Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: Tetide    12/03/2010    12 recensioni
Un tormento sconosciuto, un richiamo dal passato; le due metà di un'anima sola che si trovano riunite, dopo millenni. Detto così sembra facile... in realtà, il travaglio di queste due anime prende le mosse da ragioni ben più presenti e concrete. Oscar ed André, ancora una volta, si confermano uniti da un legame indissolubile, un legame più forte anche della morte. Questa storia è dedicata a Ninfea 306.
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 3 CAPITOLO 3

Il generale Jarjeays se ne stava seduto alla sua scrivania con gli occhi sgranati per lo stupore e l’incredulità. Non riusciva davvero a credere a quanto aveva appena sentito.
Seduta davanti a lui stava sua figlia Oscar, con uno sguardo fiero e deciso che mai le aveva visto prima.
“Oscar, sei sicura di quello che dici? Sei davvero sicura di volerlo?”, il generale tentò di riprendere il suo solito contegno, o almeno ci provò,
“Sì, padre. E’ deciso. Voglio lasciare la Guardia Reale”.
Il generale si sentì come se fosse stato seduto sui carboni ardenti; si alzò dalla poltroncina, e si girò verso la grande finestra, dando le spalle a sua figlia.
“E dove vorresti andare?”, non si era sentito davvero di farle quella domanda guardandola negli occhi,
“In un altro reggimento. Qualunque altro reggimento, purché sia duro ed inflessibile, e mi consenta di mettere a frutto tutto ciò che voi mi avete insegnato, padre”.
Il generale non disse nulla; in altri tempi, sarebbe montato su tutte le furie, l’avrebbe certamente schiaffeggiata o chissà che altro; ma ora era diverso. Era tutto diverso.
La sera in cui Oscar era crollata sul pavimento in mezzo a quella pozza di lerciume che le era appena uscito dallo stomaco, il vecchio militare aveva sentito in un attimo crollare anche buona parte delle sue vecchie convinzioni da nobile feudatario d’altri tempi: l’idea di poter perdere sua figlia, la sua figlia più cara e prediletta, che lui stesso aveva cresciuto personalmente, si era affacciata all’improvviso nella sua mente; l’essersi accorto che anche lei, come tutti gli altri, non fosse invulnerabile come il suo orgoglio si ostinava a credere, che fosse fatta di carne ed ossa come tutti, e come tutti sottoposta al rischio della morte, l’aveva scosso molto. Anche se non lo dava a vedere (anzi faceva di tutto per mascherarlo), l’episodio lo aveva profondamente scioccato.
Ed in fondo al suo cuore si era accorto anche di qualcos’altro: una cosa chiamata affetto.
Un sentimento strano, quasi proibito per un soldato.
Ma naturalissimo per un uomo.
E lui lo nutriva nei confronti di sua figlia.
Capì all’improvviso di essere legato a lei molto più di quanto la sua posizione gli permetteva. E capì di non volerla perdere.
Ragion per cui, doveva guarire. Oscar doveva star bene, ad ogni costo.
Anche se ciò significava rinunciare a ciò che lui aveva progettato per lei.
Il dottore era stato chiaro: la causa del male la conosceva solo Oscar, e solo lei poteva quindi rimuoverla; dunque, una volta rimessasi, doveva aver lasciato campo libero: che scegliesse pure cosa voleva fare, pur di sradicare ciò che l’aveva tanto fatta soffrire!
Tutto questo, affinché tornasse a stare bene.

L’uomo si girò, le mani congiunte dietro la schiena, in una posizione che gli era abituale, e si rivolse alla figlia:
“Hai già deciso il reggimento?”,
“No, lascerò che siano le Loro Maestà a farlo per me”.
Il generale abbassò gli occhi; in fondo, non c’era nulla di disonorevole nella scelta di Oscar… avrebbe continuato a servire nella carriera militare… non era ciò che lui voleva, in fondo? Non l’aveva educata per questo?
Anzi, semmai un reggimento più duro e severo poteva solo conferire maggior lustro ad Oscar, regalando a sua volta più onore alla famiglia ed al nome dei Jarjeays.
E non erano questi i suoi sogni, i progetti che aveva in serbo per Oscar?
A ben vedere, non stava accadendo nulla che fosse contrario ai suoi progetti. Dunque, che motivo aveva di opporsi?
“Va bene, Oscar. Accolgo la tua richiesta. Domani mattina stesso puoi andare a presentarla ai sovrani”,
“Grazie, padre”, la donna si era alzata; salutato il padre con un inchino del capo, uscì.
Nel corridoio, vide André in un angolo, che la guardava con sguardo rattristato.
Sarà ancora preoccupato, pensò.
Ma la tristezza di Andrè aveva ben altre origini.
Perché, Oscar?
Perché ti ostini a non voler vedere la verità?
Tu sei una donna, una bellissima donna, e questo non potrai mai nasconderlo a nessuno, tanto meno a te stessa.
Una rosa non potrà mai essere un lillà, resterà sempre una rosa.
Prosegui la tua vita da soldato se ti rende felice, lascia pure la Guardia Reale se vedere Fersen ti è divenuto insopportabile perché ti ricorda l’omicidio della tua femminilità in quella dannata notte! D’altronde, io non potrei mai immaginarti diversa dalla splendida donna forte e libera che sei: tu sei una donna ed un soldato, questo è il tuo essere. Ed è meraviglioso, Oscar.
Ma non nascondere la tua femminilità, non tentare di ucciderla più di quanto abbia già fatto Fersen! Non capisci che fai del male solo a te stessa?
Ed anche a me!!
Sì, perché dalla mia follia, fors’anche dal mio egoismo, io odio quell’uomo che ti ha spinto a ricacciare nei recessi del tuo cuore quella femminilità forte e determinata che è la parte più bella e vitale di te, e di cui io potevo godere ogni attimo vivendoti accanto, anche se nascostamente, come un ladro: adesso, a causa sua, tu vorresti cancellare questa parte meravigliosa che è la tua vera essenza, per sostituirla con una virile rudezza che non ti appartiene, né ti si addice, e che è arida come un deserto di rocce ingiallite!
Tu mi uccidi, Oscar: non stai uccidendo lentamente solo te stessa, stai uccidendo anche me, me che ti amo di un amore segreto e proibito.
Non hai compreso il significato delle mie premure, Oscar? Non riesci a capire che esse sono state dettate dall’amore di un uomo verso una donna?
No, per te sono solo l’amico consolatore.
Il fratello con cui sei cresciuta.
Nemmeno tra le spire del tuo mal di vivere hai saputo vedere la verità!

                                      **********

Sera inoltrata. Oscar sedeva al piano, nel suo salottino privato; suonava una melodia di Bach.
Il suo sguardo, sebbene facesse di tutto per apparire sereno, nascondeva un mare in tempesta di pensieri contrastanti.

Ho deciso: ho scelto quale sarà la mia vita, d’ora in avanti.
Ho scelto di vivere come un uomo.
E di lasciare Versailles. Di lasciare Fersen.
Ho scelto di allontanarmi per sempre dall’uomo che ha fatto vacillare le mie certezze di una vita, e che mi ha regalato solo dolore.
Non riesco a dimenticare ciò che mi ha fatto.
Preferisco non rivederlo più.
Non mi importa di dove le Loro Maestà mi manderanno a servire: tutto ciò che desidero è allontanarmi il più possibile da Versailles, mettendo quanta più strada posso tra me e lui.
Penso questo, e razionalmente mi sento bene. So di stare facendo la cosa giusta.
Razionalmente, appunto.
Ma qualcosa, in fondo a me, continua a dirmi che sto sbagliando: qualcosa che di razionale ha ben poco.
E questo è il primo dei miei tormenti: che cosa è questa “voce” che da qualche tempo alberga in me? Da dove viene?
Non so dire quando è venuta: ha iniziato ad esistermi dentro, e basta; è come se mi si fosse svegliato dentro qualcosa che c’era sempre stato.
E non mi dà pace.
Perché?
Dice che sbaglio. Ma cosa sbaglio? E cosa dovrei fare, allora? Cosa sarebbe più giusto?
Ed il tormento, silenzioso, mi assale.
Mi opprime il petto, sale a chiudermi la gola. Mi opprime continuamente, non mi lascia mai in pace.
Qualunque cosa io faccia, lo avverto: il tormento.
Perché? Perché? Perché?

Involontariamente, Oscar perse la melodia, e lasciò cadere le mani sui tasti, pesantemente; una sequenza inarticolata di suoni ravvicinati si diffuse per la stanza.
Rimase in quella posizione, le braccia accasciate sui tasti del pianoforte, immobile, gli occhi chiusi strizzando le palpebre, quasi a non voler più vedere i propri affanni.
Ma chiudere gli occhi non serve a non vedere i propri tormenti interiori! E lei lo sapeva bene.
In quel momento, sentì bussare alla porta.
Si ricompose “Avanti!”, gridò.
André entrò nella stanza, portandole una tazza di cioccolata fumante su di un vassoio.
Quando lo vide, Oscar ebbe un improvviso quanto inaspettato moto di sollievo: non avrebbe saputo dire il perché, ma la vista di André aveva fatto tacere la voce del suo continuo tormento, anche se solo momentaneamente.
“Grazie, André”. Lui le sorrise.
Si avvicinò ad un tavolino, e vi depose il vassoio.
Oscar si alzò dal pianoforte, e gli si avvicinò.
Prese la tazza tra le mani, iniziando a sorseggiare la bevanda calda.
“André, ascolta… domani saprò che cosa Sua Maestà la regina ha deciso per me: mi verrà comunicato qual è il mio nuovo reggimento”.
André ascoltava, in silenzio.
“E nella mia nuova destinazione… non credo ci sia posto per un attendente”.
Perché stava dicendo quelle parole? Le facevano male, le tagliavano le labbra mentre le uscivano dalla bocca, come coltelli affilati; ma allora, perché le stava dicendo?
“… Dunque, André…”.
Stava per dirgli “non ho più bisogno di te”, ma qualcosa la fermò dal farlo.
Un NO! Gridato da qualche parte dentro di lei le chiuse la bocca, impedendole di parlare; un attimo di silenzio, di riflessione per lei.
“Volevo dirti che, da ora in poi, ci potremo vedere di meno… io passerò buona parte del tempo presso il nuovo reggimento, qualunque esso sia… ma quando sarò a casa, saremo insieme, come sempre”.
Per tutto il tempo, Oscar aveva continuato a fissare dentro la tazza; ora che aveva finito di parlare, alzò lo sguardo ad incrociare quello dell’uomo, e vi lesse una profonda tristezza.
Vederla di meno… sarà una tortura, per me!

Oscar aprì la bocca per parlare… per un paio di secondi le parole restarono come sospese a mezz’aria; poi, prese coraggio.
“Non devi rattristarti: anche se non sarai più il mio attendente, saremo sempre insieme, qui, come lo siamo stati sempre; siamo cresciuti insieme, siamo amici, quasi fratelli: non potrei mai fare a meno di te!”.
Ma che accidenti sto dicendo?, si chiese Oscar; eppure, quelle parole che aveva appena pronunciate corrispondevano a verità.
Bastava ripensare ai giorni della sua degenza per rendersene conto: la presenza di André accanto a lei era stata la sola costante che l’aveva condotta alla guarigione, o ad un surrogato di essa; surrogato, sì, perché l’origine di tutto, quel tormento, era ancora lì, da qualche parte dentro di lei…
Ed anche questo si aggiungeva: non avrebbe saputo dire perché, ma in qualche modo sentiva che la presenza di André leniva i suoi tormenti, almeno in parte.
Lui la stava ancora fissando, ma ora il suo sguardo aveva assunto un’aria più decisa.
“Scusa, Oscar, posso farti una domanda?”,
“Certo, dimmi pure”,
“Perché vuoi cambiare reggimento? O meglio… perché vuoi vivere come un uomo a tutti i costi?”.
A sentire quelle parole, Oscar si era quasi affogata con la cioccolata. “Ma… che razza di domande sono?” chiese, seccata.
“Mi hai sentito: perché vuoi vivere come un uomo?”,
“Perché mio padre mi ha cresciuto per questo” Oscar aveva ripreso il controllo di sé stessa, come al solito,
“Oscar, ascolta…” André fece un passo verso di lei “Una rosa è sempre una rosa…non potrà mai essere un lillà: essa rimarrà sempre una rosa!”,
“Che cosa?? Ma che vai dicendo, André?”,
“Sto dicendo che non potrai mai cancellare di essere una donna, Oscar”,
“Chiudi il becco! Che ne sai, tu?”,
“Le cose stanno proprio così, cara Oscar: sei una donna, e non potrai mai essere un uomo”.
Oscar perse la testa: posata la sua tazza sul tavolino, si avvicinò ad Andrè, e lo colpì in viso con un pugno.
“Stai zitto, hai capito? Taci!!”.
Lui si rialzò, asciugandosi un rivoletto di sangue che gli colava giù dal naso.
“Vuoi fare a botte? Ti accontento subito, Oscar. D’altronde non ho mai avuto problemi ad accettare che, nella lotta, tu fossi più brava di me, che pure sono più forte: tu sei più agile, e mi hai sempre battuto; come nella scherma, nelle gare a cavallo sei sempre stata la più brava. Ma sei e resti una donna, Oscar! Lo devi accettare! Ed ancora di più devi accettare che essere donna non significhi affatto essere debole, né inferiore! Non significa non poter continuare a fare la vita che fai! Ragion per cui, accettati, Oscar: accetta di essere una donna, e smetti di voler sembrare un uomo a tutti i costi!!”.
Mentre André pronunciava queste parole, i due avevano continuato a darsele di santa ragione; fino a quel momento, Oscar aveva però avuto la meglio.
André continuò “O forse, tutto questo lo sai benissimo; è stato solo il dolore che un altro ti ha inflitto a farti odiare il tuo essere donna! Non è così, Oscar?”.
A sentir questa evidente verità piantatale in faccia così crudamente, Oscar perse la concentrazione e vacillò; quanto bastò ad André per stenderla del tutto a terra, con un colpo nello stomaco.
Era la prima volta che ci riusciva.
Lei rimase a terra, piegata in due dal dolore; ma non si trattava di dolore fisico: il colpo che André le aveva dato non era stato poi molto forte; era il dolore che sentiva nel suo orgoglio a farle male.
Era ancora a terra, il respiro ansante, la testa piegata in avanti; vedendola, André si sciolse in lacrime, e si accovacciò accanto a lei.
“Perdonami, Oscar… non volevo farti male… giuro che non lo farò mai più… perdonami… ma non ce la facevo più… a vederti cercare di uccidere la tua femminilità, così forte e meravigliosa… perché io l’adoro… io ti amo, Oscar! Ti ho sempre amato! E non ce la facevo davvero più a vederti fare a brandelli il tuo essere donna come hai fatto con quel vestito, per uno che non ti merita, che non ti capisce…”.
Oscar aveva ascoltato lo sfogo dell’amico con stupore crescente: André la amava! La amava come una donna, nonostante non le avesse mai visto indosso un corpetto od una crinolina! Come era possibile?
Il suo amico di sempre, il suo fratello acquisito da una vita era divenuto un innamorato disperato che si nascondeva da sempre nel buio! Non poteva essere! Non poteva!
L’essere donna le aveva fatto anche questo: le aveva portato via l’amico di sempre, per sostituirlo con un perfetto sconosciuto!
No, ora più che mai desiderò essere uomo.
E vivere come un uomo.

Salve a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo.
Diciamo che in questo capitolo ho voluto riscattare un pò tutti: il vecchio generale, che qui diventa più "umano", un padre affettuoso, anche se severo; André, che non compie più il suo terribile tentativo di violenza su Oscar, pur sfogandosi (doverosamente) con lei e confessandole il proprio amore; ed infine Oscar, che non ferisce brutalmente il nostro André, buttandolo via come uno straccio vecchio (quel "non ho più bisogno di te" era davvero tremendo, e poi stonava davvero, nelle mia storia; più avanti capirete il perché). Non so se vi  piacerà, spero di sì =) Intanto, ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa mia storia, e vi mando un grande bacio.
Tetide.

  
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Tetide