Vittoria e Famiglia
«Kiyan, non vole...».
La voce del
cortigiano si spegne gradualmente, fino a che non rimane solo il
silenzio quasi
perfetto interrotto dai passi lievi del re di Persia, che mi si
avvicina, e dal
respiro ritmico di Adel.
Cerco
di mettermi per lo meno seduto, anche se so che dovrei inchinarmi fino
a terra
davanti al mio signore, ma è lui stesso ad impedirmelo,
alzando lievemente un
braccio. Non smette di sorridermi. Volta per un attimo lo sguardo verso
mia
madre, che rapidamente abbassa il suo e china la testa in segno di
rispetto.
«Mi dispiace, Kiyan» mormoro, ma
prima che possa aggiungere altro, il sorriso sul volto del sovrano si
fa più
ampio. E poi, fa una cosa che non mi sarei mai aspettato. Si accuccia,
posando
il peso sulle piante dei piedi, per potermi osservare da
un’altezza e da una
vicinanza più favorevoli. La sua veste sfiora il pavimento e
io spero solamente
di averlo pulito per bene, perché non potrei mai perdonarmi
di insozzare
qualcosa che appartiene a quest’uomo.
«Come ti chiami?» domanda. Ora che è
più vicino, vedo che i suoi occhi sono gentili e calmi,
quasi brillanti,
completamente neri. Rimango incantato ad osservarli, tanto che lui
ride. I miei
occhi si spalancano per la sorpresa nell’udire quel suono:
è come acqua che
sgorga dalla fontana, è limpida, è chiara,
è fresca.
«Kamal, mio signore». Adel mi viene
in aiuto, come sempre. Non guarda il sovrano, tiene lo sguardo basso e
non sta
fissando nemmeno me.
Il
re si alza e muove qualche passo in direzione di mia madre. «Certo,
come avrebbe potuto essere
altrimenti?» mormora, senza tuttavia rivolgersi a nessuno in
particolare, o almeno così mi sembra. Mi guarda ancora, per
molti istanti. «Hesìam, vai. Donna, tu porta tuo
figlio a
casa e curalo, e fai avere i miei omaggi al generale».
L’espressione
di venerazione sul volto di mia madre non riesce a distrarmi da quella
che vedo
stampata sul viso del cortigiano: è completamente
interdetto. Apre la bocca un
paio di volte e la chiude ripetutamente, come un pesce tirato fuori
dall’acqua
vitale del fiume.
Il
suo capo chino e le spalle basse quando si allontana sembrano avere
inciso a
fuoco la sua sconfitta, e la mia salvezza.
«Mamma, parlami
ancora del Kiyan»
sussurro chiudendo gli occhi quando l’acqua tiepida mi scorre
sul viso. Quando
li riapro, delle piccole gocce mi sono rimaste sulle ciglia, e le
scaccio con
un gesto della mano.
Mia
madre sorride e riprende a passare la stoffa sul mio petto, togliendomi
di
dosso lo sporco. Il contrasto incredibile fra il colore della sua pelle
e
quello della mia la rende silenziosa e le fa corrugare la fronte.
«Mamma» ripeto, riscuotendola dai
suoi pensieri e incoraggiandola ad esaudire la mia richiesta.
Lei
sospira, mentre l’unico altro rumore che percepisco
è quello dell’acqua nel
catino in cui mi trovo, e i passi e le voci «delle persone
nella piazza, oltre
la finestra. «Kamal, cosa vuoi
sapere?» domanda mia madre con un sorriso stanco.
La
risposta sincera sarebbe “tutto”, ma dubito che mi
prenderebbe sul serio. Sono
passati quattro giorni dall’incidente con il cortigiano, e
sono quattro giorni
in cui mi sento gli occhi del sovrano di Persia fissi addosso, in
qualunque
momento, quando sono a palazzo. E, quando mi volto, lui è
sempre lì, a
regalarmi un sorriso e un ondeggiare di candido lino, prima di sparire
dietro
un arco o una colonna.
«Perché mi guarda?» domando infine,
rivolto a mia madre, guardando le sue palpebre abbassate. La stoffa che
mi
corre sulla pelle è morbida.
Lei
non risponde subito. Mi fa cenno di uscire dal catino e io le obbedisco
meccanicamente. Mi avvolge un panno intorno al corpo e prende ad
asciugarmi i
capelli. Sto per richiamare insistentemente la sua attenzione, ma il
rumore
della porta di casa che si apre mi fa smettere di pensare. Il panno mi
scivola
di dosso e i miei piedi nudi percorrono veloci lo spazio che mi separa
da mio
padre. Mi aggrappo alle sue ginocchia, invocando il suo nome con
sentimento,
mentre lo sento ridere perché adesso mia madre
sarà costretta a lavarmi di
nuovo.