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Autore: elyxyz    13/03/2010    22 recensioni
Prendendo spunto dall’altra mia fic ‘If on a winter’s night... (Il mio scaldasonno)’ ho deciso di raccontare i quattro momenti (notte, pomeriggio, mattino e sera) di una giornata invernale dei nostri adorati Asini.
Lui non ce l’aveva un paio di guanti foderati di pelliccia a proteggergli le mani infreddolite, né un mantello imbottito e coperto di cerata che l’avrebbe tenuto all’asciutto.
E nemmeno tutta questa dannata voglia di bagnarsi fino al midollo, per il semplice sfizio di riportare al castello qualche malcapitata vittima, che aveva avuto la malaugurata idea di cercare cibo all’aperto.
Meglio morire di fame che nella pancia di qualche Asino Reale, pensava lui.
Ma la testardaggine di Arthur andava in pari solo con la sua voglia di pavoneggiarsi di fronte a tutti.
Per il mondo intero era chiaro che una caccia sotto la neve era una sfida ardua.
Gli animali – saggi
, loro! – se ne stavano ben nascosti, le orme delle prede svanite in fretta sotto la coltre, gli odori del bosco e i richiami tra le bestie si confondevano col sibilare del vento e con la danza vorticante dei fiocchi.
(...) “Non si dovrebbe vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso!” cantilenò lo stregone, infierendo su di lui.
“Merlin...” sibilò il principe, in un tono che metteva i brividi.
“Sì, Sire?”
“Ti avverto,” lo minacciò “Potrei
abbattere anche te.
E il servo si ritrovò a deglutire, di riflesso, all’occhiata assassina che accompagnava l’intimidazione.
Genere: Drammatico, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'If on a winter’s day... (Snow in Camelot)'
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Merlin odiava la neve

Note: stranamente ‘sta cosa non è slash. Lo so, sono stupita anch’io. XD

E’ nata come sfogo l’altro giorno, mentre cadevano quintali di neve e il mio umore diventava cinereo. Diciamo che Merlin incarna le mie convinzioni al riguardo. U_U
Ah, un’altra cosa: se il titolo vi suona in qualche modo familiare… no, non siete impazziti.^^
Prendendo spunto dall’altra mia fic ‘
If on a winter’s night... (Il mio scaldasonno)’ ho deciso di raccontare i quattro momenti (notte, pomeriggio, mattino e sera) di una giornata invernale dei nostri adorati Asini. In pratica, ne uscirà una breve serie, ma le storie sono assolutamente slegate tra loro.

 

 

Dedicata a ciascuno di voi,
ma soprattutto a chi si prenderà la briga di recensirla.

In ogni caso, grazie.
Ely

 

 

If on a winter’s afternoon...

 

(Hunting under the snow)

 

 

 

 

Merlin odiava la neve.

 

Era fredda, bagnata, fastidiosa. Gelida.

Quando nevicava, lui ci metteva il doppio del tempo a compiere i propri doveri, il che non aiutava né i suoi nervi né quelli del principe.

Arthur, poi, era un Asino Reale più asino del solito, in quei momenti.

 

Esigeva che i suoi cani fossero portati comunque a passeggio, ma le bestiacce erano caparbiamente contrarie – del resto, dimostravano molto più buonsenso del loro padrone, se non volevano bagnarsi le zampe – e Merlin era costretto a trascinarsele appresso di peso.

 

Il nobile Babbeo non capiva che, se nevicava, non si potevano stendere i panni al sole. No, lui continuava a sporcare quintali di abiti, e Merlin faceva i salti mortali perché si asciugassero prima di ammuffire.

 

Ed era inevitabile che il nevischio rovinasse la pelle degli stivali dell’erede al trono, ma lui pretendeva che fossero lustrati ugualmente alla perfezione. Era una fortuna che Merlin fosse un mago, altrimenti col cavolo che si sarebbe riusciti a sistemarli.

 

Oltretutto, sotto ad una tormenta di neve, gli allenamenti e i duelli venivano sempre interrotti.

I cavalieri ciondolavano per il castello in cerca di un’occupazione e invece Arthur sfogava il suo tedio su di lui.

Era più impaziente, uggioso, irritante, insofferente del solito.

 

Il culmine si raggiungeva quando – incurante del fatto che il suo servo aveva talmente tanti lavori da portare a termine, fino al giorno della morte e oltre, – lui piombava nei propri appartamenti imperando un “Merlin, a caccia!”

E allora sì, che si toccava il fondo.

 

Lui non ce l’aveva un paio di guanti foderati di pelliccia a proteggergli le mani infreddolite, né un mantello imbottito e coperto di cerata che l’avrebbe tenuto all’asciutto.

E nemmeno tutta questa dannata voglia di bagnarsi fino al midollo, per il semplice sfizio di riportare al castello qualche malcapitata vittima, che aveva avuto la malaugurata idea di cercare cibo all’aperto.       

 

Meglio morire di fame che nella pancia di qualche Asino Reale, pensava lui.

 

Ma la testardaggine di Arthur andava in pari solo con la sua voglia di pavoneggiarsi di fronte a tutti.

Per il mondo intero era chiaro che una caccia sotto la neve era una sfida ardua.

Gli animali – saggi, loro! – se ne stavano ben nascosti, le orme delle prede svanite in fretta sotto la coltre, gli odori del bosco e i richiami tra le bestie si confondevano col sibilare del vento e con la danza vorticante dei fiocchi.

 

Il principe, però, ignorava sempre le giudiziose proteste del suo valletto e anche quel giorno se l’era portato appresso.

Del resto, aveva promesso a re Uther una variazione sulla cena e ora doveva mantenere la parola data.

 

Arrancando dietro al suo signore, nello strato gelido alto sino al ginocchio, si erano ritrovati in una piccola radura deserta al limitare del bosco.

Arthur era certo di aver scorto qualcosa muoversi nella tormenta; Merlin era certo che Arthur fosse semplicemente idiota. Un idiota reale, ovvio.

 

Ma effettivamente un qualcosa c’era. Una piccola lepre dal pelo bianco, che era spuntata da chissà dove, e aveva avuto la sfortuna di incrociare il loro cammino.

 

Arthur la scrutava con l’occhio esperto del cacciatore, mentre silenziosamente faceva cenni al suo servo affinché gli passasse un’arma.

Ma Merlin non ne voleva proprio sapere di sacrificare l’innocente bestiola per puro sadismo.

Lui era del parere che bisognasse uccidere solo per sfamarsi e non per diletto.

E poi quel lungo inverno era stato rigido per tutti – per i contadini e gli animali, non certo per i nobili – e, di privazioni, quelle povere creature dovevano già averne patite abbastanza.

 

Il nobile ringhiò sottovoce la sua premura, gesticolando all’indirizzo del valletto con mosse controllate, senza mai distogliere il contatto visivo per non farla fuggire.

Essa ricambiava, muovendo le sue candide orecchie, nere solo sulla punta.

 

Merlin sperava con tutto il cuore che la lepre si decidesse a zampettare via, ma sembrava quasi sotto l’incantesimo dello sguardo del principe.

 

“Ti muovi, idiota?” sibilò questi, a mezza voce, allungando una mano.

 

Al mago non restava più modo d’indugiare, per quanto cercasse di guadagnare tempo rallentando i movimenti. Sapeva che l’arma più comoda sarebbe stata la balestra, per questo finse di sbagliare prendendo la faretra – impigliatasi chissà come nel suo mantello. Per un istante pensò quasi che rompere l’arco sarebbe stata una soluzione definitiva, ma anche alquanto drastica, e in fondo non ci teneva particolarmente a passare l’inverno incatenato alla gogna fino al disgelo.

 

Stupida, stupidissima lepre!, aveva imprecato, mentre a malincuore passava l’attrezzo letale al suo padrone.

 

Mentre l’erede al trono incoccava il dardo, Merlin assisteva a quell’ingiustizia che si stava per consumare.

Ma poi, di punto in bianco, decise che no, non se ne sarebbe rimasto lì con le mani in mano.

E se a volte il Destino non si dava da fare, bisognava dargli una spintarella.

 

Nell’esatto istante in cui la corda vibrò per il tiro, egli bisbigliò un “Forbearnan firgenholt!”

 

Tra il principe e la sua preda, un grosso ramo cadde al suolo con un tonfo sordo, sfarinando neve tutto attorno a sé. La freccia era stata deviata da esso e il trambusto aveva dato tempo e modo all’animale di sfuggire alla cattura.

 

“Oh, maledizione!” inveì Arthur, incenerendo d’ira l’ingombrante fronda. Si avvicinò e la prese a calci, per sfogare la propria rabbia. “Come diamine è possibile?!”

 

Merlin nascose un sorriso soddisfatto, mentre cercava di rabbonirlo.

“Il peso della neve deve averlo spezzato, Sire.”

 

“Questo lo vedo anche io, idiota!” sbraitò l’altro che, anziché calmarsi, si era adirato ancor di più per la stupidità del suo servo.

 

Il mago, tuttavia, non si ritenne offeso e cercò di sfruttare doppiamente l’occasione.

“Maestà, temo che sia stata una giornata infruttuosa per la caccia. Sarebbe più saggio tornare al castello.”

 

“Assolutamente no.” Rifiutò l’altro, spezzando l’asta del dardo per pura ripicca. “Andremo a casa con la cena.”

 

“Non si dovrebbe vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso!” cantilenò lo stregone, infierendo su di lui.

 

“Merlin…” sibilò il principe, in un tono che metteva i brividi.

 

“Sì, Sire?”

 

“Ti avverto,” lo minacciò “Potrei abbattere anche te.”

 

E il servo si ritrovò a deglutire, di riflesso, all’occhiata assassina che accompagnava l’intimidazione.

 

Fu il tintinnio dei campanelli di una delle trappole scattate a richiamare la loro attenzione.

Arthur riacquistò immediatamente il suo regale buonumore e si diresse a grandi passi – quanto la neve alta gli consentiva – verso la fonte del suono.

 

Merlin pregò che la stupida lepre di prima non avesse deciso di immolarsi spontaneamente e seguì il suo signore.

Ciò che vide dopo era anche peggio.

 

Un cucciolo di volpe era finito nella tagliola, la madre cercava invano di liberarlo ringhiando contro la trappola, e un secondo volpino assisteva terrorizzato alla scena.

 

Il primo pensiero del mago riguardava l’assurdità della cosa.

Per le volpi, l’inverno era la stagione degli amori e degli accoppiamenti, non dei cuccioli. E, benché quello fosse stato assurdamente lungo e la primavera fosse alle porte, quella cucciolata era decisamente precoce.

 

Accanto a lui, il principe assisteva silenziosamente alla scena, poi si scambiarono uno sguardo grave. Sapeva cosa stava per accadere.

 

La pelliccia di volpe era una merce pregiata, come minimo avrebbe fatto la felicità di Morgana, una bella stola da sfoggiare al prossimo ricevimento.

E poi avrebbe evitato a loro due di tornare a mani vuote.

Lui non sapeva se la carne di volpe fosse saporita o meno, ma temeva che presto l’avrebbe scoperto.

 

“Dammi il tuo mantello, Merlin.” Gli ordinò Arthur, spiccio, guadagnandosi un’occhiata che chiedeva se per caso fosse impazzito.

 

“Sbrigati!” lo incalzò, sfilando i guanti che indossava, poi prese dalla borsa a tracolla del servo un po’ di cordicella di scorta.

 

Merlin lo osservò senza capire e il principe gli si appressò, per dargli istruzioni.

“Usalo come una coperta e lancialo sulla madre, devi immobilizzarla.”

 

La volpe ringhiava ora anche contro di loro, ma non si spostava assolutamente dalla prole, perciò fu facile, per Merlin, catturarla con un agile balzo.

L’erede al trono fu lesto a fermare il sacco improvvisato con un laccio.

La bestia, dall’interno, si muoveva convulsa e spaventata.

 

Il secondo cucciolo guaiva senza sapere cosa fare. Quando si accorse che i due umani non gli badavano, si avvicinò alla madre e cercò col musetto un contatto con la stoffa.

 

“Ora afferra quello ferito senza che ti morda,” gli comandò il principe, passandogli il mantello che si era tolto e lui eseguì. Anche se il piccolo si dibatteva, era abbastanza semplice trattenerlo, bastava una mano sola per neutralizzare i dentini acuminati, chiudendogli le fauci.

Arthur si chinò su di loro e aprì con quanta più gentilezza poté le estremità aguzze, sfilando la zampina intrappolata. La valutò con attenzione, tastando la pelle sotto al soffice pelo.

Era quasi un miracolo, ma non c’erano né ferite né fratture.

Quella tagliola era fatta per bestie ben più grosse, il lasco tra ferro e zampa probabilmente l’aveva salvata da un’inevitabile tritatura.

 

Guardandolo con sollievo, mentre ancora Merlin lo teneva in braccio, gli accarezzò il mantello fra le orecchie con un gesto di rude affetto, e poi ingiunse al servitore di liberarlo e fece altrettanto con la mamma volpe.

 

La femmina li fissò stordita, ma subito sgattaiolò via, trascinandosi appresso la prole.

 

“Beh, se non altro abbiamo fatto una buona azione!” considerò il mago, sorridendo felice.

Era davvero contento che Arthur avesse avuto pietà di loro.

Si sentiva orgoglioso di lui, realizzò, accingendosi a raccogliere gli attrezzi di caccia.

 

La palla di neve che lo colpì in pieno volto gli piacque un po’ meno.

 

“Togliti quell’espressione ebete dalla faccia, Merlin!” lo sgridò, fingendosi burbero.

 

“La verità, Mio Signore, è che avete un nobile cuore troppo tenero!” lo canzonò, simulando ossequio.

 

La verità, servo screanzato,” gli fece il verso “è che siamo senza cena!”

 

“Uh, già!”

 

“E sta per imbrunire, torniamocene al castello.”

 

“E cosa direte al re?”

 

Arthur ghignò in modo poco raccomandabile. “Ovviamente gli racconterò che avevo ucciso uno splendido animale e che tu l’hai perso per strada!”

 

“Ma-ma… ma mi punirà!” frignò, immaginando i pomeriggi gelati alla gogna.

 

Incamminandosi per primo, il principe gli diede un’amichevole pacca sulla spalla.

“E’ tuo dovere proteggere l’onore del tuo padrone, no?”

 

L’onore sì, ma non la boria!

“Dannato Asino!” borbottò il servo, seguendolo e rassegnandosi.

Era una magra consolazione, ma almeno la lepre e le volpi erano salve, per quel giorno.

 

 

Tuttavia, a discapito della sera incalzante, del freddo pungente e della neve inclemente che continuava a cadere, la loro avventura non era ancora finita…

Avevano camminato a lungo, fin quasi a raggiungere la fine della foresta, quando, tra il vorticare del vento, risuonò un bramito.

 

“Lo hai sentito anche tu quel rumore?” gli chiese l’erede al trono, voltandosi nella sua direzione.

 

“Era la mia pancia, Sire.” Confessò il servitore, arrossendo.

 

Merlin!” latrò, condensando in quell’unica parola l’impazienza e la commiserazione che sentiva per quell’ebete. “La tua pancia non può mugghiare!”

 

“Oh, beh…” farfugliò. “Allora, no, non l’ho sentito.” Ammise, togliendosi un fiocco di neve che gli era finito in un occhio.

 

“Proviene da là!” considerò il principe, deviando il cammino senza interpellarlo. Non che ci si aspettasse un suo parere, ovvio. Ma il valletto non poté fare a meno di sbuffare e accodarsi a lui.

 

La sua testardaggine fu premiata quando trovarono un cervo azzoppato agonizzante, ormai seminascosto dalla coltre bianca.

Se non fossero arrivati loro, presto ci avrebbero pensato i lupi a raggiungerlo e a sfamarsene.

Morire, per lui, fu quasi una liberazione – non sarebbe mai riuscito a guarire, con due zampe spezzate – ma questo non diminuiva il dispiacere di Merlin.

 

Certo, quella bestia gli avrebbe evitato la gogna per ordine del re, e Arthur avrebbe avuto la sua cena succulenta, ma a lui rimase solo il conforto di aver posto fine alle sue sofferenze.

Oltretutto, se abbatterlo fu sin troppo semplice, non lo fu ugualmente il trasposto della carcassa.

Lo trascinarono con fatica, fin quasi ai cancelli di Camelot, quando le guardie all’entrata non accorsero ad aiutarli.

 

Stanchi e infreddoliti, conclusero così anche quella strana caccia.

 

Ma una cosa restava.

Merlin odiava la neve.

 

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note: L’incantesimo usato è preso dalla puntata 1x07 del telefilm (quella di Sophia, per capirci), quando Merlin, nella lotta iniziale nel bosco, rompe un ramo e lo fa cadere contro un nemico.

Per la trascrizione mi sono affidata ai sottotitoli inglesi, quindi io l’ho stilato nel modo in cui si scrive, non come si pronuncia.

 

La lepre bianca si trova tuttora in Inghilterra, soprattutto in Scozia. Ha una dimensione un po’ più piccola della lepre comune. Ha il manto completamente bianco, tranne per la punta delle orecchie, che rimangono nere.

 

Anche le informazioni sulle abitudini della volpe sono state verificate. Sapete che sono pignola, no? XD

Confesso che è stata dura scrivere il pezzo del cucciolo dentro la trappola, perché la volpe è il mio animale preferito, il mio avatar, il mio simbolo, il mio soprannome nella vita reale. E sono parecchio sensibile all’argomento.

Per fortuna, dal 2005 in Gran Bretagna la caccia alla volpe è stata definitivamente abolita; e invece, purtroppo, da noi è ancora permessa. Ç__ç

Va beh, smetto di lamentarmi… ^^’’

 

 

Per chi se la fosse persa, la mia ultima fic su Merlin è questa: “The He in the She (l’Essenza dentro l’Apparenza)” (capitolo III)

E ringrazio quanti l’hanno commentata e chi commenterà.

 

 

 

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Grazie (_ _)

elyxyz

 

 

   
 
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