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Autore: Sammael    09/03/2010    0 recensioni
Li attraggo, li affascino, li attiro intorno a me come se fossero insetti, e io il fiore. Un fiore che non ha spine, è appena nato, ma crescerà. Obbediscono a tutto ciò che dico, fanno ciò che desidero. Mi seguono correndo nel mercato, ma le mie gambe sono più lunghe, più svelte, più bianche delle loro. Li semino e li riprendo, li scaccio e li accolgo, a mio piacimento.
Ho sette anni, e mi sento il padrone del mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Vittoria e Famiglia

«Kiyan, non vole...». La voce del cortigiano si spegne gradualmente, fino a che non rimane solo il silenzio quasi perfetto interrotto dai passi lievi del re di Persia, che mi si avvicina, e dal respiro ritmico di Adel.
Cerco di mettermi per lo meno seduto, anche se so che dovrei inchinarmi fino a terra davanti al mio signore, ma è lui stesso ad impedirmelo, alzando lievemente un braccio. Non smette di sorridermi. Volta per un attimo lo sguardo verso mia madre, che rapidamente abbassa il suo e china la testa in segno di rispetto.
«Mi dispiace, Kiyan» mormoro, ma prima che possa aggiungere altro, il sorriso sul volto del sovrano si fa più ampio. E poi, fa una cosa che non mi sarei mai aspettato. Si accuccia, posando il peso sulle piante dei piedi, per potermi osservare da un’altezza e da una vicinanza più favorevoli. La sua veste sfiora il pavimento e io spero solamente di averlo pulito per bene, perché non potrei mai perdonarmi di insozzare qualcosa che appartiene a quest’uomo.
«Come ti chiami?» domanda. Ora che è più vicino, vedo che i suoi occhi sono gentili e calmi, quasi brillanti, completamente neri. Rimango incantato ad osservarli, tanto che lui ride. I miei occhi si spalancano per la sorpresa nell’udire quel suono: è come acqua che sgorga dalla fontana, è limpida, è chiara, è fresca.
«Kamal, mio signore». Adel mi viene in aiuto, come sempre. Non guarda il sovrano, tiene lo sguardo basso e non sta fissando nemmeno me.
Il re si alza e muove qualche passo in direzione di mia madre. «Certo, come avrebbe potuto essere altrimenti?» mormora, senza tuttavia rivolgersi a nessuno in particolare, o almeno così mi sembra. Mi guarda ancora, per molti istanti. «Hesìam, vai. Donna, tu porta tuo figlio a casa e curalo, e fai avere i miei omaggi al generale».
L’espressione di venerazione sul volto di mia madre non riesce a distrarmi da quella che vedo stampata sul viso del cortigiano: è completamente interdetto. Apre la bocca un paio di volte e la chiude ripetutamente, come un pesce tirato fuori dall’acqua vitale del fiume.
Il suo capo chino e le spalle basse quando si allontana sembrano avere inciso a fuoco la sua sconfitta, e la mia salvezza. 

«Mamma, parlami ancora del Kiyan» sussurro chiudendo gli occhi quando l’acqua tiepida mi scorre sul viso. Quando li riapro, delle piccole gocce mi sono rimaste sulle ciglia, e le scaccio con un gesto della mano.
Mia madre sorride e riprende a passare la stoffa sul mio petto, togliendomi di dosso lo sporco. Il contrasto incredibile fra il colore della sua pelle e quello della mia la rende silenziosa e le fa corrugare la fronte. «Mamma» ripeto, riscuotendola dai suoi pensieri e incoraggiandola ad esaudire la mia richiesta.
Lei sospira, mentre l’unico altro rumore che percepisco è quello dell’acqua nel catino in cui mi trovo, e i passi e le voci «delle persone nella piazza, oltre la finestra. «Kamal, cosa vuoi sapere?» domanda mia madre con un sorriso stanco.
La risposta sincera sarebbe “tutto”, ma dubito che mi prenderebbe sul serio. Sono passati quattro giorni dall’incidente con il cortigiano, e sono quattro giorni in cui mi sento gli occhi del sovrano di Persia fissi addosso, in qualunque momento, quando sono a palazzo. E, quando mi volto, lui è sempre lì, a regalarmi un sorriso e un ondeggiare di candido lino, prima di sparire dietro un arco o una colonna.
«Perché mi guarda?» domando infine, rivolto a mia madre, guardando le sue palpebre abbassate. La stoffa che mi corre sulla pelle è morbida.
Lei non risponde subito. Mi fa cenno di uscire dal catino e io le obbedisco meccanicamente. Mi avvolge un panno intorno al corpo e prende ad asciugarmi i capelli. Sto per richiamare insistentemente la sua attenzione, ma il rumore della porta di casa che si apre mi fa smettere di pensare. Il panno mi scivola di dosso e i miei piedi nudi percorrono veloci lo spazio che mi separa da mio padre. Mi aggrappo alle sue ginocchia, invocando il suo nome con sentimento, mentre lo sento ridere perché adesso mia madre sarà costretta a lavarmi di nuovo.

Chiedo umilmente perdono ai lettori! >__> Dato che questa storia è già scritta e terminata - perciò mi limito solamente a postarla, capitolo per capitolo - come un idiota ho fatto confusione e saltato questo! *ha voglia di uccidersi* Chiedo ancora scusa e vi prego di perdonarmi! >///<
  
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