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Autore: PaleMagnolia    14/03/2010    5 recensioni
Dopo tutte le cose straordinarie – e pericolose, e folli, e insensate - che le erano capitate negli ultimi giorni, beh, di certo Alice non poteva proprio pensare di sposare Hamish... e di trascorrere la sua vita preparando insipidi brodi di pollo per il suo stomaco delicato.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Potevo forse esimermi dal dare il mio contributo al nascente fandom di Alice in Wonderland?
Ovviamente no.
Se ne sentiva la mancanza?
Ovviamente no.


Alice riemerse strisciando dalla buca, puntellandosi coi gomiti e con le ginocchia per uscire

Alice riemerse strisciando dalla buca, puntellandosi coi gomiti e con le ginocchia per uscire. Quando infine si ritrovò seduta, in uno sbuffo di chiffon azzurro, sul prato – la luce radente del tardo pomeriggio smorta e strana ai suoi occhi, dopo quella fiabesca, policroma del mondo sotterraneo – prese un gran respiro e, sdraiandosi sull’erba verde-argento, il mento poggiato sul palmo delle mani, rifletté su quello che era tornata a fare.

Dopo tutte le cose straordinarie – e pericolose, e folli, e insensate - che le erano capitate negli ultimi giorni, beh, di certo non poteva proprio pensare di sposare Hamish... e di trascorrere la sua vita preparando insipidi brodi di pollo per il suo stomaco delicato.

Alice aggrottò la fronte.

Sembravano passati secoli da quando Lady Ascot le aveva detto, in tono distaccato, che suo figlio aveva una “digestione delicata”, e che un piatto sbagliato avrebbe potuto provocargli un “blocco”. Alice non aveva potuto evitare di immaginare un paonazzo Hamish – con la sua pelle da albino chiazzata di rosso e gli occhi sporgenti – che, sbuffando e grugnendo come un porcello, tentava di liberarsi le viscere da un incauto cupcake alla crema.

Alice abbozzò un mezzo sorriso.

Povero, insignificante, banale Hamish Ascot, col suo mento sfuggente e la fronte troppo alta: povero, slavato, noioso Hamish, che non comprendeva l’originalità perchè non ne possedeva, che  disprezzava ogni stravaganza; povero Hamish, per il quale ogni tipo di fantasia risultava così estraneo alla sua visione del mondo, da non riuscire proprio a capirlo.

Alice poteva quasi vederlo, mentre affondava nella banalità fino alla punta dei capelli rossicci, e mentre invecchiava, seduto - giorno dopo giorno, imbronciato - su una poltrona accanto al fuoco.

Povero, insipido Hamish, con quei capelli pel-di-carota lisciati all’indietro e la voce impostata, coi denti da coniglio e l’espressione ottusa; povero Hamish che non aveva mai avuto un’illusione, mai un sogno che fosse fuori dall’ordinario: non c’era proprio speranza che potesse piacerle... né quel giorno, né fra un anno, né mai.

Per un attimo, al ricordo del rosso, slavato Hamish se ne sovrappose un altro, nel quale un’analoga zazzera color aragosta tremolava appena – arida, arruffata - contro il viso di Alice, mentre un Cappellaio ancora più matto del solito le sussurrava all’orecchio uno dei suoi bislacchi saluti... Un saluto che suonava più o meno come buon viaggio a vederci.

Alice, distesa sul prato verde smeraldo, l’abito azzurro allargato (come la coda di un pavone) attorno alle sue gambe ripiegate, ridacchiò piano, scuotendo la testa. Gli spettinati capelli biondo-cenere le ricaddero sugli occhi.

Buon viaggio a vedersi... che pazzo, folle, meraviglioso modo di dirsi addio. Alice rialzò di scatto la testa. Addio?

Il suo cuore si contrasse in un improvviso spasmo di sofferenza: perchè mai, in nome del cielo, aveva lasciato quel pazzo, folle, meraviglioso mondo... e quel pazzo, folle, meraviglioso spaventapasseri dinoccolato dai pallidi occhi verdi – occhi da gatto, occhi da pazzo: gli occhi più strani che avesse mai visto - per tornare alle lezioni di francese, ai corsetti, alle stupide quadriglie?

Perchè non era rimasta con quel buffo spilungone col cappello, con quella bizzarra camicia abbottonata fino al mento e l’enorme, chiassosa cravatta a farfalla al collo...?

Oh, se c’era una cosa che Alice desiderava, in quel momento, era sapere che differenza c’era fra un corvo e una scrivania, e voleva che a dirglielo fosse un timido, strabico, squinternato Cappellaio matto.

Oh, perché non poteva essere come Hamish, il fortunato Hamish che non aveva mai dubbi, che avanzava sereno nel suo mondo privo di dilemmi, che schiacciava ogni incertezza passandoci sopra col tiro a quattro della sua stolida, granitica sicurezza!

Girò lo sguardo verso l’imponente villa bianca degli Ascot, dove la gente era ancora assiepata nel giardino – gli abiti bianchi delle signore che si gonfiavano nella brezza – e guardò verso il gazebo sotto il quale, con sguardo attonito, Hamish (Alice poteva sentire la sua vocetta cerimoniosa e querula persino da quella distanza) stava balbettando qualcosa a sua madre, in tono offeso.

Che cosa aveva mai, quel mondo smorto e prevedibile, da offrirle? Come potevano quella luce spenta, quella gente banale – le stupide gemelle Chattaway, il fatuo, sleale Lowell, l’irritante Lady Ascot - competere coi fiori parlanti e le regine, i conigli col panciotto, gli animali da fiaba? Alice tirò un pugno stizzito, impotente all’erba, e strinse gli occhi per non piangere come una bambina.

“Quello che voglio...” sussurrò, in modo incoerente, mordendosi le labbra “Quello che voglio, solo questo, voglio...”

Alice rimase per qualche attimo rannicchiata strappando l’erba coi pugni, a lamentarsi in modo sconnesso, irragionevole, senza nemmeno sapere con certezza di cosa stesse parlando, conscia solo dell’infantile irritazione verso se stessa, dell’acuta sofferenza che provava. Quando infine si rese conto di quanto fosse sciocco e inutile il suo comportamento, su alzò in piedi e si ricompose come poteva i capelli e il vestito. Prese un paio di profondi respiri e si preparò a tornare verso il giardino degli Ascot, dove gli ospiti di Lady Ascot si stavano certamente chiedendo – ignari della sua avventura – dove diavolo fosse finita.

Raccolse le idee. Non avrebbe dedicato più di un paio di parole all’inutile Hamish: spiegare a lui quel che sentiva sarebbe stata un’assoluta perdita di tempo; ma aveva il dovere di rassicurare sua madre, e di mettere bene in guardia l’infedele Lowell; poi si sarebbe presa il piacere di rimettere al loro posto quelle stupide Chattaway e – ora lo sapeva – doveva discutere al più presto di affari con Lord Ascot.

Non aveva ascoltato suo padre? Bene, avrebbe ascoltato lei.

Si alzò di scatto e raccolse la gonna con le mani. Per un attimo rimpianse di non avere indossato le calze... Avrebbe dovuto smetterla con quei capricci infantili: forse valeva la pena di infilare un corsetto o un paio di calzini, se con questo poteva evitare di portare sua madre perennemente all’esasperazione. Quante cose le sembravano sciocche, ora!

Gli stupidi battibecchi con sua madre le sembravano, adesso, così insignificanti e puerili... Perchè mai aveva sprecato tutto quel tempo facendo infuriare una donna che voleva solo il suo bene, quando nel mondo sotterraneo aveva dovuto lusingare la Regina Rossa, che voleva ucciderla?

Alice pensò che avrebbe potuto andarle peggio: aveva avuto un padre visionario e affettuoso; e sua madre, anche se non altrettanto anticonformista, cercava almeno di essere indulgente con le sue stravaganze... Chissà che avrebbe detto, Lady Ascot, se fosse stata sua figlia ad uscire di casa senza bustino!

Le sarebbe venuto un “blocco”, come minimo.

Un attimo prima di spiccare la corsa verso gli invitati di quella che – buffo, ora che ci pensava! – avrebbe dovuto essere la sua festa, venne colta da un pensiero improvviso.

Tornò a passi svelti verso la tana di coniglio che l’aveva condotta ad Underland (Wonderland?, pensò Alice), si inginocchiò per un attimo e guardò in giù. Non vide altro che terra, foglie marce e buio, ma sapeva che, là sotto, c’era molto, molto di più di quel che si poteva vedere.

“Tornerò”, sussurrò, impulsivamente. “Bayard, Coniglio... tornerò... oh, tornerò presto!” Si morse un labbro, poi aggiunse, in tono diverso. “E tu, mio caro amico, sappi che tornerò, prima che tu te ne accorga. E di certo non mi dimenticherò di te... pazzo di un Cappellaio!”

 

 

  
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