Terrore e Salvezza
«Cosa state facendo?!».
Io
e Adel ci ricomponiamo in fretta e chiniamo il capo seguendo
l’esempio di Aram.
Non è il sovrano, ma un suo consigliere –
“intimo” direbbe mio padre – ed
è
giovane e bello, anche se il suo tono di altezzoso rimprovero me lo
rende
subito antipatico. Ci ordina freddamente di continuare il nostro
lavoro, prima
di sferrare un duro colpo ad Adel, ancora al mio fianco. Lo colpisce su
una
spalla.
A
me sembra che per un secondo tutto si faccia bianco e oro, e forse
è il
riflesso dei gioielli preziosi nella sala, forse è la luce
del mattino che
colpisce i mosaici sulle pareti, forse sono talmente in collera con
quel lurido
leccapiedi da non vederci più.
È
più alto, più forte, più robusto di me
e sicuramente mi supera anche in età, di
dieci anni più adulto. Praticamente un uomo. E io,
praticamente un bambino.
Ma
non m’importa, perché Adel è stato
colpito anche per colpa mia, ed è il mio
migliore amico e gli voglio bene, e non posso tollerare la vista della
sua
pelle serica che è più scura del solito per colpa
di quell’uomo.
Lancio
il mio urlo di guerra, schiantandomi contro le sue gambe, e mi faccio
male. Mi
fanno male anche le mani, quando comincio ad usarle per prendere a
pugni ogni
spazio di pelle che riesco a raggiungere. Ovviamente,
quell’uomo non impiega
molto tempo a prendermi per i capelli e a fermarmi. Urlo,
perché mi sembra che
lo scalpo mi si stia staccando dal resto del corpo, però non
smetto di
dimenarmi, artigliando l’aria e scalciando come un impiccato.
Mi lancia via con
facilità e atterro sui mosaici del pavimento, duri e
dolorosi almeno quanto
sono belli. Gemo, mi fa male un braccio, e mi sembra di avere la testa
spaccata
in due. L’ultima cosa che penso è che per la mia
impulsività, Adel e Aram
adesso debbano pulire tutto il sangue che ha macchiato il pavimento.
Sento
delle voci. Mia madre sta supplicando. C’è
qualcuno che mi tiene la testa, la
sento poggiare sul morbido. Apro gli occhi e a fatica distinguo il viso
di
Adel, al contrario, che sta guardando dritto davanti a sé
con quello sguardo
troppo serio per un bambino di dieci anni. Però ha le
fossette sulle guance,
perché le sue labbra sono strette e serrate. Con il forte
desiderio che lui
faccia altrettanto, sorrido, prima di rendermi conto di quello che
è appena
successo, di quello che ho appena fatto.
«È solo un bambino,
per favore...»
sento dire mia madre. Sta piangendo. Mia madre sta piangendo. E il
motivo può
essere uno e uno soltanto.
Mi
faranno del male.
Mi
faranno del male, e la botta che ho preso rovinando a terra
potrà essere
comparata al solletico di Adel. Lo so. Me lo sento nelle mani, che
cominciano a
tremare. Ho attaccato il prediletto del dio sovrano e, malgrado abbia
solo nove
anni, malgrado non gli abbia fatto assolutamente nulla, sarò
punito.
Trovo
la forza, nonostante la paura, di alzare il viso per guardare chi altro
c’è
nella stanza. Il cortigiano sta sbraitando, mia madre continua ad
implorare,
Adel osserva la scena con estrema serietà. Io non riesco a
capire cosa stanno
dicendo, cosa quell’uomo stia decidendo sulla mia vita, e la
cosa mi getta
ancor più nel panico.
E
poi, cala il silenzio.
«Hesìam, cosa
succede?».
Questa
voce, me lo sento, è la mia salvezza. Volto la testa giusto
in tempo per vedere
il re, il dio, il sovrano di Persia, scendere i gradini con calma ed
eleganza.
E la cosa mi stupisce, come sorprendente è anche il suo
aspetto semplice,
pulito, gradevole. E la sua voce, così gentile.
«Nulla, Kiyan» risponde il
cortigiano, chinando il capo.
Sento
le mani di Adel tremare sulle mie spalle. Vorrei dirgli di stare
tranquillo,
che il re è giusto e che andrà tutto per il
meglio, ma gli occhi scuri del
cortigiano mi inceneriscono non appena apro la bocca, neanche mi avesse
letto
nel pensiero. Mi vuole morto, quella lama arrugginita*.
Poi
anche il re si volta a guardarmi, con calma, come se il suo fosse un
gesto
casuale. La sua veste bianca e dorata ondeggia dolcemente, mossa dal
suo
movimento.
Mi
guarda, e sorride.