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Autore: Umpa_lumpa    08/03/2010    4 recensioni
E adesso, mentre quelle dita acquose sfioravano il suo corpo inerme e la sua mano si aggrappava titubante alla stoffa della maglietta bianca, se lo chiese: e se io avessi avuto una vita diversa?
[Nota OOC inserita per sicurezza]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Memore dei numerosi rimproveri di una mia amica, salto la premessa e vi auguro buona lettura!^^

-Alternative-

Aveva l’impressione di ricordarselo ancora vividamente, nonostante sapesse bene che non avrebbe dovuto.
La cosa peggiore del riosservare ogni minimo fotogramma della propria vita era il sapere che, proprio come nei film, determinate scene venivano necessariamente svalutate a vantaggio di altre. Difatti, ognuno di noi fa del suo meglio per imprimere nella propria mente ogni singolo gesto compiuto, quasi come se avere archiviata la più piccola azione sia come possedere un tesoro che, sappiamo già per certo, in futuro si rivelerà utile.

Ma, in verità, gli atti sono inflazionati.
Non senza uno scopo, questo è certo -chi più di un detective potrebbe sostenere una simile tesi?-, ma in conclusione ogni altro ricordo acquisisce una nota agrodolce ed evanescente. Proprio per questo, quando si evoca un’immagine della propria vita, bisogna sempre tener presente quanto questa possa essere falsa, quanto le emozioni che richiamiamo potremmo non averle mai vissute, tanto da non avvertire più alcun brivido lungo la schiena.
Finiscono per appartenerci solo effimere tracce di emozioni sulla lingua, ammassate e rimestate, talmente allappanti che la falsità, per pochi attimi, sembra quasi qualcosa di tangibile.
Come in una pellicola sbiadita dal tempo, nulla è certo.

Eppure…lui aveva l’impressione di ricordarselo vividamente, nonostante sapesse bene che non avrebbe dovuto.

Non solo perché aveva l’impressione che quella storia – no, immagine – non gli appartenesse, ma anche perché non aveva alcun valore.

Qualche anno prima, quando osservava la vita dall’alto dei suoi quindici anni, si era ritrovato a lavorare in Sicilia alla soluzione di un caso concernente la mafia. Nell’attesa di raggiungere l’albergo, si era accucciato, con le ginocchia strette al petto, sul sedile della macchina, accanto al finestrino.

Fino a quel momento, anche se il suo sguardo era rivolto verso quest’ultimo, era come se i suoi occhi fossero stati di vetro.

Di rado aveva l’occasione di rivolgere davvero lo sguardo al mondo, nonostante ne avesse sfiorato ogni continente; tuttavia, cosa poteva mai essere quella campagna se non una distesa di terra come tutte le altre? Il caldo che permeava dai vetri lo infastidiva e il paesaggio scorreva davanti ai suoi occhi sotto forma di indistinte macchie giallastre e verdi.

Eppure, ne bastò solo uno: un piccolo, intrusivo e prepotente raggio di sole per far sì che i suoi occhi osservassero il mondo al di là vetro. Quasi per istinto, poggiò la fronte ghiacciata contro il finestrino bollente, premendo con tale forza da dare l’impressione che stesse tentando di fondersi con l’oggetto stesso, nel misero tentativo di avvicinarsi almeno un poco a ciò che gli si dispiegava davanti: il giallo brillante e secco delle spighe di grano veniva stemperato, proprio come nella perfezione di un dipinto rinascimentale, dalla delicatezza dei campi verdeggianti e dalla brutalità della terra bruciata, ancora avvolta in uno spesso manto di fumo, sempre più sottile mano a mano che, presuntuoso, tentava di raggiungere la cima di un monte in lontananza.

E così giurò di poterlo sentire il battito aritmico del suo cuore che avanzava sempre più veloce, mischiando sistole e diastole tanto da renderle indistinguibili. E quella dilatazione continua del suo cuore si manifestava sotto forma di uno strano peso –oh, così piacevole! – sulla cassa toracica. Senza che se ne accorgesse, le sue dita sottili avvinghiarono la stoffa della maglietta bianca, mentre quelle della mano opposta si adagiavano leggere sul finestrino. E anche se sapeva che per chiunque lo stesse guardando lui sarebbe apparso come la solita maschera di cera priva di emozioni – fatta eccezione per la luce viva nei suoi occhi, appena percepibile – non poté fare a meno di sentirsi un poco vulnerabile e afferrare la caviglia, nascosta sotto la stoffa dei jeans troppo lunghi.


Non gli ci volle molto per perdersi nella malinconia data dalla consapevolezza che, di lì a poco, quelle sensazioni gli sarebbero tornate sconosciute. Proprio per questo decise di abbandonarvisi, solo per quegli istanti; in fondo, per quanto ridurre le sue emozioni al minimo fosse la cosa più logica da fare per un individuo razionale come lui, non sarebbe mai stato possibile escluderle del tutto.



E adesso, mentre quelle dita acquose sfioravano il suo corpo inerme e la sua mano si aggrappava titubante alla stoffa della maglietta bianca, se lo chiese: e se io avessi avuto una vita diversa?
Il suo quesito non era carico di paura per quell’imminente morte che giaceva riflessa negli occhi di Light.
La sua era solo una mera curiosità.
Sebbene non volesse morire – no, di certo non rientrava fra i suoi progetti – non provava alcun rimpianto per ciò che aveva fatto in vita. Questo, però, non escludeva il fatto che la sua mente, preda del vizio di vagliare ogni possibilità, continuasse a porsi quella domanda.

Se solo la sua memoria, nient’altro che il diario della sua vita, non avesse escluso a priori le emozioni, ma ne avesse conservato un qualcosa, al di là delle sensazioni scaturite da essa! In quel momento immaginava di scavare fra quelle sterili emozioni, di ritrovare, scribacchiate ai margini di pagine rovinate dei suoi ricordi, quelle parole così cariche di vita. Non perché esse fossero più rilevanti dei fatti, ma poiché quest’ultimi fra qualche ora sarebbero svaniti con l’ultima pulsazione di quel cuore che gli sembrava di stringere fra le mani.
Sapeva bene che le emozioni non si sarebbero rilevate più durature ma, ammesso che  dopo la fine ci fosse stato qualcos’altro oltre al vuoto, la sua anima sarebbe stata plasmata, scolpita sotto le dita del tempo. Non si sarebbe limitata ad essere quella miscellanea di pioggia e rintocchi di campane, di omicidi ed acre sapore di umiliante sconfitta.


Tuttavia…

guardando il temporale diventare sempre più vasto e udendo il forte scrosciare d’acqua tutto intorno, sentì il calore di quel brillante sole siciliano lasciare poco a poco la sua pelle, quell’illecita traccia di memoria farsi sempre più surreale e lasciare posto al suono delle campane.

Smise di vagliare alcuna alternativa perché sapeva bene che non ce ne era mai stata: mentre l’acqua travolgeva la terra e questa, discioltasi in fango, continuava a rimestarsi e scivolare via, lui se ne sarebbe andato. Il mondo avrebbe divorato sé stesso, pensò fissando gli occhi di Light che parlava in lontananza, e lui sarebbe sparito con esso.



Commento autore:
Salve a tutti!^^ Come al solito mi soffermo a dire qualche parolina che ritengo necessaria (mi rifaccio per la premessa mancata XD): questa storia mi era venuta in mente qualche mese fa, e constava di due ricordi (o meglio dire paesaggi) del tutto diversi fra loro. Ad ogni modo, con il passare dei mesi, mi sono del tutto dimenticata quale passaggio logico li legasse, perciò mi sono dovuta arrangiare in questo modo; non è che mi piaccia molto. Ma quello che mi lascia più perplessa è il tema che ho scelto: la morte di L è qualcosa di trito e ritrito e il modo in cui ne ho parlato non è nemmeno originale. Immagino, inoltre, che la lettura si riveli alquanto pesante, dato lo stile che ho adottato^^” chiedo venia…

Sinceramente, non saprei cos’altro dire^^” (e pensare che mi sembrava di dover fare chissà quale commento XD). Fatemi sapere cosa ne pensate^^ Bacioni!
   
 
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