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Autore: gemini    10/03/2010    2 recensioni
Patricia è morta. Ma nessuno a Villa Hutton, tantomeno il marito Oliver, sembra averla dimenticata. E' un brutto colpo per Kathleen, la nuova signora Hutton, giunta nella sua nuova casa piena di amore e di speranza. Dovrà invece affrontare una vita piena di difficoltà e di intrighi...una vita in cui avrà una parte importante anche il misterioso cameriere sudamericano Carlos...fino ad un'imprevedibile ed inaspettata scoperta...
Genere: Dark, Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlos Santana, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PATRICIA, LA PRIMA MOGLIE

 

CAPITOLO QUINDICESIMO

 

Il mese successivo fu contraddistinto dai preparativi per la cerimonia con cui Oliver desiderava sancire l’inizio della nostra nuova vita insieme.

Il mio stato d’animo non era ancora dei migliori: fisicamente mi ero ripresa alla grande dalla perdita del bambino, tanto che, dopo una settimana, il medico aveva detto che potevo alzarmi dal letto e tornare alle mie attività quotidiane, anche se con una certa cautela. Psicologicamente, alternavo momenti in cui mi sentivo abbastanza serena, ad altri in cui mi assaliva uno spaventoso senso di vuoto e il futuro mi sembrava ancora oscuro e minaccioso. Vedevo che anche Oliver alternava momenti di tranquillità ad altri in cui si chiudeva nel suo studio e non desiderava vedere nessuno; io rispettavo la sua volontà, anche se una parte di me non poteva impedirsi di pensare che forse, se ci fossimo sorretti a vicenda come una coppia dovrebbe fare, i nostri momenti bui sarebbero scivolati via più in fretta. Ma sapevo che entrambi eravamo convalescenti dai rispettivi dolori e sensi di vuoto e che avevamo bisogno di quiete e silenzio per leccarci le ferite e ricominciare davvero a vivere. Oliver doveva ancora combattere con il fantasma di Patricia; io, dal canto mio, avevo trascorso giorni e settimane ad evitare Carlos, uscendo precipitosamente da una stanza se lui vi entrava, evitando di recarmi sulla spiaggia e facendomi sempre accompagnare da Lavinia se volevo uscire a fare una passeggiata.

La mia unica compagnia, a parte Oliver, era stato Tom: ma, sebbene fosse sempre presente e io notassi che scrutava sia me che mio marito con apprensione, in questo ultimo mese lo avevo sentito più lontano. Era molto strano; quando Oliver gli aveva dato l’annuncio delle nostre seconde nozze, chiedendogli peraltro di fargli da testimone, Tom aveva accettato con il consueto sorriso cordiale e aveva proposto anche un brindisi in nostro onore, ma io avevo notato come un’ombra attraversargli il viso. Era stato un istante e poi lui era tornato quello di sempre; ma da quel giorno mi ero accorta che frequentava casa nostra con minor assiduità e che evitava di venire a trovarmi se non in presenza di mio marito, come se provasse timore o imbarazzo a rimanere solo con me.

I frenetici preparativi del matrimonio, tuttavia, mi aiutavano a tenermi impegnata e a non pensare troppo a Oliver, a Carlos o a Tom. Avevo saputo da Lavinia, anche se in via del tutto indiretta, che la signora Martin era stata sollevata dai preparativi, che venivano seguiti da mio marito e da me in persona; apprezzai questo gesto da parte di Oliver, certa che quella donna avrebbe fatto di tutto per avvelenarmi ancora la vita. Sapevo che lui non poteva licenziarla, dato che si trattava dell’affezionata governante della sua prima moglie e ormai faceva parte della famiglia, ma desideravo che la signora Martin stesse il più possibile alla larga da me. Ogni giorno avevo un appuntamento per sbrigare un’incombenza relativa al matrimonio: la prova dell’abito, la scelta dei fiori, il menu da concordare con i cuochi, la lista degli invitati. Per me, cresciuta in una semplice famiglia del West, tutto questo sfarzo era oltremodo eccessivo, ma sapevo che mio marito si sentiva in colpa per avermi costretto, all’inizio della nostra storia, a rinunciare alla gioia di un vero matrimonio e vedevo quanto ci teneva a regalarmi una giornata degna di una principessa.

La scelta del vestito, però, spettava unicamente a me. Quindi non ci pensai due volte e, dopo aver rifiutato tutti gli abiti che mi erano stati proposti dal sarto, troppo ricchi di fronzoli per i miei gusti, optai per un semplicissimo abito lungo color panna, che insieme ad una semplice acconciatura e ad un bouquet di orchidee e rose bianche sarebbe stato secondo me perfetto.

Era appena terminata la prova del vestito, ed io me ne stavo in salotto a ricontrollare la lista degli invitati, quando sentii la porta che si apriva e l’inconfondibile rumore del carrello con cui mi veniva servito il the. Certa che fosse Lavinia o un’altra delle cameriere, chiesi con noncuranza di lasciarmi la tazza sul tavolino, senza neppure alzare gli occhi dal foglio che stavo leggendo. Così, sentii il cuore che mi si fermava nel petto quando mi protesi per prendere la tazza di the e incrociai i penetranti occhi scuri di Carlos.

Erano settimane che non facevo altro che evitarlo, ma capii subito che in quel frangente mi sarebbe stato impossibile: non potevo certo alzarmi e fuggire dalla stanza mentre un mio domestico mi serviva il the, cosa avrebbe pensato il resto della servitù se qualcuno mi avesse visto?

L’unica cosa che mi rimaneva da fare era ignorarlo. Come se non lo avessi visto, cominciai a sorseggiare il mio the ostentando una tranquilla indifferenza, anche se sentivo il cuore battere come un tamburo e le guance andare in fiamme.

“Devo parlarti”, sussurrò Carlos, a voce bassissima perché nessuno, a parte me, potesse sentirlo.

“Grazie per il the, Carlos. Puoi andare”, risposi a voce alta, senza nemmeno guardarlo in faccia.

“Per favore. È indispensabile”, insistette lui, con un moto d’impazienza sul bel volto bruno.

“Non ho bisogno di nient’altro, grazie”, continuai io come se non lo avessi neppure sentito.

Carlos mi tolse bruscamente la tazza di mano e io scattai in piedi indignata. “Come ti permetti?”, sibilai, “Potrei farti licenziare per questo”

“Non credo proprio. Se mi licenziassi, ci sarebbero giusto due o tre cose che potrei raccontare al tuo adorato maritino”, ribatté lui in tono velenoso. Notai che l’ira gli distorceva i bei lineamenti e che i suoi occhi, un tempo dolci e penetranti, mi sembravano ora freddi e ostili.

“Oliver non ti crederebbe mai”, risposi con altrettanta ostilità.

Carlos sospirò e fece per prendermi una mano, ma io lo scansai bruscamente. “Io e te non abbiamo nulla da dirci. Sei stato molto chiaro l’ultima volta, e come vedi io ho preso la mia decisione. Ho deciso di ricominciare una nuova vita con mio marito”.

“D’accordo. In fondo sono stato io a consigliartelo. Ma ho bisogno di parlarti lo stesso. Non voglio che tu mi odi, Kathleen”, disse, e il suo sguardo mi parve quasi implorante.

“Mi dirai la verità sul tuo passato?”, gli chiesi, guardandolo dritto negli occhi.

Lui fece una smorfia. “Io non posso. Credimi, se potessi lo farei…ma non posso, non adesso. Un giorno forse, quando sarà il momento. Ti basti sapere che per ora io devo rimanere qui…se me ne andassi, butterei all’aria tutto quello per cui mi sono sforzato negli ultimi dieci anni. Tutta la fatica che ho fatto per guadagnarmi la fiducia di tuo marito”.

Sentii un brivido gelido percorrermi la schiena. “Vuoi fare del male a Oliver? Devi dirmelo, Carlos!”, mormorai con voce tremante.

Carlos scosse la testa. “Non sono il mostro che credi, Kat. Non è per egoismo che ho respinto te e il bambino, te lo giuro. Se tu mi lasciassi spiegare…”.

“Non qui”, dissi subito io. “E’ troppo rischioso. Qualcuno potrebbe sentirci. Al solito posto, sulla spiaggia…poi non dovrai disturbarmi mai più e per te io sarò solo la signora Hutton”.

“Te lo giuro”, promise solennemente lui.

Uscì dalla stanza e io finii di bere il mio the, anche se le mani mi tremavano così tanto che temetti che la tazzina potesse cadermi da un momento all’altro. Mentirei se dicessi che in tutte quelle settimane non avevo mai pensato a Carlos. Avevo sempre pensato che fosse un uomo indecifrabile, ma non avevo mai temuto che fosse crudele, o che potesse avere in mente di fare del male a qualcuno. Ma quella sua frase, “ho messo in gioco tutta la mia vita per vivere qui a Villa Hutton”, continuava a riecheggiarmi nella mente e ogni volta che ci pensavo sentivo una sorta di presentimento, come il presagio che dietro ci fosse qualcosa di terribile, un segreto inconfessabile che Carlos si portava dietro forse da tutta la vita e che, presto o tardi, sarebbe venuto fuori e ci avrebbe travolti tutti.

Se lui aveva detto così…allora non era capitato per caso su quella spiaggia, quando Maggie Hutton lo aveva raccolto e preso in casa come domestico. Era lì per un motivo..perché voleva entrare in questa casa, voleva conquistare la fiducia degli Hutton e introdursi nella loro famiglia. Perché? Aveva sempre fatto finta di essere muto, ma in realtà non aveva nessun problema a parlare…ma nessuno doveva scoprirlo. Ogni volta che ci pensavo, mi sorgevano alla mente una serie di interrogativi, chiaramente uno più inquietante dell’altro. E se avesse avuto un ruolo nella caduta da cavallo che aveva reso Maggie invalida per sempre? E se addirittura fosse stato coinvolto nella scomparsa di Patricia? Se anche la prima signora Hutton avesse avuto qualcosa da nascondere, proprio come me? Forse, per Carlos, era un’abitudine, approfittare dei momenti difficili delle mogli di Oliver per sedurle e metterle in crisi con il marito…e Patricia, di momenti difficili, ne aveva avuti parecchi, da quel che sapevo della sua storia…

Poi mi dicevo che Carlos, l’uomo che mi aveva tenuto tra le sue braccia in tanti momenti di passione, che mi aveva fatta sentire finalmente viva e amata, che mi aveva sussurrato tante parole dolci con quella sua voce che nessuno aveva mai udito, non poteva essere il mostro che stavo dipingendo e che io, sicuramente, stavo esagerando.

Avevo giurato a me stessa di non rivederlo più, di non cedere più al mio cuore che chiedeva di lui, di estirparmelo per sempre dall’anima e di ricominciare una nuova esistenza con Oliver. Sapevo che incontrarlo sulla spiaggia era un rischio. Ma avevo bisogno di risposte. Fu per questo che, poche ore dopo, mi recai sulla spiaggia.

Era una giornata di forte vento e le onde si infrangevano rumorosamente sulla battigia. Il mare in tempesta sembrava mostrare esattamente il mio stato d’animo in quel momento. Tolsi le scarpe e lasciai che l’acqua mi lambisse dolcemente i piedi, mentre inspiravo profondamente l’aria salmastra in cerca della forza che mi serviva per affrontare Carlos e chiudere definitivamente i conti con il nostro breve passato.

Lui arrivò poco dopo. Non indossava la divisa da cameriere che portava solitamente in casa, ma una maglietta grigia dall’aria consunta e un paio di pantaloni neri. Era scalzo e i riccioli scuri erano scompigliati dal vento. Era bellissimo come sempre, con un’aria tormentata che pareva renderlo ancora più affascinante. Sentii il cuore tremare quando lo vidi…ma dovevo essere forte. Mi ripetei che non c’era futuro per noi, solo clandestinità. Non era quello che volevo. Cercai di richiamare alla mente gli insegnamenti di mio padre; lui si sarebbe certo vergognato, se avesse visto sua figlia tradire i voti matrimoniali in quel modo.

“Grazie di essere venuta, Kat”, mormorò lui. Cercò di avvicinarsi, ma vide l’espressione fredda del mio volto e preferì restare a qualche metro di distanza.

“So che per te è tutto cambiato. Ma volevo parlarti lo stesso…non volevo che tu mi odiassi, che tu mi credessi un mostro”, cominciò, fissandomi dritto negli occhi.

Sostenni il suo sguardo con aria quasi di sfida. “Sei stato tu a dirmi che era tutto cambiato, che per noi non c’era futuro. Credi che, adesso che mio figlio non c’è più, io sia disposta a caderti di nuovo tra le braccia e ad accontentarmi di essere la tua amante clandestina?”

Carlos sospirò. “Io potevo offrirti solo questo, Kat, dal principio. Lo sapevi, e mi dispiace che ti sia illusa che le cose per noi potessero andare diversamente. Io non sono nessuno…non posso e non potrò mai offrirti la vita che desideri, che meriti. Io non ho mentito quando ti ho detto che ti amavo, credimi…ma se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato, è che l’amore da solo non può bastare”, ribatté con aria estremamente triste.

“Io mi sarei accontentata”, risposi con la voce che tremava.

Sospirò di nuovo. “Forse sì, all’inizio…ma non sarebbe stato così per sempre. Sarebbe arrivato un giorno in cui ti saresti sentita in colpa…verso tuo marito, verso i tuoi principi…in cui quello che io avevo da darti non ti sarebbe bastato…”

“Smettila di mentire!”, gridai. “Non è per questo che mi hai parlato così, quando hai saputo che ero incinta. Tu hai detto che non potevi andartene da questa casa, che non lo avresti mai fatto. Né per me né per il bambino. Ora cerchi di addossarmi la responsabilità, di dire che lo hai fatto per me, ma sappiamo entrambi che è una bugia!”

Il bel viso di Carlos si contrasse. “D’accordo, hai ragione tu. Io ti ho amato davvero…e ho cercato di darti tutto l’amore e il calore che potevo, quello che non potevi avere da tuo marito. Ma io non posso e non voglio andarmene. Devo e desidero rimanere qui….finché non avrò raggiunto lo scopo che mi sono prefissato da anni. Fino ad allora…se mi vuoi, dovrai accontentarti di una relazione clandestina. Capisco che questo non ti basti…e rispetto la tua scelta, se davvero vuoi cominciare una nuova vita con tuo marito”, disse, e non potei fare a meno di notare che sulle ultime parole la sua voce aveva assunto un tono vagamente sarcastico.

“No, non ti voglio a queste condizioni. Non voglio diventare una di quelle signore tristi e annoiate che si fanno l’amante perché non sono contente del proprio matrimonio. Io l’ho fatto solo perché ti amavo; sarebbe bastata una tua parola e io ti avrei seguito ovunque…non sono io che ho paura di rinunciare a mio marito e a questa vita…sei tu che non vuoi farlo”, risposi, e sentii con orrore che gli occhi mi si stavano riempiendo di lacrime. Mi sforzai di trattenermi…avevo giurato che quell’uomo non mi avrebbe fatto del male, mai più.

“Cosa sai della mia storia, Kat? Niente. Io non sono solo un vagabondo che vagava su una spiaggia e che una ricca signora ha raccolto per pietà. Io non sono solo un cameriere che finge di essere muto. Se tu sapessi il mio passato…se tu sapessi il rancore che porto dentro…Io sono qui per avere quello che mi spetta, e non me ne andrò senza averlo ottenuto”. Di nuovo la sua espressione si fece gelida e minacciosa; stentavo a riconoscere in quell’uomo dall’espressione cupa lo stesso Carlos di cui mi ero disperatamente innamorata.

“Allora raccontamelo questo tuo passato, se vuoi che io ti comprenda!”, lo implorai.

Egli scosse il capo. “No. Sei troppo pulita, troppo onesta per custodire un segreto del genere. È una storia troppo brutta perché una ragazza pura e bella come te ne venga a conoscenza. E poi…andresti a raccontarla a tuo marito e io non posso permettere che lui venga a saperla. Non adesso e non in questo modo”.

Tremai impercettibilmente. “Allora è come pensavo io…vuoi fare del male a Oliver…”, sussurrai.

Carlos mi si avvicinò, ma io lo respinsi con fermezza. “No, te lo giuro. Se avessi voluto fargli del male, lo avrei già fatto”, rispose, ma c’era qualcosa nel suo sguardo e nella sua voce che non riusciva a convincermi fino in fondo.

“Io…io non riesco più a comprendere, Carlos. Ho sempre pensato che ci fosse un motivo per cui fingevi di essere muto…che nascondessi qualcosa…ma adesso…adesso sento quasi di avere paura di te”, mormorai, mentre una lacrima scendeva mio malgrado a rigarmi il viso.

Carlos apparve colpito…mi si avvicinò e, prima che io potessi opporre resistenza, raccolse la mia lacrima tra le sue dita. “Non devi…a te non farò mai del male, credimi. Io non voglio ingannarti, né mentirti, Kathleen…Semplicemente, non posso raccontarti la mia storia”, disse, con una voce bassa e vagamente triste.

“Perché?”, chiesi debolmente.

Lui scosse la testa. “Tu sei cresciuta in una famiglia ideale…si vede che tuo padre e tua madre ti hanno amato e che finché sono vissuti non ti hanno fatto mancare niente. Per me non è stato così. Mia madre mi ha abbandonato subito dopo la nascita e io sono rimasto da solo con mio padre…ma lui è stato tutt’altro che un genitore. ..era un alcolizzato, un ubriacone…non faceva altro che bere e drogarsi dalla mattina alla sera…mi picchiava, mi costringeva a rubare e poi mi sottraeva quei pochi spiccioli per comperarsi la roba…Io ero solo un bambino e quando lui mi picchiava piangevo e chiamavo mia madre. Credevo che fosse morta e la notte la pregavo di vegliare su di me…finché un giorno mio padre non mi ha buttato in faccia la verità su di lei…”. Carlos abbassò lo sguardo e notai che il suo viso si era profondamente incupito. Un rancore sordo distorceva i suoi bei lineamenti, rendendolo quasi crudele. “Da quel giorno, non ho avuto più pace. Sono cresciuto nell’odio, nel rancore, nel desiderio di vendicarmi…ho pensato solo ad andarmene dalla casa di mio padre e a riscattarmi…non avrò pace finché non avrò vendicato quel bambino che piangeva e invocava sua madre nel buio, con la faccia che gli doleva per le botte..”

Mi si strinse il cuore mentre immaginavo Carlos bambino, piccolo e indifeso, che veniva picchiato crudelmente dal padre ubriaco e si rintanava su una brandina a piangere e chiamare la mamma. Ripensavo alla mia infanzia felice, all’amore di cui mi avevano sempre circondata i miei genitori, e capivo quanto grandi potessero essere il dolore e il rancore che Carlos serbava nel suo cuore. Quello che non riuscivo a capire era cosa c’entrasse in tutto questo la famiglia di mio marito.

“Cosa c’entra con questo il tuo arrivo a Villa Hutton, Carlos?”, provai a domandare, temendo però di non ricevere alcuna risposta.

Carlos si soffermò a fissare un punto lontano, sul mare. “Un giorno feci un piccolo furto qua. Riuscii ad introdurmi passando dalla spiaggia e ad entrare nelle cucine. Avevo sette anni ed ero affamato. In cucina c’era ogni ben di Dio…persino un grosso prosciutto intero, ancora da affettare. Avrei voluto prenderlo, ma non sapevo dove nasconderlo, così mi accontentai di portare via qualche salsiccia e un paio di lattine di birra, per mio padre. Le nascosi sotto la maglietta e cercai di andarmene…ma, mentre cercavo di uscire furtivamente dalla casa, mi imbattei in una donna. Era bellissima e molto elegante; aveva i riccioli castani che incorniciavano un viso stupendo, due dolcissimi occhi azzurri e la pelle di porcellana. Ricordo che pensai di non aver mai visto una donna così bella. Per lo spavento mi caddero le salsicce dalle mani e mi vergognai…volevo scappare ma ero bloccato…ero certo che quella donna si sarebbe arrabbiata, anche se non mi sembrava il tipo da riempirmi di botte. Ero spaventato anche perché sapevo che se fossi tornato a casa a mani vuote, mio padre sarebbe andato su tutte le furie. Non sapevo cosa fare…ma quella donna mi guardò con un’espressione strana, come impietosita, raccolse le salsicce da terra e me le mise in mano…poi mi disse di andarmene in fretta, prima che qualcuno potesse vedermi. Aveva una voce dolce, ma anche strana…come se si stesse sforzando di non piangere…volevo ringraziarla ma non mi uscirono le parole, così le feci un sorriso e corsi via…”. Lo sguardo di Carlos era perso nel vuoto e capii che, mentre mi raccontava questo episodio, la sua mente non era accanto a me, ma vagava lontano, in un passato che io potevo solamente intravedere. Eppure mi sembrava di aver davanti un bambinetto scalzo e impaurito che rubava per non morire di fame e non essere picchiato…e quella donna bellissima che aveva incontrato doveva essere Maggie Hutton, la madre di mio marito.

“Da quel giorno, non so perché, tutte le volte che mi sentivo triste e pensavo a mia madre, mi ritrovavo davanti l’immagine di quella donna…”, il racconto di Carlos si interruppe e la sua espressione sognante e nostalgica tornò ad essere impenetrabile.

“Ora basta, ti ho già raccontato fin troppo. Ora sai quanto la mia infanzia è stata diversa dalla tua e da quella di tuo marito…e quanto tutto ciò abbia condizionato la mia vita. Finché questa ingiustizia non sarà vendicata, io non potrò trovare pace…né andarmene via da qui”, mi disse con durezza, allontanandosi da me e stringendosi le braccia al petto.

“Carlos…io capisco che la tua vita sia stata ingiusta e tu ti senta ferito…ma…ma non è colpa di Oliver o mia….nemmeno tua…tu sei un uomo intelligente, puoi fare strada…anche lontano da qui”, insistetti, ma era come trovarsi di fronte un muro.

“No, io non posso. Non puoi capire e non puoi sapere altro”, ribatté bruscamente. Si scompigliò i riccioli bruni con un gesto nervoso della mano. “Io non posso darti ciò che vuoi, Kat, e me ne dispiace. Tu non puoi accontentarti di ciò che posso offrirti, ed è giusto. Perciò le nostre strade si dividono qui. Io ti ho amato e forse continuerò ad amarti, ma non basta…è giusto che tu viva la tua vita e d’ora in poi tu sarai la moglie di Oliver ed io…un semplice cameriere”. Mi prese per un attimo tra le braccia e mi diede un ultimo, fugace bacio sulle labbra.

Io rimasi sconcertata…avrei voluto reagire, fermarlo, dire qualcosa…ma era come se fossi rimasta di colpo paralizzata, e non riuscii a fare altro che guardarlo mentre correva via in direzione della villa…mi sfiorai le labbra con le dita e capii che era finito…il mio bel sogno era terminato ed io mi ero risvegliata…

D’ora in poi sarei stata solo la moglie di Oliver…questa era la mia strada…dovevo cancellare ogni altro pensiero e impegnarmi a far funzionare il mio matrimonio…Ciò nonostante, un po’ per il dolore, un po’ per la tristezza al ricordo di ciò che mi aveva raccontato Carlos, non riuscii ad impedirmi di scoppiare in singhiozzi. Mi sedetti sulla battigia con le ginocchia al petto e piansi, piansi a lungo…

 

Un mese passa molto velocemente, quando si deve cercare in tutti i modi di tenersi la mente occupata, di non pensare, perché altrimenti il dolore tornerebbe a farsi sentire e sarebbe intollerabile…fu così, per me, in quell’occasione. Per un mese non feci altro che provare acconciature, assaggiare menu e torte nuziali, compilare liste e inviti, aprire regali e scrivere lettere di ringraziamento…girai ovunque come una trottola, mi occupai personalmente di ogni particolare di quella cerimonia, per ignorare il mio cuore gonfio di pena e i tanti dubbi sul futuro che mi attanagliavano. Oliver mi aiutava, ma a volte sembrava anch’egli sopraffatto da qualcosa e aveva bisogno di trascorrere alcune ore in solitudine per nel suo studio. Una parte di me si domandava se ci servisse davvero quella cerimonia così sfarzosa…ma, se non altro, serviva a non farmi pensare a tutto il resto, per cui decisi di ignorare quella fastidiosa vocina e di andare avanti, come se in realtà fossi una giovane sposa che non vedeva l’ora di recarsi all’altare.

La vigilia del matrimonio arrivò in un batter d’occhio e, per rispettare la tradizione, mio marito decise di andare a dormire a casa dei Ross. Io mi rinchiusi presto nella mia stanza, ma i troppi pensieri che mi affollavano la testa mi impedivano di dormire e decisi di scendere per bermi una tazza di the. Mentre la sorseggiavo, pensai a Carlos, al fatto che in quel mese aveva fatto di tutto per evitarmi, all’eco di angoscia che il suo racconto aveva lasciato dentro di me…e pensavo anche a Tom, al fatto che in quell’ultimo periodo, pur sempre presente fisicamente, mi era sembrato in qualche modo più distante che mai.

Mentre ero persa nei miei pensieri, sentii suonare debolmente il campanello. Mi meravigliai, vista l’ora, e presa dal panico pensai di far finta di nulla. Ma il suono si ripeté; allora mi avvolsi più stretta nella vestaglia e mi avvicinai alla porta. Con stupore, quando la aprii, mi ritrovai di fronte Tom Becker, completamente fradicio di pioggia e con gli occhi che ardevano di una strana luce.

“Tom…che ci fate qui a quest’ora? Mio Dio, siete completamente zuppo”, dissi, affannandomi a farlo entrare.

Tom sembrava sconvolto quando varcò la soglia. Cercai di convincerlo a togliersi la giacca, ma tutto quello che fece fu prendermi una mano e bloccarmi di fronte a lui.

“E’ accaduto qualcosa a Oliver?”, domandai, turbata da quel suo atteggiamento inconsueto.

“No, non si tratta di Oliver. Si tratta di me, Kathleen. Io…io forse sto facendo l’errore più grosso della mia vita…ma non posso fare a meno di venire da voi, stanotte…non vivrei più, se non mi liberassi di questo peso”, mi disse in tono febbrile, accarezzandomi una mano.

“Io…io non capisco”, mormorai sconcertata.

“Io vi ho detto una volta che mi ero innamorato di una donna, ma lei non ricambiava…ve lo ricordate?”, mi chiese.

“Sì….ma io…”, risposi. Ero certa che in quell’occasione lui si riferisse a Patricia, ma non capivo per quale motivo, la vigilia del mio matrimonio, si sentisse in dovere di venire a confessarmelo.

“Ecco…vedete….siete voi, quella donna, Kathleen. È di voi che mi sono innamorato”, disse a bruciapelo, senza quasi riuscire a guardarmi negli occhi.

Fu come se la terra mi mancasse all’improvviso sotto i piedi. Di me? Tom era innamorato…di me? Certo, ora molte cose mi sembravano più chiare…la dolcezza nel suo sguardo e nei suoi modi quando mi era accanto…la tenerezza con cui mi aveva confortato quando avevo perduto mio figlio…anche il fatto che nell’ultimo mese avesse evitato di rimanere solo con me ora aveva una spiegazione. Ma io? Cosa sentivo io? Certo, gli volevo bene…per me era sempre stato l’unico punto di riferimento in quella casa, l’amico fedele e devoto su cui poter sempre contare. Ma non poteva essere altro…non in quel momento, non dopo che avevo deciso di ricominciare con Oliver. Come avrei potuto fargli una cosa simile, per di più con il suo più caro amico?

“Io…Tom…io non so cosa dire”, balbettai, a disagio.

Tom sembrava più imbarazzato di me. “Perdonatemi…io non volevo dire nulla…io so che siete la moglie di Oliver e credetemi, io non voglio chiedervi niente. E’ solo che…è tutto il mese che questa notizia del matrimonio mi tormenta…un conto è sapervi sposata con lui, un altro…accompagnarvi all’altare, vedervi unire in matrimonio…non so che mi ha dato la testa….Stasera ho bevuto, per trovare il coraggio di presentarmi alla cerimonia domattina…e a un certo punto mi sono detto che, se non vi avessi detto la verità, io…io non avrei più trovato pace”, fece un grosso sospiro e mi guardò con un’espressione così triste che mi si strinse il cuore per la tenerezza.

Istintivamente, gli accarezzai la guancia con la mano. “Io vi ringrazio, Tom, e sono onorata di quel che mi dite…ma, come avete detto voi, sono la moglie di Oliver, e…ecco, non so…”

Tom mi interruppe posandomi gentilmente un dito sulla bocca. “Non dovete dire nulla. Io…voglio solo augurarvi tanta felicità…so che le cose finora non sono andate come desideravate…ma Oliver è una brava persona e farà di tutto per darvi ciò che meritate…e io sarò sempre qui a vegliare sulla vostra felicità…fin quando voi non mi manderete via”

Lo abbracciai forte. “Mai, mai potrei mandarmi via…non so davvero che farei senza di voi”.

Tom si scostò lievemente da me…e prima che potessi rendermene conto, le sue labbra morbide e delicate si appoggiarono sulle mie. D’istinto, risposi al bacio, lasciando che da dolce e tenero diventasse più appassionato. Quando ci staccammo, io ero rossa d’imbarazzo e l’espressione di Tom ancora più febbrile.

“Scusate…ma sono ubriaco stasera e agli ubriachi si perdona qualche piccola follia”, mormorò lui, abbozzando un sorriso per nascondere l’imbarazzo.

Gli sorrisi anch’io, seppure un po’ incerta. “Certo…domattina non ci ricorderemo nemmeno più questo…questo…episodio”, mormorai.

“Non ne sono sicuro, per quanto mi riguarda…ma quello che ho detto rimane valido. Desidero solo la vostra felicità”. Mi accarezzò lievemente una guancia, poi mi prese una mano e la baciò. “Buonanotte, Kathleen”, disse dolcemente.

“Buonanotte”, balbettai.

Richiusi la porta alle spalle di Tom e scappai via, verso la mia camera.

Inutile dire che non chiusi occhio tutta la notte. Le immagini di Oliver, di Carlos e anche di Tom si accavallavano di continuo nella mia mente ed io mi sentivo più confusa che mai…più di una volta, nel corso di quella lunga notte, mi sentii in colpa ed invocai l’aiuto dei miei genitori per capire cosa dovessi fare della mia vita…più di una volta dubitai che celebrare quel secondo matrimonio con Oliver fosse davvero la cosa più giusta da fare e mi sorpresi anche a pensare ai vari modi in cui avrei potuto dare la notizia a mio marito…ma non potevo, non dopo tutti i preparativi che c’erano stati…sarebbe stato uno scandalo, avremmo perso la faccia davanti a tutto il paese…Ormai avevo preso una decisione, dovevo rispettarla e assumermi le mie responsabilità. Non ero più una bambina spaventata, ero una donna adulta e avevo un marito.

Così lasciai che, quel mattino, mi vestissero, mi truccassero e mi agghindassero come una bambola…quando mi guardai allo specchio, stentai a riconoscermi…una cosa, però, mi inquietava più di tutto il resto…riuscivo a leggere una ad una le emozioni che si alternavano sul mio volto…paura, angoscia, senso di colpa, tristezza…solo una non riuscii a scorgere: la felicità…

Eppure il giorno del matrimonio dovrebbe essere il più felice nella vita di una donna…

Cercai di scacciare questi pensieri inutili e il resto della mattina passò in un baleno…finché non giunse l’ora di recarsi in chiesa. Scesi le scale e trovai Tom ad aspettarmi all’ingresso della villa…vidi l’emozione dipingersi sul mio volto quando gli fui di fronte e per un attimo non riuscii a impedirmi di ripensare agli eventi della notte prima…ma lui sembrava assolutamente tranquillo e padrone di sé mentre mi prendeva per mano e mi faceva accomodare sull’auto che mi avrebbe condotta in chiesa, dove già Oliver mi attendeva.

La chiesa era gremita di gente, ma, mentre percorrevo la navata al braccio di Tom, io vedevo solo mio marito, ritto in piedi accanto all’altare. Anche lui sembrava tutt’altro che felice, sebbene mi sorridesse mentre mi avvicinavo. Quando fui accanto a lui, mi prese la mano e con dolcezza mi sussurrò che ero bellissima.

Risposi al suo sorriso e mi ripetei di nuovo che stavo facendo la cosa giusta.

 

Non dimenticherò mai quello che avrebbe dovuto essere il giorno del mio matrimonio.

La cerimonia sembrava procedere come una tranquilla e normale cerimonia di nozze dovrebbe proseguire. Io e Oliver avevamo recitato i solenni voti nuziali e il sacerdote stava benedicendo gli anelli che ci saremmo reciprocamente infilati al dito.

Improvvisamente, però, fui distratta da un mormorio, che proveniva dal fondo della chiesa e si estendeva fino a pochi passi da noi. Istintivamente, mi voltai verso la navata e vidi mio marito fare la stessa cosa. Di colpo, il viso di Oliver apparve perso nel vuoto e la sua mano lasciò bruscamente la mia.

Seguii la direzione del suo sguardo e mi sentii raggelare. Il cuore si fermò nel mio petto. Compresi qual era la causa che aveva fatto nascere il mormorio che avevo sentito.

La porta della chiesa si era aperta ed era entrata una donna. Una donna che ora stava camminando lungo la navata con passi incerti, quasi barcollando.

Indossava un vestito di colore chiaro, sporco e lacerato in più punti. Anche la pelle, che sarebbe stata bianchissima, era piuttosto sporca e segnata da graffi e lividi violacei. I lunghi capelli scuri erano scarmigliati e lo sguardo piuttosto assente.

L’espressione dei suoi occhi però era viva e febbrile, mentre fissava ardentemente Oliver.

Poi i suoi occhi si incatenarono ai miei e d’improvviso fu come guardarsi in uno specchio…

La nostra somiglianza mi era stata buttata in faccia in ogni modo, ma solo ora che la vedevo di persona, come mai avrei creduto possibile se non in uno dei miei incubi, mi rendevo conto di quanto fosse davvero marcata.

La donna arrivò a pochi passi da noi e riuscivo distintamente a sentire il corpo di Oliver scosso da un profondo tremito. Le persone riunite in chiesa avevano cessato di mormorare ed era sceso un silenzio assoluto, rotto solo dai passi della donna sul tappeto rosso.

Giunta a pochi passi da noi, si fermò e allungò una mano verso mio marito. I suoi occhi si riempirono di lacrime, mentre mormorava il suo nome con una voce che suonava strana, come se non fosse stata utilizzata per tanto, tantissimo tempo.

Oliver rimase immobile, come impietrito, così fui io ad allungare una mano fino a toccare la sua…era come se volessi sincerarmi che fosse vera, che non fosse un fantasma o un parto della mia immaginazione. Ma la mano che toccai, per quanto piccola e ossuta, era assolutamente reale.

Non era un fantasma. Né un incubo, un’immaginazione, o come diavolo vogliamo definirla.

Era lei, in carne e ossa. Di fronte a me. Viva.

Patricia….

 

Fine quindicesimo capitolo

  
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