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Autore: gemini    10/03/2010    3 recensioni
Patricia è morta. Ma nessuno a Villa Hutton, tantomeno il marito Oliver, sembra averla dimenticata. E' un brutto colpo per Kathleen, la nuova signora Hutton, giunta nella sua nuova casa piena di amore e di speranza. Dovrà invece affrontare una vita piena di difficoltà e di intrighi...una vita in cui avrà una parte importante anche il misterioso cameriere sudamericano Carlos...fino ad un'imprevedibile ed inaspettata scoperta...
Genere: Dark, Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlos Santana, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PATRICIA, LA PRIMA MOGLIE

 

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

 

La prima cosa che notai, quando aprii gli occhi, furono le pareti bianchissime e i quadri appesi ad esse. Sbattei le palpebre più volte, poiché non riuscivo a riconoscere quell’ambiente come familiare. La luce era abbacinante ed istintivamente richiusi gli occhi e tesi le orecchie, cercando di comprendere dove mi trovavo. Sentivo dei mormorii accanto a me…sembravano delle voci profonde, maschili, ma non riuscii a distinguere, tra esse, la voce calda e avvolgente di mio padre. Avrei voluto chiamarlo, o cercare di mia madre, ma poi un pensiero mi colpì come un fulmine… loro non c’erano più, se n’erano andati e io ero rimasta sola. Ricordai il giorno dell’incidente, il poliziotto che era venuto a suonarmi alla porta di casa, io che andavo ad aprire tutta allegra, con uno strofinaccio in mano, pensando che fossero i miei genitori, ai quali stavo preparando una bella cenetta… ricordai il tono contrito della sua voce, lo strofinaccio che mi cadeva dalle mani, l’incredulità, il dolore… il giorno del funerale….la pioggia che cadeva, le tante persone che avevano amato mio padre che mi stringevano la mano, le parole che avevo pronunciato con la voce rotta dal pianto prima di gettare una rosa rossa sulla fossa che conteneva i loro corpi… rividi con gli occhi della mente la mia casa nel West, ormai vuota e solitaria…

“Non sono a casa mia”, pensai con un moto di orrore… continuavo a sentire le voci attorno a me, ma non riuscivo a distinguere le parole e non mi ricordavo nulla di quello che era successo dopo la morte dei miei genitori…chiusi gli occhi e mi sforzai di ricordare…ecco, ora mi trovavo in un elegante albergo in Normandia con la zia Audrey, eravamo andate a giocare a tennis insieme perché Elizabeth era ammalata e la zia si annoiava… e c’era un uomo…un uomo che mi aveva colpita al primo sguardo…un uomo che avevo amato…

Una serie di immagini confuse si accavallarono nella mia testa…il matrimonio con Oliver, l’arrivo a Villa Hutton, lo sguardo gelido della signora Martin, l’odio negli occhi di Amy Ross….la scenata di Maggie che mi aveva cacciato dicendo che rivoleva la sua Patricia…l’umiliazione della serata della festa…Carlos, i suoi baci, la passione che ci aveva unito…il capitano Harper che ci informava del ritrovamento del battello…lo svenimento, il dottore, la notizia del bambino…il pranzo in cui Oliver aveva dato l’annuncio…e poi Carlos, che mi diceva che dovevo restare con Oliver e fare finta che il bambino fosse suo, la fine dei sogni e delle illusioni…il viso dolce e preoccupato di Tom che mi sorreggeva tra le sue braccia…il buio…

Quando riaprii gli occhi per la seconda volta, sapevo dove mi trovavo. Ero a Villa Hutton, nella mia stanza. Nella luce accecante che proveniva dalla finestra, vidi un uomo dai capelli scuri chino su di me…il viso pallido, la fronte aggrottata, gli occhi colmi di preoccupazione, con una mano mi accarezzava la fronte mentre mi sussurrava delle parole che io non riuscivo a comprendere. Pensai che fosse mio marito e istintivamente gli strinsi la mano, affinché si accorgesse che ero tornata cosciente.

“Ecco, si sta svegliando”, mormorò una voce maschile con evidente sollievo.

Strano, non mi sembrava la voce di Oliver…strizzai le palpebre cercando di far abituare gli occhi alla luce e quando riuscii finalmente a focalizzare il volto che avevo di fronte a me, mi accorsi con stupore che si trattava di Tom Becker. Arrossii e ritirai la mano.

Anche Tom mi parve piuttosto imbarazzato e scostò le dita dalla mia fronte, continuando però a fissarmi con un’espressione indecifrabile, un misto di dolcezza, pena e qualcos’altro che non riuscivo bene a identificare, ma che mi faceva battere il cuore più forte.

“Tom”, mormorai a fatica, sentendomi la bocca completamente secca, “cos’è successo?”

Lo vidi prendere un profondo respiro e la sua mano tornò a stringere la mia. “Vi siete sentita male, Kathleen…non ricordate?”

“Vagamente”, risposi, cercando di costringermi a rievocare con maggior chiarezza quello che era successo prima che mi afflosciassi tra le braccia di Tom. Con una fitta al cuore, ricordai la mia conversazione con Carlos sulla spiaggia, il modo in cui lui aveva respinto me e il mio bambino, la sua frase che continuava a riecheggiarmi, sinistra, “io ho messo in gioco tutta la mia vita per vivere a Villa Hutton” e il suo rifiuto di raccontarmi la sua vera storia. Ricordai la corsa che avevo fatto per tornare a casa, con la testa che mi girava e delle fitte terribili all’addome… e di come Tom mi era sembrato un rifugio sicuro, l’unica persona che potesse proteggermi.

Cercai di sollevarmi a sedere, ma la testa continuava a girarmi e mi sentivo debolissima. Il dolore all’addome era passato, anche se continuavo a sentire qualche leggerissima fitta al basso ventre.

“Non muovetevi, Kat, il dottore vi ha prescritto riposo assoluto per almeno una settimana”, mi spiegò dolcemente Tom, aiutandomi a stendermi nuovamente sui cuscini.

“E’ venuto il dottore? E cosa ha detto? Che mi è successo?”, domandai, cominciando ad avvertire un vago senso di allarme. Mentre correvo verso la villa, ero talmente sconvolta da quel che era successo con Carlos da non aver pensato affatto al mio bambino…e adesso mi chiedevo se il dolore terribile che avevo sentito alla pancia non lo avesse messo in qualche modo in pericolo…ripensai al racconto di Oliver, al dramma di Patricia, e mi sembrò di precipitare nel terrore.

Vidi che Tom si scuriva in volto. Mi prese una mano e mi guardò con espressione grave. “Kat… non avrei mai voluto che toccasse a me questo compito…ma Oliver è sconvolto e non sarebbe stato in grado…perdonatelo se non è qui con voi, ma… verrà presto, appena si sarà un po’ ripreso…gli ho detto io stesso che non era il caso che voi lo vedeste in quelle condizioni…”, la sua voce si ruppe per un attimo e sentii le sue dita che serravano le mie con più forza.

“Ditemelo, Tom, vi prego…cos’è successo al mio bambino?”, lo implorai, ben sapendo che c’era una sola notizia che poteva aver sconvolto mio marito in quel modo.

“Ecco, Kathleen…voi non dovete pensare che sia colpa vostra, il medico ha detto che purtroppo è una cosa che succede spesso alla prima gravidanza…e poi con lo stress che avete vissuto in questi giorni, il ritrovamento del battello e tutto il resto…voi siete giovanissima e potrete avere tutti i figli che vorrete…però…purtroppo…”

“Ho perso il bambino, vero?”, lo interruppi, ormai certa di cosa egli stesse faticosamente cercando di dirmi.

Tom annuì e vidi che i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. “Mi spiace”, sussurrò con dolcezza.

Non riesco a descrivere che cosa provai in quel momento. Per il primo istante mi sembrò quasi di non provare niente, come se mi trovassi ancora nella bolla irreale in cui mi ero risvegliata…mi portai una mano al ventre, come per accertarmi che veramente il mio bambino non ci fosse più, ma mio figlio era ancora talmente piccolo che non avevo mai avuto modo di avvertire concretamente la sua presenza dentro di me…pian piano, mentre le parole di Tom facevano breccia nel mio cuore e scavavano in esso un vuoto profondo e terribile, mi ritrovai a pensare a come doveva essersi sentita Patricia, che aveva già cullato il suo bambino nel ventre per così tanti mesi…mi immaginai Oliver da solo nel suo studio, inseguito dai fantasmi, distrutto dai sensi di colpa…vidi il volto di Tom rigato dalle lacrime e fui sicura che, per tutto il tempo in cui ero rimasta priva di sensi, egli fosse rimasto accanto a me, cercando nel frattempo di aiutare mio marito…pensai a tutti i sogni che avevo nutrito per quel bambino, alla vita felice che avevo immaginato con Carlos e che era svanita per sempre in una nuvola di fumo…

Fui travolta da tutto questo mare di sensazioni e mi gettai tra le braccia di Tom scossa dai singhiozzi.

 

Piansi a lungo, mentre Tom piangeva insieme a me e mi accarezzava dolcemente i capelli e la schiena. Solo quando sentii di non avere più lacrime riuscii a scostarmi e a guardarlo negli occhi: i suoi erano ancora gonfi e arrossati dal pianto e mi immaginai che aspetto orribile dovessi avere io.

“Perdonatemi Tom…ormai siete diventato la mia spalla su cui piangere”, dissi, provando un enorme affetto per quell’uomo che mi era sempre stato accanto, come una presenza discreta, quasi invisibile, su cui però si può sempre contare.

“Figuratevi…se solo potessi fare qualcosa per togliervi tutto il dolore…come vorrei poter soffrire io al vostro posto…”, mi sussurrò, con un tono di voce che non gli avevo mai sentito prima e che, non so perché, mi suscitò un certo turbamento.

Tom sembrò accorgersene, perché si scostò da me, dopo avermi lasciato un’ultima fugace carezza sui capelli. “Comunque…so che non può consolarvi, ma il medico dice che potrete avere sicuramente altri figli in futuro…siete così giovane…basterà un periodo di riposo e poi potrete tentare di avere un altro bambino…la situazione è diversa da quella…”, si interruppe bruscamente, forse temendo di aver toccato un tasto dolente.

Annuii, incapace di nominare Patricia e la sua tragedia proprio in quel momento. “Lo so…e questo bambino non era stato certo preventivato…è successo tutto all’improvviso…solo che…io ho tanta confusione in testa in questo momento”, chinai il capo e ricominciai a piangere.

Tom mi riaccolse subito tra le braccia, cullandomi come una bambina. “Lo immagino…ma dovete essere forte…è stato un momento difficile per tutti noi…ma passerà…passerà tutto…voi e Oliver sarete felici, ve lo meritate e sarà così, deve esserlo”, mormorò, ed ebbi quasi l’impressione che stesse parlando più per convincere se stesso che per convincere me.

Sospirai. “Dov’è Oliver? Come sta?”, domandai, chiedendomi cosa dovesse essere, per mio marito, rivivere di nuovo il dramma che già una volta gli aveva sconvolto la vita…sembrava così contento di quel bambino, così speranzoso che la gioia finalmente si riaffacciasse in questa casa…ed ecco che la vita troncava nuovamente le sue illusioni sul nascere.

Anche Tom sospirò. “Credo sia nel suo studio. È stato accanto a voi tutta la notte, sapete…quando ancora speravamo che la situazione si risolvesse…ma quando il medico ha detto…ecco ha avuto una crisi di nervi, ho temuto veramente che perdesse la ragione…era distrutto…e io gli ho detto che doveva calmarsi, che voi non potevate vederlo così…gli ho promesso che sarei rimasto accanto a voi e ho chiamato Julian perché venisse a fargli compagnia…”, mi spiegò.

“Vorrei vederlo…”, sussurrai.

Tom annuì. “Vado a cercarlo. Non so però se si sente pronto…sapete, per lui è….è….”, non riusciva a trovare le parole e io mi sentii tremendamente dispiaciuta per mio marito. Non lo amavo, d’accordo, ma nonostante tutto non riuscivo nemmeno ad odiarlo e sapevo che non si meritava tutte le tragedie che aveva dovuto affrontare nella sua vita.

“Siete sicura che ve la sentite di rimanere sola?”, mi chiese Tom, prima di lasciare la mia stanza per andare a vedere come stava Oliver.

Io annuii. “Sto bene, Tom, non preoccupatevi. Credo che Oliver in questo momento sia quello che ha più bisogno di voi”.

Tom apparve restio a lasciare la mia mano, ma si rassegnò. “D’accordo…volete che vi mandi qualcuno?”, mi chiese premuroso.

Sorrisi amaramente. Proprio non avrei saputo chi desiderare al mio fianco, a parte lui o mio marito. Carlos mi aveva respinto nel più brusco dei modi, e forse adesso era contento che il bambino non ci fosse più…forse ora avrebbe desiderato che tutto tornasse come prima…ma ero io che sentivo che qualcosa era cambiato dentro di me. L’incantesimo si era spezzato, la bella favoletta era finita…non che avessi smesso di amarlo improvvisamente, purtroppo l’amore non è un interruttore che puoi accendere o spegnere, ma la disillusione era stata così forte che sentivo che tra me e lui, ormai, si era aperto come un baratro, che nulla avrebbe potuto colmare. Inoltre, mi sentivo terribilmente in colpa verso mio marito, che in quel momento stava soffrendo per un bambino che probabilmente non era neppure figlio suo, mentre il suo vero padre se ne disinteressava. Pensai a mio padre, a cosa avrebbe detto di tutta questa situazione, e mi convinsi che la perdita di mio figlio fosse stata la giusta punizione per tutti gli sbagli che avevo commesso. Mi ero lasciata trascinare dalla passione e avevo affidato la mia vita a un uomo che non lo meritava, dimenticando tutti i principi con i quali ero stata cresciuta, lasciandomi probabilmente usare da qualcuno il cui unico scopo era restare a Villa Hutton, chissà poi per quale motivo e con quale scopo.

Per un attimo mi domandai se avrei dovuto rivelare a mio marito che il bel Santana non era affatto muto, ma poi avrei dovuto parlargli anche della nostra relazione clandestina e, sinceramente non ne avevo il coraggio; non solo perché avrei inflitto un altro dispiacere a Oliver, ma anche perché avevo paura che lui mi cacciasse via, e non avrei saputo cosa fare della mia vita.

Mentre Tom usciva dalla mia stanza, mi trovai ad interrogarmi ansiosamente sul mio futuro. Cosa dovevo fare adesso? Cosa mi avrebbero consigliato i miei genitori? Ero sposata con un uomo che non amavo e che mi aveva delusa, ma che comunque era una brava persona, era buono, gentile e forse mi era sembrato freddo nei miei confronti solo perché aveva tanto sofferto e tanto continuava a soffrire…d’accordo, era chiaro che non avrei mai potuto prendere il posto di Patricia…ma avevo vissuto sulla mia pelle la passione e scoperto qual era lo scotto da pagare, e la delusione era stata così atroce che, se ci pensavo, mi sentivo ancora spaccare il cuore in due. Forse Oliver non mi avrebbe amata in modo travolgente, ma non mi avrebbe fatto mancare nulla…avrei potuto avere una vita serena, lasciare che il tempo ricucisse alla meglio le nostre ferite e cercare di costruire un briciolo di felicità…avrei potuto dare a mio marito dei figli e vedere finalmente la gioia illuminare il suo volto…avrei potuto crescerli e regalare a loro tutto l’amore inespresso che mi portavo dentro.

Era la cosa giusta? Una parte di me, lo sapevo bene anche se cercavo in ogni modo di reprimerla, desiderava ancora Carlos…ma lui era stato molto chiaro: mai avrebbe lasciato Villa Hutton. Non c’era alcuna possibilità che noi ce ne andassimo da lì per costruire una nuova vita insieme, bambino o non bambino. L’unica cosa che lui avrebbe potuto darmi era una relazione clandestina…attimi di amore rubati, nei momenti in cui mio marito non c’era, incontri di passione sulla spiaggia o nella mia camera, sempre con il timore di essere scoperti. Era davvero questo che volevo? Era questo il destino che i miei genitori avrebbero desiderato per me?

Io volevo l’amore, questo era certo…un uomo che mi amasse con lo stesso ardore e la stessa tenerezza con cui mio padre aveva sempre amato mia madre…ma ormai ne ero sicura, questo per me sarebbe rimasto un desiderio irrealizzabile. Nella mia vita avevo amato due uomini. Uno, Oliver, poteva darmi solo un tiepido affetto, una banale tranquillità quotidiana; l’altro, Carlos, poteva darmi solo una passione tanto torrida quanto clandestina. Era tra questo che dovevo scegliere, un’altra alternativa purtroppo non esisteva.

La mia scelta non poteva essere che una: non avrei più permesso a Carlos di farmi del male, di usarmi…che restasse pure a Villa Hutton e facesse quello che voleva…io avrei fatto di tutto per estirparmelo dalla mente e dal cuore una volta per tutte.

Dovevo accontentarmi di quello che poteva darmi mio marito; non lo amavo ma gli volevo bene e questo sarebbe bastato.

 

 

Rimasi da sola per quasi tutto il giorno. Immaginai che Oliver avesse dato precise istruzioni affinché nessuna persona sgradita, come ad esempio la signora Martin, si affacciasse alla porta della mia stanza.  Solo Lavinia, la mia cameriera personale, apparve di quando in quando ad accertarsi di come stavo, ma la congedai dicendole che non avevo bisogno di nulla e preferivo rimanere sola.

Verso sera venne il dottore. Mi visitò e mi disse che era molto dispiaciuto per ciò che mi era successo, ma che non dovevo sentirmi in colpa, perché era una cosa molto frequente ed io non avrei potuto evitarla in nessun modo. Mi rassicurò anche sul fatto che, dopo qualche mese di riposo e di attenzione, avrei potuto avere tutti i figli che volevo.

Il dottore era uscito da poco, quando sentii bussare alla porta della mia stanza. Pensavo che fosse Tom, invece vidi entrare Oliver, pallidissimo e con il volto tirato. Mi parve invecchiato di dieci anni in un solo giorno.

Si sedette accanto al mio letto e mi prese una mano, portandosela alle labbra con dolcezza. “E’ tutta colpa mia”, mormorò affranto.

Mi sollevai di scatto. “Non devi dire così, Oliver! Ma quale colpa tua? Hai sentito il medico, non è colpa di nessuno!”, mi affannai a rassicurarlo, sentendomi stringere il cuore dalla pena.

Lui scosse la testa. “Hai subito troppo stress in questi giorni…il battello, darmi la notizia…la storia del bambino di Patricia…dovevo stare più attento, dovevo pensare che nelle tue condizioni avevi bisogno di startene tranquilla…perdonami, ti prego”, chinò la testa e cominciò a piangere con leggeri singhiozzi.

Istintivamente lo abbracciai e lo cullai stretto al mio seno, come se fosse stato il bambino che avevamo perso. “Oliver, non è colpa di nessuno…lo ha detto anche il medico…è frequente alla prima gravidanza…ascoltami Oliver…”, gli sollevai il mento con due dita e lo incitai a guardarmi negli occhi. “Io so che per te è come rivivere un dramma…ma è tutto diverso…io non…io potrò avere altri figli, Oliver…potremo avere tutti i bambini che vogliamo”.

Mai come in quel momento, mentre gli asciugavo le lacrime con il dorso della mano, mi sentii legata a mio marito e avvertii il desiderio di dargli veramente un figlio, per lenire questo suo dolore. Un figlio che, stavolta, sarebbe stato sicuramente suo e soltanto suo, senza possibilità di dubbio.

Oliver sospirò. “Hai ragione…e mi dispiace per non essere stato io a dirtelo…ma…quando il medico mi ha detto che non c’era più nulla da fare…mi è sembrato di ritornare indietro nel tempo, di rivivere quell’alba maledetta in cui mi dissero che Madeleine era morta e che Patricia non avrebbe più potuto avere bambini…”, un’ombra attraversò il suo volto e per un attimo mi sembrò che stesse per piangere di nuovo, ma respirò profondamente e tacque finché non riprese un certo controllo delle proprie emozioni.

“Non è andata così stavolta, Oliver….potremo avere altri figli, il medico ne è sicuro, basterà soltanto attendere qualche mese”, gli ripetei.

Oliver mi baciò nuovamente la mano, poi mi accarezzò i capelli. “Io ho sbagliato tutto con te, Kathleen. Non ho saputo darti l’amore che meritavi. Sono rimasto troppo legato al mio dolore, ai miei fantasmi, e questo non è giusto. Se ora tu volessi lasciarmi, io capirei”, mi disse, lasciandomi completamente spiazzata.

Scossi il capo. “Anche io ho commesso degli errori, Oliver. Entrambi abbiamo sbagliato e forse il nostro matrimonio non è partito con il piede giusto. Ma non voglio lasciarti. Io sono ancora certa che tra noi le cose possano funzionare, che possiamo essere felici. Dobbiamo solo ricominciare da capo. Cercare di lasciarci le cose brutte alle spalle e guardare al futuro in modo positivo”.

Mio marito annuì. “E’ quello che voglio, Kathleen. Non posso dirti che dimenticherò Patricia, non posso promettertelo, perché so che non potrei farlo. Lei è stata una parte importantissima della mia vita e resterà nel mio cuore per sempre. Ma lei è il passato, tu invece sei il futuro. L’ho capito quando mi hai dato la notizia del bambino, e anche se adesso nostro figlio non c’è più, io desidero che sia questo il mio futuro. Io, te e i figli che verranno. Sei l’unica donna che possa davvero aiutarmi a ricominciare a vivere…l’ho capito quel giorno che ti ho vista in Normandia e lo sento ancora di più adesso. Forse non sono stato bravo a dimostrartelo, ma io ti amo davvero, Kat, e voglio ricominciare tutto da capo. Dal principio. Dal nostro matrimonio”.

“Non capisco”, mormorai, presa alla sprovvista.

Il viso di Oliver parve illuminarsi all’improvviso. “Sono stato un grande egoista con te. Ti ho privato della gioia del matrimonio, di una vera cerimonia, dell’abito da sposa. Tu la meriti questa gioia e io ho sbagliato a negartela. Sposiamoci di nuovo, Kat. Non in segreto come l’altra volta…davanti a tutti, in questo paese, in chiesa. Celebriamo un matrimonio in grande stile e poi facciamo un grande ricevimento qui in casa. Diamo inizio alla nostra nuova vita insieme!”

Rimasi sconcertata per un istante. Io non sentivo il bisogno di tutto questo…in parte perché mi chiedevo cosa avrebbero pensato in paese, considerando il recente ritrovamento del battello di Patricia…in parte perché avrebbe stonato con il mio stato d’animo incerto e confuso. Ma mio marito sembrava così speranzoso, così desideroso di dare inizio alla nostra nuova vita con un gesto reale e tangibile, e io non me la sentivo di deluderlo.

“Sei sicuro che è questo che vuoi? Se lo fai per me, io non ho bisogno di un matrimonio in grande…io ho bisogno solo che tu mi stia vicino”, dissi con dolcezza.

Oliver scosse il capo. “Sono io che ne ho bisogno, Kat. Io ho bisogno di vedere, di sentire che stiamo ricominciando da capo, che per noi comincia una nuova vita. Io ho bisogno che tu diventi mia moglie in chiesa, davanti a tutti. Ho bisogno di vederti con l’abito bianco e di metterti la fede al dito sapendo che, stavolta, è davvero un inizio nuovo, è davvero l’inizio del nostro futuro. Fallo per me, Kat, per favore. Diventa mia moglie. Di nuovo”, insistette.

Ci pensai per un attimo, poi gli rivolsi un sorriso. “D’accordo, Oliver. Se è questo che desideri, facciamolo. Diamo inizio al nostro nuovo futuro insieme con il nostro matrimonio”, accettai.

“Perfetto”, disse mio marito soddisfatto. “Allora direi che un mese possa bastarci per i preparativi. Che ne dici del 14? Tra un mese esatto!”

Annuii. “D’accordo. Tra un mese”.

Un mese di preparativi…e poi io e Oliver avremmo cominciato la nostra nuova vita insieme.

Carlos sarebbe scomparso per sempre dal mio cuore e dalla mia testa…e Patricia sarebbe diventata finalmente solo un ricordo…importante, certo, fondamentale, ma un ricordo…qualcosa che era stato un tempo ma ora non era più…stavolta volevo crederci con tutte le mie forze….volevo……

 

Fine quattordicesimo capitolo

 

Nota dell’autore: Mi rendo conto che ormai scrivo con il contagocce e vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che continuano a seguire la mia storia. Gli impegni sono tanti e l’ispirazione va e viene, ma quando miracolosamente c’è cerco di mettermi a scrivere di getto, approfittando di ogni momento libero…questo capitolo è nato in poco più di un’ora…non è il massimo probabilmente, ma è un capitolo diciamo di transizione, perché sul finale del prossimo capitolo ho in mente un grosso colpo di scena…e farò di tutto per darvi questo capitolo il prima possibile!

Intanto, un caro saluto a tutti!

  
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