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Autore: Ulissae    17/03/2010    5 recensioni
[one shot sul rapporto tra Joshua e Sam Uley]
Joshua Uley era tutto ciò che un padre non doveva essere, se vogliamo essere sinceri, lui, padre, non doveva proprio esserlo.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Quileute
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ululati vari'
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Sproloqui: la storia è stata scritta per partecipare al contest Genitori e figli, indetto da Mia90. Lo scopo era di narrare il rapporto tra genitori e figli, nella riserva Queluite. Purtroppo, però, il concorso non è andato in porto, in quanto i partecipanti non sono stati più di tre.
Come personaggi -poiché ho un debole per loro- ho scelto Joshua e Sam Uley. Non sappiamo molto del padre di Sam, se non che è stato un pessimo padre, un uomo molto libertino, che ha lasciato la sua famiglia quando il figlio era ancora molto piccolo.
Buona lettura.


Done all wrong


A sei anni non esiste la cattiveria. Non esiste niente, per la precisione, che si possa avvicinare al cattivo, allo sbagliato.
Tutto si fa in buona fede. Tutto, in qualche strano modo, è candido.
Anche l'odio.
Tutto, tutto, tutto sbagliato.

Joshua Uley era tutto ciò che un padre non doveva essere, se vogliamo essere sinceri, lui, padre, non doveva proprio esserlo. Non voleva bambini, mai ne avrebbe voluti; ma era troppo pigro e troppo annoiato per ricordare ogni volta quel particolare, così, dopo nove mesi, nacque Sam.
Un nome breve, decisero; un nome senza troppe attenzioni dentro.
Quasi buttato lì, all'infermiera che guardava con odio quell'uomo che stava fumando, tanto per tagliare corto.
Sam si chiese sempre come mai quel nome, ma non chiese mai a nessuno il perché. Era silenzioso e la cosa andava bene, soprattutto a Joshua.
Meno domande fa il marmocchio, meglio sto, si ripeteva.
E tutto scorreva, tutto, senza niente di speciale. Quasi come a ripeterlo: niente, Sam, niente nella vita è speciale.
Alcune volte, però, da quando il bambino aveva compiuto i cinque anni, il padre aveva deciso di portarlo a First Beach, proprio come ogni altro uomo con un figlio. A pescare, si sarebbe detto, vedendo l'allegria sprizzare fuori dal visino tondo del piccolo; ad annoiarsi, osservando attenti il passo molleggiato di Uley senior, che si muoveva come uno mandato alla forca.
Si sedevano sul piccolo molo, dove, se la marea era alta, l'acqua quasi arrivava al suo livello e dopo aver arrotolato bene i pantaloni, tolte le scarpe, Joshua lasciava affondare i piedi nell'Oceano.
Il bambino, osservando il padre, tentava allo stesso modo di imitarlo: si sporgeva più che poteva sulla distesa scura, tentando di infilare i piccoli piedini nell'acqua.
Poco mancava, ogni volta, che cadesse, ma, stranamente, in quelle occasioni, Joshua lo riprendeva al volo, ridendo. Lo posava di nuovo sulla banchina di legno, quasi sperduta in mezzo al mare e rimaneva in silenzio.
Due schiene affiancate e quattro gambe, di cui solo due immerse, ed altre due ondeggianti, con solo i piccoli pollici cicciotti a sfiorare la superficie, creando piccole increspature, che andavano ad infrangersi sui pali.
Dopo un po', mentre il sole superava l'isolotto lì di fronte, sormontato da brulli alberi, Joshua accendeva una sigaretta ed ispirava.
Espirava.
Ispirava.
E il fumo andava in faccia a Sam, che rimaneva zitto, come sempre. Non voleva che il padre pensasse che gli stesse dando fastidio, aveva paura, una dannata paura: che scappasse.
C'era silenzio in quei momenti, e una sottile scia bianca partiva dal mondo.
Il vento scompigliava i capelli lunghi del bambino, raccolti in malo modo in un laccetto di cuoio, mentre accarezzava solamente quelli corti e disordinati di Joshua.
Niente da dire, si diceva l'adulto. Il marmocchio vuole stare qua, che ci stia. Io mi fumo la mia sigaretta in pace.
Eppure, dentro di sé, lo sentiva: uno strano sentimento che aveva sempre evitato e lasciato da parte. Amore. Dolce, fastidioso amore. Che lo portava là, sulla riva del mare, ogni tanto.
Ogni tanto, ripeteva sempre a se stesso. Non sempre. Ogni tanto.
-Ti piace qui, Sam?- chiese, una volta, tanto per cambiare.
-Sì … insomma... -  il bambino non sapeva cosa rispondere. Aveva il terrore di sbagliare. Così la prima volta rimase zitto, senza dire nulla, fissando i jeans che si erano bagnati per un'onda più lunga.
-Ti piace questo posto, Sam?- chiese un'altra volta, solo per sapere.
-Sì- disse in quell'occasione, guadagnando un po' di fiducia in sé; grattando via un po' di quella timida corazza che si era costruito addosso.
-Perché?-
Allora non rispose. Rimase in silenzio. Di nuovo.
Passo quasi un anno prima che riuscisse a parlare di nuovo, sul molo.
-Perché?- ridomandò Joshua, gettando in acqua la sigaretta, che subito si spense, in un ultimo sospiro fumoso.
-Bhé, ci sono i miei amici- borbottò, guardandosi le mani sporche di tempera. Avevano fatto delle maschere oggi a scuola.
-E... ?-
Lo spiazzò. Sam guardò in alto, cercando di capire il perché di quella domanda. Scrutò la barba incolta del padre, provò ad afferrare le espressioni nel volto, poi, sospirando, in un soffiò riprese.
-e... bhé... ci sono i miei amici e...- deglutì, non sapendo come continuare. -E c'è la foresta. Ci vai mai papà? È bella. Insomma... cioè... ci giochiamo a nascondino. È divertente, ecco.-
Non sapeva cosa dire di più, così rimase in silenzio. Sempre quel silenzio, notò il bambino, amareggiato.
A sette anni, il giorno del suo compleanno, il padre, eccezionalmente, decise di tornare al molo.
Era stato un mese via, senza che nessuno sapesse dove né con chi.
Joshua Uley stava facendo intendere che qualcosa sarebbe cambiato.
Quando si sederono di nuovo sulla banchina, per la prima volta, anche Sam poté bagnare i suoi piedi nell'acqua, assaporando quel momento come il più bello dei regali.
Il cielo era grigio e verso l'orizzonte si stagliava una minuscola barchetta a remi, che qualcuno si ostinava a trascinare su quella tavola che era il mare.
-Sai-, iniziò all'improvviso l'uomo, facendo trasalire il bambino, troppo abituato al silenzio, -un giorno me ne andrò, Sam. Andrò via. A vedere il mondo-
-E cosa c'è da vedere nel mondo?- domandò l'altro, non capendo la necessità di allontanarsi dalla piccola e sicura riserva; nucleo e culla di tutto.
-C'è il sole, Sam, a te non manca mai il sole?-
-Ma anche qua il sole c'è, papà, non si vede, ma c'è- ribatté, lanciando uno sguardo verso l'alto, verso l'ennesima nuvola massiccia, che non lasciava filtrare che pochi raggi.
-Appunto. Dobbiamo vedere; dobbiamo scappare-
Detto ciò sospirò, accendendosi l'ennesima sigaretta, portandosela alla bocca e poi spostandola, chinandosi un po', per stringere con un braccio le spalle esili del figlio.
-Vuoi dirmi che non ti piacerebbe vedere dei grattacieli? O delle cascate? O altri posti, altre città...-
-No- questa volta sembrava ben deciso a non dargliela vinta. Lui, alla sua riserva, teneva.
E non gliene importava dei grattacieli, che grattassero pure il cielo, per quanto gliene importava potevano pure farlo morire di solletico.
Tanto meno lo tangevano le cascate, tsè!, lui, che se voleva, poteva saltare dal primo gradone della scogliera.
Joshua non continuò, questa volta fu lui a rimanere in silenzio.
In lontananza, la nebbia inghiottì la barca.

Due mesi dopo partì.
La madre di Sam stava seduta sulle scale della veranda, disperata, mentre Joshua caricava la sacca semivuota nel retro della macchina, vecchia ed usurata.
Sam, immobile, lo fissava dal piccolo prato.
C'era un cielo plumbeo, ovattato, come se lo stesse proteggendo da una caduta troppo pericolosa.
Il rumore del motore invase il silenzio che si era venuto a creare, rotto solo dai singhiozzi della mamma.
Fu un attimo, e la foschia inghiottì anche lui, Joshua Uley.
E dietro Sam niente. Solo del cielo. Niente alberi, niente casa, niente madre.
Niente.
Solo un cielo, un po' troppo plumbeo.

Ritornò alla banchina dopo qualche tempo: il muschio aveva fatto qualche passo, rendendo le assi poco più verdi; il mare, al contrario, era sempre lo stesso, immobile nel suo tumulto.
Si sedette, come sempre, questa volta solo; si arrotolò i jeans e infilò i piedi nell'acqua.
Chissà, si domandò, chissà come sono i grattacieli.
E le città e le cascate e le altre persone e i deserti e le montagne di sabbia e tante altre cose.
Accanto a lui, un granchio pigro scendeva il palo per poi sparire, avvolto dall'oceano scuro.
Forse erano più belle, si disse, per questo il padre era partito.
Forse c'erano bambini più buoni, si convinse.
In lontananza, proprio come quella volta, un uomo, sempre lo stesso, che percorreva la baia a bordo della sua barchetta.
Avanti ed indietro, faceva, tutti i giorni.
Era un anziano, di cui non conosceva il nome, che si diceva facesse così per salutare entrambe le punte della baia, per salutare il mare, il suo mare, quello della sua tribù.
Sam storse la bocca e sospirò affranto, confuso.

Quella mattina, all'alba, il postino consegnò la posta, come sempre; senza sapere che, tra una di quelle lettere indirizzate alla piccola casetta tra gli alberi, ce ne era una con Joshua Uley come mittente.
Sam, non seppe neanche lui perché, decise di aprirla sul molo.
Non diceva molto, solo: Congratulazioni per il diploma. Sono … fiero.
Qui l'inchiostro era più scuro, come se si fosse bloccato e questo avesse avuto tempo di coagularsi sulla punta della stilografica.
Scrisse solo questo.
Punto.
Niente di più, niente di meno.
Sam accartocciò il foglio e lo gettò al mare, sorridendo, si raccomandò: -fallo sparire, te ne prego-
Questo, riconoscente a quel ragazzo, fece come suggeritogli: ammollò la carta, la distrusse.
E Joshua Uley sparì, veramente.




Angolo autrice:
mi piace. Non ci posso fare niente; ma mi piace proprio. Saranno i personaggi, sarà l'oceano, sarà il piccolo Sam ♥ Ma mi piace e mi soddisfa. Ogni tanto accade con le proprie storie :)
Peccato che il contest non abbia preso il volo ._."
Comunque, ecco qui.
Non ho molto da dire, se non grazie a chi commenterà =)



Notizia inutile: pomeriggio buttato.
   
 
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