tipa di Nitta, che si era allontanata per ammirare le vetrine. “Aaaah!” Afferrò Shun. Donne. Afferrai anch’io, parecchio contrariato.
“Beh con uno pieno di donne come te, Misugi… si va sul sicuro!” Commentò l’attaccante. Jun scrollò le spalle indifferente. Io non proferii parola, perché avrei fatto danni.
“Comunque penso che nemmeno uno come te, Wakashimazu, abbia problemi! Perché…” Shun si bloccò per un istante. “Vabbè, vedrai andrà tutto bene con la tipa! Shiori, andiamo!” Richiamò la sua ragazza con fretta quasi eccessiva, le prese la mano e fece per andarsene. “In bocca al lupo, ci vediamo presto!” Esclamò con un enorme sorriso che, a ripensarci, forse non era del tutto spontaneo.
“Ti odio!” Esclamai indispettito, all’indirizzo del principe che ridacchiava fra sé e sé.
“Eddai, era a fin di bene!”
“Questa me la paghi…” Borbottai, imbronciato. “E comunque, si dà il caso, che se c’è qualcuno qui che ha esperienza con le donne, quello sono io!*”
“Eh, ma non sembra!” Sghignazzò Misugi.
“COSA?!”

“Comunque credo che Shun Nitta ti ammiri molto.”

La capacità di Jun di cambiare argomento era davvero degna di nota.

“Davvero? Perché?” Domandai curioso.
“Da come ti guarda… pieno di… stima!”
“… dici?”
“Certo!”

Misugi, quella volta, era convinto delle sue parole. E io stesso non le misi in dubbio, anche perché, ancora, non conoscevo bene l’hayabusa fighter, e a lungo sarei stato convinto che il suo interesse nei miei confronti fosse dovuto alla semplice ammirazione come giocatore di calcio.

“Che si fa ora?” Domandò poi Misugi. “Dai, scegli tu adesso!”
“Mh, non saprei…” Riflettei titubante. Poi ebbi un lampo. “Shinagawa!”
“Eh? Shinagawa?”
“Sì! Hanno riaperto l’acquario*, quello chiuso per lavori, perché non ci andiamo?” Chiesi con sincero interesse. Avevo sentito dire che il Toho avrebbe presto organizzato una visita proprio al nuovo acquario, ma andarci con Jun sarebbe stata di certo un’esperienza diversa. Ero sempre stato un’amante del mare, altra cosa in comune con Misugi. A quest’ultimo, infatti, l’idea sembrò proprio piacere. “Dai, allora, che aspettiamo? Andiamo subito a prendere il treno!”

****


È strano come in pochi secondi si possa passare dalla realtà caotica e asfissiante della città a un ambiente diverso, in cui i ritmi vengono stravolti e dove per parlare abbassi la voce e sussurri, temendo di disturbare le creature che ci abitano. Esseri che danno l’impressione di seguirti con i loro occhi bizzarri, qualsiasi direzione tu segua. Un mondo sconosciuto e fantastico, dove i tuoi, di occhi, vedono solo azzurro e le orecchie odono soltanto lo sciabordio dell’acqua smossa dalle pinne.

Questa fu la prima sensazione che provai, non appena varcammo le porte dell’acquario, immergendoci nell’atmosfera irreale di quello spettacolo traboccante di colori e di svariate forme. Le luci tenui e delicate permettevano di godere al meglio quello spettacolo marino, inoltre, nell’aria si diffondeva una di quelle musiche che riproduceva il mugghio del mare e i versi dei delfini. Melodia fittizia, è vero, ma capace di suggestionare.
 Io e Jun camminavamo fianco a fianco, percorrendo il lungo corridoio ai lati del quale stavano le enormi vasche e ammiravamo incantati tutte quelle specie marine, dal più piccolo pesce al più grosso cetaceo. “… sono bellissimi, non trovi?” Disse Jun con un sussurro, indicando i delfini che s’immergevano nella vasca, esibendosi in vivaci capriole, per poi sollevarsi e raggiungere la superficie. “Sì, lo sono.” Sospirai, con un po’ d’amarezza. Era bello stare lì con Jun, però… non potevamo prenderci per mano, né dire qualcosa di più, come facevano, invece, le coppie che ci passavano di fianco, e questo mi faceva stare male. Nelle mani e fra le braccia avvertivo ancora forte la consistenza del suo corpo e queste sensazioni si scontravano con la frustrazione di non poterlo nemmeno sfiorare. Sapevo bene che non era consentito comportarmi come volevo, ma il desiderio di abbracciare e, soprattutto, baciare Jun restava comunque forte.

“È un bello spettacolo, anche se un po’ triste…”  
“Già…” Risposi laconico. “… è ciò che penso anch’ io.”

 Liberi di nuotare… ma pur sempre in gabbia. Muoversi per un po’, prima di accorgersi d’ essere prigionieri di quattro vetri. Quei pesci non erano diversi dalle statuine incastonate nelle palle di vetro che vendevano nei bazar all’entrata. Sono belle quando le scuoti, perché, finché sono avvolte dalla finta neve, sembrano animate, ma, finito quel gioco, tutto torna a essere plastificato e immobile, e non è cambiato nulla. Così mi sembrò la loro condizione. E anche la nostra. Una finta libertà dentro una realtà immodificabile. Cominciai ad avvertire un forte senso di ingiustizia. Strinsi pugni e denti, trattenendo il respiro, mentre la rabbia avrebbe voluto trovare una valvola di sfogo.

“Calmati, Ken.” La voce di Jun mi giunse lontana, mescolata al verso dei delfini e a quello del mare dove nuotavano i miei pensieri. Sussultai, voltandomi verso il mio compagno che continuava a fissare la vasca come se non avesse fiatato, come se i suoi pensieri mi avessero raggiunto attraverso una strana connessione telepatica. “Capisco come ti senti… è lo stesso anche per me…” E in quel momento incrociai il suo sguardo riflesso sulla lastra di vetro, scoprendo in esso i miei stessi tormenti.

Il principe del calcio continuò a guardarmi da quel riflesso, intensamente. E io sotto quegli occhi severi ma comprensivi riuscì a calmarmi, fino a quando le angosce non vennero spazzate via dal suo sorriso.

“Jun, Wakashimazu-kun!”

Il richiamo di quella voce femminile ci stupì non poco e dal vetro io e Jun riconoscemmo chi stava alle nostre spalle.

“Yayoi, Misaki!” Esclamò Misugi, voltandosi, felicemente sorpreso. Anche io ero stupito ma allo stesso tempo mi agitai. Per Yayoi Aoba, naturalmente.
“Che bella sorpresa, anche voi qui!” Misaki mostrava, invece, il suo solito atteggiamento gentile e pacato. Era una persona comprensiva e non si faceva tante paranoie per quello che c’era stato fra la sua attuale fidanzata e il mio ragazzo.
“Oggi pare s’incontri tutta la Nankatsu!” Riflettei, incrociando le braccia.
Taro e Yayoi ci guardarono interrogativi, così Jun spiegò: “Abbiamo incontrato Nitta, prima. Era anche lui con una ragazza.”
“Oh, bene. Una domenica di appuntamenti, questa!” Scherzò Misaki, innocentemente, ma il centrocampista della Nankatsu non capiva che a volte la sua innocenza era del tutto fuori luogo. Come in quel caso.
“È vero, e abbiamo avuto anche la stessa idea di venire qui, siamo dei romantici!” Ah, ecco, giusto. Jun non si scomponeva mai. E ironizzava pure!
“Dai, Jun, cosa dici!” Esclamò però Yayoi, arrossendo imbarazzata. Almeno lei… al che Taro le cinse le spalle, rivolgendole uno sguardo dolce.

In effetti… Yayoi stava lì a Tokyo e Misaki a Nankatsu. Quindi, dopo una settimana di scuola, anche per loro quello doveva essere il primo appuntamento dopo il ritiro. Quel pensiero mi rasserenò non poco: stavo davvero esagerando con le paranoie!

Fra una chiacchiera e l’altra continuammo così la visita dell’acquario  insieme a Yayoi e Misaki. Naturalmente i discorsi erano incentrati praticamente solo sul calcio, ma per la ragazza non sembrava essere un problema: ci guardava e ascoltava divertita e, di tanto in tanto, interveniva per dare un suo parere sull’argomento. Di certo non sarebbe stato lo stesso con la ragazza di Shun Nitta!

Al termine del percorso, tutti e quattro ci sedemmo nei tavolini all’aperto del bar all’uscita. “Vado io a prendere le bibite!” Si offrì Misaki, alzandosi in piedi. “Ti aiuto!” Esclamò Jun, seguendolo. Nemmeno il tempo di ribattere che i due si erano già allontanati, parlottando e ridendo. Sentendo una leggera tensione instaurarsi fra me e Yayoi, strinsi i denti incapace di fiatare e rimasi in silenzio. Ma, inaspettatamente, fu lei a parlare. “Sembra un’altra persona.” Disse.
“Eh?” Mi voltai e lei fece lo stesso, sorridendomi. “Jun, dico, sembra un’altra persona.” Spiegò. “Lo conosco da anni, ormai, ma non l’avevo mai visto sorridere in questo modo, come l’ho visto fare oggi e in questa settimana, a scuola. Per uno come lui, invidiato ma anche compatito da tanti, sempre in lotta contro il proprio cuore malato, è sempre stato difficile poter essere sereno. Credimi.” Yayoi parlava con sincero e tenero trasporto, riuscendo a catturare completamente la mia attenzione. Ero ancora più meravigliato, anche perché quelle parole erano simili a quelle che Jun aveva espresso su di lei, poche ore prima.“Da quando lo conosco, ho sempre avvertito una sorta di malinconia intorno alla sua persona, e anche molta rabbia. Ora, invece, è sempre di buon umore e quelli che prima sembravano essere i suoi principali pensieri ora sono diventati qualcosa di secondario. Sei riuscito a sanare il suo cuore. Grazie, Wakashimazu-kun.”

Ero sorpreso. Ora capivo perché Jun avesse scelto una persona come Yayoi Aoba, anni prima. Ascoltando la sua voce e ora che la guardavo, stretta nel suo vestito dai colori estivi, le mani delicatamente appoggiate sulla ginocchia, mi rendevo conto della quiete che trasmetteva e di quanto fosse sincera e schietta, nonostante l’aspetto da ragazza timida e riservata.

“Ops, scusami, forse ho parlato troppo, mi sono lasciata trasportare!” Esclamò lei, stringendosi nelle spalle, imbarazzata dal mio sguardo attento. “Non hai nulla di cui scusarti.” Dissi infine, con sincerità, appoggiandomi allo schienale e intrecciando le mani dietro la nuca. “Anzi, ti sono grato per queste tue parole. E poi… Jun pensa lo stesso di te. Non ti ha mai vista così serena e anche lui ne è felice!” Le rivelai.
“Cosa?” Le guance di Yayoi s’imporporarono, strappandomi un sorriso. “Beh… Taro è un ragazzo gentile.” Disse con un filo di voce.
“Lo so. E insieme siete una bella coppia.” Aggiunsi, facendola arrossire ancora di più.

Ora ne ero sicuro: questa volta Jun e Yayoi avrebbero creato una vera amicizia e probabilmente si sarebbero conosciuti più a fondo di quanto avessero fatto in tutti quegli anni. E la cosa non mi dava più alcun fastidio.

Quando Misugi e Misaki tornarono con le bibite, si stupirono di vederci parlare così amichevolmente, ma, di sfuggita, notai anche lo sguardo di soddisfazione che aleggiava sulle loro labbra.
***********

Il sole stava per tramontare oltre quella salita un po’ isolata, il cielo si colorava d’arancio e la stessa sfumatura riluceva sulle pareti delle case. Io e Misugi camminavamo a passo lento, in silenzio, distratto ognuno dai propri pensieri, tuttavia paghi della reciproca presenza. Avevamo lasciato Yayoi e Taro vicino all’acquario, e ognuno aveva proseguito per la propria meta. E da lì né io né Jun avevamo più fiatato. Quella giornata insieme stava per finire e avvertivamo già il peso della lontananza che ci avrebbe diviso per un’altra settimana. Turbato, improvvisamente mi fermai, sospirando amareggiato. Misugi fece ancora qualche passo in avanti, poi si bloccò anche lui. Feci in tempo ad alzare gli occhi, ma non a parlare, poiché Jun mi si gettò al collo all’improvviso, e, sollevandosi sulle punte dei piedi, mi baciò. Un bacio così agognato da sembrare quasi surreale, magico. Avvertii le sue braccia stringersi con forza dietro le mie spalle e le labbra cercarmi con ansiosa passione. Ricambiai con altrettanto trasporto, desideroso di sanare l’inquietudine che mi ero portato dietro per tutta la giornata, la frustrazione di non poterci neppure sfiorare. Quanto mi erano mancate le sue labbra e il corpo così stretto al mio. Quanto? In quel poco tempo Jun era diventato così importante per me, così… vitale? Nell’istante in cui le nostre labbra gonfie di baci si separarono per respirare e i nostri sguardi s’incrociarono, nello scorgere quell’espressione innamorata… sì, non poteva essere diversamente: Jun Misugi era già qualcosa di imprescindibile nella mia vita.

“Scusami…” Disse a un soffio dalle mie labbra, le guance lievemente arrossate. “Non potevo più resistere…”
Io sorrisi divertito, stringendolo ancora di più. “Se non abbiamo ancora ricevuto una secchiata d’acqua gelida, forse siamo salvi!” Diedi un’occhiata veloce intorno, confermando che, probabilmente, nessuno ci stava guardando. Misugi ridacchiò, poi mi passò una mano fra i capelli, accarezzandoli. “Grazie per oggi…”
“Grazie a te…” Risposi, rimanendo incatenato ai suoi occhi accesi come saette.
“Però…” Continuò il mio bel principe, “manca qualcosa in questo appuntamento… non trovi?” E così dicendo mi posò un piccolo e sensuale bacio all’angolo della bocca.
Io alzai gli occhi al cielo, fingendo di riflettere. “In effetti…” Lo cinsi ancora di più, facendo scivolare le mani sulla sua schiena, arrivando a sfiorargli i pantaloni.

Ci scambiammo ancora uno sguardo e le labbra di entrambi si distesero in un sorriso d’intesa: c’era ancora un desiderio da soddisfare.



“Allora, portiere, sei già stanco?” Lo vidi concentrarsi in quel modo che mi faceva impazzire.
“No, Misugi. Lo sai che con te potrei continuare all’infinito…” Lo provocai.
“Bene. E allora… preparati!” Sibilò, con aria di sfida da vero guerriero.

L’intero campetto era un concentrato di pura determinazione: l’aria stava immobile, in attesa di un suo movimento, così come facevo io, lì davanti alla porta, carico di adrenalina. Avremmo avuto tutto il tempo per conoscerci, è vero, ma avevamo già una certezza: la passione per il calcio ci legava e ci avrebbe legato più d’ogni altra cosa.

Poi Misugi scattò sul pallone, calciandolo con tutta la forza che aveva in corpo e io mi tuffai laddove l’istinto di portiere mi suggeriva. La fronte di Jun sudata, i suoi occhi ardenti sotto il sole del tramonto e il corpo immobile e in attesa erano lo spettacolo più affascinante che potessi desiderare.


FINE
 
* Per chi non si ricorda, Ken aveva architettato la lite con Hyuga per avere una scusa e cambiare così camera con Misaki e stare con JunXD
*Omiai, incontri a scopo matrimonialeXD
* Capitolo IV de “Il cuore e il pallone”: Jun parla a Ken del suo rapporto con Yayoi, mentre sono nel boschetto del ryokan. No, ricordate male, lì non fanno cose sconce XD
* Daybreak’s bell” del gruppo L’Arc~en~Ciel esistono veramente, e io amo questa canzone! È la opening del meraviglioso Gundam 00!
* kingyosukui : quel simpatico gioco dove bisogna cercare di acchiappare i pesci rossi con i retini di carta ^^
* Sempre nel “Il cuore e il pallone” IV cap, Ken ammette di aver avuto storie con ragazze, per cercare di convincersi che gli piacessero. Jun, invece, è stato solo con Yayoi. Ma fra loro non c’è mai stato nulla!
*Shinagawa, quartiere a sud di Tokyo, si affaccia sul mare. Che ha un acquario (forse più di uno), l’ho letto su “Delfini” di Banana Yoshimoto, che mi ha appunto ispirato la scena, poi ho controllato sul web e la cosa risulta ^_^


Evviva, è finita!!!
e per la prima volta nei miei scritti di CT... niente lemonXD Solo una shonen ai semplice semplice...XD
Grazie a tutte voi per essere arrivate sin qui!! Spero di scrivere presto altro di Jun e Ken... ok, qualcosa la sto già abbozzando, in comunella con due altre tipe che gironzolano da queste parti XDD
E poi... ho in mente una specie di prequel, *nene sa*... vedremo!!
Tanti tanti baciottini a tutte!!!


  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: releuse