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Autore: gemini    12/03/2010    2 recensioni
Patricia è morta. Ma nessuno a Villa Hutton, tantomeno il marito Oliver, sembra averla dimenticata. E' un brutto colpo per Kathleen, la nuova signora Hutton, giunta nella sua nuova casa piena di amore e di speranza. Dovrà invece affrontare una vita piena di difficoltà e di intrighi...una vita in cui avrà una parte importante anche il misterioso cameriere sudamericano Carlos...fino ad un'imprevedibile ed inaspettata scoperta...
Genere: Dark, Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlos Santana, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PATRICIA, LA PRIMA MOGLIE

 

CAPITOLO SEDICESIMO

 

Nonostante avessi sfiorato la sua mano, e dunque sapessi che la donna davanti a me era lei in carne e ossa, ancora stentavo a crederci…forse era un brutto sogno, sì, doveva essere così…era solo un incubo, io mi sarei svegliata nella mia stanza e avrei scoperto che era la mattina del mio matrimonio e che dovevo affrettarmi per non fare tardi in chiesa.

Provai a chiudere gli occhi per avvalorare questa tesi, ma quando li riaprii Patricia era ancora davanti a me e stava prendendo la mano di Oliver tra le sue. Mio marito, pallido e immobile, sembrava letteralmente sconvolto. Sentivo il suo respiro affrettato, il tremore del suo corpo e mi sembrava quasi di percepire il martellare assordante del suo cuore.

“Oliver”, mormorò lei, di nuovo con quella voce strana, da strumento scordato.

Il suo sguardo aveva un che di vacuo, di distante…ora che era più vicina, notai che era magrissima, molto più di quel che mi era sembrata osservando il suo ritratto…le braccia e le gambe erano molto esili, il viso appariva scavato e gli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie violacee. Il suo vestito era strappato e la sua pelle sporca e piena di graffi…sembrava davvero uscita dalla tomba…

Però era viva….era viva….ed era lì, in chiesa, nel giorno in cui io e Oliver avremmo dovuto celebrare il nostro matrimonio davanti a tutti…

“Non può essere….non puoi essere tu…”, sussurrò Oliver con voce spezzata, uscendo finalmente dal torpore in cui sembrava piombato da quando la porta della chiesa si era spalancata.

“Oliver”, disse ancora Patricia, come se fosse incapace di pronunciare qualunque altra parola se non il nome di mio marito…di suo marito, realizzai improvvisamente, e mi sentii come folgorata.

Patricia era viva….ed era tornata a riprendersi suo marito…

L’emozione mi sopraffece…la testa cominciò a girarmi e, prima che potessi rendermene conto o chiedere aiuto, sentii che le gambe non mi reggevano più e caddi sulle ginocchia.

“Kathleen!”, esclamò Tom, precipitandosi al mio fianco. Mi prese la mano e mi osservò con aria preoccupata, scostandomi i capelli dalla fronte con un gesto di una dolcezza infinita.

“Portatemi via, Tom, vi prego”, riuscii a mormorare, sentendo che le orecchie mi rimbombavano, nonostante la chiesa fosse immersa in un raggelato silenzio.

“Oliver…”, fece Tom dubbioso, voltando lo sguardo verso l’amico.

Mio marito era ancora immobile, mentre Patricia gli accarezzava febbrilmente una mano e se la portava alla guancia. Al suono della voce di Tom, egli si voltò di scatto, con l’espressione di un animale chiuso in gabbia. Era chiaro come tutto questo fosse troppo per lui e non sapesse come fare ad affrontare la situazione.

“Vi prego, Tom…fate uscire tutta questa gente”, domandai di nuovo, implorante, mentre con orrore sentivo che la tensione che mi straziava stava per sciogliersi in un pianto dirotto.

Tom annuì. Lo vidi far cenno a Julian e a Frank, che si trovavano poco distante da noi, e in pochi istanti le persone cominciarono a sciamare fuori dalla chiesa…sicuramente l’intero paese avrebbe avuto di che parlare a lungo…questa cerimonia sarebbe entrata nella storia locale…

In breve tempo, all’interno della chiesa restammo solo io, Oliver, Patricia e Tom, che si era di nuovo inginocchiato al mio fianco e mi teneva la mano cercando di rassicurarmi.

Sentivo provenire dal di fuori le grida di Amy Ross che voleva rientrare e parlare con sua sorella e il tono pacato ma deciso di Julian mentre cercava di farla tranquillizzare.

Le lacrime mi rigavano il viso ormai incontrollabilmente…da una parte volevo alzarmi e fuggire, il più lontano possibile da quel luogo, dall’altra non riuscivo a trovare la forza di tirarmi su da quel pavimento e mi aggrappavo alla mano di Tom Becker come se fosse l’unico rifugio possibile…

“Come è possibile?”, sentii dire a Oliver, non so se rivolto più a Patricia che a se stesso.

“Io…io non lo so…ero in una stanza buia, mi tenevano chiusa lì….prima non ricordavo niente, poi ho cominciato a rivedere delle immagini…e alla fine mi è tornato in mente tutto…ma non sapevo dov’ero o come fare a fuggire…poi stamattina ho trovato la porta aperta…sono uscita…temevo che mi avrebbero seguita….ho cominciato a correre…e mi sono trovata qui…ho aperto la porta…e ti ho visto…”, mormorò lei con voce incerta, mentre un lieve tremito la scuoteva.

“Ma tu….l’incidente…la barca”, balbettò Oliver, ancora incredulo.

Tom gli posò una mano sulla spalla. “Perdonami, Oliver…ma non mi sembra il momento né il luogo. Siamo tutti sconvolti…Kathleen sta per sentirsi male…e credo che anche…che anche Patricia abbia bisogno di cure”, disse in tono premuroso.

Oliver sembrò riscuotersi e annuì. “Hai ragione…è meglio andare a casa…e continuare là questo discorso”, disse.

Per la prima volta da quando quella donna era entrata nella chiesa, si voltò verso di me e mi voltò con l’espressione più smarrita che gli avessi mai visto…aveva gli occhi sbarrati, il viso pallido e la fronte imperlata di sudore. Lessi sul suo volto dolore, angoscia, confusione…ma non potei fare a meno di notare, con una sorta di fitta allo stomaco, che nei suoi occhi sembrava essersi accesa una fiammella di speranza.

“Tom…ti prego, occupati di Kathleen”, sussurrò rivolto all’amico, mentre lui prendeva per mano Patricia e con poche parole, gentilmente, la convinse a seguirlo all’esterno della chiesa, verso Villa Hutton.

Tom non se lo fece ripetere due volte e in un attimo fu accanto a me. Mi aiutò ad alzarmi e mi condusse verso la macchina, tenendomi saldamente stretta tra le sue braccia. Mentre il mondo sembrava non riuscire a smettere di girarmi attorno, io appoggiai il capo alla sua spalla e inspirai il suo aroma mascolino, cercando di trarre coraggio dalla sua rassicurante presenza. Non riuscivo ancora a realizzare pienamente cosa significasse il ritorno di Patricia a Villa Hutton, nella vita di Oliver. Non riuscivo a immaginare i commenti degli ospiti…mentre uscivamo dalla chiesa, sollevai a malapena il capo per guardarmi intorno, ma se n’erano andati quasi tutti.

C’era Amy Ross, pallida come un fantasma e tremante tra le braccia di suo marito; appena vide Oliver uscire con Patricia per mano fece per avvicinarsi, ma un’occhiata del cognato la fece rapidamente desistere. Vidi Oliver sussurrare qualcosa a Julian, che annuì e prese sua moglie per mano, probabilmente per condurla a recuperare l’automobile e ritornare a Villa Hutton. Vidi Frank che si affannava ad indicare a Tom la direzione da percorrere per raggiungere l’automobile con cui eravamo arrivati in chiesa…un’ora, una vita, forse un’eternità prima.

Sapevo che la signora Martin non sarebbe intervenuta alla cerimonia…la immaginai a Villa Hutton, nella stanza di Patricia…chiusi gli occhi e riuscii quasi a vederla con gli occhi della mente: era affacciata alla finestra e teneva in mano la camicia da notte di Patricia, mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto e la sua mente alimentava incessantemente l’odio verso di me e verso Oliver, che aveva osato sostituire la sua perfetta moglie con una brutta copia. Immaginai l’incredulità e l’esultanza nei suoi occhi quando avrebbe visto arrivare l’automobile e, anziché me, raggiante in abito da sposa, avrebbe visto scendere “la sua bambina”, magra e scarmigliata, ma al braccio di suo marito, pronta a rientrare in casa da padrona e a spodestare finalmente l’usurpatrice.

Mi assalì il panico e, tremante, mi aggrappai al bavero della giacca di Tom.

“Tom, non voglio tornare a Villa Hutton”, sussurrai con la voce spezzata, mentre sentivo con orrore le lacrime bagnarmi il viso.

“Kat, dovete farlo…capisco come vi sentiate…ma dobbiamo tutti sapere come sono andate le cose…anche voi…”, tentò a ribattere, ma vidi che era poco convinto.

“A me sembra tutto un incubo”, esalai, prima di scoppiare in un pianto dirotto.

Vidi il volto di Tom contrarsi in una smorfia. Mi fece salire in macchina e chiese a Frank di lasciarci soli per qualche istante, poi si sedette accanto a me e mi prese il viso tra le mani.

“Kat…voi siete una donna coraggiosa e dovete continuare a dimostrarlo. Io…non so nemmeno io cosa dire…penso che nessuno lo sappia….io…io non so nemmeno come sia possibile che Patricia sia ancora viva, che sia tornata…”, compresi che anche lui si stava sforzando di riprendere il controllo di se stesso e delle proprie emozioni. “Dobbiamo sentire il suo racconto. Accertarci che sia veramente lei. Capire come sono andate le cose. Solo poi…potremo pensare al da farsi…prendere delle decisioni”. Sospirò e con i pollici mi asciugò le lacrime dalle guance.  Il suo sguardo si fece intenso. “Kathleen…io so che non è il momento né il luogo…ma io…io non ho dimenticato quello che è successo ieri sera”, disse.

Mi sentii improvvisamente avvampare. Il ricordo della sua dolcissima dichiarazione e, soprattutto, del bacio che ci eravamo scambiati mi riaffiorò alla mente e mi fece sentire ancora più a disagio. “Tom, io…non mi sembra il caso”, obiettai, distogliendo immediatamente lo sguardo.

“Non è come pensate…io non volevo certo…farvi una dichiarazione in questo momento…non sono pazzo. O meglio, sicuramente ieri sera vi sarò sembrato come impazzito…ma io volevo solo ricordarvi che ci sarò sempre, per voi. Qualunque cosa accada, mi avrete sempre al vostro fianco. Non dovete avere paura di niente. Ci sono qua io a proteggervi”, rispose, con un tono così solenne e dolce allo stesso tempo che non potei fare a meno, anche nella mia totale confusione, di provare un profondo sollievo. Certo, l’affetto incondizionato di Tom non risolveva i miei problemi, e al momento mi trovavo davvero in una pessima situazione, ma era confortante sapere che, comunque, non ero più sola, ma avevo qualcuno che desiderava amarmi e proteggermi.

Gli sorrisi e gli accarezzai la mano. “Grazie, Tom. Veramente, non so cosa sarebbe di me se non avessi voi”, mormorai.

Tom ricambiò il mio sorriso. “Coraggio, andiamo a Villa Hutton. Insieme”, disse in tono deciso e io annuii. Certo, ero ancora spaventata, anzi terrorizzata. Ma pensavo anche che, con Tom accanto a stringermi la mano e darmi coraggio, in qualche modo sarei riuscita ad affrontare la situazione.

 

Quando arrivai alla Villa, seppi che Oliver aveva dato istruzioni affinché tutta la servitù, signora Martin compresa, fosse allontanata prima del nostro arrivo e nessuno entrasse fino a nuove disposizioni. Naturalmente non avevo intenzione di presentarmi indossando il mio abito da sposa, così salii nella mia stanza e andai a cambiarmi. Mentre mi toglievo il vestito bianco e disfacevo la sontuosa acconciatura, pensai che mi sembravano passati secoli da quando mi ero preparata, quella mattina, e che io stessa mi sentivo un’altra persona. Mi osservai a lungo allo specchio e al mio viso si sovrappose inevitabilmente quello di Patricia, così come mi era apparso quando era entrata all’improvviso in chiesa ed io mi ero voltata e l’avevo vista. I suoi grandi occhi castani, per quanto smarriti potessero essere, erano davvero identici ai miei, così come i lineamenti del viso: la bocca, il naso, le guance…persino una piccola, quasi impercettibile fossetta sul mento. Avremmo potuto facilmente essere scambiate per gemelle. Certo, io ero più giovane…ma pensai che gli eventi degli ultimi mesi mi avevano così stravolta che mi sentivo invecchiata di dieci anni, quindi in un certo senso era come se anch’io avessi raggiunto la stessa età che aveva lei. Persino i capelli, per quanto sporchi e scarmigliati, erano identici ai miei: stesso colore, stessa lunghezza…anche i suoi terminavano sulle spalle con dei leggeri boccoli…

Sospirai. Non avevo il coraggio di scendere…non volevo vedere nessuno…né Oliver, né Patricia…nessuno…solo restare chiusa nella mia stanza, come in una bolla protettiva, finché qualcuno non fosse venuto a dirmi cosa ne sarebbe stato di me.

Il pensiero del mio futuro mi atterriva. Fino a quel mattino, per quanto piena di dubbi, pensavo che sforzandomi sarei riuscita a ricominciare una nuova vita a Villa Hutton come moglie di Oliver…ma quel che era successo in chiesa cambiava veramente tutto…più di Carlos, più del bambino, più di qualsiasi altra cosa. Per prima cosa…solo ora me ne rendevo conto, ma era una conseguenza inevitabile: se Patricia non era realmente morta, Oliver non era mai stato vedovo…dunque il nostro matrimonio non era mai stato valido. Io non ero davvero sua moglie. Io non ero nessuno.

Probabilmente ora Patricia avrebbe reclamato il posto che le spettava…e non dubitavo nemmeno per un istante che Oliver l’avrebbe riaccolta a braccia aperte. Non l’aveva mai dimenticata ed io avevo sempre saputo, in fondo, che lei era l’unica donna che egli avesse veramente amato. Mi chiesi se lei avrebbe voluto che me ne andassi subito o se avrebbe acconsentito ad ospitarmi finché non avrei trovato un’altra sistemazione. Ma quale? E dove? Non avevo famiglia, non avevo amici, non avevo nessuno al mondo. Avrei dovuto cercare un lavoro, ma non c’era nulla che sapessi fare, non sapevo nemmeno da che parte cominciare. Prima di conoscere Oliver mi ero adattata a fare la dama di compagnia a zia Audrey, ma non sarei mai tornata da lei: mi sarei vergognata troppo a raccontarle tutta la storia e ad affrontare i suoi sguardi di compatimento. Forse Tom avrebbe potuto aiutarmi…ma ora che sapevo la verità sui suoi sentimenti nei miei confronti, mi imbarazzava dovermi rivolgere proprio a lui…e avevo troppa dignità e troppo rispetto di me stessa e di lui per gettarmi tra le sue braccia senza ritegno solo perché il mio matrimonio con Oliver non era valido. Volevo un bene infinito a Tom, ma non lo amavo; e non mi sarei perdonata per tutta la vita se avessi approfittato dei suoi sentimenti solo per ottenere una sistemazione comoda e sicura.

Sentii bussare alla porta e la voce di Frank mi informò discretamente che erano tutti in salotto e aspettavano soltanto me. Sentii di nuovo, fortissimo, il desiderio di buttarmi sul letto a piangere e di rimanere lì, a fare finta che il resto del mondo non esistesse. Ma sapevo che non potevo farlo. Così respirai profondamente, aprii la porta e seguii Frank fino al salotto, anche se ad ogni passo desideravo che la terra si aprisse sotto i miei piedi e mi inghiottisse definitivamente.

Quando entrai nel salotto, la prima persona che vidi fu Oliver, in piedi accanto alla finestra…aveva la stessa espressione pallida e tormentata che gli avevo visto prima in chiesa. Patricia era seduta sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto; notai che si era sistemata: aveva lavato il viso e spazzolato i capelli, e al posto del vestito bianco strappato indossava una maglietta di cotone e un paio di jeans. Sembrava giovane e indifesa, quasi una bambina. Accanto a lei, sua sorella Amy le teneva la mano, con uno sguardo allo stesso tempo intenerito e preoccupato. Quando entrai mi rivolse un’occhiata fugace e distolse rapidamente lo sguardo, come una ragazzina colta in fallo dalla madre. Julian e Tom erano seduti sull’altro divano, uno accanto all’altro; il cugino di Oliver si teneva la testa tra le mani, pensieroso, mentre scrutava con attenzione la moglie e la cognata. Tom, invece, mi venne subito incontro, mi prese le mani e mi condusse premurosamente verso il divano, invitandomi a sedermi accanto a lui.

Mi accorsi che Patricia aveva sollevato leggermente il volto e mi osservava; anche in lei cresceva lo stupore man mano che si accorgeva della nostra straordinaria somiglianza. Mi osservò a lungo, poi si voltò a fissare Oliver e notai che l’espressione si era fatta profondamente triste. Mi domandai che effetto poteva farle ritornare a casa e scoprire che il marito l’aveva sostituita con un’altra donna, come se non bastasse praticamente identica a lei.

“Io…io non volevo interrompere tutto…mi dispiace…non mi ero neppure resa conto”, farfugliò, come se faticasse ancora a riprendere il contatto con la realtà. Vidi l’angoscia e lo smarrimento nei suoi occhi e, con mia stessa meraviglia, compresi che sentivo pena per lei.

“Non importa. La cerimonia non sarebbe stata comunque valida”, mi sorpresi a ribattere, più bruscamente di quello che avrei voluto.

Vidi Oliver trasalire e voltarsi di scatto verso di noi. Il suo sguardo vagava tra me e Patricia, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto di averci entrambe nella stessa stanza, a pochi metri di distanza l’una dall’altra.

“Quello che ora tutti noi vorremmo capire, Patty cara…è che cosa è successo…noi ti credevamo tutti…morta…da più di un anno”, spiegò Amy con cautela, cercando di sorridere alla sorella in modo incoraggiante.

Patricia sospirò. “Io…non ricordo esattamente…ti ripeto, per molto tempo non sono riuscita a ricordarmi di nulla. Nemmeno del mio nome. Vivevo in questa stanza buia…ogni tanto mi portavano da mangiare…non sapevo chi ero, né dove mi trovavo…mi faceva male tutto e c’erano dei giorni in cui pensavo che desideravo soltanto morire”. I suoi occhi si offuscarono per il dolore, mentre rievocava il suo recente passato con voce tremante. “Poi…un giorno, del tutto all’improvviso…cominciai ad avere come dei flashback…vedevo delle immagini e sapevo che quella donna ero io…e c’eri tu, in quei ricordi…Oliver….c’eri sempre tu…”. Rivolse verso suo marito uno sguardo talmente carico d’affetto che io mi sentii più che mai un’intrusa, e distolsi lo sguardo con una orrenda sensazione di sgomento. Tom se ne accorse e mi strinse di più la mano.

“Vedevo ricordi di noi due insieme…della nostra adolescenza…del nostro matrimonio…poi cominciai ad avere dei ricordi di Amy…di noi da piccole…di mamma e papà…di Marty…mi ci aggrappai stretta per paura che potessero scapparmi via…ma non accadde e nel giro di qualche settimana recuperai la memoria…non tutta…a volte ho ancora qualche buco nero…ci sono cose che non riesco a ricordarmi bene…ma almeno sapevo chi ero…e dove volevo tornare. Da quel giorno, non feci altro che cercare un modo per andarmene da quel posto…ma non sapevo dove fossi e non sapevo bene nemmeno chi era che mi teneva segregata. Tutti i miei tentativi di andarmene sono stati inutili. Fino ad oggi….”

“Come sei riuscita a scappare, oggi?”, domandò di nuovo Amy, mentre accarezzava la testa della sorella con espressione sconvolta.

“Non lo so nemmeno io…mi sono svegliata e ho trovato la porta aperta…non potevo crederci…sono uscita cautamente, temendo che qualcuno potesse scoprirmi, e mi sono messa a correre….ma non sapevo che direzione prendere per arrivare qua alla villa. Poi…mentre mi guardavo intorno…cercando di prendere una decisione…ho sentito suonare le campane della chiesa…e ho pensato che di certo lì mi avrebbero aiutata a ritornare a casa. Così sono entrata….e quando ho aperto la porta ti ho visto, Oliver…lì, sull’altare…assolutamente identico ai miei ricordi…tutto il resto del mondo è svanito e io sono dovuta correre da te…”, disse, tornando a guardare intensamente Oliver. Vidi la stessa intensità nello sguardo di lui, a conferma di quel che sapevo dal primo momento e che, in fondo al mio cuore, avevo sempre saputo: Patricia era sempre stata l’unico amore della sua vita, la sola donna che contasse per lui. La sola, vera, signora Hutton. Aveva ragione la signora Martin. Io ero stata solo il tentativo di riempire un vuoto, di sopportare un dolore atroce e trovare comunque il modo di continuare a vivere.

Quello che non capivo era perché Oliver non fosse ancora corso da lei…perché non l’abbracciasse o la baciasse…rimaneva lì, sulle sue, quasi esitante…forse per rispetto nei miei confronti, forse perché ancora era incredulo…Sembrava che ancora stentasse a rendersi conto del fatto che sua moglie non era morta, che era lì, viva, che era ritornata da lui.

“E l’incidente? La barca?”, mormorò con un tono a malapena udibile.

Vidi che Patricia lo fissava con una strana espressione interrogativa. “Quale barca? Di che incidente state parlando? Non capisco”, disse perplessa.

“Tesoro, ci hanno detto che eri scomparsa in mare. Il battello è stato ripescato, ma il tuo corpo non è mai stato ritrovato. La servitù ha riferito che la sera della tua scomparsa eri uscita a fare un giro con la barca”, le spiegò pazientemente Amy.

Patricia aggrottò la fronte, come se stesse faticosamente cercando di ricomporre i tasselli di un mosaico frugando nella sua memoria. Pensai che, probabilmente, ci fossero ancora delle cose che non riusciva a ricordare bene. Del resto, tutta la vicenda mi suonava alquanto strana. Certo, poteva essere benissimo che Patricia, durante la tempesta, fosse stata sbalzata dalla barca e si fosse ritrovata esanime sulla spiaggia, malconcia e priva della memoria. Poteva essere benissimo anche che qualcuno l’avesse ritrovata e soccorsa. Ma dal suo racconto di come era riuscita a scappare, quella mattina, si capiva bene che il posto in cui si trovava non era molto distante da qui, anzi, forse si trovava proprio qua in paese. Inoltre, lei aveva parlato di qualcuno che la teneva segregata…ma chi? Per quale motivo? Forse l’avevano riconosciuta e intendevano chiedere un riscatto alla sua famiglia…ma a pensarci bene, era alquanto improbabile. Era passato più di un anno dalla sua scomparsa, Oliver era persino tornato a casa con una nuova moglie e nessuno si era fatto vivo a chiedere nulla. Se avessero voluto chiedere dei soldi, l’avrebbero fatto subito. Era anche strano che, dopo averla tenuta segregata per così tanto tempo, avessero commesso l’incauto errore di lasciarle la porta aperta…proprio la mattina del matrimonio di Oliver…

Uno strano sospetto si fece largo dentro di me. E se non fosse stata una coincidenza? Forse chi l’aveva tenuta segregata sapeva che quel mattino, in chiesa, ci sarebbe stata la cerimonia…e aveva pensato che, probabilmente, era il momento migliore per far ricomparire dall’aldilà la prima signora Hutton….ma chi? Per quale motivo?

Il suono allarmato della voce di Amy mi distolse dai miei pensieri. Sollevai lo sguardo e vidi che Patricia era impallidita mortalmente e aveva cominciato a tremare come una foglia…sembrava che stesse ricordando qualcosa che la terrorizzava. “Io…io non ho avuto un incidente con la barca…io…non sono mai riuscita a salirci, sulla barca”, balbettò, scossa dai tremiti.

Oliver parve riscuotersi, si avvicinò alla sua prima moglie e le prese le mani tra le sue, poi la guardò con dolcezza e tentò di rassicurarla. “Calmati, tesoro, ora nessuno ti farà del male. Sei al sicuro, a casa, con me”, le disse con dolcezza.

“Allora cos’è successo, Patty?”, provò ad indagare sua sorella con cautela.

Patricia sembrava non riuscire a smettere di tremare. “Io…volevo uscire con la barca quella sera…sì, ricordo…sono scesa in spiaggia…ma…mi hanno aggredita”, disse faticosamente.

Mi sentii raggelare e anche Amy si portò una mano alla bocca, sconvolta.

“Chi ti ha aggredita, tesoro?”, le domandò Oliver, mentre un’ombra gli offuscava i lineamenti. Ero sicura che in quel momento provasse anche lui rabbia e orrore, ma si sforzò per continuare ad utilizzare un tono di voce rassicurante.

“Io…non ricordo…qualcuno mi ha afferrata alle spalle…ha cercato di legarmi i polsi con una corda…io…io ho lottato…questo me lo ricordo…io ho lottato con tutte le mie forze…ma era più forte di me…alla fine ho sentito un dolore fortissimo alla testa…e quando mi sono risvegliata ero in quella stanza buia”. Patricia tremava ancora e aveva gli occhi pieni di lacrime. Amy, a capo chino, singhiozzava in silenzio. Anche Julian era sconvolto. Io tremavo e non riuscivo ad alzare lo sguardo. La mano di Tom si serrò alla mia ancora più forte.

Oliver accarezzò dolcemente una guancia della prima moglie, poi la prese cautamente tra le braccia e la cullò come una bambina, mentre Patricia piangeva dando sfogo alla paura e al dolore che, probabilmente, l’avevano attanagliata per mesi e mesi.

Anche io avrei voluto piangere…quello che era successo era orribile…senza contare la terribile catena di dolore a cui aveva dato inizio e che aveva travolto e distrutto le esistenze di tante persone…con me come ultimo anello…

Pensai al dolore di Patricia, di Oliver, di Amy, di Julian…persino della signora Martin…al dolore di Tom…al mio…quante persone avevano sofferto….Dio, avrei voluto trovare il responsabile di tutto questo orrore e fargliela pagare con le mie stesse mani.

“Patricia”, dissi, non riuscendo più a trattenermi. Era la prima volta che le rivolgevo direttamente la parola, e devo ammettere che mi sembrava piuttosto strano parlare ad una donna che fino a poche ore prima consideravo un fantasma del passato. La vidi trasalire e osservarmi con curiosità. Aspettai prima di continuare che i suoi singhiozzi si fossero placati; ella respirò profondamente e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.

“Prova a sforzarti…non riesci proprio a ricordare nulla della persona che ti ha aggredita?”, tentai di chiederle con la massima delicatezza di cui fui capace.

Amy mi lanciò un’occhiata gelida, ma cambiò subito espressione quando si accorse che Oliver era d’accordo con me e stava spronando anche lui sua moglie a cercare di ricordare.

Patricia chiuse gli occhi e io vidi la sua fronte aggrottata per lo sforzo. “Io…non sono sicura…so che lo conoscevo…ma non ricordo….ogni volta che provo a ricordare mi sento male…comincio a sudare freddo e mi gira la testa….”. Oliver le prese la mano e gliela accarezzò lentamente, mentre lei continuava a concentrarsi. Anch’io la osservavo con espressione assorta, come se in qualche modo volessi aiutarla a ricordare. Amy si mordeva nervosamente il labbro inferiore, sulle spine.

“Ricordo solo che era un uomo”, sussurrò, dopo un tempo che a tutti noi sembrò infinito. “Alto…si, alto…carnagione abbastanza scura…capelli scuri…e la sua voce….all’inizio sembrava quasi dolce, melodiosa…ma poi…quando vide che mi ribellavo divenne cattiva…disse anche delle parole in una lingua che non conoscevo…mi sembrava spagnolo, forse…”.

Sentii il gelo scendere dentro di me. Tutti guardavano Patricia che scuoteva la testa, dicendo di non riuscire a ricordare altro, e sembravano non capire a chi si stesse riferendo. Certo, forse a loro mancava un tassello particolare….lei aveva parlato di voce…

Ma io sapevo…con un brivido gelido lungo la schiena, ricordai di nuovo quella frase che tanto mi aveva turbata la prima volta che l’avevo sentita: “Ho messo in gioco tutta la mia vita per vivere a Villa Hutton…”. Era come se avessi capito fin dal primo istante che in quella frase c’erano delle implicazioni ben più terribili di quel che avevo pensato la prima volta.

Sentii lo stomaco contrarsi dolorosamente. Una parte di me non voleva credere all’idea che si era formata abbastanza distintamente nella mia testa. Un’altra, però, mi ripeteva che, in fondo, era come se lo avessi sempre saputo.

Non sapevo perché…conoscevo a malapena la storia di un’infanzia difficile, che forse però era solo la punta di un iceberg chissà quanto nascosto. Ricordavo di aver pensato anche all’eventualità che fosse coinvolto nella vicenda di Patricia, ma lo avevo fatto in modo superficiale, come se in fondo non volessi crederci neppure io.

Però, l’ultima volta, non mi ero ingannata. L’ultima volta avevo davvero avuto paura. Paura di lui. Paura che volesse fare del male a qualcuno. Paura che potesse fare del male a qualcuno.

Avevo sperato di essermi sbagliata. Ma non era stato così. E adesso era così terribile…mi sentivo dilaniata, lacerata dentro. Mi sentivo stupida, sporca, colpevole…mi detestavo per essere stata così terribilmente ingenua, per aver creduto alle sue parole, per essere stata l’ennesima pedina di una vendetta pensata da anni e orchestrata per chissà quale motivo.

Ma non potevo permettere che la facesse franca. Per quanto mi costasse, non potevo stare zitta.

“Oliver…io credo di sapere chi possa essere stato”, sussurrai.

Oliver si voltò di scatto verso di me, con lo stupore dipinto sul volto. In pochi istante, i volti di tutti furono rivolti verso di me.

Respirai a fondo, e quando espirai, fu solo un nome ad uscire dalle mie labbra.

 

Fine sedicesimo capitolo

 

 

 

  
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